Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23220 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23220 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Massafra il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 27/10/2023 del Tribunale di Reggio Calabria Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udita la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso; uditi l’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO, difensori del ricorrente, che hanno concluso chiedendo di annullare senza rinvio l’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27 ottobre 2023 il Tribunale di Reggio Calabria, decidendo a seguito dell’annullamento con rinvio, disposto il 28 settembre 2023
dalla Seconda Sezione di questa Corte, ha rigettato la richiesta di riesame e confermato il provvedimento impugnato, con cui a NOME COGNOME è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al concorso nel delitto di estorsione, aggravata dall’art. 416 bis.1 cod. pen. nella duplice declinazione e commessa ai danni di NOME COGNOME.
Nella sentenza rescindente si è affermato che il Tribunale del riesame aveva sottolineato i plurimi elementi da cui aveva desunto che i tre coindagati del ricorrente si erano ripetutamente recati in territorio pugliese, per ottenere la restituzione di un debito da parte di NOME COGNOME, e avevano incontrato il medesimo ricorrente per ottenere da questi, quale esponente di spicco della criminalità di Massafra, un’intermediazione diretta a costringere il debitore al pagamento delle somme dovute. Tuttavia, a fronte della dimostrazione dell’incontro tra il ricorrente ed i tre calabresi, «la motivazione dell’ordinanza impugnata aveva omesso di indicare gli elementi specifici sulla base dei quali potere affermare la sussistenza di gravi indizi del concorso del ricorrente nel fatto estorsivo commesso da altri, mancando qualsiasi specificazione dettagliata idonea a fare affermare che proprio COGNOME, dopo avere incontrato i calabresi, ebbe ad assumere una qualsiasi iniziativa di pressione nei confronti dei debitore COGNOME, sollecitando lo stesso ad effettuare il pagamento, peraltro mai avvenuto, e sfruttando il proprio potere intimidatorio derivante dal contestato ruolo criminale».
Avverso l’anzidetta sentenza il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo la mancanza di motivazione, essendosi il Giudice del rinvio limitato a riprodurre fedelmente unicamente gli elementi già valutati ma ritenuti carenti sotto il profilo dei gravi indizi dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento. Il Tribunale non avrebbe dato risposta ai rilievi difensivi secondo cui NOME COGNOME e NOME COGNOME non avevano incontrato il ricorrente; peraltro, nessuna cella aveva mai agganciato il telefono del ricorrente durante tutto l’arco dell’attività di indagine e il medesimo ricorrente aveva dato giustificazione, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, del perché NOME lo aveva contattato ma egli si era rifiutato di intervenire. In definitiva, il Tribunale, in contrasto con il dictum della sentenza di legittimità, non avrebbe indicato concreti elementi specifici, successivi al 6 ottobre 2020, che dessero atto delle minacce, costrizioni da parte del ricorrente per imporre il pagamento del debito. Il Tribunale avrebbe, quindi, offerto una motivazione da cui emergeva che COGNOME era responsabile del debito ovvero referente dei debitori e, se non avesse pagato, avrebbe dovuto egli accollarsi il pagamento:
circostanza, questa, che striderebbe con le ipotesi di concorso nel reato di estorsione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, perché le censure sollevate sono infondate.
Prima di affrontare il tema centrale del ricorso, giova precisare che, secondo il consolidato orientamento di legittimità, i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale, oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, giacché, mentre, nella prima ipotesi, il giudice è vincolato al principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato, nella seconda ipotesi può procedersi a un nuovo esame del compendio probatorio con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 5, n. 24133 del 31/05/2022, RAGIONE_SOCIALE della Giustizia, Rv. 283440 – 01; Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, COGNOME, Rv. 252333 – 01).
Siffatta delimitazione dell’ambito della devoluzione dispiega, all’evidenza, simmetrica rilevanza nella valutazione dell’impugnazione del provvedimento emesso nel giudizio di rinvio.
2.1. Alla luce di quanto precede deve rilevarsi, nel caso in esame, che, vedendosi nell’ambito di un annullamento per vizi di motivazione, nella fase di rinvio il Tribunale era libero di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, con il solo limite di assegnare ad esse un significato rispondente alla logica e come anche imposto dalla sentenza rescindente – di indicare gli elementi specifici sulla base dei quali potere affermare la sussistenza di gravi indizi del concorso del ricorrente nel fatto estorsivo commesso da altri. Indicazione ritenuta carente nella precedente ordinanza, annullata dalla sentenza rescindente.
Tanto premesso, deve rilevarsi che nessun vizio, sindacabile in questa sede, inficia la motivazione del provvedimento in disamina.
3.1. Nella fase rescissoria, il Tribunale, dopo avere indicato che il materiale indiziario era costituito dalle intercettazioni, dalle fotografie realizzate durante le indagini, dai controlli e dalle indagini tecniche compiute dagli inquirenti sui sistemi GPS delle automobili utilizzate dagli indagati, dall’analisi dei tabulati
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telefonici e dai servizi o.p.c., effettuati dalle Forze dell’ordine, ha affermato che era emerso che NOME COGNOME, dopo aver sollecitato il pagamento del debito a NOME COGNOME, commerciante di Massafra, si era recato con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, esponenti del clan RAGIONE_SOCIALE, e NOME COGNOME presso la RAGIONE_SOCIALE, luogo di lavoro del ricorrente, ove quest’ultimo aveva minacciato pesantemente NOME COGNOME.
Tale condotta era dimostrata, in particolare, dalle conversazioni trascritte nel provvedimento impugnato, da cui emergeva, quindi, che l’intervento del ricorrente (richiesto secondo le regole dell’agire criminale per cui era opportuno interpellare i referenti criminali della zona di Massafra e, dunque, il ricorrente) si era concretizzato nel “maltrattare” NOME COGNOME durante l’incontro del 6 ottobre 2020 in cui gli intimava di pagare e non prendere ulteriore tempo nell’adempiere all’obbligazione. A ciò seguiva anche il coinvolgimento del ricorrente nella gestione della vicenda nei mesi successivi, attesi i plurimi riferimenti a lui compiuti durante tutte le conversazioni intercettate tanto dai debitori quanto dai sodali calabresi.
Il Tribunale ha avuto cura di precisare che «il comportamento oggettivo di maltrattare il debitore si pone come un presupposto fattuale idoneo a dispiegare la forza criminale del soggetto sulla persona offesa anche nei momenti successivi della vicenda. In tal senso depongono le plurime frasi proferite dai sodali calabresi e dai debitori in cui traspare l’affidamento che i primi hanno su di lui e correlativamente il timore che i secondi nutrono verso lo stesso ricorrente».
3.2. Alla luce di tale motivazione deve, in primo luogo, affermarsi che la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. 6, n. 17619, dell’8/01/2008, Gionta, Rv. 239724 – 01) è ferma nel ritenere che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.
Il giudice «deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del senso delle conversazioni non lasci margini di dubbio» (Sez. 6, n. 29350 del 3/5/2006, Rispoli, Rv. 235088 – 01).
Nel caso in esame, è agevole affermare che il Tribunale si è specificamente attenuto nella valutazione delle intercettazioni telefoniche a tali criteri, avendo utilizzato un metodo interpretativo logico, effettivamente fondato sull’analisi delle conversazioni in relazione alla qualità dei soggetti intercettati e al contesto in cui si inserivano i colloqui.
Deve poi rilevarsi che, dando seguito alla sentenza rescindente, il Tribunale ha adeguatamente illustrato gli specifici elementi sulla base dei quali ha affermato la sussistenza di gravi indizi del concorso del ricorrente nel fatto estorsivo commesso da altri, avendo rimarcato che risultava accertato che il ricorrente, dopo avere incontrato i calabresi, aveva con minaccia costretto NOME COGNOME a effettuare il pagamento, sfruttando il proprio potere intimidatorio derivante dal suo ruolo criminale.
Premesso, poi, che, secondo l’orientamento delle Sezioni Unite in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828 – 01), deve ritenersi che l’ordinanza impugnata sfugge a ogni rilievo censorio.
In definitiva il ricorso deve essere rigettato e ciò comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria è onerata degli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 5/3/2024