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Concorso in corruzione: il ruolo del terzo nel patto

La Corte di Cassazione ha confermato una misura cautelare per concorso in corruzione a carico dell’amministratrice di una società. Il caso riguarda un patto illecito tra un sindaco e un’azienda fornitrice di servizi, in cui la società della ricorrente, in crisi finanziaria, riceveva subappalti vantaggiosi in cambio dei favori del sindaco. La Corte ha stabilito che anche chi interviene solo nella fase esecutiva del patto, beneficiando dell’utilità e consapevole dell’accordo illecito, risponde di concorso in corruzione, respingendo tutti i motivi del ricorso.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in corruzione: la responsabilità del terzo beneficiario

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 14851 del 2025, offre un’importante analisi sul tema del concorso in corruzione, delineando con precisione i confini della responsabilità penale per i soggetti terzi che, pur non essendo parte originaria del patto illecito, ne diventano attuatori e beneficiari. Questo caso esamina la posizione di un’imprenditrice coinvolta in un accordo corruttivo tra un amministratore pubblico (suo parente) e un’altra società privata.

I Fatti del Caso: Un Accordo tra Pubblico e Privato

Il caso trae origine da un’ordinanza di arresti domiciliari emessa nei confronti dell’amministratrice di una società a conduzione familiare. L’accusa è quella di concorso in corruzione. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, un sindaco avrebbe favorito sistematicamente un’importante azienda fornitrice di servizi nell’aggiudicazione di appalti pubblici.

Come contropartita, l’azienda beneficiaria avrebbe stipulato contratti di subappalto e subaffidamento a condizioni particolarmente vantaggiose con la società familiare del sindaco, la cui amministratrice era la ricorrente. Tali contratti sono emersi in una fase di grave crisi finanziaria per l’azienda di famiglia, configurandosi come il corrispettivo illecito per i favori del pubblico ufficiale.

La difesa della ricorrente ha contestato la configurabilità stessa del reato di corruzione, sostenendo la mancanza di un nesso sinallagmatico e la sua estraneità all’accordo originario.

L’Analisi della Corte e il concorso in corruzione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando l’impianto accusatorio e la validità della misura cautelare. I giudici hanno ritenuto la ricostruzione del Tribunale del Riesame logica, coerente e fondata su solidi elementi indiziari.

Il nucleo centrale della decisione risiede nell’affermazione che il patto corruttivo si era perfezionato “a monte” delle specifiche procedure di appalto. L’intesa era volta a garantire all’azienda fornitrice una posizione di favore nel territorio amministrato dal sindaco, con la certezza che, al momento opportuno, sarebbe stata offerta una ricompensa adeguata. Tale ricompensa si è concretizzata attraverso i contratti stipulati con la società della ricorrente.

Il Patto Corruttivo e il Ruolo del Terzo

La Cassazione ha chiarito che per il concorso in corruzione non è necessario essere uno dei firmatari originari del patto illecito. La ricorrente, in qualità di legale rappresentante della società beneficiaria, è stata ritenuta pienamente partecipe al reato. Era attivamente impegnata nella gestione aziendale, si confrontava con il fratello-sindaco alla ricerca di risorse e aveva piena consapevolezza del ruolo dominante dell’altra azienda nel territorio e del legame illecito esistente.

Il suo contributo non è stato meramente passivo, ma concreto e determinante nella fase esecutiva del reato: ha stipulato i contratti anomali, gestito la fatturazione e sollecitato i pagamenti, acquisendo così l’utilità illecita. La giurisprudenza citata dalla Corte è chiara: “è configurabile il concorso nel reato del terzo estraneo all’accordo corruttivo che partecipi alla fase esecutiva di dazione/ricezione dell’utilità con piena consapevolezza delle finalità illecite”.

L’Inammissibilità delle Questioni Procedurali

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili o infondati gli altri motivi di ricorso, tra cui l’eccezione di incompetenza territoriale e le contestazioni sull’utilizzabilità delle intercettazioni.

Sulla competenza, i giudici hanno stabilito che, una volta esercitata l’azione penale (con la richiesta di giudizio immediato), la questione è definitivamente devoluta al giudice del processo, precludendo una valutazione incidentale in sede di riesame cautelare.

Riguardo alle intercettazioni, le doglianze sono state ritenute generiche e non in grado di scalfire la motivazione del Tribunale, che aveva giustificato l’uso di tale strumento investigativo sulla base della gravità del quadro indiziario e della necessità di proseguire le indagini.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Cassazione si fonda su una lettura sostanziale del fenomeno corruttivo. I giudici hanno superato una visione formalistica, concentrandosi sulla reale dinamica dei rapporti tra i soggetti coinvolti. Il Tribunale ha correttamente individuato un rapporto sinallagmatico e compensativo, evidenziato dalla concomitanza tra la crisi di liquidità della società familiare, la persistenza dei rapporti collusivi e la stipula dei contratti vantaggiosi.

La Corte ha valorizzato elementi concreti come le conversazioni intercettate, le anomalie contrattuali (subappalti di mera fornitura a prezzi maggiorati) e le manovre del sindaco per assicurare flussi di denaro all’azienda amica, anche attraverso atti amministrativi falsi. L’insieme di questi elementi ha dimostrato l’esistenza di un accordo illecito e la piena consapevolezza e partecipazione della ricorrente alla sua fase attuativa.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione: la responsabilità per concorso in corruzione si estende a chiunque fornisca un contributo consapevole e rilevante alla realizzazione del programma criminale, anche se interviene solo nella fase di riscossione del “prezzo” della corruzione. Non è necessario partecipare alle trattative iniziali; è sufficiente agire come strumento per la realizzazione dell’utilità illecita, con la consapevolezza della sua provenienza. Questa pronuncia rappresenta un monito per gli amministratori di società che potrebbero essere tentati di accettare “scorciatoie” o vantaggi apparentemente leciti, ma che in realtà costituiscono il frutto di accordi illeciti a monte.

Quando un terzo, non parte dell’accordo corruttivo iniziale, risponde di concorso in corruzione?
Secondo la Corte, un terzo risponde di concorso in corruzione quando partecipa alla fase esecutiva del patto, come la ricezione dell’utilità, con piena consapevolezza delle finalità illecite perseguite dal corruttore e dal corrotto. Il suo contributo concreto all’acquisizione del vantaggio illecito integra la fattispecie di concorso.

È possibile sollevare la questione di incompetenza territoriale in Cassazione contro una misura cautelare se il processo è già iniziato?
No. La Corte ha stabilito che una volta esercitata l’azione penale (ad esempio, con la richiesta di giudizio immediato), la questione della competenza territoriale è definitivamente devoluta alla sede processuale principale. Di conseguenza, non può essere decisa in via incidentale nel procedimento di riesame della misura cautelare, divenendo in quella sede inammissibile per preclusione.

Cosa costituisce il ‘corrispettivo’ in un reato di corruzione, oltre al denaro?
Il corrispettivo, o ‘utilità’, in un reato di corruzione non deve essere necessariamente una somma di denaro. Come dimostra il caso, può consistere anche nella stipula di contratti di subappalto o subaffidamento a condizioni particolarmente vantaggiose e anomale, finalizzati a soccorrere un’azienda in difficoltà finanziaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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