Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24972 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24972 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CARINI il 31/05/1981 NOME nato a CARINI il 27/07/1984
avverso la sentenza del 31/05/2023 della Corte d’appello di Palermo. Udita la relazione svolta dal Cons. NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa il 17/02/2022 dal GUP presso il Tribunale di Palermo nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME e con la quale gli stessi erano stati condannati, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di quattro mesi di reclusione ed € 688,00 di multa ciascuno, per il reato previsto dall’art.73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, con concessione a entrambi gli imputati del beneficio della sospensione condizionale della pena.
La Corte territoriale ha esposto che il riconoscimento di responsabilità degli imputati si fondava sulla base delle circostanze rappresentate nel verbale di arresto e negli altri atti di indagine -utilizzabili in ragione delle scelta del rito -dai quali risultava che, all’esito di una perquisizione eseguita il 03/05/2021 p resso il domicilio degli imputati, erano stati rinvenuti 99 involucri in carta stagnola contenenti marijuana per 73 grammi lordi, nonché 14 involucri contenenti hashish per 6 grammi lordi e 14 involucri contenenti cocaina per 13 grammi lordi, oltre alla
somma di € 600,00 in contanti e a tre lame intrise di stupefacente, unitamente a un quaderno recante nomi e cifre.
Il giudice di appello ha rigettato il motivo di gravame formulato per conto della COGNOME e tendente a ottenere la derubricazione del fatto sotto la specie di quello di favoreggiamento personale, ritenendo che l’atteggiamento tenuto dall’imputata (che, nell’immediatezza dell’ingresso degli operanti, si era rapidamente adoperata per tentare di nascondere lo stupefacente) fosse un chiaro indice della sua compartecipazione alla condotta di detenzione.
Ha altresì rigettato il motivo tendente a ottenere un giudizio di prevalenza, in ordine alla posizione del COGNOME, delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche rispetto alla riconosciuta recidiva, ritenendo non sindacabile il giudizio di equivalenza formulato dal GUP; ritenendo, altresì, non concedibili le attenuanti generiche nei confronti delle Basile, attesa l’assenza di elementi positivi idonei a giustificarne l’applicazione.
Avverso la predetta sentenza hanno presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite il proprio comune difensore, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo hanno dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. -l’inosservanza della legge penale derivante dalla mancata assoluzione della Basile per insussistenza del fatto o dalla omessa riqualificazione della condotta sotto la specie di quella prevista dall’art.378 cod.pen..
Hanno dedotto che la suddetta imputata era stata colta dagli operanti mentre tentava di occultare lo stupefacente detenuto dal marito e che tale condotta non era idonea a dimostrare un concorso nella detenzione ma, al più, una mera condotta favoreggiatrice; non essendo desumibile in alcun modo la volontà di partecipazione al reato di detenzione di sostanza stupefacente.
Con il secondo motivo hanno dedotto il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, che avrebbe dovuto essere determinato -per la Basile – nel minimo edittale previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, anche in considerazione dello stato di incensur atezza dell’imputata e del suo ruolo marginale nella vicenda; hanno altresì dedotto che il trattamento sanzionatorio doveva considerarsi non proporzionato anche in relazione al COGNOME, attesa la modesta rilevanza del fatto e il suo positivo contegno processuale, con conseguente sussistenza dei presupposti per la prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche rispetto alla contestata recidiva.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Il primo motivo, attinente alla carenza -in capo alla coimputata COGNOME -degli elementi costitutivi del concorso nella detenzione di sostanza stupefacente, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
In punto di fatto, entrambe le sentenze di merito hanno dato atto delle circostanze emergenti dal verbale di arresto -pienamente utilizzabile in virtù della scelta del rito -dal quale era emerso che la COGNOME, avvertita dal marito dell’imminente perquisizione, era stata colta dagli operanti nell’atto di occultare in un armadio la sostanza stupefacente successivamente rinvenuta.
Ciò posto, questa Corte ha rilevato che, in tema di illecita detenzione di stupefacenti, il discrimine tra il concorso nel reato e l’autonoma fattispecie di favoreggiamento personale va rintracciato nell’elemento psicologico dell’agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l’aiuto da questi consapevolmente prestato ad altro soggetto, che ponga in essere la condotta criminosa costitutiva del reato permanente, sia l’espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall’intenzione – manifestatasi attraverso individuabili modalità pratiche – di realizzare una facilitazione alla cessazione della permanenza del reato (Sez. 4, n. 28890 del 11/06/2019, COGNOME, Rv. 276571, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna a titolo di concorso per la detenzione di stupefacente, desumendo l’elemento soggettivo dalla condotta dell’imputata, tesa a disfarsi dello stupefacente mentre era sola in casa, sapendo dove la droga fosse custodita, e così dimostrando la sua autonoma disponibilità della sostanza; espressiva di principio analogo già Sez. 4, n. 6128 del 16/11/2017, COGNOME, Rv. 271968).
In ogni caso, secondo orientamento recentemente consolidatosi -peraltro avallato dalla Sezioni Unite – e cui questo Collegio ritiene di dover dare continuità, il reato di favoreggiamento non è comunque configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente previsto – in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, COGNOME, Rv, 253151; in senso conforme, Sez. 3, n. 364 del 17/09/2019, dep. 2020, C., Rv. 278392; Sez. 2, n. 282 del 22/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282510; Sez. 3, n. 14961 del 27/03/2024, COGNOME, Rv. 286105).
Appare, difatti, decisivo, in favore della condivisibilità di tale orientamento, il rilievo che, per espressa previsione dell’art. 378 cod. pen., il reato di favoreggiamento è configurabile soltanto con un’azione realizzata “dopo che fu commesso un delitto”, giammai “durante”, ovvero nel corso della permanenza dello stesso; di conseguenza, nell’ipotesi di concorso di persone in un reato permanente, ogni condotta causale tenuta dopo la consumazione e fino alla cessazione della permanenza integra non già il delitto di favoreggiamento personale, bensì un concorso nel reato ex art. 110 cod. pen..
Tutti elementi in punto di diritto che, in ragione del concreto atteggiarsi della condotta tenuta dalla suddetta coimputata, inducono a ritenere manifestamente infondata la censura difensiva.
Anche il motivo attinente alla dosimetria della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore della COGNOME è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Sul punto, questa Corte ha avuto più volte modo di precisare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione -non sindacabile in sede di legittimità – è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale ( ex multis , Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017. Mastro, Rv. 271243); essendosi altresì stato precisato che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).
Nel caso di specie, quindi, va rilevato come la pena concretamente inflitta sia stata applicata dai giudici di merito in misura prossima al minimo edittale, ragione per la quale non può ravvisarsi alcuna carenza motivazionale sullo specifico punto.
Quanto al profilo attinente alle circostanze attenuanti generiche, negate dai giudici di merito alla coimputata COGNOME in proposito va ricordato che il mancato riconoscimento delle circostanze medesime può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior
ragione dopo la riforma dell’art. 62bis cod.pen., disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489); mentre, sul punto, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente.
Sul punto la Corte territoriale ha escluso l’applicabilità delle circostanze sulla scorta della mancanza di una condotta resipiscente e della mancanza di elementi positiva idonei a giustificarne la concessione, in tale modo adeguatamente raffrontandosi alle deduzioni spiegate nel motivo di appello; dovendo altresì la motivazione della Corte essere, sul punto, letta in combinato con quella del giudice di primo grado e che aveva puntualmente fatto riferimento alla specifica e negativa valutazione del comportamento processuale tenuto dall’imputat a.
Infine, manifestamente infondato è il punto di doglianza attinente al giudizio di bilanciamento operato dai giudici di merito -in ordine alla posizione del COGNOME tra le riconosciute attenuanti generiche e la contestata recidiva; dovendosi ricordare, sul punto, che in tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 27983802).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», i ricorrenti
vanno condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 01/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME