Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26874 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26874 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a NAPOLI il 01/05/1978 NOME COGNOME NOME nato a GIUGLIANO IN CAMPANIA il 20/08/1967 NOME nato a NAPOLI il 24/09/1972 NOME COGNOME NOME nato a MUGNANO DI NAPOLI il 13/03/1975 DE COGNOME nato a NAPOLI il 04/03/1987 NOME nato a MUGNANO DI NAPOLI il 02/12/1985 NOME nato a NAPOLI il 25/09/1982 NOME nato a MELITO DI NAPOLI il 07/09/1961 NOME nato a NAPOLI il 08/02/1979 NOME nato a NAPOLI il 13/05/1968
avverso la sentenza del 10/01/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo:
per NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME l’inammissibilità dei ricorsi;
per NOME NOME e NOME il rigetto dei ricorsi;
per chiede il rigetto del ricorso; per chiede il rigetto del ricorso.
uditi i difensori presenti degli imputati avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata nel preambolo, in riforma della pronuncia emessa dal G.i.p. del Tribunale della medesima sede giudiziaria in data 20.7.2022 ha rideterminato, su accordo delle parti sensi degli artt. 599 e 599bis cod. proc. pen., la pena inflitta a:
–NOME COGNOME ritenuto colpevole del delitto di estorsione pluriaggravata di cui al capo N), in anni due, mesi otto di reclusione ed euro 4.000,00 di multa
NOME COGNOME ritenuto colpevole del delitto associativo di cui al capo A), in anni sei, mesi otto di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti;
–NOME COGNOME ritenuto colpevole dei delitto di estorsione pluriaggravata di cui al capo F), in anni quattro, mesi cinque e giorni venti di reclusione ed euro 1.333,00 di multa, previo riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art 629, secondo comma, cod. pen.;
NOME COGNOME ritenuto colpevole dei delitti di estorsione pluriaggravati di cui ai capi ) e F) , in anni quattro, mesi otto di reclusione ed euro 3.000,00 di multa;
–NOME COGNOME ritenuto colpevole del delitto di estorsione pluriaggravata di quel capo D), in anni quattro, mesi cinque, giorni venti di reclusione ed euro 1.333,00 di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art 629, secondo comma, cod. pen.
La Corte distrettuale ha, altresì, rideterminato in anni sette di reclusione la pena inflitta a NOME COGNOME ritenuto colpevole del delitto associativo di cui al capo A) e del delitto di estorsione pluriaggravata di cui al capo N), previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di quell’articolo 416bis , quarto comma, cod. pen.
Infine, ha confermato la condanna nei confronti di:
Di NOME COGNOME ritenuta colpevole dei delitti di estorsione pluriaggravati di cui ai capi E) ed F), e per l’effetto, condannata alla pena di anni seu di reclusione ed euro 10.000, 00 di multa;
–NOME COGNOME ritenuto colpevole dei delitti di estorsione pluriaggravati cui ai capi E) ed F), e, per l’effetto, condannato alla pena di anni sei di reclusione ed euro 10.000, 00 di multa;
NOME COGNOME ritenuto colpevole del diritto associativo di quel capo A) e dei delitti di estorsione pluriaggravati di cui capi D), E), F), G), I), L), e M) e, per l’effetto, condannato alla pena di anni tredici e mesi quattro di reclusione, previo riconoscimento del vincolo della continuazione;
NOME COGNOME ritenuto colpevole del delitto associativo di cui al capo A) e del delitto di estorsione pluriaggravata di cui al capo D), e, per l’effetto, condannato alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione, previo riconoscimento del vincolo della continuazione.
2. Il compendio probatorio posto a fondamento del giudizio di penale responsabilità a carico degli imputati è costituito dalle dichiarazioni, in vario modo accusatorie, rese dai collaboratori di giustizia e dalle persone offese, da più sentenze irrevocabili, dai risultati dell’attività di intercettazione, telefonica e ambientale, dalle attività di perquisizione e sequestro nonché di osservazione e controllo del territorio svolte in numerose occasioni dal personale di polizia giudiziaria.
Il complesso di tali elementi probatori ha consentito di accertare l’operatività nel periodo di interesse del sodalizio mafioso contestato al capo A) della rubrica con particolare riguarda al settore delle estorsioni ai commercianti operanti nelle zone di Melito di Napoli e nei comuni limitrofi.
L ‘ attività investigativa ha preso avvio da un controllo effettuato il 15 novembre 2013 dai Carabinieri e dalla successiva perquisizione dell’auto vettura Fiat Panda su cui viaggiavano COGNOME NOME e COGNOME NOME. A ll’ interno del veicolo veniva rinvenuta un’agenda riportante i nominativi di numerose attività commerciali con accanto diverse diciture quali ‘ ok ‘ , ‘ ripassare ‘ , ‘ negativi ‘.
Supponendo che si trattasse di atti inerenti alla imposizione di tangenti ai danni dei negozianti, venivano avviate varie attività investigative – tra cui quella, rivelatasi fondamentale, di captazione ambientale degli uffici dell ‘ ASCOM di Melito, dal marzo 2019 divenuta AICAST tese ad accertare l’effettiva perpetrazione dei delitti di estorsione da parte di soggetti appartenenti alle consorterie camorristiche.
Dalle intercettazioni, registrate sin dai primi mesi dell’anno 2014, emergevano numerosi contatti tra Papa Antonio, presidente della suddetta associazione, i componenti del ‘ gruppo estorsione ‘ del sodalizio COGNOME –COGNOME e alcuni personaggi di rilievo del medesimo sodalizio criminale, aventi ad oggetto anche e soprattutto la gestione delle attività di imposizione dei gadget pubblicitari ai commercianti di quell’area territoriale.
Un contributo particolarmente significativo veniva reso dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME COGNOME
COGNOME, direttamente coinvolto nel sistema, forniva preziose e dettagliate informazioni sulle modalità in cui si articolava il fenomeno estorsivo attenzionato, ovvero attraverso l’imposizione durante il periodo natalizio ai negozianti e gli imprenditori dell’acquisto di gadget pubblicitari, di modestissimo valore commerciale, ad un prezzo variabile il cui versamento nascondeva il pagamento di una vera e propria tangente.
3. Le posizioni dei singoli imputati.
3.1. NOME COGNOME è stato riconosciuto, in esito al giudizio di primo grado, colpevole del delitto di estorsione pluriaggravata di cui al capo N) e, per l’effetto, condannato alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 6.000,00 di multa.
Nel giudizio di appello ha rinunciato a tutti i motivi di gravame, concordando ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen. la pena di anni due, mesi otto di reclusione ed euro 4.000,00 di multa.
3.2. I coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati riconosciuti colpevoli dei delitti di estorsione pluriaggravata di cui ai capi E) e F).
Secondo la ricostruzione dei Giudici del merito, agendo in concorso con altri, avevano contribuito ad imporre, in occasione delle festività natalizie degli anni 2017 e 2018, a centinaia di operatori commerciali di Melito e Mugnano, l’indebito acquisto, al prezzo di 100 o 150 euro, di gadget/pacchi/pubblicità di scarso valore, mediante minaccia consistita nella prospettata provenienza della richiesta da appartenenti al clan COGNOME, organizzazione criminale di natura camorristica, nota nel territorio per esercitarvi da molti anni un penetrante e diffuso controllo.
L ‘attività estorsiva, che aveva procurato complessivi incassi annuali pari a circa 90.000 euro per l’anno 2017 e a 80.000 euro per l’anno successivo, con conseguente ingiusto profitto ai danni delle vittime, prevedeva una distribuzione dei ruoli tra i concorrenti ed il coordinamento organizzativo di Papa: alcuni erano addetti alle visite presso i singoli esercizi commerciali in cui proponevano ai titolari l’acquisto dei gadget, lasciando intendere la loro appartenenza al clan e,
in caso di necessità, si premuravano di segnalare all’organizzazione il nome dell’esercente commerciale che aveva rifiutato l’acquisto; altri provvedevano alla consegna dei “pacchi/gadget/pubblicità” e alla riscossione delle somme di denaro; NOME COGNOME e NOME COGNOME si occupavano, invece, di fornire il materiale pubblicitario (accendini, calendari, penne) da inserire nei ‘ pacchi ‘ , provvedendo, dietro compenso, a compiere tutte le operazioni necessarie (dalla stampigliatura, alle iscrizioni serigrafiche fino al confezionamento).
3.3. NOME COGNOME è stato riconosciuto, in esito al giudizio di primo grado, colpevole del delitto associativo di cui al capo A) dell’imputazione e, per l’effetto, condannato alla pena di anni otto di reclusione.
Ha rinunciato a tutti i motivi di gravame, concordando ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen. la pena di anni sei, mesi otto di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti.
3.4. NOME COGNOME è stato riconosciuto, in esito al giudizio di primo grado, colpevole del delitto associativo di cui al capo A) nonché del delitto di estorsione pluriaggravata di cui al capo N) e, per l’effetto, condannato alla pena di anni otto e mesi otto di reclusione.
Ha rinunciato a tutti i motivi di impugnazione riguardanti il merito, con la sola eccezione di quelli relativi al profilo strettamente sanzionatorio.
3.5. NOME COGNOME è stato riconosciuto, in esito al giudizio di primo grado, colpevole del delitto di estorsione pluriaggravata di cui al capo D) e, per l’effetto, condannato alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 6.000,00 di multa
Ha rinunciato a tutti i motivi di gravame, concordando ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen. la pena di anni quattro, mesi cinque, giorni venti di reclusione ed euro 1.333,00 di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 629, secondo comma, cod. pen.
3.6. NOME COGNOME è stato riconosciuto, in esito al giudizio di primo grado, colpevole del delitto di estorsione pluriaggravata di cui al capo F) e, per
l’effetto, condannato alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 6.000,00 di multa.
Ha rinunciato a tutti i motivi di gravame, concordando ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen. la pena di anni quattro, mesi cinque, giorni venti di reclusione ed euro 1.333,00 di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 629, secondo comma, cod. pen.
3.7. NOME NOME, oltre a concorrere alla consumazione dei reati di estorsione pluriaggravati di cui ai capi D), E), F), G), I), L) e M), è stato ritenuto colpevole di aver preso parte all’ associazione di stampo camorristico denominata clan COGNOME–COGNOME, operante in Napoli, Scampia, Secondigliano ed altre zone limitrofe, con condotta perdurante iniziata dall’anno 2005.
A suo carico si è accertato lo svolgimento del ruolo di coordinatore delle estorsioni perpetrate dal sodalizio, principalmente la vendita/imposizione dei gadget pubblicitari, abilmente sfruttando la sua qualità di presidente dell’associazione commercianti di Melito (ASCOM), attiva dal gennaio 2000, per poi assumere, a partire dal 20 Marzo 2019, il ruolo di rappresentante legale dell’associazione industria commercio artigianato servizi turismo e trasporti (RAGIONE_SOCIALE) e, conseguentemente, la conoscenza profonda delle attività commerciali insistenti sui territori di Melito e Mugnano, nonché il coordinamento delle attività estorsive.
3.8. NOME COGNOME è stato riconosciuto, in esito al giudizio di primo grado, colpevole dei delitti di estorsione pluriaggravati di quei capi E) ed F) e ,per l’effetto, condannato alla pena di anni sei di reclusione ed euro 10.000,00 di multa.
Ha rinunciato a tutti i motivi di gravame, concordando ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen. la pena di anni quattro, mesi otto di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, così determinata: pena base per il più grave delitto di cui al capo E), riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla circostanza aggravante di cui all’art 629, secondo comma, cod. pen., anni cinque di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, aumentata per la circostanza di
quell’articolo 416bis .1 cod. pen. ad anni sei, mesi otto di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, ulteriormente aumentata per la continuazione con il delitto di estorsione di cui al capo E) ad anni sette di reclusione ed euro 4.500,00 di multa, ridotta per il rito abbreviato alla pena finale predetta.
3.9. NOME COGNOME è stato riconosciuto colpevole del reato di partecipazione al clan COGNOME, sin dalla sua costituzione.
In particolare, si è ritenuto che egli avesse apportato il suo contributo partecipativo nel settore delle estorsioni ai danni degli operatori commerciali di Melito e di Mugnano, contribuendo, in particolare, alla consumazione delle estorsioni di cui al capo D), avente ad oggetto l’imposizione degli indebiti acquisti di gadget in occasione delle festività natalizie dell’anno 2014, scegliendo e coordinando i correi incaricati di recarsi presso i singoli esercizi commerciali per esternare le proposte.
Avverso la sentenza ricorrono per cassazione gli imputati COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME Domenico, COGNOME RaffaeleCOGNOME COGNOME DomenicoCOGNOME COGNOME NOMECOGNOME VincenzoCOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME GiuseppeCOGNOME
4.1. NOME COGNOME ricorre, per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo con cui denuncia mancanza erroneità e contraddittorietà della motivazione con conseguente nullità della sentenza.
La Corte si è limitata a ritenere irrilevanti le questioni sulle quali vertevano i motivi di appello, ritenendo decisiva la rinuncia. Avrebbe dovuto, invece, rilevare l’assoluta carenza di prova in ordine alla consapevolezza del carattere estorsivo delle richieste di denaro avanzate dal ricorrente.
Parimenti, risultano insussistenti gli estremi, specie di carattere soggettivo, sia dell’aggravante delle più persone riunite sia dell’aggravante dell ‘agevolazione e del metodo mafioso.
4.2. NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per il tramite del comune difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME che ha redatto un unico atto di impugnazione affidato a tre motivi.
4.2.1. Con il primo è dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui capi E) e F), anche sotto il profilo del mancato esame delle doglianze esposte nell’atto di appello.
Secondo il ricorrente, il percorso logico-giuridico della sentenza non offre, anche considerato l’omesso esame di tutti i rilievi difensivi, una adeguata motivazione circa la sussistenza, in capo agli odierni imputati dell’elemento psicologico richiesto dalla norma incriminatrice.
Il materiale investigativo confluito nel fascicolo del giudizio abbreviato è stato oggetto di travisamento della prova da parte del G.U.P e successivamente anche dalla Corte di Appello.
Contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici del merito, NOME COGNOME si è interfacciata con il correo Papa sempre e soltanto nella sua qualità di imprenditrice titolare di una ditta individuale, che si occupava di stampa e serigrafia, interessata alla proposta commerciale avanzata dal suo interlocutore, ritenuto contraente pienamente affidabile in virtù della carica di presidente dell’associazione di categoria dei commercianti di Melito di Napoli, in più occasioni protagonista di iniziative pubbliche sul territorio.
NOME COGNOME non ha svolto alcun ruolo gestionale e direttivo, né nella scelta degli esercizi commerciali interessati, né nella determinazione della quantità dei gadget richiesti, né in occasione della pattuizione del prezzo, essendosi limitata esclusivamente ad eseguire la prestazione contrattuale cui si era obbligata ed essendo rimasta totalmente ignara delle eventuali offerte e proposte, nonché delle modalità con cui queste venivano prospettate ai commercianti di zona, da chi venivano attuate e soprattutto da chi venivano direzionate.
Non aveva, quindi, avuto alcuna consapevolezza e volontà (ELIMINARE del piano criminoso) di agevolare il sodalizio criminoso attraverso il sistema delle
imposizioni, atteso il ruolo ancillare e di mera esecutrice di quanto a lei commissionato dal presidente Papa.
Al più, alla COGNOME può addebitarsi di avere svolto le prestazioni richieste in evasione delle obbligazioni tributarie, servendosi di altri colleghi operanti nel settore per il rilascio delle fatture fiscali da consegnare ai commercianti che le richiedevano.
Dalle intercettazioni non si ricava il dato della conoscenza da parte della ricorrente del coinvolgimento nell’operazione del clan COGNOME–COGNOME.
Basti pensare che in nessuna occasione si è registrata la concomitante presenza o anche un solo incontro tra la COGNOME e un coimputato legato al predetto sodalizio se si esclude un fugace saluto con NOME COGNOME, causalmente incontrato sulla porta di ingresso degli uffici dell’ associazione presieduta da Papa.
Con argomenti parimenti illogici ed attraverso il travisamento del compendio probatorio, la Corte territoriale ha ritenuto il pieno coinvolgimento nell’ attività estorsiva del marito della COGNOME, NOME COGNOME.
Alla difesa che aveva evidenziato, esibendo all’uopo idonea documentazione, che COGNOME era titolare, da molti anni prima dei fatti delittuosi, di una propria ditta esercente l’ attività di cura e della manutenzione del verde pubblico e privato e che, pertanto, non aveva avuto alcuna possibilità di occuparsi della stamperia della moglie, che lavorava in nero, la Corte non ha opposto alcun argomento convincente, continuando ad attribuire rilevanza a un numero insignificante di intercettazioni il cui contenuto non ha valenza accusatoria.
Non è condivisibile il ragionamento seguito dalla sentenza impugnata che ha esteso la rilevanza probatoria dell’attività di captazione iniziata nel 2018 per dimostrare la responsabilità concorsuale dei ricorrenti anche con riferimento al medesimo fatto estorsivo, consumatosi l’anno precedente. Difetta, infatti, qualsivoglia riscontro estrinseco, mentre alcuni dialoghi sono indicativi della circostanza che i coniugi COGNOME NOME COGNOME non erano stati coinvolti nell’anno 2017 alla operazione commerciale dei gadget natalizi.
4.2.2. Con il secondo motivo è dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’ art. 629, secondo comma, cod. pen., all’art. 628 terzo comma n. 1) e 3) cod. pen. nonché all’art. 416bis .1 cod. pen.
La sentenza impugnata, con riferimento alla posizione specifica dei ricorrenti, non ha fornito un’adeguata motivazione in ordine alla sussistenza delle circostanze aggravanti ad effetto speciale delle più persone riunite e dell’essere la violenza o la minaccia stata posta in essere da persona che fa parte di un’associazione mafiosa.
Non è stato affrontato il tema, già sottoposto dalla difesa nell’atto di appello , della consapevolezza da parte della COGNOME e di COGNOME in ordine alla simultanea presenza in occasione delle offerte dei gadget pubblicitari di più soggetti in grado di avvalersi della forza di intimidazione promanante dall’associazione camorristica denominata clan COGNOME–COGNOME, nonostante sia rimasto accertato che la COGNOME è sempre stata all’oscuro delle modalità di svolgimento delle fasi di consegna della merce ai commercianti acquirenti nonché delle modalità di pagamento, essendosi limitata alla consegna della merce ad NOME COGNOME
L’aggravante dell’ art. 416bis .1 cod. pen. è stata ritenuta sussistente senza il necessario confronto con l’intero compendio probatorio acquisito al fascicolo del giudizio abbreviato, che esclude contatti abituali ed intensi tra i ricorrenti ed i coimputati ritenuti affiliati alla consorteria camorristica, con l’esclusione di NOME COGNOME che però era frequentato esclusivamente nella qualità di presidente dell’associazione dei commercianti di Melito, senza alcuna consapevolezza che l’ operazione commerciale dallo stesso proposta fosse riconducibile al clan COGNOME–COGNOME.
4.2.3. Con il terzo motivo è dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62bis c.p.
La Corte d’Appello ha escluso il beneficio sulla scorta di una ‘ motivazione suppositiva e per certi versi contraddittoria ‘ , facendo leva sul fine asseritamente perseguito di agevolare il clan COGNOME–COGNOME, di cui tuttavia non vi è adeguata prova. Ha preferito procedere ad una valutazione globale ed indifferenziata delle
posizioni soggettive di tutti gli imputati pur chiamati a rispondere di addebiti molto diversi, il che ha impedito di apprezzare, in conformità ai parametri normativi e dei principi fissati dalla richiamata giurisprudenza di legittimità, gli elementi positivi dedotti dalla difesa: il ruolo marginale, le ammissioni fatte in sede processuale, la personalità positiva.
4.3. NOME COGNOME ricorre, per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo con cui denuncia violazione di legge e vizio di motivazione relazione all’articolo 416bis quarto comma cod. pen.
Lamenta che la Corte territoriale, erroneamente applicando l’art. 599 bis cod. proc. pen., ha continuato a ritenere sussistente l’aggravante dell’associazione armata in assenza di prova che l’imputato fosse a conoscenza della disponibilità di armi da parte della consorteria criminale.
La Corte d’appello, in sede di ratifica del concordato, avrebbe dovuto procedere ad un’autonoma analisi volta all’eventuale esclusione dell’aggravante de qua o alla sua soccombenza nel giudizio di bilanciamento con le concesse attenuanti generiche, così da pervenire ad una pena finale diversa e quindi meno gravosa rispetto a quella indicata.
4.4. NOME COGNOME ricorre, per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo con cui denuncia vizio di motivazione.
Lamenta che la sentenza impugnata, nel negare il giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche sulle aggravanti, ha accomunato ingiustificatamente la sua posizione a quella degli altri imputati rinuncianti ai motivi di appello.
La Corte di appello, nel determinare il trattamento sanzionatorio ed in particolare nel formulare il giudizio di bilanciamento tra attenuanti generiche ed aggravanti, non ha operato il confronto tra le singole posizioni, muovendo dall’ erroneo presupposto che tutti avessero le medesime caratteristiche soggettive e tutti fossero destinatari dello stesso capo di imputazione con la conseguenza di appiattire le posizioni.
Avrebbe, invece, dovuto esaminare ogni singola posizione valutando caso per caso l’opportunità di riconoscere o meno la prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Se così avesse fatto, avrebbe dovuto necessariamente valorizzare il dato, pacifico ed incontestato, che COGNOME a differenza degli altri imputati, era incensurato e giovanissimo.
4.5. NOME COGNOME ricorre per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo con cui denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione gli artt. 133 e 62bis cod. pen.
Lamenta l’assenza di idonea motivazione attestante il percorso logico giuridico adottato dalla Corte distrettuale in punto di negazione implicita dell’invocato beneficio di cui all’ art. 62bis cod. pen. nella massima estensione, nonché l’assenza di motivazione circa il mancato riconoscimento dell ‘ attenuante del contributo di minima importanza.
La sentenza impugnata avrebbe dovuto tenere in considerazione i positivi elementi offerti dalla difesa al fine di attenuare la pena ed in particolare il positivo comportamento processuale, la collaborazione prestata ed il ravvedimento.
4.6. NOME COGNOME ricorre per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articola un unico motivo con cui denuncia mancanza erroneità e contraddittorietà della motivazione, con conseguente nullità della sentenza.
La Corte si è limitata a ritenere irrilevanti le questioni sulle quali vertevano i motivi di appello, ritenendo decisiva la rinuncia.
Avrebbe dovuto rilevare l’insussistenza della fattispecie di estorsione sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto il profilo soggettivo.
Difettano gli elementi probatori da cui desumersi che i soggetti addetti alla vendita dei gadget abbiano tenuto una condotta idonea a integrare la minaccia o la violenza.
Carente è la prova che il ricorrente fosse consapevole di agire nell’interesse di un’entità rilevante ex art. 416bis cod. pen., come tale portatrice di una carica autonoma di intimidazione e non bisognevole pertanto di concreta esplicitazione
4.7. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME articolando nove motivi.
4.7.1. Con i primi due motivi, deduce, con riferimento al delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, violazione della norma incriminatrice di cui all’art. 416bis cod. pen., a mente dell’art. 606 lett. b), cod. proc. pen nonché, a mente dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., vizio di motivazione rispetto all’accertamento fattuale contenuto negli atti utilizzabili ai fini della decisione e, nello specifico, rispetto alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME e al contenuto di alcune specifiche conversazioni intercettate.
Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale ha recepito acriticamente le osservazioni del G.i.p. e non ha preso in esame le argomentazioni difensive.
Ha, infatti, continuato a ritenere attendibili le dichiarazioni di COGNOME secondo cui Papa era al servizio della consorteria a partire dall’anno 2005 e fino ad una data non individuata, vestendo i panni del “loro uomo che stava al Comune”, probabilmente dietro la corresponsione dello stipendio, nonostante l’ inverosimiglianza e l’assenza di riscontri.
Nessuna risposta è stata fornita ai rilievi difensivi che avevano evidenziato la contraddittorietà delle dichiarazioni accusatorie di COGNOME.
La Corte avrebbe dovuto spiegare le ragioni dell’assenza del nome di NOME nel libro paga, consegnato dallo stesso COGNOME all’Ufficio di Procura, all’atto della dichiarazione di volere intraprendere il percorso di collaborazione con la giustizia, in cui erano annotati i soggetti regolarmente stipendiati dal clan, e, correlativamente, le ragioni della perduranza dei suoi rapporti con l’associazione nonostante la cessazione della corresponsione dello stipendio dopo la cattura di NOME COGNOME.
Dalla lettura complessiva degli atti utilizzabili ai fini decisori, non si rinviene alcuna prova certa idonea a dimostrare né che Papa fosse stipendiato dal clan, né che godesse dei proventi illeciti derivanti dalle svariate attività delittuose poste in essere dalla stessa associazione, né che, come riferito dal collaboratore, fosse direttamente e materialmente coinvolto nel giro dell’estorsioni, essendosi,
a tutto concedere, limitato ad individuare i commercianti a cui proporre l’acquisto dei gadget natalizi, oggetto delle imputazioni dei reati fine, senza mai partecipare ad attività in qualche modo volte a coartare la loro volontà.
Neanche COGNOME, nel descrivere le modalità adottate al fine di proporre i gadget pubblicitari agli esercenti locali, ha riferito che Papa svolgesse personalmente detta attività attraverso la spendita del nome della consorteria, né che lo stesso agisse allo scopo diretto di operare a discapito dei commercianti che avrebbe – stante la sua qualità professionale- dovuto invece tutelare.
Al contrario, dalle conversazioni captate, in particolare dalla n. 4285 del 15.09.2014, si desume che l’intento del Papa era quello di evitare che i commercianti potessero essere sottoposti a pressioni, ripudiando espressamente l’attività estorsiva.
La Corte distrettuale, in punto di affermazione di responsabilità per il delitto associativo si è soffermata solo sul concorso nei diversi delitti estorsivi ascrittigli e sui rapporti con soggetti intranei al sodalizio, ma non ha approfondito né il tema della sussistenza del dolo d’appartenenza, inteso come volontà del soggetto di partecipare alla vita dell’associazione camorristica clan COGNOME, condividendone gli scopi, né il tema dello stabile inserimento nel sodalizio con un contributo, duraturo, orientato a garantire il mantenimento in vita del sodalizio.
E’ pacifico che Papa si è occupato solo dell’affare della vendita dei gadget pubblicitari che, anche secondo l’accusa , rappresenta soltanto una delle attività cui era dedito il clan COGNOME–COGNOME, storicamente radicato sui territori di Scampia, Secondigliano, Mugnano, Melito, Casavatore e Arzano ed operante nell’ambito dei più disperati settori illeciti, in primis quello relativo al traffico di sostanze stupefacenti.
Anche ammettendo che la vicenda relativa ai gadget natalizi configuri una fattispecie penalmente rilevante, non può sostenersi che il contributo offerto da Papa alla realizzazione di tali attività contribuisse alla floridità d ell’intero settore delle estorsioni perseguite dal clan COGNOME, considerato che si è sviluppato nell’ambito di un periodo oggettivamente limitato.
Il “dolo d’appartenenza” è stato desunto solo ed esclusivamente dalla circostanza che il ricorrente intratteneva rapporti con un soggetto, COGNOME Giuseppe, affiliato al clan, trascurando, tuttavia, il dato che era solo quest’ultimo, secondo la ricostruzione della dinamica relativa ai gadget natalizi, a rapportarsi con il clan.
Quanto all’elemento dell’ affectio societatis , i Giudici del merito non hanno preso in esame le circostanze dedotte dalla difesa nell’atto d’appello ed in tal modo hanno ignorato che NOME non era stipendiato, non era stato posto dalla consorteria al vertice delle associazioni di categoria, non condivideva le modalità esecutive del sodalizio.
Solo ammettendo la estraneità di Papa al sodalizio si spiega perché lo stesso ha espressamente disposto agli incaricati di “proporre” e non “imporre” l’acquisto dei gadget.
La richiesta di riqualificazione giuridica del fatto nell’ipotesi meno grave del concorso esterno – configurabile nei confronti di chi rimane estraneo al vincolo associativo, pur fornendo un contributo causalmente orientato alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione ovvero di una sua articolazione di settore o territoriale, nonché diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso -è stata esclusa richiamando plurimi precedenti giurisprudenziali, ma glissando oggettivamente sulle argomentazioni difensive dedotte nell’atto d’appello.
4.7.2. Con il terzo motivo denuncia, con riferimento ai capi I), L), M), mancanza assoluta di motivazione in violazione degli artt. 606 co. 1 lett. e), 546 co. 1 lett. e), 125 co. 3 cod. proc. pen.
Lamenta che la Corte territoriale ha deliberatamente omesso, in applicazione del principio devolutivo, l’approfondimento delle tematiche relative ai capi di imputazione I), L) ed M) sul presupposto che la difesa appellante aveva chiesto genericamente l’assoluzione , senza, però, avanzare specifiche censure che erano state espressamente limitate ai delitti di estorsione pluriaggravata di cui ai capi D) della rubrica, concernente l’imposizione di gadget natalizi nell’anno
2014, E) e F) concernenti la medesima attività questo negli anni 2017 e 2018, e G) relativo all’estorsione perpetrata ai danni di NOME COGNOME
In realtà i motivi di appello posti a sostegno dei capi riguardanti i delitti D), E), F), G), erano pacificamente estensibili ai capi I), L) ed M), trattandosi di ipotesi di reato strettamente connesse tra loro e dotate delle medesime caratteristiche, sia in termini di condotta ed evento, oltre che per state essere perpetrate nei confronti delle medesime parti offese.
4.7.3. Con il quarto ed il quinto motivo, trattati promiscuamente, deduce violazione di legge con riferimento alla sussistenza dei requisiti giuridici utili a ritenere configurabile il delitto di estorsione contestato ai capi D), E), F), G), I), L), ed M), nonché vizio di motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi integrativi della fattispecie delittuose contestate D), E), F), G), I), L), ed M)
Sostiene il ricorrente che la Corte distrettuale ha erroneamente ritenuto sussistenti tutti gli elementi costitutivi del reato di estorsione e non ha, comunque, fornito una motivazione esaustiva sull’esistenza dei presupposti della fattispecie contestata, sia sotto il profilo oggettivo, che soggettivo.
La sentenza impugnata ha valorizzato una conversazione registrata il 15 settembre 2014, nella quale il ricorrente spiega agli addetti ad esternare le proposte di acquisto dei gadget i criteri cui si devono attenere, chiarendo che dovevano far intendere al commerciante che quella visita fosse fatta per conto dei “compagni di Melito” ossia del clan COGNOME-Pagano, evitando, tuttavia, di usare toni troppo aggressivi, al fine di non dare l’impressione che fossero vittime di estorsione.
D’altra parte, in caso di rifiuto del commerciante, non era in alcun modo previsto il ricorso a pressioni di tipo intimidatorio, ma era sufficiente comunicare il nominativo dell’interessato allo stesso Papa .
La condotta così ricostruita non è connotata da violenza o minaccia nei confronti delle parti offese.
Non solo non vi è prova che i commercianti che avevano opposto il rifiuto abbiano successivamente subito atti intimidatori, ma, più in radice, nessun
commerciante sentito dalla polizia giudiziaria ha riferito di avere percepito la proposta quale minaccia estorsiva, neppure in maniera larvata.
Contrariamente a quanto sostenuto dai giudici del merito, il contestato reato non può essere ritenuto sussistente, né sussumendo la condotta accertata nel paradigma dell’ estorsione ambientale – considerato che lo stesso Papa aveva raccomandato ai “ragazzi” di “non essere aggressivi” – né attribuendo decisiva rilevanza al clima omertoso diffuso tra i commercianti – di cui non è stata acquisita alcuna prova -né, infine, valorizzando il timore degli autori di essere denunciati nel caso di esternazione delle intimidazioni che facessero comprendere ai destinatari di essere sottoposti ad estorsione perché la minaccia o la violenza devono costituire una caratteristica oggettiva della condotta indipendentemente dalla volontà di chi la pone in essere.
Né può condividersi l’assunto secondo cui, nel caso che ci occupa, la minaccia sia stata implicita e indiretta.
La stessa sentenza impugnata a pag. 53 dà atto che i negozianti avevano acquistato i gadget senza alcuna imposizione, tanto è vero che alcuni di loro, pur rifiutandosi di aderire, non avevano subito alcuna ritorsione.
Riguardo alle singole ipotesi di reato, la difesa del ricorrente lamenta:
con riferimento all’estorsione contestata al capo D), tanto l’omessa valutazione del contenuto esplicito della conversazione n. 4311 – in cui Papa dà espresso ordine agli incaricati di contattare i commercianti di non eseguire un’estorsione – tanto l’arbitraria estensione del significato della conversazione n 5122 fino a ricomprendervi le 99 estorsioni commesse, nel comune di Mugnano, invero mai citate;
-con riferimento alle estorsioni di cui ai capi E) e F), l’assenza di identificazione specifica delle singole vittime, oltre che delle circostanze di tempo e di luogo di consumazione, carenza resa ancora più grave dal numero rilevante di persone offese che hanno negato alla polizia giudiziaria di avere subito pressioni.
Più in generale, la sentenza non si è confrontata con il reale sistema del business dei gadget natalizi, che si snodava principalmente in due fasi: la prima,
perfettamente lecita, in cui i venditori porta a porta proponevano i gadget “senza però fare alcuna estorsione ‘ , la seconda, eventuale e di natura estorsiva, si prefigurava solo nel caso in cui il commerciante non avesse acquistato immediatamente il pacco. In questo caso, infatti, i venditori porta a porta dovevano lasciare cordialmente l’esercizio commerciale e riportare la notizia al Papa, il quale avrebbe poi inviato direttamente gli emissari del clan per imporre l’acquisto ai commercianti.
Non è possibile, quindi, affermare che tutte le vendite dei pacchi siano state espletate dai venditori porta a porta con carattere estorsivo.
Difetta anche il carattere ingiusto del profitto con altrui danno patrimoniale.
Non risulta accertato il valore effettivo dei pacchi, che, per generare un vantaggio patrimoniale, doveva essere di valore nettamente inferiore a quello del prezzo pattuito e versato da ogni singolo commerciante.
La sentenza impugnata ha superato i rilievi difensivi, osservando che il vantaggio patrimoniale avuto di mira dall’ agente si considera sempre ingiusto allorquando è illecito il mezzo usato, come nel caso in esame in cui l’ acquisto dei gadget era imposto.
Tale affermazione contrasta con la parte della motivazione in cui si dà atto dell’ assenza di qualunque forma di imposizione sicché doveva essere approfondito il tema relativo all’esistenza di un danno strettamente economico.
Con riferimento al capo G), estorsione consumata perpetrata ai danni del cittadino cinese, i Giudici del merito hanno ritenuto integrata l’ipotesi estorsiva contestata dalla Pubblica Accusa sul rilievo che- i diversi soggetti coinvolti avevano coartato la volontà del commerciante, che era stato costretto a versare una indebita somma di denaro per sanare le irregolarità riscontrate dalla polizia locale come falsamene prospettatogli.
Dalla complessiva disamina degli atti di causa, non è emersa la prova che il cittadino cinese avesse percepito che la vicenda prospettatagli potesse rappresentare una richiesta a scopo estorsivo.
Dalla conversazione indicata con progressivo n. 29176 del 9 aprile 2019, si comprende che il cittadino cinese non aveva inteso l’illiceità dell’operazione
reputando che il denaro (ELIMINARE da questi) corrisposto fosse necessario a sanare l’irregolarità amministrativa che gli era stata fraudolentemente prospettata, per il tramite di raggiri.
Non vi è prova che lo stesso fosse stato minacciato neppure in modo implicito ovvero che fosse stata utilizzata nei suoi confronti una condotta violenta idonea a costringerlo a versare le somme di denaro richieste né posto dinanzi ad un pericolo la cui eventuale realizzazione sarebbe dipesa direttamente dal suo interlocutore qualora fosse stato opposto un rifiuto.
In tale contesto non vi è nemmeno spazio per ipotizzare che il commerciante cinese abbia avuto la convinzione che il denaro richiestogli fosse destinato ad arricchire le casse di una compagine criminosa e, quindi, che la richiesta economica provenisse da un contesto camorristico.
4.7.4. Con il sesto motivo deduce violazione di legge in ordine alla determinazione della pena irrogata ed in particolare, all’individuazione della violazione più grave su cui operare gli aumenti a titolo di continuazione interna.
Lamenta che la sentenza impugnata, perpetuando l’errore in cui era incappato il G.i.p., non censurato con l’appello , ma non sanato perché attinente ad una ipotesi di pena illegittima, ha individuato, quale violazione più grave ai sensi dell’art. 81, secondo comma cod. pen., il delitto ex art. 416bis cod. pen., operando su tale pena-base – indicata in anni 13 di reclusione (a fronte del minimo edittale previsto in anni 12 dal sesto comma dell’art. 416bis cod. pen.) i diversi aumenti a titolo di continuazione interna. In particolare, è stato stabilito un aumento pari ad anni uno di reclusione per i singoli delitti estorsivi, giungendo, quindi, ad una pena finale di anni venti di reclusione, ridotta per il rito alla pena di giustizia.
Al contrario, in ragione della maggiore gravità, la violazione più grave doveva essere individuata in quella indicata di cui al capo D) dell’assunto accusatorio (art. 629 co. 2 c.p.).
4.7.5. Con il settimo e l’ottavo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, anche sotto il profilo dell’omess o esame delle doglianze difensive dedotte con l’appello, con riferimento all’aggravante dell’ ‘associazione armata.
La Corte distrettuale ha confermato per tutti gli imputati la sussistenza dell’aggravante prevista dal quarto comma dell’art. 416bis cod. pen. sul rilievo che il clan COGNOME rappresenta storicamente una consorteria dedita a disparate azioni sanguinarie poste in essere nei confronti di associazioni criminose avverse.
Nonostante le censure sviluppate nell’atto di appello, la Corte distrettuale non si è occupata del tema della consapevolezza del ricorrente di far parte di un’associazione di carattere armato alla luce della posizione in essa rivestita.
Se è vero che le vicende del clan COGNOME–COGNOME sono state oggetto di numerosi provvedimenti giurisdizionali, che ne hanno accertato, oltre all’esistenza, una storia criminale fatta da ‘ scissioni, faide e fasi sanguinarie, con alleanze e divisioni del territorio ‘ , eventi protrattisi per un periodo medio-lungo, è altrettanto processualmente accertato che tali fibrillazioni sono cessate definitivamente nell’anno 2014, allorquando – dopo la cattura di COGNOME Mario – è divenuta capo indiscusso COGNOME NOME
Ne segue che Papa è entrato a far parte del sodalizio quando non vi erano conflitti armati in atto, per di più occupandosi di un singolo settore -quello estorsivo -gestito da un’articolazione autonoma e diretto da soggetti rispetto ai quali non è stata fornita alcuna prova che utilizzassero ovvero detenessero armi al fine di raggiungere gli scopi associativi.
I Giudici di merito avrebbero dovuto procedere ad una più attenta valutazione in ordine alla configurabilità dell’aggravante de quo anche nei confronti di chi come Papa si trovava in tale peculiare situazione.
4.7.6. Con il nono ed ultimo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale ha confermato le statuizioni contenute nella sentenza di prime cure, considerando decisivi la personalità negativa dell’imputato , il quale aveva abusato della sua posizione professionale, ed il suo comportamento processuale non collaborativo, ingiustificatamente trascurando le circostanze dedotte dalla difesa nell’atto d’appello ed in particolare le concrete modalità della
condotta, almeno in parte rivolte alla tutela dei commercianti, nonché le giustificazioni fornite.
Papa in sede di dichiarazioni spontanee ha evidenziato che il proprio ruolo di referente dei commercianti locali lo ha esposto palesemente agli avvicinamenti della criminalità organizzata e che tale circostanza è stata da lui gestita anche nell’ottica di tutelare gli esercenti locali, evitando che gli esponenti del sodalizio potessero agire in loro danno attraverso le classiche e tipiche modalità ben più vessatorie dell’acquisto dei gadget.
La denunciata lacuna argomentativa rispetto al tema devoluto con l’atto d’appello impone l’annullamento della decisione impugnata in parte qua , occorrendo un adeguato approfondimento in ordine alla verifica dei presupposti per la concessione delle attenuanti generiche.
4.8. NOME COGNOME ricorre per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo con cui denuncia violazione di legge in relazione agli articoli 132 e 133 cod. pen nonché vizio di motivazione. in relazione al trattamento sanzionatorio con particolare riferimento alla misura dell’aumento a titolo di continuazione.
Lamenta che la sentenza impugnata, discostandosi dai principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni unite, non ha motivato in ordine alla misura della pena inflitta per il reato satellite, applicando i criteri indicati per tale commisurazione dall’art. 133 cod. pen.
4.9. NOME COGNOME ha proposto ricorso, per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME articolando tre motivi.
4.9.1. Con il primo denuncia mancanza, erroneità e contraddittorietà della motivazione con conseguente nullità della sentenza.
Le doglianze oggetto dell’atto di appello – incentrate sull’inadeguatezza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia a sorreggere l’affermazione di penale responsabilità per le loro intrinseche contraddizioni e per l’assenza di elementi ulteriore di carattere esterno idoneo a confortarle -sono state ingiustificatamente ritenute generiche e, comunque, infondate.
Le dichiarazioni del collaboratore COGNOME, pur contenenti plurimi aspetti di inverosimiglianza, non sono state sottoposte al necessario vaglio critico.
Sono state ritenuti decisivi in chiave accusatoria le conversazioni intercettate, i servizi di osservazione e controllo nonché le dichiarazioni delle persone offese senza considerare che il ricorrente, oltre ad essere colloquiante in una sola conversazione -risalente all’anno 2014 ed attestante un ruolo nell’attività di vendita dei cd. gadgets diverso da quello indicato da COGNOME – non è stato nemmeno interessato a controlli, né indicato come coinvolto nell’attività illecita dalle persone offese.
4.9.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 2 e 416bis cod. pen.
La sentenza impugnata ha ritenuto infondata la richiesta difensiva di applicazione del trattamento sanzionatorio vigente prima della riforma del 2015 in ragione dell’ arresto del ricorrente in data 13 ottobre 2014 e della conseguenziale interruzione del rapporto associativo.
La decisione si pone in contrasto con la richiamata giurisprudenza di legittimità che pone a carico del pubblico ministero l’ onere di dimostrare la permanenza della condotta partecipativa anche durante lo stato di detenzione e non ha tenuto in considerazione gli elementi sintomatici della fuoriuscita del ricorrente dalla consorteria rappresentati dalla mancanza di qualsiasi attività di captazione nella quale risulti conversante e dall’ esito favorevole dei controlli successivi alla scarcerazione dal 2017 al 2020.
4.9.3. Con il terzo motivo è dedotto vizio di motivazione con riferimento trattamento sanzionatorio del reato continuato.
Ai rilievi difensivi sull’assenza di giustificazioni a sostegno della dosimetria della pena inflitta per il reato satellite, la Corte distrettuale nulla ha opposto, continuando ad omettere i criteri sulla scorta dei quali aveva determinato un aumento, pari a due anni di reclusione, notevolmente superiore a quello, pari a sei mesi di reclusione, infitto ai compiutati in una posizione processuale sovrapponibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME .
I ricorsi proposti dagli imputati COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Michele avverso la sentenza che ha recepito il concordato raggiunto con l’organo dell’accusa ai sensi dell ‘art. 599bis cod. proc. pen. non superano il vaglio di ammissibilità.
1.1. E ‘ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione che il giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi d’impugnazione, deve limitare la sua cognizione ai motivi non rinunciati (così, tra le tante, Sez. 3, n. 30190 del 08/03/2018, Hoxha, Rv. 273755, e Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170)
Non deve, invece, motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di ipotesi di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, perché si deve rapportare l’obbligo della motivazione all’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione in quanto, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (da ultimo Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522).
La rinuncia ai motivi determina, pertanto, una preclusione processuale che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto, non solo in punto di affermazione di responsabilità, deve ormai ritenersi non essergli devoluto, sicché deve reputarsi inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello e che non si siano trasfuse nella illegalità della sanzione inflitta, ipotesi che si verifica solo quando la pena non rientri nei limiti edittali ovvero sia diversa per specie o quantità dalla quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102; Sez. 5, n. 7333 del
13/11/2018, dep. 2019, Alessandria, Rv. 275234; Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969).
Del pari è inammissibile il ricorso per cassazione, avverso la sentenza resa all’esito del concordato sui motivi di appello ex art. 599bis cod. proc. pen., volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto, in quanto l’accordo delle parti in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l’unica eccezione dell’irrogazione di una pena illegale (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, NOMECOGNOME Rv. 277196 – 01)
Non essendo le parti del concordato vincolate a criteri legali di commisurazione, il giudice può sindacare esclusivamente la congruità della pena finale concordata, senza che rilevino eventuali errori di calcolo nei passaggi intermedi (Sez. 3, n. 15801 del 01/04/2025, COGNOME, Rv. 287834 -01; Sez. 5, n. 7399 del 12/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287632 – 01 Sez. 1, n. 50710 del 10/11/2023, COGNOME Rv. 285655 – 01), a meno che si risolvano nella violazione del divieto di “reformatio in peius” ( Sez. 1, n. 14325 del 01/04/2025 Salvo, Rv. 287879 -01).
Le uniche doglianze proponibili contro una sentenza emanata all’esito del concordato ex art. 599bis cod. proc. pen. sono quelle relative ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia rispetto all’accordo e all’applicazione di una pena illegale (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102; Sez. 2, ordinanza n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969; sulla scia di questo orientamento è collocata anche Sez. 2, n. 3587 del 6/11/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass., per la quale è illegale la pena non conforme al paradigma normativo (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886; Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818; Sez. U, n. 38809 del 31/3/2022, COGNOME, Rv. 283689) .
1.2. Nel caso in esame, avendo COGNOME NOME, COGNOME Domenico, COGNOME NOMECOGNOME Vincenzo e COGNOME NOME ed il Procuratore generale
territoriale concordato, davanti al giudice di secondo grado, l’accoglimento del motivo concernente la misura della pena applicata, con la conseguente rinuncia a qualsivoglia, differente motivo di censura dedotto nei rispettivi atti di dell’imputato, devono essere considerate inammissibili tutte le censure che, come risulta dalla loro sintesi, non vertono sulla volontà delle parti di addivenire al concordato, ma attengono a punti della decisione coperti dalla rinuncia: sussistenza degli estremi, specie di carattere soggettivo, del reato di estorsione o di alcune delle aggravanti; misura della diminuzione o degli aumenti per le circostanze attenuanti o aggravanti; determinazione della pena a titolo di continuazione.
2. COGNOME NOME –COGNOME NOME.
Il primo motivo, dedotto dalla difesa comune degli imputati, è fondato ed assorbente rispetto agli altri.
2.1. Come è noto, in tema di concorso di persone nel reato, la circostanza che il contributo causale del concorrente, materiale o morale, possa manifestarsi attraverso forme differenziate ed atipiche della condotta criminosa non esime il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere la tipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’articolo 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Sez. U., n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME Rv. 226094; conforme Sez. 1 n. 10730 del 18/02/2009, Puoti, Rv. 242849 – 01 e più di recente Sez. 2, n. 43067 del 13/10/2021 Taglialatela Rv. 282295 -01, f attispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la motivazione della sentenza impugnata per non aver indicato specifici elementi di fatto dai quali desumere che gli imputati avessero fornito un contributo agevolativo al tentativo di estorsione relativo al c.d. “regalo ai carcerati” posto in essere da un altro soggetto ).
Occorre, pertanto che risulti dimostrato, attraverso una motivazione logica, completa e, quindi, in grado di resistere ai rilievi e alle obiezioni difensive, che il concorrente, lungi dal mantenere un comportamento meramente passivo qualificabile in termini di mera connivenza non punibile, abbia apportato un ‘ contributo partecipativo ‘ , – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui.
Deve trattarsi di un comportamento caratterizzato, sotto il profilo oggettivo, dall’idoneità a facilitare o comunque agevolare in modo apprezzabile l’ideazione, la preparazione o l’esecuzione della fattispecie penalmente rilevante, aumentandone le possibilità di realizzazione o mediante il rafforzamento del proposito criminoso o mediante l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti.
Sul piano psicologico, il concorrente deve avere la coscienza e volontà di arrecare un contributo alla realizzazione dell’evento illecito.
In questa prospettiva, con specifico riferimento al reato di estorsione, si è affermato che in costanza di reato, qualsivoglia aiuto fornito all’autore materiale è punibile ai sensi dell’art. 110 cod. pen., in quanto finalizzato a tradursi in sostegno per la protrazione della condotta criminosa, naturalmente purché sostenuto dalla consapevolezza e dalla volontà di apportarlo (Sez. 5, n. 4919 del 05/11/2010, Calabrese, Rv. 249249-01; Sez. 2, n. 43745 del 03/10/2024 Diana, Rv. 287193 – 02).
2.2. La Corte distrettuale, nel valutare la condotta degli odierni ricorrenti, si è discostata dai delineati principi, ponendo a sostegno dell’affermazione di penale responsabilità a titolo di concorso una motivazione incompleta e non adeguatamente supportata dagli elementi probatori richiamati.
La sentenza impugnata, come si evince dalle pagine da 42 e segg. ha ritenuto decisive per ricostruire in termini di contributo concorsuale la condotta di NOME COGNOME e NOME COGNOME alcune conversazioni intercettate (le numero 1679, 1680 e 1705), commentate anche con espressi richiami alla sentenza del G.i.p.
Sulla scorta di tali dialoghi, riportati per estratto in entrambe le sentenze, e dalla loro complessiva disamina, anche alla luce dei riscontri derivanti dall’ attività di osservazione della polizia giudiziaria, i giudici del merito, con valutazioni
conformi, hanno ritenuto accertato che entrambi gli imputati, a vario titolo e con un diverso ruolo, avevano operato, negli anni di interesse, l’attività di fornitura dei gadget, utilizzati dai complici per porre in essere l’attività di taglieggiamento dei commercianti di cui ai capi E) e F) della rubrica, ricevendo in corrispettivo somme di denaro previamente concordate a seguito di laboriose trattative condotte con un acquirente, COGNOME, del quale conoscevano gli stretti legami con il gruppo camorristico dominante nel territorio, unica controparte sostanziale de ll’ operazione commerciale. L’attività negoziale tra Papa, da una parte, ed i coniugi COGNOME –COGNOME dall’altra, era stata, per di più, caratterizzata dal l’adozione di particolari cautele legate alla peculiare condizione in cui versava la COGNOME, che continuava ad esercitare in nero e senza le necessarie autorizzazioni l’attività imprenditoriale, servendosi dei consigli e della collaborazione anche del marito.
Siffatto accertamento, alla luce dei principi ricordati in premessa, non è però sufficiente per ritenere configurabile gli estremi della condotta concorsuale ascritta ad entrambi gli imputati.
Non è, infatti, sufficiente la dimostrazione che la fornitura dei gadget stabilmente operata dalla COGNOME e da COGNOME sia stata funzionale all’attività intimidatoria materialmente posta in essere dagli altri concorrenti, sotto la supervisione dei mandanti ed organizzatori. E’ piuttosto necessaria la prova che entrambi abbiano agito nella consapevolezza della destinazione della merce venduta non a qualunque condotta illecita riconducibile al clan che l’ aveva commissionata ed acquistata, attraverso Papa, ma specificamente all’ esecuzione dell’ attività estorsiva contestata.
Per essere ritenuti concorrenti anche sul piano soggettivo, la COGNOME e COGNOME avrebbe dovuto dimostrarsi che egli stessi erano stati, quanto meno, consapevoli che l’operazione commerciale apparentemente lecita, quale la vendita dei gadget, rendeva possibile, facilitandolo, il conseguimento, attraverso le intimidazioni materialmente eseguite dai complici, un vantaggio patrimoniale con altrui danno nei termini richiesti dalla fattispecie incriminatrice dell’art. 629 cod. pen.
La Corte distrettuale, nonostante i puntuali rilievi difensivi, incentrati sulla mancata acquisizione di elementi utili a collegare le operazioni commerciali concluse da COGNOME e COGNOME con COGNOME -che dalle conversazioni intercettate e riportate nelle sentenze di merito non emerge essersi rapportato con costoro quale incaricato/rappresentante del clan COGNOME–COGNOME– alle intimidazioni ai danni dei commercianti, non ha affrontato esaustivamente il tema, ritenendo, con un evidente salto logico, che fosse sufficiente per ritenere sussistente il contributo concorsuale dei coniugi COGNOME e COGNOME a tutte le contestate estorsioni la ripetizione con modalità inusuali di un’ operazione commerciale, la fornitura dei gadget, che, sebbene condotta in evasione fiscale, di per sé rientrava nell’oggetto usuale e non intrinsecamente illecito dell’impresa di COGNOME e che non implica la consapevolezza in capo a chi la compie del meccanismo attraverso cui era in concreto realizzata la condotta sanzionata dall’art. 629 cod. pen.
2.3. Le considerazioni che precedono impongono l’annullamento in parte qua della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello Napoli che provvederà a colmare le lacune motivazioni nell’osservanza dei richiamati principi.
2.4. Gli ulteriori motivi sono assorbii e non preclusi.
3. NOME COGNOME
L’unico motivo dedotto nell’interesse di NOME COGNOME, relativo al giudizio di bilanciamento tra circostanze attenuanti generiche ed aggravanti, non è fondato.
In premessa, va ricordato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare
l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931 in termini Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME Rv. 271243 -01; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017 , COGNOME, Rv. 270450 – 01).
Nel caso di COGNOME, la Corte distrettuale, con motivazione sintetica ma sufficientemente esplicativa e priva di vizi logici, ha ritenuto ostativa ad una maggiore mitigazione del trattamento sanzionatorio realizzabile con la prevalenza dell ‘ unica attenuante concessa sull’ aggravante di cui all’art. 416bis , quarto comma, cod. pen., la gravità dei delitti per i quali è intervenuta la condanna, tutti perpetrati nell’ambito di un sodalizio criminale armato con allarmanti modalità operative attraverso l’uso del metodo mafioso ed al fine di agevolare il clan camorristico di appartenenza.
Nell’ambito della valutazione discrezionale, propria del giudizio di merito, siffatti elementi negativi sono stati ritenuti di maggiore pregnanza rispetto a quelli opposti dalla difesa: la giovane età e lo stato di incensuratezza.
D’altra parte, COGNOME per essere nato nel 1987, aveva già 24 anni all’epoca d ell’adesione all’ associazione e 27 all’epoca di consumazione dei reati fine, quindi era già una persona adulta e consapevole, mentre l’ incensuratezza da sola non giustifica il riconoscimento delle attenuati generiche a mente dell’art . 62bis , ultimo comma, cod. pen.
4. NOME COGNOME
Il ricorso di COGNOME propone censure in parte inammissibili, nel resto infondate, sicché deve essere rigettato.
4.1. I primi due motivi, relativi al delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, non superano il vaglio di ammissibilità, oltre che per il loro contenuto in larga parte generico ed aspecifico, perché sollecitano, in termini non consentiti nel giudizio di legittimità, apprezzamenti da sovrapporre a quelli non manifestamente illogici dei giudici del merito, in punto di valutazione delle dichiarazioni accusatorie del collaboratore COGNOME e delle conversazioni intercettate. Di queste ultime, in particolare è prospettata una lettura alternativa
senza la necessaria denuncia di specifici vizi motivazionali o di travisamento (cfr. Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 -01, secondo cui in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite).
Contrariamente a quanto sostento dal ricorrente, la sentenza impugnata (pagg. 48 e seg.) si è premurata di prendere in esame tutti i rilievi sviluppati dalla difesa appellante, ponendo a sostegno della decisione un apparato giustificativo logico e completo, esente dalle criticità denunciate.
Le dichiarazioni accusatorie del collaboratore COGNOME sono state ritenute, soggettivamente ed oggettivamente, credibili in adesione alle valutazioni del G.u.p. (capitolo 3, specie le pagg. da 31 e segg.) in assenza di censure specifiche, invero nemmeno accennate in questa sede.
Correttamente è stato ritenuto elemento decisivo, sia come elemento rafforzativo della credibilità del collaboratore, sia come riscontro esterno rilevante ai sensi dell’art. 192 comma 3, cod. proc. pen., la convergenza tra la chiamata in correità operata da COGNOME, peraltro confermata dai collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali, al pari di COGNOME, hanno indicato in Papa come un esponente del gruppo COGNOME, che si era a lungo occupato, per conto dei vertici del clan, dei rapporti con il comune di Melito nell’ assegnazione dei lavori pubblici, segnalando le imprese appaltatrici e collettando le tangenti loro imposte, quindi riversate nelle casse dell’organizzaz ione camorristica e le conversazioni intercettate, gran parte delle quali costituite da conversazioni tra l’ odierno ricorrente ed altri soggetti a vario titolo coinvolti nell’ attività illecita del sodalizio (cfr. Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019 , COGNOME, Rv. 276676 -01; Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 262348 -01; Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina Rv. 255145 -01, secondo cui nella valutazione della chiamata in
correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in proposito, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale).
Muovendo dal dato della piena attendibilità delle dichiarazioni di COGNOME e della convergenza delle informazioni fornite dal collaboratore con quelle emergenti dai dialoghi intercettati analiticamente richiamati, la Corte distrettuale ha ritenuto accertato che l’odierno ricorrente per più anni, su incarico dei vertici ma con ampi margini di autonomia, aveva partecipato alla vita associativa, ideando, programmando, organizzando ed eseguendo un numero rilevantissimo di reati fine -le estorsioni realizzate con il sistema della vendita dei gadget -che avevano assunto per il gruppo una importanza esiziale, non tanto per ragioni economiche, peraltro non indifferenti procurando profitti annuali per decine di migliaia di euro, ma soprattutto per il capillare controllo del territorio che essi consentivano di realizzare.
Papa, anche sfruttando la notorietà e la rete di conoscenze intessuta grazie alle cariche ricoperte nelle associazioni sindacali degli esercenti imprese commerciali, aveva così assunto un ruolo nell’ambito del sodalizio camorristico tutt’altro che secondario o ancillare.
A Papa, stabilmente preposto alla gestione di un settore dell’ attività illecita del sodalizio, erano stati delegati i poteri necessari per coordinare più affiliati.
Era COGNOME, in stretto contato con i vertici del gruppo (COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME), che indicava gli operatori commerciali da contattare e che forniva le istruzioni necessarie per la buona riuscita di ogni singola operazione nei seguenti termini considerati dai giudici di merito:
ricordare alle persone offese, con toni evocativi, ma chiari, che agivano per conto del clan ( ‘i compagni di Melito ‘ ); evitare le minacce espresse che potevano creare un allarme eccessivo, inducendo il commerciante alla denuncia;
comunicargli i nomi di coloro che si rifiutavano di effettuare l’acquisto in modo da consentire interventi più ‘persuasivi’ ad opera di altri associati.
Né in tale contesto potevano trovare credito, come acutamente rilevato dai Giudici del merito, le affermazioni dell’ imputato volte a giustificare il suo protagonismo nel settore estorsivo con la necessità di evitare ai commercianti, alla cui tutela erano preposte le associazioni di cui era stato a lungo presidente, intimidazioni più violente e richieste di denaro più esose.
Alla luce di tale ricostruzione fattuale, strettamente ancorata al compendio probatorio, la Corte distrettuale ha ritenuto provato avuto riguardo alle attività in concreto svolte dallo stesso, del tutto assimilabili a quelle ordinariamente svolte da un intraneo alla struttura criminale e, quindi, al ruolo assunto nell’ambito di un settore centrale dell’attività illecita, le estorsioni non solo con il sistema della vendita dei gadget ma anche in quello delle onoranze pubbliche e dei lavori pubblici – l’avvenuto inserimento di Papa, per un periodo prolungato e con carattere di tendenziale stabilità, nella compagine associativa con la consapevolezza e la volontà di perseguire, attraverso l’impegno personale profuso nell’attività delittuosa conforme al piano associativo, lo scopo comune dell’arricchimento del cl an e del rafforzamento del suo potere criminale di controllo delle attività economiche.
Per la stabilità per un significativo arco temporale del rapporto intercorso con l’associazione camorristica , la Corte di appello ha, altrettanto correttamente escluso che tale condotta possa essere definita giuridicamente come concorso esterno.
Assume il ruolo di “concorrente esterno” il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell'” affectio societatis “, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e, quindi, si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (ex plurimis S ez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671 -01).
4.2. Il terzo motivo, relativo alle estorsioni contestate nei capi I), L), M), è infondato.
La Corte territoriale, nel ritenere non oggetto della sua cognizione l’esame dei predetti per assenza di motivi specifici si è, in primo luogo, conformata al consolidato principio giurisprudenziale secondo cui, ai fini della valutazione dell’ammissibilità dei motivi di appello, sotto il profilo della specificità, è necessario che il ricorrente non si limiti a contestare semplicemente il punto della pronuncia di cui chiede la riforma, ma che rispetto ad esso indichi le ragioni di fatto o di diritto per cui non ne condivide la valutazione (Sez. 4, n. 36154 del 12/09/2024, COGNOME, Rv. 287205 -01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275841 -01; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Rv. 268822 – 01 COGNOME).
Nemmeno è ipotizzabile che le censure formulate dall’appellante in relazione esclusiva ad alcuni reati e ritenute ammissibili si estendano automaticamente ad altri reati espressamente non attinti dall’impugnazione , anche se compiuti con modalità sovrapponibili in periodi diversi.
Preliminarmente, va evidenziato che l’art. 597 cod. proc. pen. sancisce che “l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti”; in altri termini, l’effetto devolutivo, e la conseguente preclusione, riguarda esclusivamente i punti della decisione, non, altresì, i capi.
In tal senso, si sono altresì pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte, affermando il principio secondo cui “la preclusione derivante dall’effetto devolutivo dell’appello riguarda esclusivamente i “punti” della sentenza che, non essendo stati oggetto dei motivi, abbiano acquistato autorità di giudicato; non riguarda, invece, nell’ambito dei motivi proposti, le argomentazioni e le questioni di diritto non svolte o erroneamente prospettate a sostegno del “petitum” che forma oggetto del gravame, atteso che il giudice di appello ben può – senza esorbitare dalla sfera devoluti va dell’impugnazione – accogliere il gravame in base ad argomentazioni proprie o diverse da quelle dell’appellante” (Sez. U, n. 1 del 27/09/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203096).
Del resto, sempre le Sezioni Unite hanno chiaramente distinto l’oggetto della preclusione correlata all’effetto devolutivo dell’impugnazione – i punti della decisione – dall’oggetto del giudicato – i capi della decisione: “poiché la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza (nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli), e non sui punti di essa, che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all’effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, in caso di condanna la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena, sicché la “res iudicata” si forma solo quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano 6 censurate con ulteriori mezzi di gravame. Ne consegue che l’eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce” (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239)
Peraltro, è stato chiarito che, in tema di cognizione del giudice di appello, nella locuzione “punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti” di cui all’art. 597, comma primo, cod. proc. pen., debbono ricomprendersi non solo i “punti della decisione” in senso stretto, e cioè le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione nell’ambito della decisione relativa ad un determinato reato, ma anche quelle riguardanti capi della sentenza che, sebbene non investiti in via diretta con i motivi concernenti altro reato, risultino tuttavia legati con i primi da un vincolo di connessione essenziale logico-giuridica (Sez. 6, n. 13675 del 03/02/2016, COGNOME, Rv. 266731).
Al riguardo, l’art. 581 cod. proc. pen., nel disciplinare le forme dell’impugnazione, sancisce, a pena di inammissibilità, la necessità
dell’enunciazione dei “capi” o dei “punti” della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione, delle “richieste”, e dei “motivi” a fondamento delle stesse. Ebbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il “capo” della decisione coincide con la parte di essa corrispondente a ciascun reato o a ciascuna azione civile, mentre il “punto” della decisione è rappresentato da ciascuna delle statuizioni in fatto o in diritto aventi una propria autonomia nell’ambito di un “capo”.
Le “richieste” definiscono il petitum dell’impugnazione, indicando il contenuto della decisione che dovrebbe essere adottata dal giudice adito, mentre i “motivi” devono giustificare, con argomentazioni in fatto o in diritto, le richieste proposte con l’impugnazione, indicando gli elementi che sono alla base delle censure proposte. Le argomentazioni enunciate con l’atto di impugnazione possono essere integrate anche successivamente, mediante presentazione di “motivi nuovi”, ai sensi e nei termini dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen.; l’art. 167 disp.att. cod. proc. pen., peraltro, precisa che i motivi nuovi possono riferirsi esclusivamente ai capi o ai punti della decisione già individuati al momento della presentazione dell’atto di impugnazione (in tal senso, Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259: ”
Dalla lettura combinata delle norme richiamate consegue che l’art. 597, comma 1, cod. proc. pen. implica che l’effetto devolutivo non si produce rispetto a tutti i capi o punti della decisione indicati nell’atto di impugnazione, ma soltanto rispetto a quelli che, oltre ad essere indicati, siano anche oggetto di “richieste” determinate e siano sorrette da specifici “motivi”. Oltre tali limiti la dimensione dei poteri del giudice di appello non può, in omaggio al principio ” tantum devolutum quantum appellatum ” legittimamente dilatarsi .
Pienamente rispettosa dei delineati principi è stata la decisione della Corte di appello di ritenere coperti dal giudicato progressivo o interno i capi della decisione non sorretti né da richieste né da motivi specifici e nemmeno legati da connessione coessenziale con quelli impugnati considerata l’ autonomia di ciascun reato, come tale oggetto di un distinto rapporto processuale.
4.3. Il quarto ed il quinto motivo, relativi ai delitti di estorsione contestato ai capi D), E), F), G), I), L), ed M), non sono fondati.
La Corte distrettuale (pagg. 59 e seg.), nel ricostruire le condotte contestate, ha messo in evidenza, attraverso puntuali richiami al compendio probatorio, tutti gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice prevista dall’ art. 629 cod. pen. ed in particolare la minaccia e l’ingiusto profitto.
Al riguardo ha osservato che è stato lo stesso COGNOME, in più conversazioni intercettate, a chiarire il carattere volutamente larvato ed indiretto delle minacce esternate per ottenere il pagamento delle somme costituenti il ‘ prezzo ‘ degli acquisti imposti alle singole persone offese, intimorite non solo dal contenuto della proposta formulata per conto dei ‘ compagni di Melito’, espressione evocativa del coinvolgimento del clan COGNOME–COGNOME e del controllo sul territorio dallo stesso capillarmente esercitato, ma anche dalla presenza tra i latori della stessa di noti esponenti del medesimo clan.
Trattasi di argomentazione perfettamente in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre ad essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita ed indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera. (tra le molte Sez.. 2, n. 19724 del 20/05/2010, COGNOME, Rv. 247117 – 01
Altrettanto corretto è l’inquadramento giuridico dei singoli episodi nel paradigma dell’ estorsione “ambientale” che è configurabile quando l’attività intimidatoria è perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà
della vittima (cfr. Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 270175 -01; Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, COGNOME, Rv. 261632 – 01).
Quanto al profitto ingiusto, la sentenza impugnata l’ha ritenuto integrato a prescindere del mancato accertamento del valore effettivo della merce acquistata e della sua sproporzione con il prezzo sborsato in relazione all’imposizione dell’acquisto dei gadgets, non frutto di libera determinazione da parte dei commercianti taglieggiati.
Anche questa conclusione non si discosta dai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte e condivisi dal Collegio in tema di estorsione contrattuale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti.
In tale peculiare ipotesi, pacificamente sussistente nel caso in esame, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia e libertà negoziale, essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto più opportuno Sez. 2, n. 39722 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273810 -01; Sez. 5 n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269364 -01; Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, COGNOME Rv. 252283 -01).
Non si riverbera sulla configurabilità del reato di estorsione la mancata identificazione specifica delle singole vittime, avendo i Giudici di merito sopperito a tale lacuna probatoria con il contenuto delle conversazioni intercettate e delle dichiarazioni accusatorie del collaboratore COGNOME, convergenti nell’individuare le vittime come tendenzialmente coincidenti con tutte le attività commerciali operative nel territorio di Melito.
Interamente versate in fatto sono le censure relative al reato di estorsione di cui al capo G), perpetrato ai danni del cittadino cinese NOME COGNOME
La sentenza impugnata ha, con valutazioni conformi alla decisione emessa in esito al primo grado del giudizio, ritenuto accertato che la persona offesa si era determinata ad effettuare il pagamento rateale di somme di denaro, non perché versava in stato di errore determinato dalle false informazioni sulla regolarità
edilizia dell’immobile dove esercitava l’attività commerciale, così da credere di adempiere ad un obbligazione legittimamente impostagli dalla pubblica amministrazione (nel qual caso si sarebbe integrato il reato truffa cd. vessatoria), ma perché coartata nella sua volontà, nei termini richiesti dall’art. 629 cod. pen., con la prospettazione di un pericolo (la revoca dell’ autorizzazione ed il pagamento di sanzioni amministrative) il cui verificarsi dipendeva, sia pure indirettamente, dagli agenti, tanto da essere stata posta nell’alternativa ineluttabile di pagare la somma richiestagli, non dal Comune ma dagli ‘amici’ , o di incorrere nel danno minacciato da questi ultimi per conto di un’organizzaz ione dall’evidente carattere criminale.
D’altra parte, il cittadino cinese era stato contattato da un vigile urbano che in passato aveva compiuto per conto del clan COGNOME–COGNOME condotte dello stesso tipo, aveva accettato di pagare nelle mani di Papa e dei complici che non avevano alcun incarico pubblico, in più rate e per di più in scadenza nei periodi che coincidono con quelle tradizionalmente utilizzate dalla camorra per la riscossione delle tangenti ai danni ai commercianti (Natale Pasqua Ferragosto).
Tutte queste circostanze, nel loro insieme, sono state logicamente ritenute indicative del fatto che NOME COGNOME non aveva ceduto alle pressioni ricevute nella convinzione di regolarizzare la pratica urbanistica, ma al fine di evitare conseguenze negative all’attività commerciale prospettategli come superabili soltanto dietro il pagamento continuativo di denaro ad un gruppo di individui, gli amici, che non poteva non essere individuato come appartenente alla criminalità camorristica.
Il ricorrente ha opposto una diversa ricostruzione, prospettata come l’unica compatibile con una lettura delle prove più plausibile, senza tuttavia denunciare vizi o incongruenze idonee a compromettere la tenuta logica dell’ apparato giustificativo posto dalla Corte distrettuale ha fondamento della decisione, ma limitandosi ad un dissenso opinabile, non recepibile nel giudizio di legittimità .
4.4. Il sesto motivo, relativo all’individuazione della violazione più grave su cui operare gli aumenti a titolo di continuazione interna, è inammissibile per carenza di interesse, sollecitando il ricorrente la correzione di un errore di diritto
la cui emenda comporterebbe necessariamente un peggioramento del trattamento sanzionatorio.
In ogni caso, il denunciato errore non può essere oggetto del sindacato di cassazione per la preclusione di cui agli art. 609, comma 2, e 606, comma 3, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 2, n. 46765 del 09/12/2021, NOME Rv. 282322 -01 Sez. 2, n. 14307 del 14/03/2017 COGNOME Rv. 269748 -01 che hanno enunciato il condivisibile principio in forza del quale ‘L’errore di diritto contenuto nella sentenza di primo grado riguardante le modalità di calcolo della pena, comunque fissata entro i limiti edittali ed in assenza di modifiche normative incidenti sulla determinazione della stessa, non può essere prospettato per la prima volta mediante ricorso per cassazione, né è rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., non essendo nel suo complesso la pena irrogata all’imputato illegale ‘. Nella stessa direzione Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818 -01 che ha ritenuto preclusa, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto non dedotta con i motivi di appello la questione dell’ erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato).
4.5. Il settimo e l’ottavo motivo, relativi all’aggravante dell”associazione armata, non sono fondati.
La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che in presenza di una organizzazione di tipo mafioso – affinché possa essere configurata la circostanza aggravante del carattere armato, il dettato normativo non postula l’esatta individuazione delle armi stesse, essendo bastevole l’accertamento – in punto di fatto -della disponibilità di un armamento; tale dato può legittimamente essere tratto, ad esempio, dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285908 -05; Sez. 2, n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284761; Sez. 6, n. 55748 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271743; Sez. 1, n. 44704 del 05/05/2015, lana, Rv. 265254).
Noto è altresì come – una volta che venga acclarata la disponibilità di armi, da parte dell’associazione per delinquere di stampo mafioso – la mancanza di una diretta disponibilità delle stesse, in capo al singolo partecipe, non possa valere ad escludere la configurabilità della circostanza aggravante a carico dello stesso; è sufficiente, infatti, che il sodalizio – o i singoli aderenti – abbiano la disponibilità di tali strumenti (Sez. 1, n. 4357 del 25/06/1996, COGNOME, Rv. 205498); trattasi di una forma di manifestazione del reato associativo, quindi, che è configurabile a carico di ciascun partecipe, che risulti consapevole del possesso di armi ad opera degli associati, ovvero che ignori tale dato per colpa (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 278010; Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270467; Sez. 5, n. 52094 del 30/09/2014, COGNOME, Rv. 261334; Sez. 6, n. 42385 del 15/10/2009, COGNOME, Rv. 244904; Sez. 1, n. 13008 del 28/09/1998, COGNOME, Rv. 211901).
La Corte distrettuale, in sintonia con i ricordati principi, ha desunto la disponibilità dell”armamento’ da parte del clan ‘COGNOME‘ dalle numerose sentenze definitive depositate in atti che ‘ dimostrano ampiamente che il sodalizio operante dal 2004 sino al 2011 in numerosi quartieri … aveva la disponibilità di armi utilizzate all’occorrenza per il raggiungimento dei fini dell’associazione ovvero per accrescerne l’egemonia e la forza di intimidazione sul territorio, con conseguente incremento delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano ed evidente piena conoscenza di tale elemento da parte della collettività e necessariamente degli affiliati ‘ .
Il necessario elemento soggettivo in capo al Papa è stato, altrettanto plausibilmente, desunto dall’epoca prolungata in cui lo stesso aveva militato nel gruppo, almeno in parte coincidente con quella in cui sono stati consumati crimini efferati di sangue, nonché con il ruolo organizzativo svolto nel settore delle estorsioni implicante necessariamente, per le modalità esecutive con cui queste ultime erano realizzate, la conoscenza da parte di tutti i soggetti coinvolti della dotazione da parte del clan di una peculiare capacità intimidatoria, talmente efficace da incutere timore a decine se non a centinaia di commercianti per la concreta possibilità di porre in essere, in caso di necessità, condotte che per
essere più efficaci delle minacce verbali esigevano l’uso del più comune strumento di offesa, ossia le armi da fuoco.
4.6. Il nono ed ultimo motivo, relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non supera il vaglio di ammissibilità, sollecitando apprezzamenti riservati ai Giudici di merito, che, nell’ esercizio del potere discrezionale concessogli dall’ordinamento con valutazioni conformi, hanno giustificatamente considerato recessivi ai fini della concessione d ell’ invocato benefico tutti gli elementi allegati dalla difesa, invero rimasti privi di addentellati convincenti negli atti di causa, ritenendo ostative la particolare gravità dei reati e la personalità negativa dell’ imputato: Papa non solo aveva sfruttando il suo ruolo istituzionale, che avrebbe dovuto esercitare a tutela delle imprese e degli imprenditori, per agevolare uno dei sodalizi più radicati e temibili nel territorio, ma non aveva nemmeno collaborato nel corso del processo, non si era mostrato pentito, limitandosi, solo nel giudizio di appello, a rendere spontanee dichiarazioni per negare il suo coinvolgimento nei fatti addebitatigli.
5. NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è parzialmente fondato.
5.1. Il primo motivo non è fondato.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale (pagg. 64 e seg.), come già chiarito esaminando la posizione di NOME COGNOME cui si rinvia, ha esaminato approfonditamente, anche attraverso il richiamo delle argomentazioni sviluppate dal G.u.p., la questione dell’attendibilità , soggettiva ed oggettiva, del collaboratore COGNOME e delle sue propalazioni, evidenziando che quest’ultimo , oltre ad autoaccusarsi di gravissimi reati per i quali non era indagato ed a narrare, in modo così preciso e dettagliato, vicende e personaggi intranei al clan COGNOME tanto da consentire la ricostruzione del ruolo ricoperto da ogni singolo associato, non aveva motivi di inimicizia o di contrasto con l’odierno ricorrente. Né, d’altra parte, la difesa aveva fatto riferimento all’esistenza di sentimenti di rivalsa o di intenti calunniatori.
Correttamente è stato considerato riscontro oggettivo rilevante ai sensi dell’art . 192, comma 3, cod. proc. pen. l’ ampia convergenza tra le accuse di COGNOME ed il compendio intercettivo specificamente riferito alla posizione di Sinistro.
In una delle conversazioni intercettate, riportate nella sentenze di merito, è lo stesso COGNOME a spiegare a Papa il suo ruolo nell’ambito della gestione del settore delle estorsioni alle imprese di pompe funebri operanti nel comune di Mugnano, specificando analiticamente le somme di denaro mensilmente ricevute delle persone offese a titolo di tangente per conto del clan di appartenenza.
5.2. Il secondo motivo è, invece, fondato.
5.2.1. La sentenza impugnata ha respinto la richiesta di applicazione del trattamento sanzionatorio vigente prima della riforma operata con la legge n. 69 del 27 maggio 2015 sul presupposto che la partecipazione di RAGIONE_SOCIALE all’associazione mafiosa, contestata nella forma aperta (‘a tutt’oggi’) , quindi senza la specificazione del termine finale della condotta, doveva considerarsi perdurante fino alla sentenza di primo grado emessa nel luglio del 2022, non risultando in epoca precedente, né l’estinzione della consorteria criminale, né il recesso de ricorrente né la sua esclusione dal sodalizio.
Quanto allo stato detentivo del ricorrente, iniziato con l’arresto del 13 ottobre 2014 e protrattosi ininterrottamente negli anni successivi fino al 2017, esso, prosegue la Corte distrettuale è irrilevante, deponendo per la protrazione della permanenza del vincolo associativo ‘ la lunga militanza nel clan e la conseguente piena condivisione delle dinamiche associative caratterizzate soventemente da periodi di carcerazione degli affiliati senza rescissione dell’affectio societatis con attività di sostegno al sodalizio anche durante la vita intramuraria ‘ .
Sul piano giuridico, la Corte distrettuale ha ritenuto inapplicabile “ratione temporis” a Sinistro il trattamento sanzionatorio più favorevole previsto dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416bis cod. pen. prima delle modifiche introdotte dalla l. 27 maggio 2015 n. 69, con conseguente elevazione delle pene previste dall’art. 416-bis cod. pen. per quanto riguarda le ipotesi contemplate dal
primo e dal secondo comma (con diretto riflesso, ovviamente, sulle fattispecie aggravate di cui ai commi successivi), nonostante la prova della “intraneità” al sodalizio sia stata collegata ad episodi e condotte antecedenti all’ entrata in vigore della riforma perché commesse fino all’anno 2014 e, comunque, non successivi all’entrata in vigore della novella.
5.2.2. La questione, invero, ha ricevuto soluzioni difformi nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo il più rigido orientamento della giurisprudenza, fatto proprio dalla sentenza impugnata, in tema di associazione di tipo mafioso, qualora il reato sia stato contestato senza specificazione del termine finale della condotta, deve applicarsi il trattamento sanzionatorio previsto al momento della sentenza di primo grado, a meno che la condotta non risulti cessata in precedenza per effetto dell’estinzione della consorteria criminale o dell’accertato recesso o esclusione dell’imputato dal sodalizio, che, in ogni caso, non conseguono automaticamente al sopravvenuto stato detentivo (cfr., in tal senso, ad esempio, Sez. 2-, n. 2709 del 13/07/2018,COGNOME, Rv. 274893 – 01, resa in un caso nel quale la Corte, in assenza della prova di cessazione anteriore della condotta, ha ritenuto esattamente individuato il trattamento sanzionatorio in quello previsto dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, vigente al momento della sentenza di primo grado, anziché quello più mite previsto dal DL 23 maggio 2008, n. 92, vigente alla data dell’arresto dell’imputato; conf., Sez. 2, n. 34615 del 10/06/2021, Desio, Rv. 281961 – 01, secondo cui, in presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma “chiusa”, che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica in peius del trattamento sanzionatorio (nella specie, la legge 27 maggio 2015, n. 69). Secondo tale lettura, l’applicazione della nuova cornice sanzionatoria non richiede la dimostrazione da parte dell’accusa che la condotta si sia protratta anche dopo detta modifica, in quanto, accertata l’esistenza dell ‘ offerta di contribuzione permanente” dell’affiliato all’associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino alla dimostrazione del recesso (Sez. 2 , n. 1688 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282516 – 03, in cui la Corte ha ribadito che, in
presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma “chiusa”, che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica in peius del trattamento sanzionatorio nella specie, la legge 27 maggio 2015 1 n. 69 -, l’applicazione della nuova cornice sanzionatoria non richiede la dimostrazione, da parte dell’accusa, che la condotta si sia protratta anche dopo detta modifica, in quanto, accertata l’esistenza dell'”offerta di contribuzione permanente” dell’affiliato all’associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino alla dimostrazione del recesso spontaneo o provocato ab externo sottolineando come l’offesa al bene giuridico tutelato dall’art. 416-bìs cod. pen. si protrae finché permane l’offerta di contribuzione del singolo partecipe, posto che è l’esistenza stessa del sodalizio a porre in pericolo l’ordine pubblico).
Un diverso orientamento sostiene, invece, che, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta “aperta” o a “consumazione in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola di “natura processuale” per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale ( tra le altre: Sez. 1, n. 14823 del 28/02/2020, COGNOME, Rv. 279061 – 01, secondo cui, in presenza di una contestazione del delitto dì partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma “chiusa”, che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica in peius del trattamento sanzionatorio nella specie, la legge 27 maggio 2015, n. 69 -,è specifico onere dell’accusa dimostrare che la condotta sì sia protratta per tutto il periodo contestato e, comunque, anche dopo detta modifica, con conseguente illegittimità, in difetto, della sentenza di condanna alla pena determinata sulla base delle deteriori previsioni sanzionatorie sopravvenute; Sez. 1, n. 39221 del 26/02/2014, COGNOME, Rv. 260511 – 01, in cui si è affermato che, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta “aperta” o a
“consumazione in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola dì “natura processuale” per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere dì fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale; Sez. 1, n. 37335 del 26/09/2007, COGNOME, Rv. 237506 – 01; Sez. 5, n. 25578 del 15/05/2007, COGNOME, Rv. 237707 – 01; cfr., anche, Sez. 2- , n. 15551 del 04/11/2021, COGNOME, Rv. 283384 – 01, in cui la Corte ha ribadito che, in tema di associazione di tipo mafioso, qualora il reato sia stato contestato senza specificazione del termine finale della condotta, ma con indicazione della sola data di accertamento, il giudice del dibattimento deve verificare in concreto se la fattispecie decritta nell’imputazione si sia già esaurita prima, dopo o contestualmente a tale accertamento o sia ancora in atto, poiché, in tale ultimo caso, deve ritenersi che la contestazione comprenda anche l’ulteriore eventuale permanenza e se ne può tenere conto a ogni effetto penale, senza la necessità di un’ulteriore contestazione da parte del pubblico ministero).
5.2.3. Ritiene il collegio che l’orientamento più rigoroso non possa essere condiviso perché finisce per introdurre una presunzione “assoluta” di permanenza del reato sino alla sentenza di primo grado, di dubbia legittimità costituzionale per l’evidente contrasto con il principio di cui all’art. 27, comma 1, Cost. e che vada, invece, preferito l’orientamento più garantista.
Al giudice non può essere sottratta la valutazione circa la effettività della persistenza del vincolo associativo dalla data dell’accertamento dei fatti sino a quella (convenzionalmente individuata) della sentenza di primo grado, né, correlativamente, la pubblica accusa può essere esonerata dall’onere di provare i fatti indicativi di tale protrazione della condotta.
Quando dunque la persistenza del vincolo associativo in epoca successiva alla novella che ha introdotto il trattamento sanzionatorio peggiorativo sia stata, come nel caso in esame, espressamente contestata con puntuali e specifiche censure, la Corte di appello è tenuta ad esaminare la questione muovendo dal
principio di diritto che spetta all’Accusa l’onere della prova della permanenza della affiliazione.
La Corte territoriale si è apertamente discostata da tale principio.
Ha ritenuto, infatti, superabili le censure difensive – imperniate sull’assenza di conversazioni intercettate o di altri elementi di prova in qualche modo dimostrativi della prosecuzione della condotta partecipativa di Sinistro dopo la consumazione delle estorsioni di cui al capo D) nell’anno 2014 e durante la carcerazione proseguita ininterrottamente dal 2014 al 2017 -in via esclusiva per effetto del l’applicazione della presunzione, ritenuta assoluta, della perduranza del vincolo fino alla sentenza di primo grado anche in caso di sopravvenuto stato detentivo.
Al contrario, siffatta presunzione può essere superata dalla difesa, anche ai soli fini dell’ individuazione del trattamento sanzionatorio applicabile, mediante l’allegazione di elementi logici o fattuali indicativi della cessazione, a partire da una certa data, di ogni legame tra sodalizio e associato (cfr. Sez. 6, n. 1162 del 14/10/2021, COGNOME, Rv. 282661 -02), cosa che, quanto meno a livello di allegazione, si è verificata nel caso di specie.
5.2.4. Per le considerazioni sin qui espresse, s’impone l’annullamento in parte qua della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli che, nell’osservanza dei principi di cui al presente paragrafo, provvederà a colmare le individuate lacune motivazionali.
5.3. il terzo motivo, relativo alla pena inflitta per il reato continuato, è assorbito e non precluso.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e di COGNOME Domenico con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di
appello di Napoli. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla epoca della consumazione del reato di partecipazione ad associazione mafiosa ed al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio sui predetti punti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME. Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di Aricò NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 12 giugno 2025.