Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14354 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14354 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Modena il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 03/04/2023 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del 15 luglio 2021 del Tribunale di Torino che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale avente ad oggetto la somma di euro 35.000,00 distratta mediante bonifico effettuato dalla società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 4 aprile 2012, a favore della società da lui amministrat RAGIONE_SOCIALE a fronte di prestazioni di consulenza
inesistenti, e lo aveva condannato alla pena di giustizia, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, cui veniva pure assegnata una provvisionale, prosciogliendolo dalle altre imputazioni di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione degli art. 216, primo comma e 223, primo comma, r.d. n. 267 del 1942, della illogicità e contraddittorietà della motivazione e della violazione degli artt. 468, 511 e 514 cod. proc. pen.
Evidenzia il ricorrente che la Corte di appello, pur confermando la decisione di primo grado, ha adottato una motivazione differente fondata su argomenti tratti da prove inutilizzabili.
Il Tribunale aveva ritenuto che le prove fornite dall’imputato non fossero idonee a dimostrare che le prestazioni di consulenza fossero state rese e, sebbene avesse ritenuto che l’imputato non fosse stato a conoscenza dello stato di dissesto economico in cui versava la società poi fallita, aveva comunque ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, avendo egli avuto contezza del danno che la condotta avrebbe arrecato al patrimonio sociale.
L’imputato, nel proporre appello, aveva sostenuto che le prestazioni di consulenza erano state effettivamente rese e che in ogni caso egli non era a conoscenza dello stato di dissesto della società fallita, avendo egli avuto contatti assolutamente sporadici con i rappresentanti della stessa.
La Corte di appello ha ritenuto non fondati tali argomenti sulla base di una motivazione «innovativa» basata sulle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, acquisite ex art. 512 cod. proc. pen., e di NOME COGNOME e NOME COGNOME, coimputati giudicati separatamente.
Dalle loro dichiarazioni la Corte di appello ha desunto che il pagamento era avvenuto senza causa, in un contesto temporale ed in «un ambito di persone in cui era in corso un progetto intenzionale di dismissione delle quote da parte della famiglia COGNOME» che aveva posto in essere una serie di condotte volte ad espungere dal patrimonio sociale i residui beni che avrebbero potuto soddisfare i creditori ed il COGNOME si era adoperato per assicurare ai COGNOME le conoscenze necessarie per formalizzare la disnnissione delle quote e delle cariche societarie, cosicché doveva concludersi che egli era ben consapevole dello stato di insolvenza della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e si era attivato per permettere ai titolari della stessa di svuotare il suo patrimonio in danno dei creditori.
Tale motivazione, segnala il ricorrente, contrasta nettamente con le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale, che aveva ritenuto che egli non fosse a conoscenza dell’insolvenza della fallita e, sulla base di tale conclusione, lo aveva prosciolto dalle altre imputazioni di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Inoltre, le dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inutilizzabili, perché provenienti da coimputati giudicati separatamente che non sono stati esaminati in dibattimento; non rileva che si tratti di dichiarazioni res al curatore fallimentare, poiché quest’ultimo, nel corso della sua deposizione, non ha fatto in alcun modo riferimento, per la conoscenza dei fatti, a quanto riferitogli dai predetti coimputati.
La ricostruzione fattuale operata dalla Corte di merito è comunque indimostrata, poiché non vi sarebbe prova alcuna che il COGNOME e gli altri coimputati si siano mai incontrati o abbiano avuto contatti e le eventuali dichiarazioni da essi rese sarebbero rimaste non riscontrate.
In ogni caso la nuova motivazione fornita dalla Corte territoriale sull’elemento soggettivo avrebbe «spiazzato» la difesa che aveva sostenuto la insussistenza dell’elemento soggettivo a causa della ignoranza dello stato di dissesto della società in capo all’imputato. Il tema relativo a detta ignoranza, ammessa dal Tribunale, non aveva costituito oggetto di devoluzione per effetto dell’appello.
Quanto alle prove indotte dalla difesa a sostegno della effettività delle prestazioni di consulenza, esse erano state ritenute inidonee ed inattendibili sulla base di mere supposizioni e congetture e non perché contraddette da prove di segno contrario.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della illogicità dell motivazione in ordine alla congruità della provvisionale liquidata nella sentenza di primo grado segnalando che la Corte di appello ha ritenuto floride le sue condizioni reddituali ai fini di detta liquidazione e tuttavia non ha considerato l sua elevata capacità reddituale quale indizio della sua estraneità al delitto per il quale è stata pronunciata condanna, ossia una distrazione di appena euro 35.000,00.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è complessivamente infondato.
1.1. Quanto alle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, dalla sentenza di primo grado emerge (vedi pag. 16, in fondo, della motivazione) che il curatore fallimentare, NOME COGNOME, ha riferito delle dichiarazioni da lui assunte dai predetti, che gli avevano parlato di tale «NOME» quale soggetto implicato,
assieme ad NOME COGNOME, di Parma, e NOME COGNOME, di Catania, nell’attività di cessione delle quote della società, già in fase di liquidazione, da parte di NOME COGNOME.
Viene quindi a mancare la ratio posta dal ricorrente a fondamento della inutilizzabilità delle predette dichiarazioni, ossia che il curatore, nel corso della sua deposizione, non ne abbia riferito il contenuto.
1.2. L’eccezione è, peraltro, giuridicamente infondata, atteso che questa Corte di cassazione ha più volte affermato che le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., che prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria alla polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra tra dette categorie di soggetti e la sua attività non è riconducibile alla previsione di cui all’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. che concerne le attività ispettive e di vigilanza, e le relazioni del curatore costituiscono prova documentale qualsiasi sia il loro contenuto e legittimamente sono inserite nel fascicolo processuale (ex multis Sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017, dep. 2018, Castelletto, Rv. 272664); più recentemente, nel ribadire detto principio, questa Corte di cassazione ha osservato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 191, 195 e 526 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., in relazione agli artt. 6 CEDU, 47, comma 2, e 48 C.D.F.U.E., nella parte in cui non è prevista l’inutilizzabilità processuale delle dichiarazioni rese al curatore nel corso della procedura fallimentare e da questi trasfuse nella propria relazione, posto che il curatore non svolge attività ispettive e di vigilanza, ma, in qualità di pubblico ufficiale, tenuto a rappresentare nella relazione a sua firma anche «quanto può interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale», dando corso all’audizione dei soggetti diversi dal fallito per richiedere informazioni e chiarimenti occorrenti «ai fini della gestione della procedura» (Sez. 5, n. 17828 del 09/02/2023, Caserta, Rv. 284589). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Peraltro, la motivazione della sentenza qui impugnata è in grado di sorreggere la decisione anche prescindendo dal contenuto delle dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME; la Corte di appello ed il Tribunale hanno desunto la insussistenza delle prestazioni di consulenza oggetto del contratto che avrebbe dovuto giustificare il pagamento dalle dichiarazioni dell’imputato e del teste indotto dalla difesa, NOME COGNOME, che entrambi non hanno saputo specificare in cosa esse fossero consistite. Inoltre, la Corte di merito ha evidenziato che, poiché, secondo la prospettazione difensiva, le prestazioni del COGNOME in favore della fallita si erano protratte per appena un bimestre, il contratto doveva essere stato concluso all’inizio del 2010, ossia in un momento in cui la
RAGIONE_SOCIALE era già stata posta in liquidazione ed aveva cessato la propria attività, cosicché non era credibile che essa sostenesse spese per una consulenza volta ad implementare la sua attività imprenditoriale.
Tali elementi, uniti alla mancata produzione di documentazione atta a comprovare le prestazioni effettuate, hanno portato la Corte territoriale a concludere che il contratto avente ad oggetto tali prestazioni fosse simulato.
Ne consegue che le prove dichiarative delle quali il ricorrente lamenta la inutilizzabilità non appaiono decisive.
1.3. Quanto all’elemento soggettivo del delitto, deve osservarsi che per la sua sussistenza non è necessario che il COGNOME fosse consapevole, al momento della condotta, dello stato di insolvenza della società poi fallita.
Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, che il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278156; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 271123; Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267059).
Ne consegue che anche sotto tale profilo le suddette dichiarazioni appaiono superflue ed il motivo di appello, volto a sostenere l’insussistenza del dolo, è manifestamente infondato.
1.4. Né può sostenersi che la motivazione della sentenza di appello sia illogica o contraddittoria perché contrastante con quella di primo grado.
Il vizio di contraddittorietà di motivazione si verifica soltanto se, in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti, vi sia inconciliabilità logica fra l’una e l’altra affermazione della stessa sentenza impugnata per cassazione, e non quando vi sia contrasto fra le considerazioni svolte nella sentenza di appello e quelle della decisione di primo grado (Sez. 2, n. 3308 del 04/12/1984, dep. 11/04/1985, Vasta, Rv. 168637).
Il principio della integrazione delle sentenze conformi, o più precisamente delle motivazioni di esse, vale come criterio di ermeneutica giurisdizionale, per ritenere estese le argomentazioni della sentenza di primo grado alla motivazione della sentenza di appello, che ne abbia confermato il dispositivo; tuttavia, tale criterio non implica il principio secondo cui il giudice di appello potrebbe pervenire ad identica decisione di quello di primo grado solo in base ad identiche
argomentazioni o ad identico iter logico-giuridico (Sez. 4, n. 8619 del 24/04/1981, COGNOME, Rv. 150353).
Il giudice di appello, quale giudice di merito di secondo grado, può quindi effettuare una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dal primo giudice e pervenire alla stessa decisione, fondandola su altri elementi di giudizio emersi nel processo e ritenuti attendibili (Sez. 4, n. 6327 del 24/02/1981, Crippa, Rv. 149554).
Quando l’imputato abbia impugnato la sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza del reato, negando che il fatto da lui commesso integri il reato contestatogli, il giudice di appello ha il potere e il dovere, nella osservanza del principio di correlazione tra la sentenza e l’accusa contestata, di esaminare tutte le risultanze processuali acquisite ai fini della decisione, e quindi anche di interpretarle in modo e con rilievo diversi rispetto alla valutazione del primo giudice, attribuendo ad una o più circostanze di fatto, che il giudice di primo grado abbia ritenuto non determinanti ai fini della sussistenza del reato, una portata diversa e decisiva per l’affermazione della responsabilità dell’imputato.
Ne consegue l’inammissibilità del motivo, nella parte in cui esso denuncia il contrasto tra le motivazioni delle due sentenze di merito, non rientrando esso tra quelli per i quali è consentito proporre ricorso per cassazione.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, perché non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 01/02/2024.