Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 583 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 583 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME COGNOME nato a Napoli il 11/06/1966
COGNOME NOMECOGNOME nata a Napoli il 22/02/1961 avverso la sentenza del 29/11/2023 della Corte di appello di Napoli letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udite le conclusioni del difensore della parte civile costituita ASL Napoli 1 Centro, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi e la liquidazione delle spese come da nota depositata; udite le conclusioni dei difensori, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME per COGNOME
NOMECOGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con distinti ricorsi i difensori di NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno chiesto l’annullamento della sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 13 settembre 2022 dal GUP del Tribunale di Napoli, che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato gli imputati per i reati riuniti di cui agli artt. 110-319, 319 bis e 640 bis cod. peri. per avere, in qualità di dipendenti della Asl Napoli 1 Centro in servizio presso l’Ufficio Gestione Trattamento Economico, ricevuto, al fine di compiere atti contrari ai doveri d’ufficio, consistenti nell’inserimento di voci retributive fitt nel “software” degli statini paga, somme di denaro dai beneficiari, nonché per avere, mediante l’inserimento fittizio di indennità non dovute per assegni familiari, eludendo le procedure e talvolta anche in assenza della domanda del beneficiario, indotto in errore l’ASL NA 1 che erogava emolumenti non dovuti per complessivi 340.028,88 euro con corrispondente ingiusto profitto per sé e per i beneficiari.
Nell’interesse di NOME COGNOME il difensore ha articolato tre motivi di seguito illustrati.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. con riferimento agli art. 319-321 cod. pen. e carenza di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto sussistente il reato di corruzione in mancanza di prova degli elementi costitutivi del reato.
La motivazione non analizza i motivi di appello, limitandosi a ricalcare le argomentazioni del giudice di primo grado; la valutazione della prova è illogica, in quanto fondata su colloqui intercettati tra terzi, che facevano riferimento alla ricorrente quale destinataria di dazioni illecite; una sola conversazione tra dipendenti, ritenuti beneficiari dell’illegittimo inserimento in busta paga di voci accessorie non dovute, non può fondare l’affermazione di responsabilità della ricorrente per il reato di corruzione a causa delle incongruenze segnalate, ma ignorate in sentenza. Era stata, infatti, evidenziata la contraddittorietà della contestazione formulata con riferimento ad alcune pratiche per le quali g li inserimenti delle somme non dovute non erano materialmente addebitabili alla COGNOME, essendosi accertato che vi aveva proceduto la collega COGNOME, che è stata assolta. L’asserita differenza di posizione delle due imputate è ravvisabile solo nella circostanza che è la COGNOME l’autrice degli inserimenti fraudolenti, ma non è stata ritenuta responsabile per mancanza di prova della corresponsione di somme di denaro. Tale elemento è insufficiente per la configurabilità della corruzione, occorrendo la prova dell’accordo e della causa delle dazioni illecite.
2.2. Con il secondo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 640 bis cod. pen. per avere la Corte di appello ancorato la colpevolezza ad un ragionamento presuntivo, dando per scontata l’esistenza di un accordo tra funzionario infedele e dipendente beneficiario, individuando l’artificio e il raggiro nel mero inserimento di indennità non dovute nel “software” degli statini paga di cinque dipendenti.
Essendo stato ricostruito in sentenza il corretto iter per l’inserimento dell’emolumento nel “software”, alla ricorrente può addebitarsi al più di aver eluso la verifica del dirigente, dovendo attribuirsi al dipendente l’indicazione, al momento della presentazione della autocertificazione, di circostanze non veritiere.
La Corte di appello non ha tenuto conto delle deduzioni difensive, dirette ad evidenziare che non era stato possibile effettuare controlli sull’operato della ricorrente per mancato reperimento negli archivi delle pratiche sospette, oggetto di verifiche interne, né ha considerato che per la pratica della COGNOME, ritenuta sospetta, l’inserimento di una voce stipendiale accessoria era stato effettuato dal Dirigente, che, quindi esercitava il controllo sull’attività dei dipendenti. L possibile regolarità delle pratiche e il mancato reperimento dei fascicoli relativi a quelle dubbie non hanno consentito di stabilire se gli importi erogati fossero o meno dovuti, con la conseguente impossibilità di ritenere integrato il reato.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 62 bis, 132 e 133 cod. pen. e la mancanza di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla graduazione della pena.
Il difensore di COGNOME ha formulato tre motivi.
3.1. Con il primo denuncia plurimi vizi della motivazione in relazione ai reati di corruzione e truffa ai danni dello Stato.
La Corte di appello ha reso una motivazione carente e contraddittoria con correlato travisamento del risultato probatorio, avendo ritenuto sufficiente, per ritenere l’Alfano concorrente nella corruzione, la circostanza che questi, una volta scoperto, avrebbe tentato di restituire quanto indebitamente percepito ad alcuni dipendenti infedeli. L’inferenza è priva di riscontro, potendo al più indicare che il ricorrente fosse stato un intermediario con la COGNOME, che aveva percepito somme di denaro per compiere atti illeciti ai quali egli era estraneo, non avendo le qualifiche necessarie. Si censura l’assenza di valutazione della diversità dei ruoli dei due imputati.
3.2. Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge per avere la Corte territoriale erroneamente ravvisato la corruzione in luogo del traffico di influenze illecite, atteso che l’COGNOME è indicato in sentenza come intermediario che ha percepito somme esigue, privo della qualifica necessaria ad
integrare la condotta materiale di inserimento negli statini di emolumenti non dovuti e, in assenza di prova della ricezione di somme come controvalore del reato di corruzione e di un rapporto paritario con gli agenti della corruzione, non può qualificarsi la condotta come concorso in corruzione, ma come traffico di influenze.
3.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione al diniego delle attenuanti previste dall’art. 323 bis e 62 bis cod. pen. e dell’art. 133 cod. pen..
La sentenza è contraddittoria, in quanto qualifica la condotta dell’COGNOME talvolta come quella di mero intermediario tra i dipendenti percettori di emolumenti indebiti e la COGNOME e la COGNOME, talaltra con ruolo attivo e paritario di partecipe, con identico trattamento sanzionatorio irrogato alla COGNOME, nonostante egli non avesse alcun potere o qualifica per realizzare la condotta; lo riconosce concorrente morale nelle truffe in assenza di prova di artifici o raggiri da lui attuati e parametra il trattamento sanzionatorio su quello della Mandolfi.
La Corte ha, quindi, errato sia nel non riconoscere la minore gravità della condotta del ricorrente e l’esiguo profitto illecito conseguito, sia nel non riconoscere la minore intensità del dolo e le attenuanti richieste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono infondati per le ragioni di seguito illustrate.
Il ricorso della COGNOME è infondato, ai limiti dell’inammissibilità, nell misura in cui sotto il profilo del vizio di motivazione e della connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta di proporre una diversa lettura dei fatti e delle prove, preclusa in questa sede.
Va ricordato che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali, tali da imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili le censure che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, de spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n.13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
La prospettazione difensiva nega ogni responsabilità della COGNOME, asseritamente estranea alle truffe e alla corruzione, in quanto autrice degli inserimenti illeciti negli statini paga di voci stipendiali non dovute sarebbe stata solo la sua collega COGNOME poi assolta dall’accusa di corruzione; inoltre, la ricorrente sarebbe estranea alle conversazioni intercettate tra terzi, sicché, in definitiva, sarebbe stata condannata solo in base ad un unico colloquio intercettato e in assenza di prove dell’accordo corruttivo.
Tale prospettazione riduttiva, già concordemente respinta dai giudici di merito, non tiene conto delle dichiarazioni rese dal dirigente amministrativo, della documentazione acquisita e della ricostruzione delle numerose irregolarità riscontrate nelle procedure di inserimento dati, oggetto di contestazione, quali la mancanza della determina dirigenziale, che autorizzava il pagamento degli arretrati relativi ad assegni familiari, l’incompletezza delle domande o addirittura l’assenza della richiesta, come verificato nel caso del marito della ricorrente, al quale veniva illegittimamente erogata la somma di 15 mila euro: dato, questo, significativo, ma omesso nel ricorso.
Ma, soprattutto, il ricorso non considera la rilevanza della tempistica e del contenuto dei colloqui valorizzati dai giudici di merito, in quanto avvenuti subito dopo le verifiche interne sulle irregolarità emerse, determinando i dipendenti favoriti a restituire le somme indebitamente percepite e, al contempo, a recuperare il prezzo della corruzione, in tal modo dimostrando l’esistenza del nesso sinallagmatico tra l’atto contrario ai doveri di ufficio e la dazione illecita.
La chiarezza del colloquio del 2 marzo 2021 tra l’COGNOME e tre dipendenti indebitamente favoriti consente di superare le obiezioni difensive, come ritenuta dai giudici di merito, emergendo nettamente che la ricorrente, a differenza dell’COGNOME, non intendeva restituire alcunché.
NOME è l’ammissione del Coronella di averle corrisposto la somma di 5 mila euro e regalato la bicicletta per il figlio e di attendere la restituzione di mila euro (rivolgendosi all’Alfano diceva: “ti ricordi quando facemmo storie io e te e tu dicesti vogliono mille euro? NOME) venne sopra all’ospedale e voleva mille euro, NOME mi deve dare 6 mila euro”, pag. 11 sentenza di primo grado).
Risulta, inoltre, che la ricorrente aveva detto loro di inviare una mail alla RAGIONE_SOCIALE, ma, pur non essendo noto il contenuto della mali, la circostanza dimostra l’input da lei dato ai dipendenti e diretto alla sua collega e rileva anche per il commento di uno degli interlocutori, che dimostra la consapevolezza della natura illecita degli accordi, al punto da considerare che era stata una fortuna che non l’avessero inviata, altrimenti gli inquirenti avrebbero trovato tutto per iscritto (“Mena ci voleva far mandare una mail a NOME…ma non è stata mandata altrimenti trovavano tutto per iscritto”, pag. 13 sentenza di primo grado).
In proposito, non può trascurarsi, come fa la ricorrente, che i dipendenti beneficiari delle indebite erogazioni hanno definito con accordo sulla pena in appello la loro posizione di corruttori e di concorrenti nella truffa ai danni della Asl.
È, quindi, infondata la dedotta insufficienza di un solo elemento a fondare l’affermazione di responsabilità della ricorrente per il reato di corruzione, anche alla luce della conferma dell’accusa proveniente dal sindacalista COGNOME NOMECOGNOME al quale si erano rivolti alcuni dipendenti, tra cui il COGNOME e il COGNOME, p chiedere consiglio e narrargli i fatti, sicché l’COGNOME aveva consigliato loro di restituire quanto indebitamente percepito. Peraltro, come rilevato dai giudici di merito, la ricorrente non ha fornito una interpretazione alternativa del colloquio né una giustificazione logica in ordine alla necessità di restituire somme di denaro ai dipendenti favoriti; né può attribuirsi rilievo alla sua mancata partecipazione ai colloqui registrati, avendo i giudici reso una coerente spiegazione sul punto, rimarcandone la cautela fffizi figl — nel parlare a telefono e nel preferire gli incontri di persona.
Ne deriva la completa e corretta valutazione del compendio probatorio e la corretta qualificazione della condotta della ricorrente come corruzione, in ragione del collegamento sinallagmatico tra l’atto dell’ufficio e la prestazione di un’utilità essendo pacificamente emerso che l’utilità a lei corrisposta trovava la sua causa nel compimento dell’atto contrario ai doveri di ufficio.
Anche le censure relative al reato di truffa sono infondate, risultando pacifico che la ricorrente aveva qualifica, mansioni e possibilità di accesso al sistema informatico per l’inserimento dei dati; conosceva l’iter corretto per la corresponsione di arretrati relativi ad assegni familiari, invece, non osservato nei casi scoperti, come ammesso anche dalla COGNOME. Peraltro, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, ovvero che mancherebbe la prova, in quanto non sarebbe stato possibile effettuare il controllo sulle pratiche sospette trattate dalla COGNOME per il loro mancato rinvenimento in archivio, non solo va tenuto conto della rilevanza degli altri elementi probatori acquisiti, ma anche dell’emersione solo successiva del suo coinvolgimento nella vicenda (v. denuncia e dichiarazioni integrative del Direttore generale, pag. 8 sentenza di primo grado).
Sono, invece, inammissibili i motivi relativi al trattamento sanzionatorio e al diniego delle attenuanti generiche per manifesta infondatezza delle censure.
Anche a fronte di motivi di appello generici, limitati a richiedere il riconoscimento delle attenuanti con prevalenza sulle aggravanti per l’incensuratezza dell’imputata, il buon comportamento processuale e l’osservanza delle prescrizioni imposte con le misure cautelari, nonché il minimo della pena, la
Corte di appello ha giustificato la decisione di segno contrario attribuendo massimo rilievo alle gravi e allarmanti modalità dei fatti, alla reiterazione degli stessi e dando, altresì, atto della mancata partecipazione al giudizio, dell’assenza di segni di collaborazione e dell’insufficienza della incensuratezza per il riconoscimento delle attenuanti generiche e ritenendo del tutto proporzionata alla gravità dei fatti e alla personalità negativa dell’imputata la pena irrogata dal primo giudice.
5. Sorte analoga ha il ricorso proposto nell’interesse dell’Alfano.
Analogo è il tentativo difensivo di escluderne la responsabilità concorsuale nella corruzione in ragione della qualifica di commesso, meramente esecutiva, e della mera intermediazione svolta.
La tesi difensiva trascura l’essenzialità del contributo prestato dal ricorrente quale anello di collegamento tra i dipendenti illegittimamente favoriti e la COGNOME, qualificata ad operare sul sistema ed a realizzare l’inserimento di dati falsi per far ottenere ai corruttori indebite erogazioni economiche ed incrementi stipendiali, quindi, con piena consapevolezza della realizzazione di truffe ai danni dell’azienda sanitaria: elemento, questo, di cui offre riscontro il colloquio con i correi, che si impegnavano a non coinvolgerlo nelle loro dichiarazioni in caso di convocazione degli inquirenti, a differenza della COGNOME, che rifiutava di restituire i soldi versati, ed ai quali il ricorrente diceva di sentirsi sicuro di essere coinvolto a causa delle sue mansioni e della impossibilità di avere accesso al sistema informatico (pag. 13 sentenza primo grado).
Il colloquio dimostra, quindi, la lucidità del ricorrente e l’implicit ammissione di aver contribuito alla realizzazione delle indebite erogazioni in favore dei suoi interlocutori, come ritenuto dai giudici di merito.
A differenza di quanto prospettato nel ricorso, le posizioni dei ricorrenti sono connesse e non scindibili e la consapevolezza dell’illiceità della condotta è stata correttamente ricavata dall’impegno a restituire il prezzo della corruzione, non altrimenti giustificabile né giustificato dal ricorrente.
Corretta è la qualificazione giuridica della condotta, avendo la Corte di appello fatto piana applicazione dei principi affermati da questa Corte in punto ci concorso dell’extraneus nel reato proprio, avuto riguardo alla rilevanza del contributo offerto per la commissione del reato da parte della COGNOME, della quale conosceva pacificamente la qualità di “intraneus” e di responsabile delle liquidazioni degli stipendi e degli assegni familiari, titolata ad accedere e ad operare sul “software” dell’ufficio Trattamento Economico.
6.1. La richiesta di inquadramento della condotta nella diversa fattispecie del traffico di influenze è motivo non dedotto in appello e, comunque, solo
astrattamente ipotizzata, senza indicare concreti elementi che ne giustifichino la configurabilità.
In ogni caso, il motivo è infondato, avuto riguardo, in primo luogo, al rapporto di sussidiarietà fissato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 346-bis cod. pen. rispetto a quello di cui agli art. 319 e 319 ter cod. pen. («fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319 ter»); in secondo luogo, alla differenza, dal punto di vista strutturale, del reato di traffico di influenze dall fattispecie di corruzione per la connotazione causale del prezzo, finalizzato a retribuire soltanto l’opera di mediazione e non potendo, quindi, neppure in parte, essere destinato all’agente pubblico (Sez. 6, n. 29789 del 27/06/2013, COGNOME, Rv. 255618). Di conseguenza, si è ritenuto che risponde di corruzione, e non di traffico di influenze illecite, colui che pone in essere un’attività di intermediazione finalizzata a realizzare il collegamento tra corruttore e corrotto (per la configurabilità del delitto di corruzione in capo all’intermediario Sez. 6, n. 3606 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME e altri, Rv. 269345; Sez. 6, n. 24535 del 10/04/2015, COGNOME, Rv. 264124 e Sez. 6, n.33435 del 04/05/2006, COGNOME, Rv. 234361).
7. Sono, invece, inammissibili i motivi sul trattamento sanzionatorio.
Il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323 bis cod. pen. è motivo non dedotto in appello, sicché non può censurarsi la mancata risposta resa su un punto non devoluto alla cognizione del giudice di appello. Nell’atto di impugnazione la difesa aveva chiesto solo l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 319 bis cod. pen., su cui la sentenza motiva, e il riconoscimento delle attenuanti generiche per mitigare la pena.
Inammissibile è anche la censura sulla errata assimilazione della posizione del ricorrente a quella della Mandolfi per la ricaduta sulla determinazione della pena, risolvendosi il motivo nella richiesta di riconoscimento della minore responsabilità del ricorrente in contrasto con la valutazione dei giudici di merito sul ruolo determinante da lui svolto.
Con congrua motivazione la Corte di appello ha giustificato il diniego delle attenuanti generiche per il rilievo assorbente attribuito alle gravi modalità della condotta e alla reiterazione del reato e ha ritenuto congrua e proporzionata alla gravità dei fati e alla personalità negativa dell’imputato la pena irrogata, in tal modo esprimendo un giudizio completo con riferimento ai parametri fissati dall’art. 133 cod. pen.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali i nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile costituita, che si liquidano come da dispositivo,
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ASL Napoli n.1 Centro, che liquida in complessivi euro 4.791,00 oltre accessori di legge.
Così deciso, 24 ottobre 2024
Il consiglieri e,tensore
GLYPH
Il Presidente