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Concorso extraneus bancarotta: il ruolo del consulente

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18830/2024, ha confermato la condanna per un consulente accusato di concorso extraneus bancarotta fraudolenta. Il professionista è stato ritenuto l’ideatore di un piano per distrarre le risorse di una società in crisi a favore di un’altra. La Corte ha rigettato il ricorso, sottolineando come l’assistenza fornita, inclusa la cancellazione di dati contabili, integri la partecipazione al reato. È stato inoltre confermato il diniego delle attenuanti generiche, poiché non sono emersi elementi positivi a favore dell’imputato.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso extraneus bancarotta: quando il consulente risponde del reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 18830 del 2024, offre un importante chiarimento sulla responsabilità penale dei professionisti, come legali e consulenti contabili, nel reato di bancarotta fraudolenta. Il caso analizzato riguarda il concorso extraneus bancarotta, ovvero la partecipazione al reato da parte di un soggetto esterno all’azienda. La Corte ha confermato la condanna di un consulente, ritenuto la mente dietro un’operazione di distrazione di beni ai danni dei creditori.

I fatti del caso: un piano per svuotare la società

Il caso ha origine dalla condanna di un consulente per aver aiutato gli amministratori di una società in dissesto. Secondo l’accusa, confermata nei gradi di merito, il professionista non si è limitato a fornire una consulenza, ma è stato il consapevole ideatore di un disegno distrattivo. Il piano prevedeva il trasferimento delle risorse della società in crisi, la ADI s.r.l., verso un’altra entità giuridica, attraverso la quale sarebbe proseguita l’attività imprenditoriale, lasciando però i creditori della prima a mani vuote.

Un elemento probatorio decisivo è stata la cancellazione di una cartella informatica contenente la contabilità della società. Questa azione è avvenuta subito dopo una perquisizione presso uno dei coimputati, e i dati sono stati recuperati solo grazie a una complessa ricostruzione informatica. Le intercettazioni telefoniche hanno poi rivelato i tentativi del consulente di costruire una versione di comodo per giustificare tale cancellazione agli inquirenti.

L’applicazione del principio del concorso extraneus bancarotta

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio consolidato: chiunque, pur essendo un soggetto esterno (‘extraneus’) all’impresa, fornisce un contributo causale alla realizzazione del reato di bancarotta fraudolenta, ne risponde a titolo di concorso. Non è necessario compiere materialmente l’atto di distrazione; è sufficiente fornire consigli, suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni, o assistere l’imprenditore nella conclusione dei negozi finalizzati a tale scopo.

In questo caso, il consulente è andato oltre il semplice parere professionale. La sua partecipazione attiva è stata dimostrata dalla pianificazione dell’intera operazione e dal suo intervento per occultare le prove, rafforzando così il progetto delittuoso degli amministratori e tentando di garantire loro l’impunità.

Il diniego delle attenuanti generiche e le scelte difensive

Un secondo motivo di ricorso riguardava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. L’imputato sosteneva che i giudici di merito avessero valutato negativamente le sue scelte difensive. La Cassazione ha respinto anche questa doglianza, chiarendo un punto fondamentale: il diniego delle attenuanti non è una ‘punizione’ per la linea difensiva adottata. Semplicemente, il giudice ha ritenuto che non vi fossero elementi positivi e concreti (come la confessione, il risarcimento del danno, un basso grado di colpevolezza) tali da giustificare una riduzione della pena. La condotta processuale di negazione dei fatti è stata considerata neutra, ovvero non idonea, di per sé, a fondare un giudizio favorevole per l’imputato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha giudicato infondato il primo motivo di ricorso, definendo le critiche alla ricostruzione dei fatti ‘generiche e assertive’. La Corte d’appello, secondo gli Ermellini, ha compiuto un’analisi critica e completa delle prove, motivando logicamente perché il consulente fosse il consapevole architetto del piano fraudolento. La cancellazione dei dati e le conversazioni intercettate sono state considerate prove eloquenti della sua partecipazione attiva al perfezionamento del reato.

Sul secondo motivo, relativo alle attenuanti, la Corte ha sottolineato che la motivazione della sentenza impugnata era esente da illogicità. Il giudice di merito non deve analizzare ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole, ma è sufficiente che indichi quelli ritenuti decisivi. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha semplicemente evidenziato l’assenza di elementi positivi meritevoli di considerazione, senza attribuire un valore negativo alla negazione dei fatti da parte dell’imputato.

Le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un monito per tutti i professionisti che operano a contatto con aziende in crisi. La linea di demarcazione tra consulenza lecita e concorso in bancarotta è netta: si supera quando il professionista, consapevole dei propositi distrattivi dell’imprenditore, non si limita a un parere tecnico ma fornisce un contributo attivo alla realizzazione del piano criminoso. L’occultamento delle prove, come la cancellazione dei dati contabili, costituisce un’ulteriore e grave conferma del coinvolgimento illecito. La decisione ribadisce che la responsabilità penale non si ferma agli amministratori, ma si estende a chiunque, con la propria competenza, agevoli la sottrazione di beni ai creditori.

Quando un consulente esterno commette concorso in bancarotta fraudolenta?
Secondo la Corte, un consulente concorre nel reato quando, consapevole dei propositi distrattivi dell’imprenditore, gli fornisce consigli sui mezzi giuridici per sottrarre beni ai creditori, lo assiste in tali operazioni, o svolge attività dirette a garantire l’impunità o a rafforzare il progetto criminoso.

La cancellazione di dati contabili può essere considerata una prova di colpevolezza?
Sì, nel caso specifico la Corte ha considerato la cancellazione della cartella informatica contenente la contabilità, avvenuta subito dopo una perquisizione, come una conferma del ruolo attivo dell’imputato nella realizzazione del piano illecito e nel tentativo di occultare le prove.

Perché sono state negate le circostanze attenuanti generiche all’imputato?
Le attenuanti generiche sono state negate perché i giudici non hanno riscontrato elementi positivi idonei a giustificare una riduzione della pena. La Corte ha chiarito che la condotta di negazione dei fatti da parte dell’imputato è un dato neutro e non può, da sola, portare a una mitigazione del trattamento sanzionatorio in assenza di altri fattori favorevoli.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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