Concorso in detenzione di stupefacenti: quando la ritrattazione del coimputato non basta
Il concorso in detenzione di stupefacenti è un reato complesso, la cui prova dipende spesso dalle dichiarazioni dei soggetti coinvolti. Ma cosa accade se un coimputato prima accusa e poi ritratta? Con l’ordinanza n. 18690/2024, la Corte di Cassazione offre chiarimenti cruciali sulla valutazione delle prove e sulla concessione delle attenuanti, confermando che i riscontri oggettivi prevalgono sulle versioni di comodo. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine da un controllo dei Carabinieri nella periferia di una città del sud Italia. Durante il controllo di un’autovettura con a bordo due persone dal fare sospetto, veniva rinvenuto un chilogrammo di marijuana. La sostanza si trovava sul tappetino del lato passeggero, proprio dove sedeva uno dei due soggetti, il futuro ricorrente.
Inizialmente, il coindagato (guidatore del veicolo) aveva dichiarato che l’acquisto della droga era stato concordato fin dall’inizio con il passeggero, il quale doveva ancora corrispondergli la sua quota del prezzo. Successivamente, nel corso del procedimento, lo stesso coindagato cambiava versione, tentando di scagionare il complice sostenendo che l’accordo tra loro non si era ancora perfezionato. Nonostante questa ritrattazione, sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello condannavano l’imputato, ritenendo la prima versione più genuina e suffragata dagli elementi raccolti.
L’Appello e le doglianze sul concorso in detenzione
L’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando principalmente tre aspetti:
1. Errata valutazione della responsabilità: Secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero sbagliato a dare credito alla prima versione del coindagato, ignorando la successiva ritrattazione che lo scagionava.
2. Mancata concessione dell’attenuante del contributo minimo: Si sosteneva che la partecipazione dell’imputato fosse stata di minima importanza (art. 114 c.p.), e quindi meritevole di una riduzione di pena.
3. Diniego delle attenuanti generiche: L’imputato contestava il rifiuto di concedere le attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.), ritenuto ingiustificato.
Le Motivazioni della Suprema Corte sul concorso in detenzione di stupefacenti
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e, in parte, una mera riproposizione delle argomentazioni già respinte in appello. Le motivazioni della Corte sono state chiare e lineari.
La Valutazione delle Prove e la Credibilità delle Dichiarazioni
Il punto centrale della decisione riguarda la valutazione delle dichiarazioni contrastanti del coindagato. La Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello ha correttamente e logicamente ritenuto più attendibile la prima versione. Questa, infatti, trovava un solido riscontro oggettivo: la marijuana era stata trovata ai piedi dell’imputato, sul lato passeggero. Questa circostanza rendeva del tutto plausibile un suo coinvolgimento diretto e consapevole.
La successiva versione, fornita in sede di rito abbreviato, è stata invece considerata ‘non illogicamente’ priva di plausibilità, in quanto palesemente finalizzata a scagionare il complice. La Corte ha quindi ribadito un principio fondamentale: in presenza di dichiarazioni contrastanti, il giudice di merito deve privilegiare quella che trova conferma in altri elementi di prova certi e oggettivi.
Il Rigetto delle Attenuanti
Anche le censure relative alle attenuanti sono state respinte.
* Sull’art. 114 c.p. (minima partecipazione): La Corte ha confermato la valutazione dei giudici di merito, secondo cui il contributo dell’imputato non poteva essere considerato ‘minimale’. L’aver assicurato il versamento della propria quota del prezzo è un elemento che qualifica la sua partecipazione come piena e consapevole al progetto criminoso.
* Sull’art. 62-bis c.p. (attenuanti generiche): La Cassazione ha ritenuto decisiva la mancanza di allegazione, da parte della difesa, di elementi positivi concreti su cui fondare la richiesta. Al contrario, i giudici hanno correttamente valorizzato elementi negativi, come un precedente a carico dell’imputato e la notevole gravità del fatto, evidenziata dall’enorme quantità di dosi (oltre 1700) ricavabili dallo stupefacente sequestrato.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida alcuni importanti principi in materia di prova nel concorso in detenzione di stupefacenti. In primo luogo, una ritrattazione o una versione edulcorata di un coimputato non ha valore se non è supportata da elementi logici e fattuali, soprattutto se si scontra con prove oggettive. In secondo luogo, per ottenere le attenuanti (sia quella del contributo minimo che quelle generiche), non basta negare le proprie responsabilità, ma è necessario fornire al giudice elementi concreti e positivamente valutabili. In assenza di questi, e in presenza di indicatori di gravità del reato e di pericolosità sociale, il diniego delle attenuanti è pienamente legittimo.
Come valuta la Corte le dichiarazioni contraddittorie di un coimputato?
La Corte dà maggiore credibilità alla versione che trova riscontro in elementi di prova oggettivi e fattuali. Una successiva ritrattazione, se appare illogica o finalizzata unicamente a scagionare l’altro imputato, viene ritenuta inattendibile.
Perché è stata negata l’attenuante della partecipazione di minima importanza?
L’attenuante è stata negata perché il contributo dell’imputato non è stato considerato marginale. Aver assicurato il pagamento della propria quota del prezzo della droga è stato valutato come un apporto causale rilevante alla realizzazione del reato.
Quali elementi hanno portato al diniego delle attenuanti generiche?
Le attenuanti generiche sono state negate per la combinazione di due fattori: da un lato, l’imputato non ha fornito elementi positivi da valutare a suo favore; dall’altro, i giudici hanno considerato elementi negativi come un suo precedente penale e la particolare gravità del fatto, data l’ingente quantità di stupefacente sequestrato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18690 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18690 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LECCE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/06/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CON:SIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME – imputato del delitto di illecita detenzione di marijuana, a lui ascritto in concorso – ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 09/06/2023, con cui la Corte d’Appello di Lecc:e ha confermato la condanna in primo grado irrogata dal G.i.p. del Tribunale di Lecce, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità e alla mancata concessione delle attenuanti di cui agli artt. 114 e 62-bis cod. pen.;
ritenuto che la prima doglianza sia reiterativa e comunque manifestamente infondata, avendo la Corte d’Appello adeguatamente motivato in ordine alla genuinità della prima versione resa dal coindagato COGNOME (secondo cui l’acquisto era stato sin dall’inizio concordato con il COGNOME, che ancora doveva versargli la propria quota del prezzo anticipato): versione che, del resto, aveva trovato riscontro nel fatto che i Carabinieri videro i due mentre si aggiravano in auto con fare sospetto nella periferia di Lecce, e notarono, al momento del controllo, che il chilo di marijuana era proprio sul tappetino del lato passeggero, dove sedeva il COGNOME. In tale contesto, la Corte territoriale ha non illogicamente ritenuto priva di ogni plausibilità la successiva versione resa dal COGNOME con dichiarazioni spontanee in abbreviato, volta chiaramente a scagionare il COGNOME sostenendo che l’intesa tra i due non si era ancora perfezionata (cfr. pagg. 4-5 della sentenza);
ritenuto che ad analoghe conclusioni debba pervenirsi quanto alle residue censure, avendo la Corte d’Appello per un verso osservato, in termini qui incensurabili, che il contributo partecipativo del COGNOME non poteva in alcun modo considerarsi minimale ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 114 cod. pen., avendo egli assicurato il versamento della propria parte di prezzo;
ritenuto altresì, quanto alla mancata applicazione delle attenuanti generiche, che debba conferirsi rilievo dirimente – al di là dei riferimenti alla facoltà di n rispondere contenuti in sentenza – alla mancata allegazione, da parte del COGNOME, di elementi positivamente valutabili ai fini della concessione delle predette attenuanti, a fronte di argomentazioni imperniate sul precedente a carico e sulla gravità del fatto (essendo ricavabili oltre 1700 dosi dallo stupefacente sequestrato: cfr. pag. 5);
ritenuto che le considerazioni fin qui svolte non possano ritenersi vulnerate dal contenuto della memoria difensiva tempestivamente trasmessa dalla difesa del COGNOME, con cui vengono sostanzialmente ribadite le doglianze dedotte in ricorso;
ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso in Ro COGNOME , il 23 febbraio 2024 Il Consigl re stensore COGNOME
Il Presidente