Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26843 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26843 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato a Palermo il 23/06/1953
avverso la sentenza del 12/12/2024 della CORTE DI APPELLO DI TRIESTE
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni rassegnate in data 11/06/2025 dal Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trieste ha confermato la condanna inflitta, in esito a giudizio abbreviato, a NOME COGNOME per il delitto di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata (di cui agli artt. 110 cod. pen. e 216, comma 1, 219, comma 1, e 223, comma 1, L.F.), per avere egli, nella qualità di consulente legale esterno della ‘RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 14 marzo 2017, ricevuto dalla detta società , tra il 2007 e il 2012, somme di denaro per oltre 1,3 milioni di euro, in parte a titolo di
compensi professionali e in parte a titolo di finanziamenti, senza che tali erogazioni monetarie trovassero effettiva giustificazione nell’economia aziendale.
Il giudice di appello ha respinto i rilievi di gravame in punto di affermazione di responsabilità dell’imputato , evidenziando: come le erogazioni di denaro effettuate nei suoi confronti dai vertici aziendali non trovassero riscontro in contratti di mutuo stipulati con la società; come, pur volendosi qualificare le stesse alla stregua di finanziamenti, questi ultimi non erano stati assistiti dalla dazione di garanzie reali o personali a beneficio della società; come la sua consapevolezza di esporre a pericol o le ragioni dei creditori della ‘RAGIONE_SOCIALE, concorrendo a diminuirne la garanzia patrimoniale mediante tali ingiustificate operazioni, trovasse fondamento nella sua funzione di consulente legale dell’impresa, che, pertanto, lo metteva in condizione di rendersi conto che tali finanziamenti erano del tutto estranei all’oggetto sociale; come fosse da disattendere l’eccezione di bis in idem tra i fatti di cui alla regiudicanda e quelli definitivamente giudicati con la sentenza (di proscioglimento per intervenuta prescrizione) emessa della Corte di appello di Palermo, irrevocabile il 4 maggio 2023, per i delitti di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, riferiti agli anni d’imposta 2009, 2011 e 2012, trattandosi di fatti diversi.
Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME affidando l’impugnativa a cinque motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 216, comma 1, e 223, comma 1, L.F. nonché il vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità dell’imputato. A sostegno del rilievo articolato con riferimento all’esclusione del riconoscimento della natura di finanziamenti fruttiferi garantiti delle erogazioni di denaro ricevute dall’imputato dalla società fallita, è dedotto che i giudici di merito avrebbero ignorato che le dazioni erano state regolarmente pattuite con scritture private ed erano state garantite da fideiussioni, come emergente dalla sentenza emessa dal Tribunale di Palermo in data 18 gennaio 2022, ormai irrevocabile, che aveva, appunto, riconosciuto l’onerosità dei detti finanziamenti evocando l’esistenza di scritture private intercorse tra le parti e l’impegno assunto dall’COGNOME a prestare fideiussioni.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 216, comma 1, e 223, comma 1, L.F. e dell’art. 43 cod. pen. nonché il vizio di motivazione con riguardo al profilo della ritenuta consapevolezza da parte dell’imputato della dannosità dei finanziamenti per la società, poi fallita, e per i suoi creditori. È censurata l’apoditticità della motivazione rassegnata al riguardo, poiché la qualità dell’COGNOME di consulente legale esterno della ‘RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE non gli consentiva di conoscere lo stato patrimoniale della società e la sua situazione finanziaria e, quindi, il suo eventuale stato di dissesto.
Il terzo e il quarto motivo denunciano la violazione degli artt. 529 e 649 cod. proc. pen. sotto il profilo del mancato riconoscimento della preclusione del ne bis in idem , discendente dall’essere stato COGNOME già giudicato per gli stessi fatti nel procedimento penale n. 23673/14, definito con sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, emessa dalla Corte di appello di Palermo, irrevocabile il 4 maggio 2023. E’ dedotto che il giudice censurato non si sarebbe uniformato ai dicta del diritto vivente e della giurisprudenza costituzionale, con i quali si è statuito che la preclusione del ne bis in idem opera quando i fatti oggetto dei separati giudizi, uno dei quali coperto dalla definitività della cosa giudicata, coincidano per condotta, nesso di causalità ed evento, a prescindere dalla qualificazione giuridica ricevuta; di modo la Corte triestina che aveva errato nel non fare applicazione della evocata preclusione, pronunciando il proscioglimento dell’imputato – almeno con riferimento alle condotte oggetto di accertamento nel presente giudizio anteriori al 2011, rispetto alle quali la Corte aveva implicitamente riconosciuto l’identità rispetto a quelle definitivamente accertate nel processo palermitano, tanto imponendole di ridurre la pena applicata ad COGNOME in misura corrispondente -, in relazione a quelle dazioni di denaro ricevute dalla società fallita e delle quali egli si era giovato sottraendole ai diritti di esazione dell’Erario.
Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 62bis e 132 cod. pen. e il vizio di motivazione in riferimento al diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, delle quali NOME sarebbe stato meritevole essendo egli un extraneus rispetto all’organigramma societario; ciò, tanto più che il coimputato intraneus ne aveva beneficiato.
Con requisitoria depositata in data 11 giugno 2025 il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso, sostenendo che la giurisprudenza convenzionale e la giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 11918 del 2016) si sono espresse affermando che il principio del ne bis in idem non opera se tra i fatti già giudicati e quelli oggetto del nuovo processo vi è concorso formale, cioè diversa qualificazione giuridica dello stesso fatto. In ogni caso non vi sarebbe neppure coincidenza, negli elementi essenziali, tra i fatti di evasione fiscale e quelli di bancarotta fraudolenta, riguardando la sentenza palermitana la mancata dichiarazione fiscale delle somme ricevute, mentre riferendosi il processo triestino alla distrazione patrimoniale in danno della società fallita.
Con memoria depositata in data 25 giugno 2025 il difensore del ricorrente ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale, evidenziando come la
giurisprudenza da questi richiamata sia ormai superata alla luce della sentenza n. 200/2016 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen. nella parte in cui limita il ne bis in idem al solo ‘fatto giuridico’, escludendo il ‘fatto storico’. Lo scrivente ha, dunque, evocato, ad ulteriore sostegno di quanto sostenuto, gli approdi della più recente giurisprudenza convenzionale e di legittimità (Sez. 1, n. 41867/2024) secondo cui il principio del ne bis in idem si applica quando vi è identità storico-naturalistica del fatto (condotta, evento, nesso causale, tempo, luogo, persona). Principio, questo, del resto implicitamente applicato dalla Corte di appello, la quale, pur avendo escluso dal giudizio le somme percepite da COGNOME negli anni 2008, 2010 e 2011, già oggetto del procedimento palermitano, non aveva emesso sentenza di non doversi procedere per tali annualità con conseguente riduzione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
La Corte di appello di Trieste ha confermato l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale contestatogli, argomentando nel senso che le dazioni di denaro, erogategli dai vertici della fallita RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE al di fuori dell’oggetto sociale per un ammontare complessivamente pari ad euro 1.376.722,82, integrassero distrazioni di risorse patrimoniali destinate alla garanzia dei creditori sociali, non essendo rimasto provato che si trattasse di finanziamenti fruttiferi. Questo perché: non era stato reperito alcun contratto di mutuo con indicazione degli interessi e della scadenza dei prestiti; l’ imputato non aveva rilasciato alcuna garanzia personale o reale in favore della società in relazione ai prestiti ricevuti; la concessione di tali pretesi finanziamenti, peraltro di ammontare ragguardevole, era in contrasto con l’oggetto sociale della ‘RAGIONE_SOCIALE, che era quello dello ‘sviluppo di progetti immobiliari senza costruzione’.
1.1. Al cospetto di siffatta motivazione i rilievi articolati dal ricorrente con il primo e il secondo motivo sono inammissibili.
1.1.1. Invero, finanziamenti per oltre un milione e trecento mila euro, erogati dalla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ al di fuori dall’oggetto sociale, avrebbero richiesto non generiche scritture private tra le parti -quali quelle cui sembra alludere la sentenza del Tribunale di Palermo emessa in data 18 gennaio 2022 -ma veri e propri contratti di mutuo, dotati di data certa, contenenti
specifica pattuizione in odine alla scadenza dei prestiti, al saggio di interessi da corrispondere ed alle garanzie personali o reali prestate o da prestare.
Erogazioni di denaro di tal fatta, disposte senza la specifica previsione di interessi di ammontare determinato (costituenti il corrispettivo del finanziamento) e per finalità estranee all’oggetto sociale, come pure non accompagnate dalla dazione di garanzie reali o personali, integrano, senz’altro, operazioni suscettibili di determinare, di per sé ed automaticamente, un pregiudizio economico per la società fallita.
Né risultano decisive, al fine di scardinare la tenuta motivazionale della sentenza impugnata, i passaggi argomentativi della già menzionata sentenza del Tribunale di Palermo riportati in ricorso (cfr. pagg. 5 e 6), giacché in essi si dà atto unicamente dell’impegno, assunto da COGNOME nel dicembre 2010, «di fornire entro il 31.3.2011 (e non più ‘a semplice richiesta’) a garanzia della restituzione, una fideiussione bancaria per complessivi 1.460.000 euro (importo totale del finanziamento)» e dell’ulter iore impegno da parte del medesimo -a fonte di nuovi finanziamenti erogatigli nel maggio 2010 per 75.000 euro (complessivi 1.535.000) e a maggio 2011 per 30.000 euro, con garanzia ‘a semplice richiesta’ di «prestare una fideiussione entro il 31.12.2012 e entro il 31.1.2014 una fideiussione per complessivi 2.000.000 euro, calcolati gli interessi»: dunque, mere manifestazioni di impegno a prestare garanzie e non loro effettive dazioni, tutte in ogni caso, succ essive all’erogazione dei finanziamenti (in tal senso cfr. anche pagg. 11 – 12 della sentenza del Tribunale di Palermo del 18 gennaio 2022, allegata al ricorso, in cui è più volte sottolineato come l’imputato non avesse giammai prestato alcuna garanzia in favore della società erogante i finanziamenti, dissimulanti, secondo quel giudice compensi da sottrarre all’imposizione fiscale).
1.1.2. Sul versante dell’elemento soggettivo del reato, che, secondo la pressoché unanime giurisprudenza di questa Corte, s’identifica, quanto al concorrente extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare, «nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'” intraneus “, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori» (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278156 -02; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 271123 -01; Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016, COGNOME e altri, Rv. 267059 -01; Sez. 5, n. 1706 del 12/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258950 – 01), la motivazione rassegnata dal giudice censurato si rivela logicamente ineccepibile, deponendo, in effetti, secondo le comuni massime di esperienza, «l’ammontare
ragguardevole delle somme percepite dall’COGNOME, complessivamente pari a 1.376.722,82 euro, erogate al di fuori dell’oggetto sociale» (che «non contemplava attività di finanziamento a favore di terzi», come a lui noto per essere consulente legale dell’impresa ) per «la consapevolezza dell’imputato del carattere pregiudizievole per la società e per i suoi creditori degli esborsi in suo favore».
Sono, invece, infondati il terzo e il quarto motivo di ricorso.
2.1. Questa Corte ha affermato che «Ai fini della preclusione connessa al principio del ne bis in idem , l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta-nesso causaleevento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta» (Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 273220 -01; conf. Sez. 1, n. 41867 del 26/06/2024, COGNOME, Rv. 28725 1 – 01; Sez. 2, n. 52606 del 31/10/2018, COGNOME, Rv. 275518 -02; Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, COGNOME, Rv. 274448 – 01).
Al riguardo, è stato spiegato che, con la sentenza n. 200 del 2016, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale: tanto perché la Convenzione europea dei diritti dell’uomo impone agli Stati aderenti di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, che implica la necessità di valutare l’identità della condotta e dell’evento secondo le modalità con cui quest’ultimo si è concretamente prodotto a causa della prima.
Alla stregua di tali indicazioni direttive, il giudice può, dunque, affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di questi elementi e del nesso eziologico che li collega: ciò dopo avere proceduto al confronto fra fatti materiali e non semplicemente tra disposizioni incriminatrici.
2.2. Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie. Infatti, le distrazioni oggetto del presente processo, poste in essere in danno della fallita ‘RAGIONE_SOCIALE con il contributo di NOME COGNOME, sono consistite nella erogazione a suo beneficio di ingenti somme di denaro non giustificate da ragioni aziendali ed hanno esposto a pregiudizio le ragioni dei creditori di quella società; le dichiarazioni fraudolente, oggetto del processo penale conclusosi con la sentenz a irrevocabile di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione emessa dalla Corte di appello di Palermo, sono state poste
in essere da NOME COGNOME utilizzando scritture private non autenticate e prive di data certa protese a dare copertura contabile alle ingenti provviste di denaro, prive di causale emerse nel corso dell’accertamento tributario condotto a suo carico, e sono state realizzate al fine di evadere il pagamento delle imposte esponendo a pregiudizio le ragioni dell’Erario. Da tale confronto tra i fatti storici accertati nei due processi emerge come gli stessi divergano già nelle condotte materiali, consistite, nella bancarotta patrimoniale, nell’avere l’imputato spogliato il patrimonio della ‘RAGIONE_SOCIALE, mentre , nelle dichiarazioni fraudolente di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, nell’avere indicato nelle dichiarazioni delle imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti, espon endo con tali distinte condotte a pregiudizio, nel primo caso, l’integrità delle garanzie dei creditori della società poi fallita, nel secondo caso, il pieno soddisfacimento delle pretese erariali.
Tali decisive argomentazioni consentono di disattendere il terzo motivo di ricorso e privano di rilievo le deduzioni difensive di cui al quarto motivo, che pertanto devono essere respinte.
3. Inammissibile è, infine, il quinto motivo di ricorso.
Il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, all’esorbitante ammontare delle somme distratte e alle modalità fraudolente della loro appropriazione giustifica pienamente il diniego da parte del giudice censurato di concessione all’imputato delle circ ostanze attenuanti generiche. Questa Corte si è, infatti, da sempre espressa nel senso che «In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della loro concessione o della loro esclusione» (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 -01; Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, COGNOME, Rv. 247959 -01; Sez. 1, n. 7487 del 07/08/1984, COGNOME, Rv. 165719 -01). Nondimeno, «Non sussiste disparità di trattamento nel caso di concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore di un imputato e non del concorrente nello stesso reato, purché venga fornita logica ed adeguata motivazione in ordine alla diversa valutazione della gravità dei fatti rispettivamente contestati e della capacità a delinquere manifestata dagli imputati» (Sez. 3, n. 40322 del 23/06/2016, C., Rv. 268276 -01): motivazione che nel caso di specie è stata adeguatamente fornita, evidenziando come il coimputato COGNOME fosse meritevole del beneficio di cui all’art. 62 -bis cod. pen., non avendo trattenuto per sé le somme distratte dal patrimonio sociale, ma
avendole riversate in altre società del gruppo nel quale la fallita era inserita (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata).
S’impone, pertanto, il rigetto del ricorso. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così è deciso, 01/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME