Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8579 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8579 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SIRACUSA il 24/03/1969
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE d’APPELLO DI CAGLIARI Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che, riportandosi alla memoria depositata, ha chiesto rigettarsi il ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente NOME COGNOME che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Cagliari, con la sentenza emessa il 21 maggio 2024, confermava quella del Tribunale cagliaritano, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in ordine al delitto di bancarotta societaria fraudolenta di tipo patrimoniale, in relazione alla RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del 21.07.2011.
In particolare COGNOME – in concorso con: COGNOME NOME, amministratore unico della società e beneficiario di parte delle somme distratte con il coniuge COGNOME NOME, socio di maggioranza; COGNOME NOME, altro consulente, e COGNOME NOME – quale consulente concorreva nella ideazione e realizzazione, unitamente a COGNOME, dell’operazione distrattiva, promuovendola presso COGNOME e COGNOME, rassicurandoli sulla società RAGIONE_SOCIALE attraverso la quale operare l’investimento, sulla redditività dello stesso, nonché sulla capacità professionale e solidità economica di Ruta – anche mediante l’esibizione di documentazione e rilascio di fideiussioni, essendo ben consapevole dello stato di insolvenza della Atlantis e che l’operazione mirava a cagionare pregiudizio ai creditori per essere stato informato di ciò da COGNOME e COGNOME
L’operazione distrattiva veniva delineata nell’imputazione come segue: COGNOME metteva a disposizione la società RAGIONE_SOCIALE e contattava gli istituti di credito presso i quali venivano aperti i conti correnti intestati ai coniugi COGNOME: in particolare presso la Finter Bank di Zurigo veniva accreditata parte della somma distratta per euro 427.600, a fronte del più ampio importo di euro 1.475,000 che era stato trasferito, in data 18 aprile 2011, a mezzo bonifico a favore della società RAGIONE_SOCIALE inoltre, i concorrenti nel reato, dissimulavano la reale natura distrattiva dell’operazione di cui sopra, attraverso la predisposizione di un contratto di investimento concluso apparentemente in data 12 aprile 2011 (in realtà oltre un mese dopo) di carattere simulato, nel quale la società RAGIONE_SOCIALE conferiva alla RAGIONE_SOCIALE l’incarico di investire il menzionato importo nel settore delle energie rinnovabili, ricevendo poi – Manca e Mura – con le modalità dette in precedenza la somma di euro 427.600 su conto estero.
Veniva anche contestata l’aggravante del danno di rilevante gravità, nonché quella della pluralità dei fatti di bancarotta, individuati nelle condotte di distrazione e dissimulazione.
Il Tribunale di Cagliari riteneva assorbita la condotta di dissimulazione in quella di distrazione, escludeva conseguentemente l’aggravante della pluralità di fatti di bancarotta, riconosceva le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante del danno di rilevante gravità e, ridotta la pena per il rito abbreviato (scelto dopo la modifica dell’imputazione operata dal Pubblico ministero nel corso del dibattimento), condannava Castello alla pena di anni tre di reclusione.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di cinque motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale, pur avendo motivato in modo difforme dalla sentenza di primo grado, non abbia valutato realmente i motivi di appello, pur se riportati correttamente in sentenza, trascurando il contenuto delle dichiarazioni di COGNOME del curatore fallimentare, di COGNOME e COGNOME, indicati dal ricorrente quali testimoni ‘a discarico’.
Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, censurando l’omessa valutazione di prove decisive, essendosi la Corte di appello limitata a valutare e a ritenere la responsabilità dell’imputato sulla scorta di una lettera del 1 giugno 2011, di un documento non datato né sottoscritto, rinvenuto presso l’abitazione di Ruta, nonché di alcune mail rinvenute nel computer di quest’ultimo.
Da tali emergenze la Corte trae la prova che COGNOME fosse consulente e fosse anche ideatore dell’operazione distrattiva.
Lamenta il ricorrente che il risultato probatorio sarebbe stato diverso se la valutazione della Corte di merito fosse stata globale e rispondente ai motivi di appello, che sollecitavano una valutazione delle dichiarazioni di COGNOME, dalle quali emergeva che Mura era già determinato all’operazione e che Castello non sapesse dello stato di insolvenza della Atlantis.
Inoltre, le mail valorizzate sono solo alcune – dal significato equivoco, per altro – e inoltre la Corte di appello avrebbe trascurato – non confrontandosi con le doglianze sul punto – che l’operazione/investimento avvenne a nome della Atlantis.
Il motivo di ricorso riporta il contenuto delle deposizioni di: COGNOME che non indicava COGNOME come ideatore dell’operazione distrattiva, bensì COGNOME ed altri legali; COGNOME, che ha negato di avere informato Castello dello stato di insolvenza di Atlantis e accusava COGNOME e non COGNOME; la commercialista COGNOME, che riferiva che COGNOME le aveva presentato COGNOME. Aggiunge il ricorrente che le mail sono state scaricate da supporto informatico e non da server, cosicché ne contesta l’autenticità e la provenienza, non bastando a riguardo la motivazione della Corte di appello, che traviserebbe il contenuto della dichiarazione del luogotenente della Guardia di Finanza COGNOME; inoltre, il ricorrente contesta l’interpretazione delle mail da parte della Corte di appello, rilevando come quelle indirizzate a Castello fossero successive al bonifico e alla stipula dei contratti fra RAGIONE_SOCIALE, riguardavano quindi altra operazione, non quella contestata con l’imputazione, né dal compendio probatorio emergerebbe la prova che COGNOME sapesse dell’insolvenza di Atlantis e della finalità dell’operazione di cagionare un pregiudizio ai creditori.
Il terzo motivo lamenta violazione di legge penale, deducendo che essendo Castello concorrente ‘extraneus’, per l’orientamento della giurisprudenza di legittimità occorre che il contributo sia determinante e che il dolo generico richiesto si configuri come avente ad oggetto il pericolo per i creditori, per il quale non basta la conoscenza della sola operazione di investimento per altro a nome della Atlantis.
Il quarto motivo lamenta violazione di legge quanto alla determinazione della pena, stante la disparità di trattamento rispetto agli altri concorrenti e la circostanza che la Corte di appello ritiene essenziale il contributo di Castello alla consumazione del reato, mentre in primo grado lo stesso era stato indicato come marginale rispetto a quello dei concorrenti.
Il quinto motivo lamenta vizio di motivazione in relazione al giudizio di equivalenza e non prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, in ragione delle modalità del fatto e del comportamento dell’imputato, senza alcuna motivazione a riguardo offerta dal Collegio di secondo grado, a fronte di specifico motivo di appello.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato con l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Il primo e il secondo motivo, strettamente connessi, vanno trattati unitariamente.
Va premesso che le doglianze proposte per un verso non sono consentite, in quanto sollecitano questa Corte a una rivalutazione dei risultati delle singole prove orali richiamate, per altro verso risulta comunque infondata la doglianza che vi sia stato un vizio per una valutazione parziale del materiale probatorio.
2.1 Va premesso che le sentenze di primo e secondo grado, a ben vedere, integrano una doppia conforme, in quanto la difformità fra le due sentenze indicata dal ricorrente – non trova rispondenza nel percorso argomentativo dei
due collegi di merito, tanto che lo stesso ricorrente non indica quale sia la discrasia rilevata.
Pertanto deve osservarsi come, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado, sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima, sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, COGNOME Rv. 252615 – 01).
Tale lettura congiunta consente di rilevare che le fonti di prova – delle quali il ricorrente lamenta l’omessa valutazione — sono state con precisione valutate e ritenute attendibili o inattendibili dalla sentenza di primo grado, che dal fol. 29 rende conto in modo non manifestamente illogico delle ragioni di attendibilità delle dichiarazioni di COGNOME, della inattendibilità di quelle di COGNOME e COGNOME, nonché delle stesse dichiarazioni dell’imputato COGNOME, valutate illogiche.
La Corte di appello fa propria questa preliminare valutazione, cosicché le doglianze tese al ‘recupero’ di tali dichiarazioni in questa Sede risultano aspecifiche, come lo era la censura mossa sul punto in appello, in quanto non si contesta l’adeguatezza dell’argomentazione a sostegno della ritenuta attendibilità/inattendibilità, ma si opera direttamente la rilettura di brani di dichiarazioni che, evidentemente, non possono avere valore probatorio se la fonte è giudicata – in assenza di specifica contestazione – inattendibile.
Inoltre, la deduzione operata viene accompagnata dalla indicazione della allegazione delle trascrizioni dei relativi verbali, che però non risultano materialmente allegati al ricorso. Ciò determina l’aspecificità delle doglianze, in quanto non mettono in condizione questa Corte di verificare l’intera deposizione, e non solo l’interpretazione dei brani offerti dal ricorso.
D’altro canto, quand’anche si volesse intendere l’indicazione dei verbali come diretta alla cancelleria della Corte di appello, deve osservare questa Corte come sia da condividersi il principio per cui l’omessa o incompleta trasmissione, da parte della cancelleria della Corte di appello, degli atti indicati nel ricorso per cassazione, in violazione di quanto prescritto dall’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., non è causa di nullità, non essendo tale disposizione assistita da alcuna sanzione e gravando, comunque, sul difensore un onere di diligenza nel verificare l’effettiva trasmissione degli atti e nel provvedere spontaneamente alle allegazioni ritenute necessarie (Sez. 3, n. 32093 del 04/04/2023, COGNOME, Rv. 284901 – 01).
Inoltre le doglianze difettano di decisività: infatti, in tema di ricorso per cassazione, ai fini dell’osservanza del principio di specificità in relazione alla
prospettazione di vizi di motivazione e di travisamento dei fatti, è necessario che esso contenga la compiuta rappresentazione e dimostrazione di un’evidenza pretermessa o infedelmente rappresentata dal giudicante – di per sé dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, in quanto in grado di disarticolare il costrutto argomentativo del provvedimento impugnato per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati (Sez.1, n. 54281 del 05/07/2017, COGNOME, Rv. 272492 – 01).
Tale efficacia disarticolante, a fronte degli elementi ritenuti probanti della responsabilità dell’imputato, consistenti nel testo delle mail e dei documenti, non risulta né dedotta né sussistente.
D’altro canto, come osservato correttamente dalla Procura generale, nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281935 – 01; conf.: N. 38824 del 2008 Rv. 241062 – 01, N. 49970 del 2012 Rv. 254107 – 01).
Quanto, invece, ai documenti e alle mail valutate dalle sentenze di merito e analizzate dalla Corte di appello con puntualità e senza manifeste illogicità, le doglianze ora proposte risultano del tutto reiterative, sia quanto alla interpretazione del contenuto delle mail, sia quanto alla genuinità delle stesse.
Quanto al primo profilo, deve osservarsi come ogni valutazione di merito è insindacabile nel giudizio di legittimità, salva l’ipotesi in cui essa risult manifestamente illogica – il che nel caso in esame non è: ai foll. 7-10 della sentenza di appello e ai foll. 25 e ss. della sentenza di primo grado, si rinvengono congrue risposte all’ipotesi difensiva che la corrispondenza elettronica fosse relativa a una operazione successiva rispetto a quella distrattiva.
Sono inammissibili, pertanto, tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 13809 del 17 marzo 2015, 0., Rv. 262965).
Inoltre, in questo caso, comunque la doglianza che sollecita una rivalutazione avrebbe dovuto essere veicolata sotto forma di travisamento, ma non risulta allegato il testo delle mail e dei documenti, cosicché la parte fondante la motivazione che accerta la responsabilità dell’imputato resta intangibile a fronte di un motivo aspecifico.
La denuncia sulla non genuinità delle mail trova già congrua risposta nella sentenza di primo grado al fol. 29, trattandosi di mail ricevute o spedite dall’account di Ruta o, comunque, rivenute nel computer di quest’ultimo. Nello stesso senso anche la Corte di appello ha escluso ia natura manipolata del testo delle stesse, in quanto estrapolate dal computer di Ruta, ove si rinvenivano anche quelle fra terzi soggetti coinvolti, in quanto Ruta veniva messo al corrente di tutte le comunicazioni di interesse (fol. 8 e s.).
D’altro canto, a fronte della doppia conforme sul punto, non è consentito a questa Corte prendere in considerazione una ipotesi alternativa, per altro astratta e non dettagliata, che dovrebbe consistere nell’aver Ruta preconfezionato i testi delle mail rinvenute nel proprio computer.
Ne consegue la complessiva infondatezza dei primi due motivi.
3. Quanto al terzo motivo, la Corte di appello fa buon governo dei principi in materia, in quanto dal compendio probatorio trae la prova che Castello avesse ricevuto incarico da Mura, per occuparsi delle questioni relative ai rapporti fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, fosse al corrente della situazione di insolvenza della prima rappresenta la Corte che il debito verso la regione Sardegna, al quale si aggiungeva quello verso il Banco di Sardegna, fosse pari al doppio del risarcimento per l’incendio ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE – tanto che Mura chiedeva proprio a Castello se l’apertura del conto corrente intestato a sua moglie in Svizzera – ove ebbe a essere versata parte della somma distratta – fosse adeguato a evitare la rintracciabilità dell’importo, a riprova della consapevolezza della finalità distrattiva e di pregiudizio per i creditori. Come anche, dimostra il ruolo di Castello – pur non essendo commercialista o legale – il suo coinvolgimento nella stesura dei contratti simulati con ruolo decisivo e nella ricezione dei documenti che dovevano essere per quanto emerge dalle mail «indispensabili a comprovare la bontà dell’investimento e la buona fede per essere più credibili d fronte al P.M».
Corretto è dunque il governo dei principi in materia, richiamati anche dalla Corte di appello, che ha ritenuto un contributo di Castello se non altro a titolo di agevolazione, il che risponde al principio per cui è concorrente in qualità di “extraneus” nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale il legale o il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell’imprenditore o dell’amministratore di una società in dissesto, fornisca a questi
consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori (concorso morale) o lo assista nella conclusione dei relativi negozi (concorso materiale), ovvero svolga un’attività diretta a garantire l’impunità o a rafforzare, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l’altrui progetto delittuoso (Sez. 5, n. 18677 del 08/02/2021, COGNOME, Rv. 281042 – 01; conf. N. 49472 del 2013 Rv. 257566 – 01, N. 39387 del 2012 Rv. 254319 – 01, N. 569 del 2004 Rv. 226973 – 01, N. 10742 del 2008 Rv. 239480 – 01, N. 8276 del 2016 Rv. 267724 – 01).
La motivazione impugnata rende conto del ruolo di Castello nella fase progettuale, facendo da trait d’union fra Mura e Ruta e, poi, in quella esecutiva, collaborando alla stesura dei contratti simulati che dovevano servire a giustificare l’apparente investimento (vedi anche fol. 25 della sentenza di primo grado): si tratta di un contributo morale e materiale, che certamente integra l’agevolazione ed è funzionale a garantire l’impunità o rafforzare l’altrui progetto delittuoso, con la dissimulazione a posteriori rispetto alla distrazione.
Quanto, poi, al dolo richiesto, la natura di reato di pericolo concreto e non di danno del reato di bancarotta patrimoniale in esame, vede il ‘fuoco’ del dolo riguardare non la conoscenza del dissesto della società, elemento estraneo alla fattispecie, bensì la sola prova della consapevolezza e volontà di contribuire a una operazione che sia in sé riduttiva e dannosa per il ceto dei creditori.
Infatti il dolo necessario per la configurabilità della bancarotta fraudolenta patrimoniale è quello generico – sia per l’intraneus che per l’extraneusintegrato dalla volontà di distaccare il bene oggetto di distrazione dal patrimonio della fallita, nella prevedibilità del pericolo che tale operazione può determinare per gli interessi dei creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo o che la finalità di determinarlo colori il dolo del reato come specifico (Sez. 5, n. 9807 del 13 febbraio 2006, COGNOME ed altri, Rv. 234232).
Difatti, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente “extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278156 – 02; conf. N. 1706 del 2014 Rv. 258950 – 01, N. 12414 del 2016 Rv. 267059 – 01, N. 38731 del 2017 Rv. 271123 – 01, N. 9299 del 2009 Rv. 243162 – 01).
Nel caso in esame la Corte di appello, con motivazione non manifestamente illogica, rileva come Castello fosse al corrente della finalità fraudolenta per il ceto creditorio, per il ruolo assunto, il che conferma la motivazione di primo grado, ai foll. 30 e ss., che trae la prova della consapevolezza della messa in pericolo delle ragioni creditorie, nella natura del tutto deviante della operazione di ‘apparente’ investimento, rispetto alla fisiologica gestione dell’impresa, oltre che della finalità della stessa di sottrarre quasi un milione e mezzo di euro all’azione esecutiva del Banco di Sardegna.
Ne consegue la manifesta infondatezza del motivo.
Quanto al quarto e quinto motivo, relativi al trattamento sanzionatorio, vanno congiuntamente trattati.
A ben vedere in ordine alla dosimetria della pena va evidenziato come la stessa sia stata determinata dal Tribunale di Cagliari in anni quattro e mesi sei di reclusione, poi ridotta per il rito ad anni tre.
A ben vedere, si tratta di pena superiore al minimo ma inferiore a quella media: si rinviene nella prima sentenza la ragione di tale misura, ritenuta equa in ragione della apprezzabile gravità dei fatti e della capacità a delinquere dell’imputato, elementi ex art. 133 cod. pen. adeguati a integrare una congrua motivazione.
La Corte di appello risponde alla doglianza, ora reiterata, rappresentando come il trattamento sanzionatorio sia personalizzato per ogni concorrente e non possa procedersi alla comparazione richiesta dalla difesa, come anche richiamando sia il precedente penale per il delitto di abuso di ufficio gravante sull’imputato, sia la gravità del fatto, sia anche l’assenza di iniziative tese al risarcimento del danno rilevante procurato ai creditori.
Si tratta di motivazione oltremodo congrua, tanto più che la misura della pena si colloca ben al di sotto della media edittale, cosicché, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283), risultando comunque il parametro valutativo desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 267949). Requisiti motivazionali sussistenti nella sentenza impugnata, che conducono alla declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza della doglianza.
D’altro canto, proprio il riferimento al precedente penale spiega anche la peculiare dosimetria, anche rispetto ai computati. A riguardo va evidenziato che in tema di ricorso per cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato,
nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali: il che nel caso in esame non è (sul punto Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839 – 01; conf. N. 21838 del 2012 Rv. 252880 – 01, N. 27115 del 2015 Rv. 264020 – 01).
Infatti, sin da epoca risalente si è ribadito che “la determinazione della misura della pena rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito. Nel caso di pluralità di imputati, il giudice, mentre ha l’obbligo di motivare sull’uso del suo potere discrezionale di determinazione della pena, non è tenuto, invece, a procedere ad una comparazione fra le diverse posizioni degli imputati stessi” (in termini, Sez. 2, n. 1025 del 16/10/1978, dep. 1979, Rv. 140958; nello stesso senso, ex plurimis, Sez. 6, n. 24402 del 12/03/2008, Rv. 240356).
Infine, gli elementi ex art. 133 cod. pen. richiamati dalla Corte di appello conducono la stessa a confermare la valutazione di equivalenza fra le circostanze, il che rende non sindacabile tale opzione: infatti, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. Un., n. 10713 del 25 febbraio 2010, COGNOME, Rv. 245931).
I motivi, dunque, sono manifestamente infondati.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/1/2025