Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26128 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26128 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Data Udienza: 17/04/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME CASA
Sent. n. sez. 293/2025
UP – 17/04/2025
R.G.N. 7539/2025
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a Levoka (Rep. Slovacca) il 17/9/1994
QUARANTA NOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
Con sentenza in data 12.7.2024, la Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza di condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di quattro anni di reclusione ciascuno, previa concessione delle attenuanti generiche ed esclusione della recidiva, emessa dal G.u.p. del Tribunale di Trani il 25.9.2023, all’esito di giudizio abbreviato, per il reato di cui all’art. 419 cod. pen., consistito nella commissione di fatti di devastazione della Casa circondariale di Foggia in concorso con diversi altri detenuti, e per il reato di cui all’art. 605 cod. pen., per aver privato della libertà personale l’assistente NOME COGNOME
1.1 In particolare, la condotta ascritta ai due imputati era individuata nei capi di imputazione nei seguenti termini: COGNOME sottraeva all’assistente NOME COGNOME le chiavi del locale della sua postazione, mentre COGNOME e altri due costringevano lo stesso COGNOME a tornare all’interno del locale impedendogli di uscire dalla portineria centrale.
La condotta dei due – evidenziano i giudici di secondo grado – si inseriva nel contesto di una vera e propria rivolta di circa quattrocento detenuti del carcere di Foggia, che abbandonavano gli spazi del passeggio e, devastando le zone di sbarramento, arrivavano fino a scardinare uno dei due cancelli della c.d. block house e a dileguarsi all’esterno dell’istituto.
La sentenza d’appello premette, quanto ai due suindicati imputati, che la sentenza di primo grado aveva affermato la responsabilità di COGNOME alla luce della comunicazione di notizia di reato a firma del commissario COGNOME e delle immagini tratte dalle riprese dell’impianto di sorveglianza, dalle quali fonti emergeva il ruolo di primo piano dell’imputato, il
quale, nel corso della sommossa si rendeva anche responsabile del sequestro di persona dell’assistente COGNOME contro cui usava minaccia e violenza insieme ad altri detenuti, mentre il coimputato COGNOME lo colpiva con un pugno al petto e gli sottraeva le chiavi dell’ufficio carraia, all’interno del quale lo chiudeva per circa venti minuti prima di essere liberato da altri agenti. Quanto alla responsabilità di COGNOME, la sentenza di primo grado la ricavava egualmente dalla comunicazione di notizia di reato a firma del commissario COGNOME e dalle immagini del sistema di video sorveglianza, da cui emergeva che egli avesse posto in essere condotte analoghe a quelle di Battiante.
1.2 Ciò premesso, la Corte d’Appello dà atto che COGNOME ha presentato due motivi di appello: con il primo ha chiesto l’assoluzione per non essere stata accertata la sua partecipazione ai vari episodi di distruzione, furto e danneggiamento (anche perchØ era detenuto a Foggia da soli undici giorni), mentre con il secondo motivo ha chiesto la determinazione della pena nel minimo, avendo egli partecipato alla sola evasione.
La Corte d’Appello dà altresì atto che COGNOME ha presentato due motivi di appello: con il primo ha chiesto l’assoluzione, quantomeno ai sensi dell’art. 530 comma 2 cod. proc. pen., in quanto la persona offesa COGNOME non gli ha mai addebitato alcuna condotta attiva, mentre con il secondo ha chiesto la determinazione della pena nel minimo edittale e la concessione delle attenuanti generiche, nonchØ il riconoscimento della minima partecipazione al fatto ovvero del concorso c.d. anomalo ex art. 116 cod. pen.
1.3 I giudici di secondo grado giudicano infondato l’appello di COGNOME in quanto la sua partecipazione alle condotte contestate si fonda su dati obiettivi ricavabili dai filmati e dalle relazioni di servizio redatte da diversi agenti di polizia penitenziaria, con un ruolo di protagonista nel sequestro dell’assistente COGNOME che gli ha poi consentito di evadere. In particolare, l’imputato Ł stato riconosciuto nelle immagini come uno di coloro che, dopo aver violato il varco della portineria centrale della porta carraia, partecipò all’aggressione di Quaranta, costringendolo ad entrare nel box dove rimaneva rinchiuso. Non rileva, invece, la mancata partecipazione a uno dei vari episodi di distruzione, furto e danneggiamento, in quanto al fine della sussistenza della responsabilità a titolo di concorso per il reato di devastazione non Ł necessario che l’agente compia materialmente il danneggiamento, purchØ partecipi consapevolmente ai disordini diffusi. Nel caso di specie, il contributo materiale fornito da COGNOME – secondo la Corte territoriale – ha certamente agevolato l’attuazione di un proposito criminoso che sin dall’inizio contemplava il ricorso a diffusi danneggiamenti, finalizzati a consentire l’evasione dal carcere con la giustificazione del timore del Covid-19. Quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza reputa che la pena inflitta a COGNOME sia congrua e adeguata alla gravità delle condotte e all’intensità del dolo manifestato, essendo stata peraltro calcolata nel minimo e ulteriormente ridotta per la concessione delle generiche nonchØ equiparata a quella dei coimputati che hanno posto in essere condotte analoghe.
1.4 La Corte d’Appello giudica infondato anche l’appello di NOME, ritenendo irrilevante il dato secondo cui il suo nome non sia contenuto nelle dichiarazioni della persona offesa e nella relazione di servizio. Infatti, la prova della sua condotta si evince dalle immagini del sistema di videosorveglianza, nelle quali Ł stato riconosciuto tra coloro che, dopo aver violato il varco della portineria centrale della porta carraia, parteciparono all’aggressione di Quaranta. Quanto al trattamento sanzionatorio, anche per NOME i giudici di secondo grado reputano la pena che gli Ł stata inflitta come congrua e adeguata alla gravità dei fatti nonchØ all’intensità del dolo.
2. Avverso la predetta sentenza, ha proposto ricorso in data 18.11.2024 il difensore di
NOME COGNOME, articolando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce vizio di motivazione sulla mancanza di riscontri e sul motivo d’appello relativo all’individuazione dell’imputato come ‘capo’ dell’azione criminosa.
La difesa aveva evidenziato, nell’atto di appello, un difetto di motivazione idoneo a fondare il ragionevole dubbio circa la condotta ascritta a Battiante, ponendo l’attenzione, in particolare, sulla mancata considerazione del ruolo da lui svolto durante la sommossa.
La Corte di Appello ha superato con estrema superficialità la questione che era stata posta, ovvero quella dell’impossibilità fisica del ricorrente di sottrarsi al ‘fiume’ di detenuti in rivolta.
Sotto questo profilo, la sentenza di primo grado aveva attribuito assoluto rilievo alle dichiarazioni della polizia penitenziaria, attestanti il ruolo di primo piano svolto da COGNOME durante la rivolta, mentre l’atto di appello aveva rilevato che dalle riprese delle telecamere risultasse che egli non aveva partecipato all’azione del gruppetto capeggiato, invece, da altro coimputato.
La motivazione della sentenza di secondo grado Ł sbrigativa quando afferma che la responsabilità del ricorrente risulta provata dalle annotazioni di polizia giudiziaria e dall’esame delle registrazioni video, laddove invece l’atto di appello aveva evidenziato che la visione dei filmati assumeva un valore dirimente in ordine alla effettiva identificazione dell’imputato, a cui hanno proceduto invece gli operanti su base presuntiva. Su questo aspetto i giudici di secondo grado hanno omesso di motivare.
2.2 Con il secondo motivo, deduce vizio della motivazione sulla circostanza attenuante della minima partecipazione al fatto.
La sentenza impugnata non ha considerato la possibilità di applicare la detta circostanza attenuante, senza considerare che tutta la vicenda ruota intorno all’azione di altro coimputato e operando un riferimento erroneo all’assunzione da parte del ricorrente di un ruolo di ‘primo piano’ nella sommossa.
2.3 Con il terzo motivo, deduce vizio della motivazione con riferimento alla circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 3), cod. pen.
I giudici di merito non hanno considerato che la ‘folla’ dei detenuti che travolse il ricorrente Ł l’elemento cardine dell’intera vicenda, verificatasi durante il periodo emergenziale da Covid-19 che determinò l’insurrezione dei detenuti a causa della sospensione dei colloqui con i familiari.
La sentenza d’appello erroneamente richiama la motivazione della condanna degli altri coimputati e non considera che il ricorrente non ha mai usato violenza e che gli stessi poliziotti penitenziari, pur armati, non esplosero un solo colpo di pistola, nemmeno a scopo di intimidazione, rimanendo passivi e cercando tutt’al piø di far rientrare l’insurrezione attraverso il dialogo con i detenuti.
Anche sotto questo profilo, Ł contraddittoria la concessione delle circostanze attenuanti generiche, che richiama in senso favorevole all’imputato le connotazioni oggettive e soggettive della vicenda.
In data 23.11.2024, anche il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso, articolando un unico motivo, con cui deduce il vizio di mancanza della motivazione.
In particolare, il ricorso evidenzia che il nome di NOME non risulta nelle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME che pure indica altri soggetti. NOME era semplicemente presente, spinto dalla folla, nel luogo e nel momento in cui sono avvenuti gli eventi delittuosi, ma non ha apportato alcun genere di apporto alla condotta. Nella relazione di servizio della persona offesa, egli non Ł individuato tra gli autori della condotta ai suoi
danni di cui al capo 2) dell’imputazione e non Ł indicato nemmeno tra gli esecutori del reato di sequestro di persona di cui al capo 1). Il ricorrente non viene citato in alcuna delle altre relazioni di servizio allegate al fascicolo delle indagini preliminari e delle sommarie i nformazioni degli altri detenuti; nemmeno dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza emerge con certezza una sua condotta attiva.
Queste censure, pur contenute nell’atto di appello, non sono state prese in considerazione dai giudici di secondo grado, i quali hanno desunto la partecipazione del ricorrente dalla sua semplice presenza sul luogo dei reati, aggiungendo anche che la prova delle sue condotte si desumerebbe dalle immagini del sistema di videosorveglianza, da cui invece si evince tutt’al piø la sua presenza ma non anche la prova della sua effettiva partecipazione ai fatti.
La Corte d’Appello, inoltre, non ha motivato sul riconoscimento della attenuante della minima partecipazione, richiamando la motivazione espressa per un altro imputato la cui situazione era assolutamente diversa in quanto autore effettivo delle azioni illecite.
Con requisitoria scritta trasmessa il 14.3.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibili entrambi i ricorsi, in quanto sono palesemente ripiegati su considerazioni di merito e si limitano a esprimere mera non condivisione delle valutazioni svolte dalla Corte di Appello, senza evidenziare alcuno dei vizi tipici della motivazione. Ulteriore profilo di inammissibilità deve essere riferito al secondo ed al terzo motivo proposto nell’interesse di COGNOME, in cui si fa riferimento ad eccezioni dedotte per la prima volta in sede di legittimità, non sottoposte al vaglio della Corte di Appello.
In data 16.4.2025, l’avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME ha fatto pervenire in cancelleria conclusioni e nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono entrambi manifestamente infondati per le ragioni di seguito esposte.
Quanto al ricorso di COGNOME, il primo motivo Ł essenzialmente rivalutativo e si esaurisce nella contestazione del significato attribuito dai giudici di merito agli atti di indagine, pienamente utilizzabili per effetto della scelta del rito alternativo.
Le sentenze danno atto che la responsabilità dell’imputato in questione risulta dalle annotazioni di polizia giudiziaria e dai filmati. Il ricorrente avversa la motivazione per il tramite della obiezione della non rispondenza al vero degli elementi su cui si fonda la decisione, dolendosi – sia pure per inciso e senza farne specificamente motivo di ricorso che la Corte non abbia visionato i filmati. Si tratta, peraltro, di circostanza nient’affatto dimostrata e di cui, in ogni caso, il ricorrente non potrebbe dolersi, avendo scelto di definire il processo allo stato degli atti, ciò che comporta l’accettazione che si attribuisca valore probatorio agli atti di indagini preliminari.
In questo senso, anche il rilievo attinente al fatto che alla identificazione degli imputati hanno proceduto i soli operanti di polizia giudiziaria Ł del tutto ininfluente. Dovendosi escludere (e non essendo stato nemmeno addotto nel ricorso) che i componenti del collegio fossero nella condizione di riconoscere personalmente nel filmato l’imputato (che, del resto, Ł rimasto assente in giudizio), la Corte d’Appello ha valorizzato del tutto ritualmente peraltro, nel contesto, appunto, di un giudizio abbreviato c.d. secco – il riconoscimento di COGNOME che era stato operato dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini.
In questo modo, Ł stata fatta ragionevole applicazione del principio secondo cui il riconoscimento dell’imputato nel soggetto ritratto nei fotogrammi estratti dalla registrazione effettuata dalle telecamere di sicurezza presenti sul luogo di consumazione del delitto, operato da parte del personale di polizia giudiziaria che vanti pregressa personale
conoscenza dello stesso, ha valore di indizio grave e preciso a suo carico, la cui valutazione Ł rimessa al giudice di merito (Sez. 2, n. 45655 del 16/10/2014, COGNOME, Rv. 260791 – 01; Sez. 2, n. 15308 del 7/4/2010, COGNOME, Rv. 246925 – 01).
In definitiva, il ricorso si limita a sollecitare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di parametri diversi di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
In questo modo, tuttavia, si deducono censure il cui esame Ł precluso in sede di legittimità, sicchØ il primo motivo deve essere considerato inammissibile.
Parimenti inammissibile Ł il secondo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME.
Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, si tratta, a rigore, di motivo nuovo non proposto con l’atto di appello, tanto Ł vero che la Corte d’Appello non l’affronta specificamente.
In ogni caso, il motivo, nel merito, Ł manifestamente infondato, in quanto nel caso di specie Ł stato contestato l’art. 112, n. 1), cod. pen., laddove la circostanza attenuante della minima partecipazione al reato concorsuale non Ł invece applicabile, per espressa previsione dell’art. 114, comma secondo, cod. pen., ‘ai casi indicati nell’articolo 112’.
Anche il terzo motivo, per quanto risulta dalla sentenza d’appello, non aveva costituito motivo di impugnazione della sentenza di primo grado.
Ciò nondimeno, anche in questo caso la doglianza Ł manifestamente infondata nel merito, perchØ la circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto, prevista dall’art. 62, n. 3), cod. pen., presuppone che l’autore del reato non abbia concorso e non sia confluito con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il fatto di reato (Sez. 1, n. 15697 dell’11/1/2022, COGNOME, Rv. 282952 – 02; Sez. 6, n. 52172 del 27/9/2017, COGNOME e altri, Rv. 271957 – 01).
E, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato ampiamento atto, con motivane incensurabile per i motivi già sopra esposti, che COGNOME avesse assunto addirittura un ‘ruolo di protagonista’ nella vicenda oggetto del procedimento, partecipando all’aggressione e al sequestro di Quaranta e infine addirittura evadendo fisicamente dal carcere.
Peraltro, la Corte d’Appello ha affrontato il profilo della eventuale applicabilità di tale circostanza in relazione alla posizione del coimputato COGNOME con una motivazione resa in termini generali che può riguardare la posizione di tutti gli imputati.
Il ricorso di COGNOME infine, pur articolato in unico motivo, presenta tratti comuni al ricorso di COGNOME sollevando doglianze per larga parte simili o addirittura coincidenti con quelle formulate nell’interesse del detto coimputato.
In primo luogo, anche il difensore di COGNOME censura la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla affermazione della sua responsabilità, reiterando, anche graficamente, i motivi d’appello e lamentando che i giudici di secondo grado non li abbiano presi in considerazione.
In realtà, la Corte d’Appello risponde alle censure mosse con l’impugnazione della sentenza di primo grado e le supera sulla base del fatto che, nonostante non risulti dalle dichiarazioni della persona offesa e dalla sua relazione di servizio il nome di NOMECOGNOME la sua partecipazione alle condotte di reato si evince dalle immagini del sistema di video sorveglianza, in cui l’imputato Ł stato riconosciuto tra coloro che hanno violato la portineria, hanno aggredito COGNOME e lo hanno richiuso nel box.
Il ricorso oppone che questa ricostruzione sia errata, perchØ dalle immagini risulterebbe
la presenza del ricorrente sul luogo dei fatti, ma non anche la sua effettiva partecipazione.
Sostanzialmente, dunque, il ricorrente caldeggia una differente attribuzione del significato da attribuire ad una determinata prova, attaccando la persuasività della motivazione e proponendo una conclusione alternativa circa lo spessore della valenza probatoria del singolo elemento preso in considerazione dai giudici di merito.
Ma si tratta, in definitiva, della stessa censura formulata con l’atto di appello, che si fonda su motivi auto-assertivi ed indeterminati, con cui si ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame.
Insomma, difetta del tutto la indicazione degli specifici elementi per ritenere che si sia verificata nella motivazione della sentenza impugnata una inesatta trasposizione nel ragionamento dei giudici di merito del dato probatorio in termini di distorsione; invece, il ricorso rimane generico e si risolve, pertanto, nella sollecitazione di una non consentita reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova costituito dalle registrazioni del sistema di video sorveglianza del carcere.
Anche la doglianza, accennata nella parte finale del ricorso, del mancato riconoscimento della circostanza della minima partecipazione (peraltro, rassegnata dopo aver lungamente sostenuto il difetto di prova della partecipazione stessa del ricorrente al fatto) Ł, per quanto già evidenziato con riferimento al ricorso di COGNOME, manifestamente infondata per ragioni, prima ancora che di merito, di inconciliabilità giuridica con la qualificazione del fatto ascritto al ricorrente.
Complessivamente, pertanto, il ricorso di COGNOME Ł anch’esso inammissibile.
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, i ricorsi debbono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e di una somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.
Va aggiunto, infine, che, in ossequio al principio recentemente ribadito anche dalle Sezioni Unite, nel giudizio di cassazione con trattazione orale non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l’allegazione di nota spese (Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, 286581 – 03): nel caso di specie, il difensore della parte civile costituita ha trasmesso un atto con cui ha richiesto l’inammissibilità del ricorso, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione e senza, perciò, fornire alcun contributo alla decisione (cfr. Sez. 4, n. 9179 del 31/1/2024, B., Rv. 285911 – 01).
P.Q.M
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 17/04/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME