Concorso in Estorsione: La Responsabilità dell’Intermediario secondo la Cassazione
Il reato di estorsione è una delle figure criminali più gravi, ma cosa accade quando nella dinamica si inserisce una terza figura, quella dell’intermediario? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla responsabilità di chi media nella trattativa illecita, delineando i confini del concorso in estorsione. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere quando un comportamento, apparentemente neutrale, si trasforma in una condotta penalmente rilevante.
Il Caso in Esame: Dalla Corte d’Appello alla Cassazione
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il delitto di estorsione. Il ricorrente basava la sua difesa su due motivi principali: in primo luogo, contestava la sua responsabilità penale nel reato; in secondo luogo, criticava il riconoscimento della recidiva, ovvero l’aggravante legata alla sua precedente condotta criminale.
L’imputato, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, aveva svolto un ruolo di mediatore nelle trattative per la determinazione della somma di denaro da estorcere. La sua difesa sosteneva che tale ruolo non integrasse una vera e propria partecipazione al reato. La Corte di Cassazione, tuttavia, è stata di avviso contrario, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile.
La Decisione della Corte sul Concorso in Estorsione
Il cuore della decisione si concentra sulla figura dell’intermediario. La Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: per integrare il concorso in estorsione, è sufficiente la coscienza e la volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo illecito perseguito dall’autore principale.
Di conseguenza, anche chi si pone come intermediario nelle trattative per la definizione della somma estorta risponde del reato. Esiste un’unica, stretta eccezione a questa regola: l’intervento non è punibile solo se ha avuto la sola finalità di perseguire l’interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana. Nel caso di specie, i giudici hanno escluso categoricamente che l’azione del ricorrente rientrasse in questa eccezione.
La Questione della Recidiva
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla recidiva, è stato giudicato infondato. La Cassazione ha ricordato che la valutazione sulla sussistenza di questa aggravante è compito del giudice di merito. Tale valutazione non può basarsi unicamente sulla gravità dei fatti o sul tempo trascorso, ma richiede un’analisi concreta. Il giudice deve esaminare, sulla base dei criteri dell’art. 133 del codice penale, il rapporto tra il reato in giudizio e le condanne precedenti. L’obiettivo è verificare se la condotta passata sia indicativa di una perdurante inclinazione a delinquere che abbia agito come fattore criminogeno per il nuovo reato. Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che il giudice d’appello avesse svolto questa valutazione in modo logico e corretto.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte Suprema sono chiare e lineari. Per quanto riguarda il concorso in estorsione, si afferma che il contributo causale alla realizzazione del reato non necessita di un ruolo di primo piano; anche un’azione apparentemente secondaria, come quella del mediatore, diventa penalmente rilevante se supportata dalla consapevolezza di agevolare l’attività criminale. La scriminante della “solidarietà umana” opera come una clausola di strettissima interpretazione, applicabile solo quando l’intento di aiutare la vittima è l’unica e inequivocabile molla dell’azione.
Sul fronte della recidiva, la Corte ha ribadito che il suo sindacato in sede di legittimità è limitato alla verifica della correttezza logico-giuridica della motivazione del giudice di merito, senza poter entrare nel merito della scelta effettuata. Poiché la motivazione della sentenza impugnata era coerente con i principi di legge, il ricorso non poteva che essere respinto.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, essa costituisce un severo monito per chiunque si trovi a svolgere un ruolo di mediazione in contesti illeciti: la presunzione non è di neutralità, ma di partecipazione, a meno che non si riesca a dimostrare una finalità puramente solidaristica verso la vittima. In secondo luogo, la decisione conferma l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella valutazione della recidiva, purché la sua analisi sia concreta, individualizzata e motivata secondo i criteri legali. La declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria, sottolinea infine i rischi connessi alla proposizione di ricorsi privi di un solido fondamento giuridico.
Quando un intermediario diventa colpevole di concorso in estorsione?
Un intermediario è colpevole di concorso in estorsione quando, con coscienza e volontà, contribuisce al raggiungimento dello scopo illecito, ad esempio partecipando alle trattative per la determinazione della somma da versare. La sua condotta è considerata un apporto causale al reato.
Esiste un caso in cui l’intermediario in un’estorsione non è punibile?
Sì, ma è un’ipotesi molto limitata. L’intermediario non è punibile solo se il suo intervento ha avuto come unica finalità quella di perseguire l’interesse della vittima ed è stato mosso esclusivamente da motivi di solidarietà umana. Nel caso specifico, la Corte ha escluso questa possibilità.
Perché il ricorso sulla recidiva è stato respinto?
Il ricorso è stato respinto perché la valutazione sulla sussistenza della recidiva spetta al giudice di merito. La Corte di Cassazione si limita a controllare che tale valutazione sia logicamente motivata e conforme alla legge. In questo caso, il giudice aveva correttamente analizzato il legame tra i reati passati e quello attuale per dimostrare una persistente inclinazione a delinquere, rendendo la sua decisione incensurabile in sede di legittimità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 17781 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17781 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 25/01/1980
avverso la sentenza del 07/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso che contesta la responsabilità per il delitto di cui all’art. 629 cod. pen. è manifestamente infondato in quanto, a fronte di una motivazione logicamente corretta del giudice di merito (si vedano pag. 7-9 della sentenza impugnata), il ricorrente prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e la consolidata giurisprudenza di legittimità posto che ai fini dell’integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; ne consegue che anche l’intermediario, nelle trattative per la determinazione della somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l’interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana, circostanze esclusa nel caso di specie (Sez. 2, n. 6824 del 18/01/2017, Rv. 269117);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che contesta la sussistenza della recidiva non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato;
che il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”(si veda, in particolare, pag. 10 della sentenza impugnata)
considerato, inoltre, che dalle iscrizioni numero 14 e 15 del casellario giudiziale non risultano essere estinti i reati oggetto di precedenti specifici;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 18/03/2025
GLYPH
Il consigliere est.
Il Presidente