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Concorso in bancarotta: il ruolo dell’extraneus

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto ‘extraneus’ condannato per concorso in bancarotta fraudolenta. Il ricorrente aveva aiutato il titolare di un’impresa individuale, poi fallita, a distrarre due autoveicoli per estinguere propri debiti personali. La Corte ha ribadito che il concorso in bancarotta è configurabile per chi, pur esterno all’impresa, contribuisce consapevolmente a depauperare il patrimonio aziendale. Il ricorso è stato respinto perché mirava a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, e perché le censure sulla recidiva erano infondate.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in bancarotta: quando risponde anche il soggetto esterno all’impresa?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34984 del 2025, torna a delineare i confini della responsabilità penale nel concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, con particolare riferimento alla figura dell’extraneus, ovvero il soggetto che, pur non essendo l’imprenditore fallito, contribuisce alla commissione del reato. La decisione chiarisce importanti aspetti procedurali, come i limiti del ricorso in Cassazione e la gestione della recidiva in appello.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine dal fallimento di una ditta individuale operante nel settore delle spedizioni. Le indagini avevano accertato che il titolare dell’impresa aveva commesso diversi atti di bancarotta fraudolenta, distraendo beni aziendali, tra cui diverse autovetture e una moto.

Nel mirino della giustizia è finito anche un secondo soggetto, legato da una relazione personale con la madre dell’imprenditore. A quest’ultimo veniva contestato di aver concorso nella distrazione di due autovetture di proprietà dell’impresa. In particolare, l’uomo aveva utilizzato i veicoli per estinguere propri debiti personali, cedendoli a terzi per un valore complessivo di 3.100 euro, arrecando così un pregiudizio diretto alla massa dei creditori del fallimento.

L’Iter Processuale e il Ricorso in Cassazione

Il Tribunale di primo grado aveva condannato sia l’imprenditore che il suo ‘collaboratore di fatto’ per i rispettivi ruoli. La Corte d’Appello, pur confermando la responsabilità di quest’ultimo, aveva parzialmente riformato la sentenza, riconoscendo l’attenuante del danno di speciale tenuità e rideterminando la pena.

Non soddisfatto, l’imputato ‘extraneus’ ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente:
* La violazione delle norme sul concorso di persone nel reato e la carenza di motivazione sul suo ruolo.
* La mancanza di prova del suo dolo, ovvero la consapevolezza dello stato di decozione dell’impresa.
* L’errata valutazione delle prove e la mancata considerazione di elementi a suo discarico.
* L’erronea applicazione della recidiva reiterata.

Il concorso in bancarotta e la figura dell’extraneus

La Suprema Corte ha respinto tutte le censure, dichiarando il ricorso inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella corretta configurazione del concorso in bancarotta da parte dell’extraneus. I giudici di merito avevano adeguatamente motivato la responsabilità dell’imputato sulla base di elementi concreti e specifici.

La Corte ha sottolineato che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la sua colpevolezza non era basata su mere congetture. Gli elementi chiave erano:
1. Il solido legame personale con la famiglia dell’imprenditore.
2. Il ruolo di unico ed esclusivo beneficiario delle operazioni distrattive: l’imputato aveva utilizzato i veicoli per estinguere debiti personali, senza che l’impresa fallita ricevesse alcuna contropartita economica.

Questo schema, confermato dalle testimonianze, dimostrava una piena consapevolezza del depauperamento del patrimonio altrui, integrando così il dolo richiesto per il concorso nel reato fallimentare. La Corte ha richiamato il principio consolidato secondo cui i fatti di distrazione assumono rilevanza penale a prescindere dal momento in cui sono stati commessi, anche se molto tempo prima della dichiarazione di fallimento.

I Limiti del Giudizio di Legittimità

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire la natura del proprio giudizio. Molti dei motivi di ricorso tendevano, nella sostanza, a sollecitare una nuova e diversa valutazione delle prove e dei fatti, operazione preclusa in sede di legittimità. Il controllo della Suprema Corte non è un terzo grado di merito, ma si limita a verificare la coerenza logica e la correttezza giuridica della motivazione della sentenza impugnata. Se la ricostruzione dei giudici di merito è plausibile e ben argomentata, come nel caso di specie, essa non può essere messa in discussione.

La Questione della Recidiva in Appello

Infine, la Corte ha giudicato infondate anche le doglianze relative alla recidiva. L’imputato sosteneva che il giudice d’appello avrebbe dovuto escluderla d’ufficio. La Cassazione ha chiarito che il potere di cognizione del giudice di secondo grado è limitato dai punti specificamente contestati con i motivi di impugnazione (il cosiddetto ‘effetto devolutivo’). L’esclusione della recidiva non rientra tra le questioni rilevabili d’ufficio e, pertanto, in assenza di uno specifico motivo di appello sul punto, la Corte territoriale non aveva il potere di intervenire. Una generica richiesta di riduzione della pena non è sufficiente a investire il giudice di tale questione.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso ritenendo i motivi manifestamente infondati e, in parte, non consentiti in sede di legittimità. In primo luogo, le censure relative al concorso dell’extraneus nel reato e alla valutazione delle prove sono state qualificate come un tentativo di ottenere un riesame del merito, inibito alla Corte di Cassazione. I giudici hanno evidenziato che le sentenze di primo e secondo grado avevano fornito una motivazione logica e coerente (‘doppia conforme’), individuando elementi fattuali concreti a sostegno della responsabilità dell’imputato, come il suo ruolo di unico beneficiario delle cessioni e la consapevolezza di arrecare un danno al patrimonio dell’impresa. Per quanto riguarda la recidiva, la Corte ha affermato che, in assenza di uno specifico motivo di gravame, il giudice d’appello non ha il potere di escluderla d’ufficio, poiché il suo potere di cognizione è limitato dall’effetto devolutivo dell’appello.

Le conclusioni

La sentenza consolida due importanti principi. Sul piano sostanziale, riafferma che chiunque, anche un soggetto esterno all’impresa, contribuisca con la propria condotta consapevole a depauperare il patrimonio di un’impresa poi fallita, risponde di concorso in bancarotta fraudolenta. Sul piano processuale, la decisione ribadisce i rigidi limiti del giudizio di Cassazione, che non può trasformarsi in un terzo grado di merito, e chiarisce che le questioni non specificamente devolute al giudice d’appello non possono essere da quest’ultimo esaminate d’ufficio, salvo i casi espressamente previsti dalla legge.

Un soggetto esterno all’impresa (extraneus) può essere condannato per concorso in bancarotta fraudolenta?
Sì. La sentenza conferma che il concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta è configurabile qualora la sua condotta sia stata causalmente rilevante e sorretta dalla consapevolezza di agevolare l’imprenditore nel danneggiare i creditori, depauperando il patrimonio dell’impresa.

È possibile chiedere in Cassazione una nuova valutazione delle prove presentate nei gradi di merito?
No. Il controllo della Corte di Cassazione non è un rinnovato esame degli elementi di fatto, ma si limita a verificare la coerenza logica e la correttezza giuridica della motivazione. Non è possibile chiedere alla Corte di aderire a una ricostruzione alternativa dei fatti, anche se plausibile.

Il giudice d’appello può escludere d’ufficio la recidiva se non è stata specificamente contestata nei motivi di impugnazione?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il giudice di appello non può escludere d’ufficio la recidiva se questa non è stata oggetto di uno specifico motivo di impugnazione. Il suo potere di cognizione è infatti limitato dai punti della decisione che sono stati devoluti tramite l’atto di appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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