Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13431 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13431 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/02/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ROMA il 12/08/1991
avverso la sentenza del 05/02/2018 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 17 maggio 2017 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rieti, ha ridotto a un anno e quattro mesi di reclusione e 6.000,00 euro di multa la pena inflitta a COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 73, co 4, d.P.R. 309/90 (per il concorso nella detenzione di grammi 4.503,6 di sostanza stupefacente del tipo marijuana).
Avverso tale sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l’insufficienza della motivazione, nella parte relativa alla esclusione dell riconducibilità della sua condotta a una mera connivenza non punibile, in relazione alla attività di narcotraffico posta in essere dal suo compagno e coimputato COGNOME giacché la affermazione della responsabilità della ricorrente era stata fondata, erroneamente, sulla sua consapevolezza delle attività illecite svolte dal compagno, in assenza di qualsiasi contributo partecipativo, morale o materiale, a tali condotte, che foss caratterizzato dalla coscienza e volontà di apportare un contributo concorsuale alla realizzazione del reato.
Con memoria depositata il 6 febbraio 2019 la ricorrente ha ribadito tali censure, sottolineandone l’ammissibilità, evidenziando nuovamente di essere stata mera connivente del proprio compagno COGNOME, a conoscenza delle attività illecite dallo stesso svolte, alle quali però non aveva apportato alcun contributo causale, né aveva profittato dei relativi proventi, con la conseguente erroneità della affermazione del concorso nella detenzione illecita degli stupefacenti rinvenuti nella abitazione comune.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, essendo meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dal giudice di merito con corretti argomenti giuridici, con i quali la ricorrente ha omesso di confrontarsi, tantomeno in modo critico.
La Corte d’appello ha, infatti, confermato la configurabilità del concorso della COGNOME nella detenzione della sostanza stupefacente, rinvenuta nella abitazione nella quale la stessa conviveva con il compagno e coimputato COGNOME, escludendo una mera connivenza non punibile, sottolineando che nella camera da letto di tale abitazione erano stati rinvenuti un bilancino di precisione e svariate bustine di cellophane, idonee a confezionamento delle dosi di stupefacente; che nel locale lavanderia di tale abitazione, regolarmente utilizzato dalla COGNOME, era stata occultata la sostanza stupefacente, del peso lordo di 5,7 chilogrammi, che emanava un forte odore (la cui presenza era dunque agevolmente percepibile); che la ricorrente si era recata in automobile, assieme agli altri imputati, all’appuntamento fissato per la consegna del quantitativo di 65 chilogrammi di marijuana: dal complesso di questi elementi la Corte d’appello ha tratto, in modo logico, sulla base di consolidate massime di esperienza (circa la partecipazione alla attività di
spaccio quando gli strumenti per il confezionamento in dosi dello stupefacente siano nella disponibilità di entrambi i conviventi nella medesima abitazione, in parti di questa in us a entrambi) la prova del concorso della ricorrente nella detenzione della sostanza stupefacente occultata nella abitazione nella quale la stessa conviveva con lo COGNOME, essendo emersa la partecipazione della COGNOME alla detenzione a fine di spaccio di detta sostanza (ricavata anche dalla presenza della stessa nella occasione della programmata consegna di altra ingente quantità di sostanza stupefacente).
Tali argomenti non sono in alcun modo stati considerati dalla ricorrente, che si è limitata a ribadire, anche con la memoria, la propria tesi difensiva della connivenza non punibile, omettendo qualsiasi confronto, tantomeno critico, con la motivazione della sentenza impugnata, e in particolare con i plurimi e convergenti elementi posti a fondamento della affermazione della configurabilità del suo concorso nella detenzione illecita della sostanza stupefacente rinvenuta nella abitazione comune, con la conseguente inammissibilità del ricorso, a causa del suo contenuto non consentito nel giudizio di legittimità e della sua genericità.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2019 Il Consigliere estensore
Il Presidente