Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13628 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13628 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Misterbianco il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 02/03/2023 della Corte di appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Trieste ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Trieste del 7 ottobre 2021 che, per quanto di interesse in questa sede, aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo 3) e bancarotta semplice documentale (capo 5) unificati a fini sanzionatori in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravata ex art. 219, secondo comma, n. 1, r.d. n. 267 del 1942 e, applicate le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, lo aveva condannato alla pena di anni due di reclusione ed alle pene accessorie
fallimentari per una durata pari a quella della pena principale, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile fallimento RAGIONE_SOCIALE
In particolare, la Corte territoriale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dello COGNOME per il reato di bancarotta semplice documentale perché estinto per prescrizione e ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.
In particolare, allo COGNOME si contesta di avere partecipato alla distrazione di venti o trenta scatoloni contenenti merce che NOME COGNOMECOGNOME amministratore della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 6 luglio 2015, gli avrebb consegnato senza ricevere alcun corrispettivo e che lo COGNOME avrebbe poi rivenduto utilizzando il ricavato per acquistare le quote della società.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidando le sue censure a tre motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e contraddittorietà della motivazione della sentenza di appello in ordine all’affermazione di penale responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Sostiene che il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale richiede il dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori e che questo non sarebbe ravvisabile nel caso di specie, in quanto lo COGNOME neppure poteva essere a conoscenza dello stato di insolvenza della società, e che non può essere affermata la penale responsabilità dell’amministratore di una società esclusivamente sulla base del mancato rinvenimento di beni di cui la società abbia avuto il possesso in data anteriore al fallimento.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in ordine al diniego dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.
Sostiene che il suo contributo al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è di minima rilevanza, essendosi egli limitato a ricevere gli scatoloni dal COGNOME, utilizzando il ricavato della loro vendita nel proprio esclusivo interesse.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge in riferimento all’aggravante dei più fatti di bancarotta.
Evidenzia che la Corte di appello ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui al capo 5), ma non ha escluso l’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta e, soprattutto, non ha ridotto la pena, sostenendo che la Corte di appello avrebbe dovuto motivare in ordine all’esercizio del suo potere
discrezionale attinente alla quantificazione del trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico; è, pertanto, sufficiente che la c:ondotta di colui ch compie l’attività distrattiva o ad essa partecipa sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale sono idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo (Sez. 5, Sentenza n. 51715 del 05/11/2014, Rebuffo, Rv. 261739).
Peraltro, questa Corte di cassazione ha già affermato, in tema di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, che il dolo dell’extraneus è configurabile ogniqualvolta egli apporta un contributo causale volontario al depauperamento del patrimonio sociale, non essendo richiesta la consapevolezza dello stato di dissesto della società (Sez. 5, Sentenza n. 54291 del 17/05/2017, Bratomi, Rv. 271837).
Del tutto correttamente, quindi, la Corte di appello ha ritenuto che l’odierno ricorrente, ricevendo gli scatoloni contenenti merce appartenente alla società poi fallita, abbia volontariamente contribuito alla condotta del COGNOME, della cui natura distrattiva era ben consapevole, non avendo versato per tali scatoloni alcun corrispettivo, risultandogli quindi evidente che con essa veniva depauperata la società.
Quanto al diverso principio invocato dal ricorrente (secondo il quale, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è illegittima l’affermazione della responsabilità dell’amministratore fondata esclusivamente sul mancato rinvenimento – all’atto della redazione dell’inventario da parte del curatore – di dati beni di cui la società abbia avuto il possesso in epoca anteriore e prossima al fallimento, qualora sia subentrato un nuovo amministratore con estromissione del precedente dalla gestione dell’impresa, considerato che, in tal caso, la responsabilità dell’amministratore cessato può essere affermata solo a condizione che risulti dimostrata la collocazione cronologica degli atti di distrazione nel corso della sua gestione o l’esistenza di un accordo con l’amministratore subentrato per il compimento di tali atti (Sez. 5, n. 172 del 07/06/2006, dep. 2007, Vianello, Rv. 236031), esso non è pertinente al caso di specie, atteso che l’affermazione di penale responsabilità del ricorrente si basa non sul mancato rinvenimento delle merci all’atto della redazione dell’inventario da parte del curatore fallimentare, ma sulla accertata consegna delle merci all’imputato.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, sia per la sua genericità, sia perché dalla dalla ricostruzione fattuale operata dai giudici del merito non emerge che il ruolo dello COGNOME nella commissione del reato sia diverso e minore rispetto a quello del COGNOME, poiché questo ha potuto consegnare gli scatoloni allo COGNOME in quanto quest’ultimo ha manifestata la sua disponibilità a riceverli.
3. Il terzo motivo di ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.
Nel dispositivo della sentenza qui impugnata non viene espressamente menzionata l’esclusione dell’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, sebbene essa risulti evidente dalla dichiarazione di estinzione del reato di cui al capo 5).
In proposito sono ravvisabili due orientamenti.
Secondo un più risalente orientamento, è inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’imputato preordinata ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante quando la stessa sia stata già ritenuta sub-valente rispetto alle riconosciute attenuanti (Sez. 1, n. 43269 del 25/09/2019 Rv. 277144; Sez. 2, n. 38697 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264803; Sez. 3, n. 16717 del 09/03/2011, COGNOME, Rv. 250000), atteso che l’effetto della circostanza aggravante viene eliso dalla prevalenza delle attenuanti.
Più recentemente si è affermato altro orientamento che afferma che sussiste l’interesse all’impugnazione dell’imputato che propone appello al fine di ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante anche quando cori il provvedimento impugnato gli siano state concesse circostanze attenuanti con giudizio di prevalenza su tale aggravante, poiché costituisce suo diritto vedersi riconoscere colpevole di una condotta meno grave di quella contestatagli (Sez. 1, n. 35429 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 261453; Sez. 6, Sentenza n. 19188 del 10/01/2013, Rv. 255071), in quanto il giudizio di comparazione spiega i suoi effetti solo sulla determinazione della pena, ma lascia inalterata la valutazione deteriore del fatto e della personalità dell’imputato (Sez. 5, n. 37095 del 22/04/2009, Rv. 246580).
Più recentemente questa Sezione, con altra decisione (Sez. 5, n. 24622 del 09/05/2022, COGNOME, Rv. 283259), nell’aderire al secondo degli orientamenti sopra esposti, citando un altro precedente (Sez. 1, n. 977 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252062, richiamata adesivamente anche da Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260700) ha evidenziato che «allorché si parla di norma penale in senso stretto, s’intende comunemente fare riferimento nell’accezione mutuata dall’art. 25, secondo comma, Cost. – alle disposizioni che comminano una pena o che determinano una differenza di pena in
conseguenza di determinati comportamenti o situazioni» (e, dunque, anche alle circostanze aggravanti), sicché «nella misura in cui da dette norme deriva una sanzione criminale per un aspetto dell’agire umano, di esse può dirsi altresì che sono analoghe alle norme incriminatrici, essendo indifferente, da tale punto di vista, che istituiscano un autonomo titolo di reato o una circostanza aggravante».
Questo Collegio ritiene, invece, preferibile il primo orientamento, atteso che ritiene pienamente condivisibili gli argomenti sui quali esso poggia.
Peraltro, nel caso di specie, la pena è stata determinata in anni due di reclusione, partendo da una pena base pari al minimo edittale di tre anni e riducendo tale pena nella massima estensione di un terzo per le attenuanti prevalenti. L’aggravante, quindi, non ha neppure esercitato alcuna influenza sulla determinazione della pena base secondo i criteri fissati dall’art. 133 cod. pen. e quindi sul punto, essendo la pena insuscettibile di ulteriore riduzione, appare insussistente un concreto interesse del ricorrente all’accoglimento del motivo di ricorso.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/12/2023.