Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30474 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30474 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a CODIGORO il 08/03/1958
COGNOME NOME nato a SANGUINETTO il 12/12/1951
COGNOME NOME nato a FORLI’ il 12/05/1950
avverso la sentenza del 17/06/2024 della Corte d’appello di Venezia Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi presentati da COGNOME e COGNOME per la posizione di COGNOME stante il decesso del medesimo, chiede l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
L’avvocato NOME COGNOME dato atto di aver preso cognizione delle conclusioni del Procuratore Generale, si riporta al ricorso e ne chiede l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
1. E’ stata impugnata la sentenza della Corte d’appello di Venezia, che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova e per quanto di interesse per il presente procedimento:
ha rideterminato la pena, ex art. 599 bis cod. proc. pen., nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 20 luglio 2018, in relazione alla condanna inflittagli in primo grado per i reati di truffa aggravata, bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale; in qualità di concorrente esterno nei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarato il 6 marzo 2014; e in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 24 settembre 2018, in relazione ad ulteriori fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale;
rideterminato la pena nei confronti di COGNOME NOME -capi 4,5,7,9 dell’imputazione , in concorso con COGNOME e, quanto al solo capo 7, anche con COGNOME NOME -per i reati di truffa e di bancarotta fraudolenta patrimoniale -per il fallimento RAGIONE_SOCIALEbancarotta fraudolenta patrimoniale -per il fallimento RAGIONE_SOCIALEe bancarotta fraudolenta patrimoniale -per il fallimento RAGIONE_SOCIALE
ha confermato l’affermazione di responsabilità ed il trattamento sanzionatorio nei confronti di COGNOME NOME, amministratore di diritto della società polacca RAGIONE_SOCIALE, condannato in prime cure per il delitto di cui al capo 7, bancarotta fraudolenta patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE in concorso con COGNOME e COGNOME.
2.Sono stati promossi tre ricorsi per cassazione, ciascuno a firma di difensore abilitato, i cui motivi saranno sintetizzati a norma dell’art. 173 comma 1 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Il ricorso di COGNOME , con un solo motivo, ha dedotto vizio di erronea applicazione della legge penale per la mancata applicazione delle formule di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen..
2.2.Il ricorso di COGNOME si è affidato a due motivi.
2.2.1. Il primo motivo ha denunciato il vizio sub art. 606 lett. d) cod. proc. pen., per mancata assunzione di una prova decisiva scoperta dopo la sentenza di primo grado, previa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ; in particolare, di un documento di provenienza polacca, che dimostrerebbe che il ricorrente non era più amministratore di detta società al tempo di commissione dei fatti di bancarotta distrattiva. La sentenza impugnata, con assunti illogici, non avrebbe consentito l’acquisizione della prova documentale .
2.2.2.Il secondo motivo ha lamentato la ricorrenza di un vizio di motivazione per quanto concerne il mancato riconoscimento , a favore dell’imputato, dell’attenuante dell’art. 114 cod. pen. e delle attenuanti generiche.
2.3. Il ricorso del Lucchesi consta di quattro motivi.
2.3.1. Il primo motivo, poggiato sul vizio dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen., si è doluto dell’utilizzazione processuale, da parte della Corte d’appello, delle dichiarazioni predibattimentali del COGNOME, acquisite a norma dell’art. 513 cod. proc. pen., il quale però non ha reso esame in corso di dibattimento.
2.3.2. Il secondo motivo si è appuntato sul vizio di motivazione per quanto riguarda l’affermazione della sua responsabilità per concorso nei reati di truffa e bancarotta afferenti al fallimento RAGIONE_SOCIALE; il ricorrente avrebbe svolto una lecita attività di consulenza, avrebbe ottenuto compensi e rimborsi spese legittimi, non vi sarebbe prova certa, che il giudice d’appello non avrebbe esplicitato, di un suo contributo cosciente alla frode e alla distrazione del denaro.
2.3.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto analogo vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di colpevolezza per il concorso nella bancarotta fraudolenta patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE in considerazione della labilità degli elementi di prova, costituiti soltanto da talune testimonianze e da insoddisfacenti dati documentali, mentre non sarebbero state positivamente valutate le prove a discarico fornite dalla difesa; con metro di valutazione parziale, sarebbero state ritenute inattendibili le dichiarazioni rese ex art. 197 bis cod. proc. pen. da COGNOME e tal COGNOME e non sarebbe stata esattamente considerata la possibile riqualificazione della condotta di concorso in bancarotta in quella di ricettazione prefallimentare.
2.3.4. Il quarto motivo ha sollevato analoga questione sulle lacune della motivazione con riguardo all’affermazione di reità per concorso nella bancarotta fraudolenta della RAGIONE_SOCIALE; anche in tal caso la ricezione, da parte dell’imputato, di provvista di provenienza illecita , in base agli elementi acquisiti, non avrebbe dovuto essere qualificata automaticamente come contributo concorsuale ai fatti di bancarotta degli amministratori della società, ben potendo rientrare, come tale, nella fattispecie di ricettazione prefallimentare, profilo che si ammette non dedotto con i motivi di gravame ma che, ad avviso della difesa, potrebbe essere rilevato di ufficio perché attinente a problema di qualificazione giuridica.
3.La difesa di COGNOME ha fatto pervenire memoria, corredata da certificato di morte, con cui ha documentato il decesso del ricorrente in data successiva alla proposizione del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso dell’imputato COGNOME è inammissibile, quello di COGNOME deve essere respinto, mentre la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di COGNOME Mauro perché i reati sono estinti per morte del reo.
E’ necessario premettere, in vista della delibazione degli atti di ricorso, che la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di doppia conforme, è radicata nel riconoscere il principio della reciproca integrazione motivazionale delle sentenze di primo e di secondo grado,
ammettendosi cioè che la sentenza di appello si saldi con quella precedente, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, ancor più, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615; da ultimo v. Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.). Inoltre, in particolare in presenza di una “doppia conforme”, come nel caso di specie, il giudice di appello, nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 01; Sez. 5, n. 5123 del 16/01/2024); così come la sentenza di merito non è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata ( ex multis , sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, COGNOME, Rv.250900). Va ricordato, inoltre, che i motivi di impugnazione sono inammissibili quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come pure quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (nel primo caso, si parla di “genericità intrinseca”; nel caso di mancata correlazione con le ragioni della decisione impugnata, si tratta di “genericità estrinseca”: Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, in motivazione). In tale ottica, deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione che si risolva nella pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito: esso, infatti, non assolve la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione in sede di legittimità (Sez. 5, n. 3337 del 22/11/2022, dep. 2023, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 21469 del 08/03/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
1.1. D’altra parte, quando si censuri la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. o si lamenti una violazione di legge penale, occorre che tali vizi risultino dal testo del provvedimento impugnato, ovvero che il testo del provvedimento si presenti manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e comunque
che il loro esame non comporti una rivisitazione nel merito delle argomentazioni illustrate dalle pronunce dei due gradi di giudizio, perché rimane esclusa, in sede di legittimità, la possibilità di opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621). Né l’esito del giudizio di responsabilità -in sede di legittimità – può essere invalidato da prospettazioni alternative, sostanzialmente risolventesi, come avvenuto nel caso in esame, nella sollecitazione di una mirata “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; sez. U n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362).
Quanto alla posizione dell’imputato COGNOME che aveva concordato la pena nel giudizio di appello a norma dell’art. 599 bis cod. proc. pen., la difesa ne ha documentato il decesso, avvenuto dopo la sentenza di secondo grado. Il ricorso da lui proposto -lapidariamente inteso a lamentare la mancata applicazione delle formule di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen. – sarebbe stato travol to dall’inammissibilità, perché costituisce ius receptum che ‘i n tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599 bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati o alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen .’ ( ex multis , Cass. sez.2, ord. n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv.272969).
Non ricorrendo le condizioni per un proscioglimento pieno a mente dell’art. 129 comma 2 cod. proc. pen., v a dunque pronunciato l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché i reati sono estinti per morte dell’imputato.
3.Il primo motivo del ricorso COGNOME è infondato.
3.1. Il vizio deducibile a norma dell’art. 606 comma 1 lett. d) cod. proc. pen. , relativo alla mancata assunzione di una prova decisiva, implica una violazione di una norma della legge
processuale, quella sul diritto alla prova contraria, ma richiede una verifica da parte della Corte di cassazione circa la effettiva ricorrenza di una prova decisiva. Stando a Sez. U, n. 17050 del 11/04/2006, ric. COGNOME, «prova decisiva, la cui mancata assunzione legittima il ricorso per cassazione, è quella idonea a superare contrasti e conseguenti dubbi emergenti dall’acquisito quadro probatorio, oppure atta di per sé ad inficiare l’efficacia dimostrativa di altra o altre prove di sicuro segno contrario»; ma non «quella abbisognevole di comparazione con gli elementi già acquisiti» per condurre a un eventuale completamento del quadro probatorio (v. anche sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670).
3.2. Inoltre, l’art. 603 comma 1 cod. proc. pen. stabilisce che quando una parte, nell’atto di appello o nei motivi presentati a norma dell’articolo 585 comma 4, ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l’assunzione di nuove prove, il giudice, se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; la giurisprudenza costante di questa Corte è orientata nel senso che mentre nelle ipotesi di cui ai commi 1 (richiesta di riassunzione di prove già acquisite e di assunzione di nuove prove, dunque anche nell’ipotesi di richiesta di assunzione di prova contraria ‘a discarico’ ai sensi dell’art. 495 comma 2 cod. proc. pen.) e 3 (rinnovazione “ex officio”) dell’art. 603 cod. proc. pen. è necessaria la dimostrazione, in positivo, della necessità (assoluta nel caso del comma terzo) del mezzo di prova da assumere, onde superare la presunzione di completezza del compendio probatorio, nell’ipotesi di cui al comma secondo del citato art. 603, al contrario, è richiesta la prova, negativa, della manifesta superfluità e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessità della rinnovazione, discendente dalla impossibilità di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado (sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017, Rv. 269334). Ebbene, la Corte d’appello, una volta congruamente esclusa la riconducibilità delle prove invocate alla disciplina di cui all’art. 603 comma 2 cod. proc. pen.(ovvero alla categoria delle prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado), con esposizione appropriata, razionale e non illogica, si è espressa nel senso della non indispensabilità dell’integrazione probatoria rappresentata dall’apprensione del documento polacco esibito dalla difesa , e l’esercizio della relativa opzione è attribuito esclusivamente alle facoltà del giudice di merito, perché è soltanto il giudice di secondo grado che deve pronunciarsi sulla sussistenza dei presupposti per l’assunzione di nuove prove e che può ritenerle non assolutamente necessarie ai fini del decidere, salvo l’obbligo di dar conto, in motivazione, delle ragioni tecnico-giuridiche sottese alla risoluzione.
E tanto è avvenuto nel caso in scrutinio, perché la Corte territoriale si è congruamente soffermata nel dar rilievo, in particolare e in principalità, alla impossibilità di attribuire autenticità e dunque data certa al documento in lingua polacca, allegato al ricorso per cassazione in copia semplice, privo di affidabile attestato di conformità; per altro verso, alla sostanziale solidità delle deposizioni testimoniali dell’ufficiale di polizia giudiziaria COGNOME che ne ha individuato la figura di amministratore dell’impresa estera anche nel periodo
interessato dal distacco delle risorse finanziarie della fallita -e del dirigente bancario COGNOME che ha riferito di essersi interfacciato anche con COGNOME, presentato da COGNOME nel corso del rapporto contrattuale con la RAGIONE_SOCIALE in veste di ‘ interessato ‘ alle operazioni di iniezione di denaro fresco, successivamente dirottato per fini illeciti sulla RAGIONE_SOCIALE
4.Il secondo motivo del ricorso di COGNOME è generico, poiché puramente reiterativo dei motivi di gravame, avulso dal doveroso confronto con la circostanziata opzione motivazionale della decisione impugnata e manifestamente infondato. Pacifico l’orientamento interpretativo per il quale, in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, nel caso in cui la richiesta dell’imputato di riconoscimento delle attenuanti generiche non specifichi le circostanze di fatto che sorreggono l’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il mero richiamo da parte del giudice alla assenza di elementi positivi che possono giustificare la concessione del beneficio (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 09/03/2016, Rv. 266460), il ricorrente, onde rendere ammissibile la censura dedotta, avrebbe dovuto indicare gli elementi positivi allegati ed ingiustificatamente preteriti dal giudice di merito: poiché sul punto è stato serbato il silenzio, il rilievo attinente al diniego delle circostanze ex art. 62-bis cod. pen. non può essere preso in considerazione, in disparte la constatata, pur non dovuta, osservazione del giudice di merito che ha investito i pregiudizi per emissione di assegni a vuoto i quali, ancorchè depenalizzati, sono stati validamente ritenuti sintomatici di ‘una personalità adusa a non rispettare le regole nei rapporti commerciali’. Analoga censura di assoluta indeterminatezza deve essere riservata alla doglianza che attiene alla mancata concessione dell’attenuante dell’art. 114 cod. pen., che avrebbe richiesto, in luogo di espressioni di stile, un concreto approfondimento della graduazione dell’opera prestata dal concorrente nella causazione del reato.
5.I motivi di ricorso del Lucchesi , che possono essere trattati congiuntamente, si riducono, nel complesso, a generiche petizioni di principio di natura autoreferenziale, che prospettano una tesi alternativa a quella condivisa dalle decisioni di merito, agganciata a diversi parametri di apprezzamento degli elementi di prova ripercorsi dalla sentenza impugnata con inferenze appropriate e immuni da censure in sede di legittimità. Le decisioni di merito hanno convenientemente illustrato l’apporto cruciale, svolto dall’imputato, nell’ambito dei lucrosi contratti di finanziamento e di anticipo su fatture e ricevute bancarie -tutti di natura truffaldina -stipulati dalle società fallite, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, con gli svariati istituti di credito, con il sistematico drenaggio dei singoli conti correnti, che avveniva con singolare immediatezza , subito dopo l’accredito delle risorse ; gli ingenti profitti da lui incamerati anche per tramite della RAGIONE_SOCIALE, non riconducibili, per logica comune, ad una mera agevolazione dei contatti -come da lui sostenuto -tra i clienti, ovvero COGNOME e i rispettivi amministratori delle società, e i referenti bancari, del resto in contrasto con le
emergenze probatorie, che ne hanno invece restituito un ruolo fattivo e metodico, connotato anche dalla consegna dei documenti necessari (dichiarazioni fiscali, bilanci falsi) all’ottenimento delle plurime aperture di credito.
Allo stesso modo, precipitano nella patologia citata le note di dissenso che riguardano la distrazione della somma di euro 300.000 proveniente dai conti correnti della fallita RAGIONE_SOCIALE (impresa inattiva per esplicita ammissione del suo amministratore, COGNOME) sul presupposto dell’assunta – ma ritenuta inverosimile e rimasta comunque indimostrata restituzione di un prestito da lui precedentemente erogato, in denaro contante, all’amico COGNOME NOME (personaggio che, significativamente, compare anche tra i beneficiari delle distrazioni, personalmente o attraverso la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e tra i debitori fittizi, destinatari delle ricevute bancarie strumentali a scopi decettivi); o le proteste di estraneità agli addebiti, fondate sulla regolare fatturazione delle prestazioni di consulenza, asseritamente giustificate -ma in assenza di prova appagante degli accordi e della correttezza della percentuale di compenso – dal diritto al percepimento del 5% di ogni importo finanziato dagli istituti di credito nel contesto delle singole truffe; o la distrazione della somma complessiva di euro 100.000, proveniente dalla fallita RAGIONE_SOCIALE, ‘filtrata’ dalla RAGIONE_SOCIALE, già ‘utilizzata’ dal COGNOME per i suoi obiettivi artificiosi; e, a quest’ultimo proposito, possono soccorrere persino le ammissioni del ricorrente nell’atto di gravame, riportate a pag. 28 della sentenza della Corte territoriale, che nella sostanza ‘adombrano’, vagamente, che il presunto ‘rapporto di consulenza’ con detta società -a lui sconosciuta – riguardasse non la COGNOME o la sua persona, ma il di lui padre deceduto.
E proprio la centralità strategica del compito espletato dal ricorrente nel contesto delle operazioni volte, prima, a procurare alle fallite la liquidità e, subito dopo, a depauperarne le casse in danno dei creditori, è stata convenientemente esaltata dalle sentenze in discorso per affermarne, sia pure quale extraneus , il contributo concorsuale nei fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione; di tal che, fuor di luogo è invocare una riqualificazione della condotta in ricettazione prefallimentare ex art. 232 comma terzo n. 2) L.F., che non annovera tra gli elementi costitutivi il previo concerto con l’imprenditore fallito, sussistente nel caso di specie (sez.5, n. 40023 del 19/09/2022, COGNOME, Rv. 283757; sez.5, n. 16062 del 22/02/2012, COGNOME, Rv. 252485).
Deve comunque ribadirsi, in aggiunta, che la Corte di cassazione può accedere alla riqualificazione giuridica del fatto, se sia stato presentato un motivo nuovo dell’imputato sul punto, pur non enunciato in appello, purché entro i limiti in cui esso sia stato storicamente ricostruito dai giudici di merito (sez.2, n. 7462 del 30/01/2018, COGNOME e altro, Rv. 272091; sez. 1, n. 3763 del 15/11/2013, COGNOME, Rv. 258262); nel caso in disamina, invece, le circostanze di fatto accertate rientrano nel perimetro di un’azione concertata e sinergica, tipica della fattispecie concorsuale, sì da veicolare il motivo di ricorso, a riguardo del suddetto profilo, nell’alveo della genetica inammissibilità ai sensi dell’art. 606 comma 3 , ultima parte, cod. proc. pen..
5.1. L e riflessioni svolte ridimensionano l’incidenza del primo motivo del ricorso, che comunque si palesa palesemente infondato al lume delle proposizioni articolate dalla pronuncia impugnata. La giurisprudenza consolidata della Corte di legittimità afferma che le dichiarazioni etero-accusatorie rese dall’imputato – in qualità di persona sottoposta alle indagini nella fase delle indagini preliminari, in sede di interrogatorio nanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria delegata ex artt. 364-370 cod. proc. pen. -possono essere acquisite al fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 513 cod. proc. pen. quando il medesimo non sia comparso, si rifiuti di rendere l’esame, ovvero ne sia altrimenti divenuta impossibile la ripetizione. Tali dichiarazioni, ove acquisite, possono essere utilizzate erga alios qualora le altre parti non vi si oppongano esplicitamente, come da ultimo ribadito da sez. 2, n. 50658 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285689, secondo cui ai fini dell’utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali “contra alios” rese da imputati contumaci, assenti o che abbiano rifiutato di sottoporsi a esame, la necessità del consenso di cui all’art. 513, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen., non implica che esso debba manifestarsi in modo espresso e formale, sicché potrà essere desunto in via implicita dal fatto che la disposta acquisizione non abbia formato oggetto di specifica opposizione (conf. sez. 5, n. 13895 del 14/01/2015, Martini e altri, Rv. 262942). Non è in contestazione che le dichiarazioni siano state rese alla presenza di un difensore e con l’osservanza delle garanzie procedurali previste per l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, di cui agli artt. 64 e 65 cod. proc. pen., rilievo che rende insuscettibile l’estensione dei principi scolpiti dalla decisione della CEDU nel caso ‘ Cafagna contro Italia ‘ del 12 ottobre 2017, che riguarda l’applicabilità dell’art. 512 cod. proc. pen. e l’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni predibattimentali rese dalla persona informata sui fatti successivamente resasi irreperibile. La sentenza della Corte territoriale ha registrato che l’apprensione del verbale d’interrogatorio, nel processo di primo grado, è avvenuta senza alcuna obiezione delle altre parti e ne ha pertanto apprezzato, esattamente, l’utilizzabilità come prova a carico nei confronti dei chiamati in correità o in reità. Il propalato di COGNOME, in definitiva, irrobustisce e rende granitico -pur nella sua non assoluta indispensabilità -il sostrato probatorio che converge sulla responsabilità di COGNOME, significativamente disegnato come il ‘genio della lampada’, colui che per competenze professionali ed esperienza operativa ha garantito un apporto causale di primaria efficienza per il conseguimento dei risultati della comune azione delittuosa.
6. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità del ricorso di COGNOME Maurizio, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e, non potendosi escludere profili di colpa nella formulazione dei motivi, anche al versamento della somma di euro 3000 a favore della Cassa delle ammende. Alla reiezione del ricorso di COGNOME consegue invece la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME perché i reati ascrittigli sono estinti per morte dell’imputato.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 18/06/2025
Il consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME