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Concorso in diffamazione: la Cassazione chiarisce

Un rappresentante sindacale è stato condannato in appello per concorso in diffamazione per aver fornito informazioni a un collega, che le ha poi diffuse tramite comunicato stampa. La Corte di Cassazione ha annullato la condanna ai fini penali per intervenuta prescrizione, rilevando una carenza di motivazione da parte della corte d’appello riguardo la prova dell’intento diffamatorio del ricorrente. La causa è stata rinviata a un giudice civile per la valutazione del risarcimento del danno.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Diffamazione: Quando Fornire Informazioni Diventa Reato?

Fornire informazioni a un collega che poi le diffonde pubblicamente può integrare il reato di concorso in diffamazione? A questa complessa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5243 del 2025, annullando una condanna per un vizio di motivazione e per l’intervenuta prescrizione del reato. Il caso riguarda un rappresentante sindacale della Polizia Penitenziaria, la cui comunicazione interna si è trasformata in un comunicato stampa lesivo della reputazione di un superiore.

I Fatti di Causa: Dalla Comunicazione Interna all’Accusa di Diffamazione

La vicenda ha origine da un presunto alterco tra un Commissario Capo e un Vice Commissario all’interno di una Casa Circondariale. Il segretario regionale di un sindacato di Polizia Penitenziaria, venuto a conoscenza dei fatti, descriveva l’accaduto in un messaggio inviato al segretario provinciale dello stesso sindacato, che ricopriva anche il ruolo di addetto stampa.

Quest’ultimo, basandosi sulle informazioni ricevute, redigeva e diramava un comunicato stampa firmato a proprio nome. Il comunicato, che descriveva il comportamento del Commissario Capo come ‘aggressivo’, veniva pubblicato da una testata giornalistica online e inviato a una mailing list di circa 500 contatti, amplificando notevolmente la sua diffusione.

Il Percorso Giudiziario: Dall’Assoluzione alla Condanna in Appello

In primo grado, il segretario regionale (colui che aveva solo fornito le informazioni iniziali) veniva assolto. Tuttavia, la Corte d’Appello, riformando la prima decisione, lo condannava per il delitto di diffamazione aggravata in concorso con l’addetto stampa, ai sensi dell’art. 595, terzo comma, del codice penale.

Secondo i giudici d’appello, fornendo quelle informazioni a un soggetto noto per il suo ruolo di addetto stampa, il rappresentante sindacale avrebbe concorso alla successiva diffusione della notizia diffamatoria.

La Decisione della Cassazione sul concorso in diffamazione

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna, operando una distinzione cruciale tra gli effetti penali e quelli civili.

1. Agli effetti penali: La sentenza è stata annullata senza rinvio perché il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione, maturata in data 8 settembre 2024.
2. Agli effetti civili: La sentenza è stata annullata con rinvio a un giudice civile competente in grado di appello. Questo significa che la responsabilità del ricorrente ai fini del risarcimento del danno alla parte lesa dovrà essere nuovamente valutata in un altro processo.

Le Motivazioni: Il Difetto della ‘Motivazione Rafforzata’

Il punto centrale della decisione della Cassazione risiede nella critica alla motivazione della sentenza d’appello. Poiché la Corte d’Appello aveva ribaltato una sentenza di assoluzione, era tenuta a fornire una ‘motivazione rafforzata’, ovvero un’argomentazione particolarmente solida in grado di smontare punto per punto le ragioni che avevano portato all’assoluzione.

Secondo la Suprema Corte, tale motivazione mancava. In particolare, la sentenza d’appello non aveva chiarito in modo convincente se e come fosse emerso un accordo tra il ricorrente e l’addetto stampa per la diramazione del comunicato. Non era stato sufficientemente provato che il primo, inviando le informazioni al secondo, si fosse rappresentato e avesse voluto la loro diffusione a un pubblico indeterminato, elemento psicologico necessario per configurare il concorso in diffamazione. La sola trasmissione di informazioni a chi ricopre il ruolo di addetto stampa non è, di per sé, prova automatica di un’intesa criminosa volta alla diffamazione.

Le Conclusioni: Prescrizione Penale e Nuovo Giudizio Civile

La sentenza evidenzia un principio fondamentale: per affermare la responsabilità a titolo di concorso di persone nel reato, non basta un mero nesso causale, ma è necessaria la prova della consapevolezza e volontà di contribuire alla realizzazione del fatto illecito. Nel caso della diffamazione, occorre dimostrare che chi fornisce la notizia abbia agito con l’intento di vederla diffusa a più persone.

L’annullamento per prescrizione ha estinto il reato sul piano penale, ma la questione non è chiusa. La non manifesta infondatezza del ricorso ha fatto sì che la Cassazione rimettesse la valutazione della responsabilità civile a un nuovo giudice, che dovrà riesaminare i fatti con maggiore rigore probatorio, accertando se esistesse davvero un’intesa diffamatoria tra i due sindacalisti.

Perché la condanna per diffamazione è stata annullata agli effetti penali?
La condanna è stata annullata perché il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione, ovvero è trascorso il tempo massimo previsto dalla legge per perseguirlo penalmente. Questo è stato possibile perché la Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso non manifestamente infondato.

Cosa significa che la sentenza è stata annullata con rinvio agli effetti civili?
Significa che, sebbene il processo penale sia terminato, la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla persona offesa non è stata respinta. La causa verrà trasferita a un giudice civile, che dovrà celebrare un nuovo processo per decidere se il ricorrente debba risarcire il danno e in quale misura.

Quale errore ha commesso la Corte d’Appello secondo la Cassazione?
La Corte d’Appello, nel ribaltare la precedente assoluzione, non ha fornito una ‘motivazione rafforzata’. In particolare, non ha dimostrato in modo adeguato l’esistenza di un accordo tra il ricorrente e l’autore del comunicato stampa, né ha provato che il primo avesse l’intenzione specifica di far diffondere ampiamente le informazioni diffamatorie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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