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Concorso in bancarotta fraudolenta: la guida completa

Un consulente è stato condannato per concorso in bancarotta fraudolenta per aver ricevuto 35.000 euro da una società, poi fallita, a fronte di prestazioni professionali ritenute inesistenti. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo un principio fondamentale: per la responsabilità del concorrente esterno (extraneus), non è necessaria la conoscenza dello stato di insolvenza dell’azienda. È sufficiente la consapevolezza che l’atto depaupera il patrimonio sociale a danno dei creditori. La sentenza conferma inoltre la piena utilizzabilità nel processo penale delle dichiarazioni rese al curatore fallimentare.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Bancarotta Fraudolenta: Quando l’Estraneo è Responsabile?

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 14354 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale fallimentare: il concorso in bancarotta fraudolenta dell’extraneus. La decisione chiarisce in modo netto quale sia l’elemento psicologico richiesto al concorrente esterno per essere ritenuto responsabile, affermando che la consapevolezza di depauperare il patrimonio sociale è sufficiente, senza che sia necessaria la specifica conoscenza dello stato di insolvenza della società. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso: La Consulenza Fittizia

Il caso riguarda un consulente condannato in primo e secondo grado per concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale. L’accusa era di aver distratto una somma di 35.000 euro da una società, poi dichiarata fallita, tramite un bonifico a favore della propria ditta. Tale pagamento era formalmente giustificato da prestazioni di consulenza che, secondo i giudici, erano in realtà inesistenti o simulate.

Il contratto di consulenza era stato stipulato quando la società era già in fase di liquidazione e aveva cessato la propria attività, rendendo poco credibile la necessità di costose consulenze per implementare l’attività imprenditoriale. L’operazione, secondo l’accusa, faceva parte di un più ampio progetto di dismissione delle quote da parte dei soci, volto a svuotare il patrimonio aziendale a danno dei creditori.

La Difesa e i Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa del consulente ha impugnato la sentenza d’appello lamentando diversi vizi. In primo luogo, ha contestato l’utilizzo di dichiarazioni rese da coimputati al curatore fallimentare, ritenendole prove inutilizzabili. In secondo luogo, ha sostenuto la mancanza dell’elemento soggettivo (il dolo), affermando che l’imputato non era a conoscenza dello stato di dissesto della società, avendo avuto solo contatti sporadici con i suoi rappresentanti. La difesa ha inoltre criticato la motivazione ‘innovativa’ della Corte d’Appello, che si era discostata da quella del Tribunale per fondare la consapevolezza del reato.

Le Motivazioni della Cassazione: Analisi sul concorso in bancarotta fraudolenta

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e fornendo chiarimenti essenziali su diversi aspetti procedurali e sostanziali.

Il Dolo dell’Extraneus: Consapevolezza del Danno è Sufficiente

Il punto centrale della sentenza riguarda la definizione del dolo nel concorso in bancarotta fraudolenta per il soggetto extraneus. La Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato: non è richiesta la specifica conoscenza dello stato di insolvenza della società. Il dolo del concorrente esterno consiste nella volontarietà del proprio apporto alla condotta dell’amministratore (intraneus), con la consapevolezza che tale condotta determinerà un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori.

La conoscenza del dissesto può essere un indice probatorio importante, ma la sua assenza non esclude la responsabilità. È sufficiente che il concorrente si rappresenti e voglia contribuire a un’azione che riduce la garanzia patrimoniale per i creditori. Nel caso di specie, ricevere un pagamento di 35.000 euro per prestazioni fittizie da una società in liquidazione integrava pienamente questa consapevolezza.

L’Utilizzabilità delle Dichiarazioni al Curatore Fallimentare

La Corte ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai coimputati al curatore fallimentare. I giudici hanno chiarito che il curatore non è né autorità giudiziaria né polizia giudiziaria, e la sua attività non rientra nelle previsioni che limitano l’uso di dichiarazioni rese senza garanzie difensive. Le relazioni del curatore, e le informazioni in esse contenute, costituiscono prova documentale e sono legittimamente acquisibili al processo.

La Legittimità della Motivazione ‘Innovativa’ della Corte d’Appello

Infine, la Cassazione ha ricordato che il giudice d’appello ha il potere-dovere di riesaminare tutto il materiale probatorio e può giungere alla stessa conclusione del primo giudice anche attraverso un percorso argomentativo diverso, purché logico e coerente. Il contrasto tra le motivazioni di primo e secondo grado non costituisce, di per sé, un vizio che giustifichi l’annullamento della sentenza.

Le Conclusioni della Corte Suprema

La sentenza consolida principi giurisprudenziali di grande rilevanza pratica. In primis, definisce con chiarezza i contorni della responsabilità penale per chi, pur esterno a un’azienda, contribuisce a svuotarne il patrimonio. L’insegnamento è chiaro: chiunque partecipi ad operazioni che danneggiano i creditori di una società rischia una condanna per concorso in bancarotta fraudolenta, anche se ignora lo specifico stato di crisi dell’impresa. In secondo luogo, la decisione rafforza gli strumenti a disposizione dell’accusa, confermando la piena validità probatoria degli atti del curatore fallimentare.

Per il concorso in bancarotta fraudolenta, il concorrente esterno (extraneus) deve essere a conoscenza dello stato di insolvenza della società?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società. È sufficiente la volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’amministratore, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori.

Le dichiarazioni rese da coimputati al curatore fallimentare possono essere usate come prova nel processo penale?
Sì. La Corte ha stabilito che il curatore fallimentare non rientra tra le categorie di soggetti (autorità giudiziaria o polizia giudiziaria) per cui sono previste le norme sull’inutilizzabilità delle dichiarazioni. Le relazioni del curatore e le dichiarazioni in esse contenute sono considerate prova documentale e possono essere legittimamente utilizzate nel processo.

Un giudice d’appello può confermare una condanna usando una motivazione diversa da quella del giudice di primo grado?
Sì. Il giudice di appello ha il potere e il dovere di effettuare una nuova e autonoma valutazione dei fatti e delle prove. Può quindi pervenire alla stessa decisione del primo giudice (in questo caso, la condanna) fondandola su elementi diversi o interpretando le risultanze processuali in modo differente, senza che ciò costituisca un vizio della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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