Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25506 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25506 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MILANO il 26/08/1971
avverso la sentenza del 13/09/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria in atti e conclude per l’inammissibilità ricorso.
udito il difensore
Il difensore COGNOME del foro di ROMA, in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME del foro di MILANO, chiede l’annullamento della sentenza impugnata per illogicità della motivazione e insiste per l’accoglimento del ricorso
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 1.3.2023, aveva condannato COGNOME NOME COGNOME alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta preferenziale GLYPH prefallimetare, GLYPH contestati GLYPH ai GLYPH capi GLYPH A3) GLYPH e GLYPH B2) dell’imputazione, così diversamente qualificate dal giudice di primo grado le originarie contestazioni di bancarotta per distrazione (capo A3) e per dissipazione (capo B2) Nei capi per i quali è intervenuta condanna, in particolare, è contestata la cessione, dalla “RAGIONE_SOCIALE in liquidazione” (da ora in avanti “RAGIONE_SOCIALE“), dichiarata fallita il 18.5.2017, alla ditta “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE” (società riconducibile al medesimo ricorrente COGNOME), di macchine operatrici aziendali, intervenuta nell’aprile del 2016 (capo A3), nonché, il 31.1.2017, di ulteriori beni aziendali, oggetto di noleggio, elencati nel contratto stipulato in pari data, senza che, in entrambi i casi, la “RAGIONE_SOCIALE” ricevesse alcun corrispettivo dalla ditta cessionaria, essendo stata operata una (parziale) compensazione con il credito da quest’ultima vantato nei confronti della società fallita. Il ricorrente, al quale in origine era stata contestata la qualità di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, è stato invece ritenuto responsabile – già in primo grado – dei reati in precedenza indicati, quale concorrente extraneus di COGNOME amministratore di diritto e, successivamente, di fatto della “MVS”.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, articolando tre motivi di ricorso, con cui lamenta: 1) violazione di legge processuale, in relazione all’art. 521 cod. proc. pen., avendo i giudici di merito ritenuto la responsabilità a titolo di concorrente extraneus ex art. 110 cod. pen., a fronte di una originaria contestazione della carica di amministratore di fatto della società fallita e per fatti distrattivi poi riqualificati come bancarotta preferenziale; 2) violazione di legge in relazione agli elementi costitutivi del concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta preferenziale, di cui ai capi A3) e B2), nonché omessa
motivazione circa le ragioni della ritenuta insolvenza all’anno 2016 e delle ritenute condotte di istigazione, determinazione e ausilio, che avrebbero dovuto essere realizzate dal concorrente estraneo al delitto richiamato dalla fattispecie; 3) violazione di legge in relazione all’art. 43, c.p., con riferimento alla ritenuta sufficienza della sola consapevolezza in capo al concorrente dell’agevolazione della posizione creditoria nel delitto di concorso in bancarotta preferenziale, di cui ai richiamati capi d’imputazione
Con requisitoria scritta del 28.2.2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa NOME COGNOME COGNOME chiede che il GLYPH ricorso venga dichiarato inammissibile.
Con memoria del 19.3.2025, pervenuta a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia del COGNOME, avv. NOME COGNOME nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insiste per l’accoglimento del ricorso, reiterando le proprie doglianze.
Premesso che nel caso in esame le sentenze di primo e di secondo grado vanno lette congiuntamente, costituendo esse un unico complessivo corpo decisionale, in quanto la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 37295 del 12.6.2019), il ricorso va dichiarato inammissibile.
Inammissibile, in particolare, appare il primo motivo di ricorso, per essere manifestamente infondato.
Da tempo, invero, la giurisprudenza della Suprema Corte, anche nella sua espressione più autorevole, ha delineato il perimetro di operatività della violazione del principio di cui all’art. 521, c.p.p., in termini sufficientemente chiari.
Si è, così, affermato che l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’art. 521, c.p.p., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’art.
111, secondo comma, Cost., e dell’art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono (cfr. Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264438).
Di particolare interesse è quanto affermato in altri condivisibili arresti, secondo cui in tema di correlazione tra accusa e sentenza, il rispetto della regola del contraddittorio – che deve essere assicurato all’imputato, anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, conformemente all’art. 111, comma secondo, Cost., integrato dall’art. 6 Convenzione europea, come interpretato dalla Corte EDU – impone esclusivamente che detta diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa” e cioè nei confronti dell’imputato che, per la prima volta e, quindi, senza mai avere la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all’originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato. Ne consegue che non sussiste la violazione dell’art. 521 cod. proc., rilevato pen. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Rv. 254649, Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, Rv. 258941).
Presupposto indefettibile della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso di riqualificazione dell’originaria imputazione, dunque, è che il fatto storico ritenuto dal giudice risulti oggettivamente diverso da quello contestato, per la trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, tale da ingenerare incertezza sull’oggetto dell’imputazione e pregiudicare il diritto di difesa (cfr. Sez. 5, n. 37461 del 22/09/2021, Rv. 281930; Sez. 3, n. 5463 del 05/12/2013, Rv. 258975).
Va poi rilevato, quanto ai rapporti tra bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta preferenziale, che, con costante orientamento (cfr. Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, Rv. 255230; Sez. 5, n. 19365 del 05/12/2019, Rv. 279106), la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come possa presentarsi, in concreto, una non sostanziale ímmutazione del tema accusatorio, nel passaggio dalla contestazione di bancarotta fraudolenta per distrazione a quella, meno grave, di bancarotta preferenziale, ove “il più” può contenere “il meno”, e ove, pur con le opportune cautele che devono contrassegnare l’accertamento dell’elemento psicologico diverso che caratterizza ciascuna delle due fattispecie, può non determinarsi alcuna sostanziale lesione dei diritti difensivi se il contraddittorio si sia svolto, in maniera esplicita e chiara, anche sullo specifico tema qualificante e specializzante della figura di reato meno grave, poi addebitato.
Infatti, è indubbio che la fattispecie dì bancarotta per distrazione rimanga integrata da un atto di sottrazione di risorse dal patrimonio della società, atto che, in sé, quando in ipotesi posto in essere in una situazione di dissesto conclamato, rappresenta un genus, rispetto a quello dispositivo in favore di un creditore della società, costituente una species del primo, quantomeno dal punto di vista oggettivo, a nulla rilevando, in senso contrario ( vale a dire per negare la rilevanza della sostanziale coincidenza delle fattispecie), il diverso “oggetto giuridico” della rispettiva tutela, non ritenuto decisivo dalle Sezioni unite, neppure ai fini dell’accertamento del rapporto di specialità fra due norme (cfr. Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, Rv. 248865).
Applicando tali principi alle fattispecie in esame, non appare revocabile in dubbio che difetti proprio la trasformazìone radicale della fattispecie concreta, che nei suoi elementi essenziali è rimasta identica, posto che le operazioni societarie ricondotte al paradigma normativo della bancarotta preferenziale, indicate nei capi A3) e B2), originariamente contestate come distrattive e dissipative, sono rimaste inalterate nella loro dimensione fenomenica, in quanto il giudice di primo grado, una volta accertatane la sussistenza, si è limitato a ritenerle di natura
preferenziale, piuttosto che dì natura distrattiva e dissipativa, addebitandole al COGNOME, non in qualità di amministratore di fatto della società fallita, ma nella qualità di amministratore della società beneficiaria dei beni ceduti dalla fallita, dunque di concorrente esterno nel reato proprio consumato dal COGNOME.
Al riguardo la corte di appello ha osservato come nel corso del giudizio di primo grado sì sia proceduto all’accertamento dei fatti nel contraddittorio tra le parti, all’esito del quale è emerso lo stato di dissesto della società fallita, il mancato pagamento di alcun corrispettivo da parte della “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE” per i beni ricevuti dalla società fallita, in ragione della presenza di crediti da opporre in compensazione alla cedente, e la stessa posizione dell’imputato, di cui è stata esclusa, come si è già detto, la qualità di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, pur essendo egli dotato di un ruolo operativo all’interno di quest’ultima, risultando, al tempo stesso, socio e amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE“, come, del resto, evidenziato dalla stessa difesa nell’atto di appello (cfr. pp. 2-10; 13-14 della sentenza oggetto di ricorso).
Né va taciuto, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, l’esistenza di un costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza, previsto dall’art. 521 cod, proc. pen., la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascritta, atteso che il soggetto che non risulti essere amministratore di fatto può certamente aver concorso come “extraneus” nel delitto di bancarotta (cfr. Sez. 5, n. 13595 del 19/02/2003, Rv. 224842; Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009, Rv. 246100; Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, Rv. 264073).
Il ricorrente ritiene non pertinente il richiamo operato dalla corte territoriale a tale orientamento, sul presupposto che esso non sia applicabile al caso in esame, poiché non è stata ritenuta sussistente la
condotta distrattiva (e dissipativa) originariamente contestata, ma un fatto completamente diverso, “oltre che nella posizione soggettiva del COGNOME, nella condotta materiale di concorso dell’extraneus nel delitto, ora, di bancarotta preferenziale”.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di un rilievo manifestamente infondato, posto che il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità va inteso nel senso che, una volta rimasta immutata la sostanza dell’accusa mossa all’imputato, è ben possibile che il soggetto che non risulti essere amministratore di fatto abbia concorso come “extraneus” nel delitto di bancarotta, sicché non vi sono ragioni per cui tale principio non debba valere non solo nel caso dì bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, ma anche in quello di bancarotta preferenziale, una volta che, come nella fattispecie che ci occupa, non sia intervenuta alcuna immutazione del fatto storico originariamente contestato al prevenuto, ma solo la sua diversa qualificazione in termini di bancarotta preferenziale.
Né la diversa qualificazione giuridica di cui si discute costituisce un epilogo decisorio giuridicamente imprevedibile, tale da ledere il concreto esercizio del diritto di difesa tecnica dell’imputato, posto che, come si è detto, da tempo la giurisprudenza della Suprema Corte aveva evidenziato la possibilità di una non sostanziale immutazione del tema accusatorio nel passaggio dalla contestazione di bancarotta fraudolenta per distrazione a quella, meno grave, di bancarotta preferenziale, e la non configurabilità della violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza, nel caso in cui sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta, anziché quale amministratore di fatto, qualora, come si è rilevato, rimanga immutata l’azione delittuosa ascritta al colpevole.
Manifestamente infondati devono ritenersi anche il secondo e il terzo motivo di ricorso, con i quali l’imputato, dopo una riflessione sulla natura del reato di bancarotta preferenziale, sostiene la tesi che, pur essendo configurabile, in astratto, il concorso del debitore nel delitto di bancarotta preferenziale nella misura in cui lo stesso fornisca al debitore
fallendo un contributo causale determinante rispetto alla violazione della par condicio, tale contributo non è integrato dalla condotta del creditore, che, come il COGNOME, si sia limitato a ricevere il pagamento dovuto, essendo necessarie, pìuttosto, forme di istigazione, determinazione o ausilio dell’attività illecita dell’intraneus ovvero una sollecitazione di pagamento sproporzionata rispetto al comune sentire, del tutto assenti in capo al ricorrente, il quale sì è limitato a esercitare (peraltro in maniera parziale) il suo diritto di credito, allo scopo di salvaguardare l’attività della società di cui era amministratore e dei creditori di quest’ultima, sicché, a tutto voler concedere, al ricorrente sarebbe Imputabile una semplice connivenza, non punibile, con l’amministratore di diritto della fallita.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una conclusione del tutto fuori fuoco, perché non conforme agli approdi cui è pervenuta nel tempo la giurisprudenza dì legittimità, ì cui trattì salienti vanno brevemente richiamati.
Come è stato osservato, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale è necessaria la violazione della “par condicio creditorum” nella procedura fallimentare (elemento oggettivo) e il dolo specifico costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri (elemento soggettivo), con la conseguenza che la condotta illecita non consiste nell’indebito depauperamento del patrimonio del debitore ma nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori. Pertanto, nel caso in cui il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, la configurabilità del reato di bancarotta preferenziale presuppone il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti “de quibus” e non già di qualsiasi altro credito (cfr. Sez. 5, n. 15712 del 12/03/2014, Rv. 260221).
Concorre, pertanto, nel reato di bancarotta preferenziale il creditore che, consapevole dello stato di dissesto del debitore fallendo, fornisce un contributo causale determinante alla violazione della “par condicio”
(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente la decisione impugnata avesse ravvisato gli estremi del reato con riferimento alla condotta di soci dell’impresa poi dichiarata fallita, i quali, in un momento successivo alla manifestazione dei segnali di decozione, avevano anticipato delle somme di denaro necessarie per consentire all’ente il compimento di un’operazione economica e ne avevano poi ottenuto l’immediata restituzione: cfr. Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Rv. 262190).
Con particolare riferimento al tema dei rapporti tra bancarotta preferenziale prefallimentare e compensazione, si osserva che, in astratto, essa non integri in modo automatico una condotta penalmente rilevante, tenuto conto che l’art. 56, I. fall., riconosce il diritto del creditore di compensare i propri debiti verso il fallito con i crediti di cui quest’ultimo è portatore nei suoi confronti.
Con orientamento costante nella giurisprudenza di questa Corte, si è, tuttavia, evidenziato che, in tema di bancarotta preferenziale, la compensazione volontaria, pur consentita dagli artt. 1252 cod. civ. e 56 legge fall., può integrare il delitto di cui all’art. 216, comma 3, legge fall. nei casi in cui l’accordo sia raggiunto durante la fase di insolvenza e sia finalizzato a favorire alcuni creditori con danno per gli altri (cfr. Sez. 5, n. 26412 del 26/04/2022, Rv. 283526; Sez. 5, n. 31894 del 26/06/2009, Rv. 244498).
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, si è, poi, chiarito, con orientamento del pari conforme, che, in tema di concorso in bancarotta preferenziale, il dolo dell'”extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina la preferenza nel soddisfacimento di uno dei creditori rispetto agli altri, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (cfr. Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014, Rv. 262905; Sez. 5, n. 27141 del 27/03/2018, Rv. 273481), in linea, peraltro, con il consolidato orientamento, secondo cui, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del
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concorrente “extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, Rv. 278156).
Se la conoscenza specifica dello stato di dissesto della società da parte dell’extraneus non è strutturalmente riconducibile alla componente soggettiva del concorso di persone nel reato commesso dal fallito, appare evidente che essa assume comunque rilievo, sotto il profilo probatorio, quale apprezzabile indice della volontà condivisa tra intraneus ed extraneus, di privilegiare un creditore in danno degli altri.
Ciò posto, non può non rilevarsi come la corte territoriale abbia fatto buon governo di tali principi, evidenziando, da un lato, la presenza di altri creditori della fallita, di cui almeno uno privilegiato, perché assistito da pegno, la società “RAGIONE_SOCIALE” (di seguito “RAGIONE_SOCIALE“), gestita da COGNOME NOME, moglie dell’imputato, creditori la cui presenza non ha formato oggetto di specifica contestazione da parte del ricorrente; dall’altro, la consapevolezza da parte del Cattaneo della situazione di dissesto in cui la società fallita versava nel momento in cui vennero concluse le operazioni commerciali di natura preferenziale di cui si è già detto.
La conoscenza da parte del COGNOME della presenza dì creditori della società fallita e dello stato di dissesto della “MAEV” è stata desunta dai giudici di merito alla luce di una valutazione affatto manifestamente illogica o contraddittoria delle risultanze processuali, che, in quanto tale, non può essere rimessa in discussione in questa sede.
Decisiva è la circostanza, ben evidenziata da entrambi i giudici di merito, che la figura dell’imputato è stata strettamente intrecciata con quella del COGNOME, sin dal momento in cui la “MVS”, rimasta priva di beni aziendali
e dì personale sino all’aprile del 2014, aveva stipulato un contratto d’affitto di azienda con la “RAGIONE_SOCIALE“, amministrata, come si ricorderà, dalla moglie del ricorrente, nell’ambito dell’operazione di concordato preventivo avviata da quest’ultima società, e il COGNOME, “a fronte dell’incompetenza imprenditoriale del Gussoni”, a mezzo della sua società “RAGIONE_SOCIALE“, che in origine condivideva con la “RAGIONE_SOCIALE” i locali produttivi in forza di un contratto di locazione, si era assunto il compito di svolgere attività di consulenza e di supporto in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, impegnandosi anche a gestire il personale della “RAGIONE_SOCIALE“, che doveva essere riassunto in virtù del contratto di affitto d’azienda.
Come emerso dall’istruttoria dibattimentale, nel rapporto instaurato con il COGNOME, il COGNOME era stabilmente coinvolto nella vita produttiva della “RAGIONE_SOCIALE“, in quanto responsabile dell’evasione degli ordini e referente nei rapporti con i clienti, pur non partecipando alle scelte strategiche funzionali all’attuazione dell’oggetto sociale, e in ragione di tale rapporto egli, come dichiarato dallo stesso imputato, con affermazione non contestata, era pienamente consapevole del fatto che “la difficile situazione produttiva e l’assenza di una rete commerciale avrebbero avuto conseguenze”, ovviamente negative, “sull’adempimento degli obblighi contrattuali” nei confronti dei creditori, a partire dalla “RAGIONE_SOCIALE“, tanto che una volta entrata in crisi, la “RAGIONE_SOCIALE” aveva cessato di pagare gli stipendi ai propri dìpendentì, alcuni deì quali sì erano insinuati al passivo fallimentare” (cfr. pp. 4-5 della sentenza di secondo grado).
In questo contesto, appare del tutto illogico anche solo ipotizzare che il COGNOME non fosse a conoscenza anche degli ulteriori passi effettuati dal COGNOME, nel tentativo dì rimediare all’incombente dissesto: l’acquisto dell’azienda della “RAGIONE_SOCIALE“, in tempi più ristretti rispetto a quanto previsto nel concordato preventivo; la scorporazione degli acquisiti beni aziendali di maggior valore, per essere venduti a terzi; la costituzione di un pegno sui restanti beni in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, a garanzia del pagamento dei canoni d’affitto precedenti all’acquisto dell’azienda e dì
parte del corrispettivo della cessione; la vendita della macchina tubolatrice e della taglia fogli alla “Servizi Packaging” (condotta
originariamente contestata come distrattiva), seguita dalla stipula, sempre con quest’ultima, società, di un contratto di noleggio dei restanti
beni aziendali (condotta originariamente contestata come dissipativa).
Per converso, appare dotato di intrinseca coerenza logica l’assunto dei giudici di merito, secondo cui, proprio alla luce della conoscenza del
reale stato economico della società e dell’esistenza di crediti privilegiati, il cui soddisfacimento avrebbe compromesso le sue ragioni creditorie, il
COGNOME si sia attivato per ottenere, facendo ricorso allo schema negoziale della compensazione, il pagamento, sia pure parziale, dei suoì
crediti, a detrimento degli altri creditori. Appaiono, pertanto, manifestamente infondati í rilievi articolati dal ricorrente in particolare
con il terzo motivo di ricorso, avendo i giudici di merito adeguatamente motivato sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in rapporto ai due elementi che lo stesso ricorrente, richiamando alcuni dei medesimi arresti della giurisprudenza di legittimità in precedenza citati, considera indefettibili del dolo dell’extraneus la volontà della condotta e la consapevolezza o la rappresentazione del fatto illecito, comprensiva della preferenza accordata dal COGNOME al COGNOME, rispetto agli altri creditori. 7. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26.3.2025.