Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21628 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21628 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal PM della DDA di Reggio Calabria nel procedimento a carico di COGNOME NOME, nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 21.12.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Con ordinanza del 21.12.2023 il Tribunale di Reggio Calabria, accogliendo l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME, ha annullato, nei confronti di costui, l’ordinanza con la quale il GIP di Reggio Calabria, ravvisando a suo carico gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, aveva disposto la misura degli arresti domiciliari;
ricorre per cassazione il PM della DDA di Reggio Calabria deducendo che ben tre collaboratori di giustizia avevano indicato il COGNOME come imprenditore legato alla ‘ndrina COGNOME, delle cui dichiarazioni il Tribunale ha trascurato la corale convergenza e, pertanto, suscettibili di rappresentare un riscontro oggettivo le une delle altre; con riguardo alle dichiarazioni della COGNOME, rileva che il Tribunale si è soffermato sulla valenza civilistica della documentazione prodotta dalla difesa omettendo di considerare che la donna aveva riferito di aver firmato una serie di fogli senza nemmeno conoscerne il contenuto laddove il fatto stesso che il COGNOME avesse evocato la figura del COGNOME rappresentava comunque un deterrente alla adozione di iniziative giudiziarie ed era emblematica dell’interesse diretto di costui nell’affare; rileva, inoltre, che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, le dichiarazioni del COGNOME relative all’affare “Pentimele” erano state invece chiare e precise come emerge dalla loro integrale lettura che i giudici del riesame hanno travisato; aggiunge che il Tribunale non poteva svalutare la vicenda come “risalente”, tenuto conto della costante vicinanza del COGNOME al COGNOME e che non consentiva, nemmeno, di ignorare le acclarate frequentazioni del COGNOME con esponenti del sodalizio; richiama, sempre a conforto della ipotesi investigativa indebitamente misconosciuta dal Tribunale, il colloquio in cui NOME COGNOME aveva indicato il COGNOME come “… amico di tutti …” e sottolinea che il Tribunale trascurato le dichiarazioni del COGNOME circa i contatti tenuti dal COGNOME con i verti della cosca COGNOME tramite il cugino NOME COGNOME; ribadisce come le indagini avessero dimostrato che, a fronte della vicinanza del COGNOME alla cosca COGNOME, costui, nell’ambito di un rinnovato patto di collaborazione tra le diverse famiglie, intratteneva rapporti anche con altri ambiti criminali prestandosi, in particolare, a segnalare a RAGIONE_SOCIALE i cantieri in fase di allestimento e riuscendo ad inserirsi nell’affare relativo all’acquisto all’asta dell’immobile sito in INDIRIZZO rispetto al quale i RAGIONE_SOCIALE si era posto come garante; segnala che, con riguardo a tale vicenda, il Tribunale ha optato per una interpretazione diametralmente opposta rispetto a quella del GIP incorrendo, tuttavia, nel travisamento del fatto dal momento che nemmeno il COGNOME, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, in cui si era avvalso della facoltà di non rispondere, aveva dedotto di essere stato vittima di estorsione; sottolinea che il duraturo rapporto tra il COGNOME e la famiglia COGNOME si articolava in Corte di Cassazione – copia non ufficiale
un do ut des certamente non riconducibile a condotte estorsive; ricostruisce la vicenda nei termini propri della ipotesi investigativa aggiungendo che l’alternativa ipotesi seguita dal Tribunale era del tutto impercorribile alla luce della posizione del COGNOME, spalleggiato dalla cosca RAGIONE_SOCIALE, che lo aveva persino autorizzato a schiaffeggiare un esponente della cosca COGNOME; evidenzia la inadeguatezza del riferimento operato dal Tribunale alle dichiarazioni del COGNOME, evidentemente a loro volta mirate ad escludere il proprio personale coinvolgimento; quanto alle esigenze cautelari, rileva che il Tribunale si è soffermato sull’epoca delle intercettazioni trascurando che il COGNOME continua attualmente ad esercitare la propria attività imprenditoriale nel medesimo contesto in cui, per decenni, si è interfacciato sinergicamente con le principali famiglie.
3. la Procura AVV_NOTAIO ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per il rigetto del ricorso: rileva, infatti, che il provvedimento impugnato non ha trascurato alcun elemento segnalando, tuttavia, che alcuni riferimenti sono collocati in anni lontani, come per quanto riguarda la conversazione tra COGNOME e COGNOME che risale al 2015 o con riguardo ai controlli di polizia collocati nel 2008; altri non risultano riscontra come per quanto concerne le dichiarazioni del COGNOME i merito alla circostanza secondo la quale l’indagato sarebbe stato il prestanome di NOME COGNOME; altri ancora, poi, non del tutto chiari, come per la vicenda riferita da NOME; aggiunge che anche lo scrutinio delle intercettazioni non ha fornito elementi positivamente apprezzabili, concludendo, dunque, nel senso di non poter ravvisare un vizio motivazionale quale il ricorrente denuncia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure non consentite in questa sede.
1. Non è infatti inutile ribadire quali siano i limiti alla sindacabilità, in ques sede, dei provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale; è infatti consolidato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio d legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della
permanenza delle esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il ricorso è perciò ammissibile soltanto se con esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, e non si ci limiti a propone e sviluppare censure che attengono alla ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
La censura con cui si deduca il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in altri termini, consente al giudice di legittimità vagliare la adeguatezza delle ragioni addotte rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie non potendo prendere in esame quei rilievi che, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 3, Sentenza n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Tanto premesso, si deve rilevare che i rilievi articolati dal PM nei confronti del provvedimento adottato dal Tribunale di Reggio Calabria si risolvono, in sostanza, in una alternativa interpretazione dei dati investigativi che erano stati posti a fondamento della misura e che i giudici della cautela non hanno omesso di considerare vagliandone la consistenza e la portata significativa nell’ottica proposta dalla pubblica accusa giungendo, tuttavia, a conclusioni diverse che, però, hanno sorretto con argomentazioni non manifestamente illogiche o intrinsecamente contraddittorie.
2.1 NOME COGNOME risulta indagato per il delitto di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso e, in particolare, quale concorrente “esterno” rispetto alla cosca “RAGIONE_SOCIALE” di cui il provvedimento impugnato ha tratteggiato la struttura organizzativa e indicato gli esponenti di spicco (cfr., pagg. 3 e ssgg. del provvedimento).
Secondo la contestazione provvisoria, egli, titolare di diverse società operanti nel settore edile di Reggio Calabria, avrebbe stretto un rapporto
sinallagmatico con le cosche COGNOME, COGNOME e COGNOME consentendo a queste di infiltrarsi nel tessuto economico, fornendo notizie su appalti e cantieri e, nel contempo, fruendo della autorevolezza della cosca per risolvere qualsiasi problema concernente le proprie aziende.
Il Tribunale ha fatto presente che, secondo la rappresentazione della vicenda operata dalla pubblica accusa e già recepita dal GIP, gli elementi a carico del COGNOME e, in particolare, quelli relativi ai suoi rapporti con NOME COGNOME sarebbero già emersi nel 2000 quando il predetto indagato sarebbe stato trovato in compagnia di esponenti della cosca COGNOME.
Ha richiamato, inoltre, le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME che lo aveva indicato come in società con NOME COGNOME, esponente della cosca COGNOME nella conduzione di una pompa di benzina intestata alla moglie laddove la collaboratrice NOME COGNOME, titolare di una catena di supermercati, aveva raccontato che, avendo intenzione di impiantarne uno a Catona, si era rivolta a COGNOME per acquistare un immobile versando un acconto ma non riuscendo ad ottenerne la restituzione una volta sfumato l’affare anche perché il COGNOME l’aveva indirizzata a COGNOME; il collaboratore NOME COGNOME, infine, aveva riferito su una operazione di reinvestimento di denaro di provenienza illecita appartenente ai COGNOME e che avrebbe dovuto avvenire tramite COGNOME con l’acquisto di un terreno e la realizzazione di alcuni appartamenti.
Il PM ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe trascurato la “corale convergenza” di queste dichiarazioni che avrebbe imposto di considerare le une idoneo riscontro oggettive delle altre.
Rileva il collegio che i giudici del riesame, nell’omettere di formulare una siffatta considerazione, non hanno in realtà dato luogo ad alcuna carenza motivazionale del provvedimento qui impugnato avendo invece preventivamente ed analiticamente vagliato ciascuna delle dichiarazioni rese dai collaboratori che hanno giudicato, tutte, generiche o comunque di per sé prive di autonomo valore indiziario.
Il Tribunale, infatti (cfr., pag. 12 dell’ordinanza) ha stimato le dichiarazioni del COGNOME di per sé inadeguate, per loro genericità, così come de relato e spesso formulate in termini ipotetici ha ritenuto quelle rese dal COGNOME dal cui tenore non era stato nemmeno possibile ricostruire i termini dell’affare Pentimele” riferito, in ogni caso, ad una vicenda del 2008 (cfr., ivi, pagg. 12-13); il PM, dal canto suo, ha evocato – su questo profilo – un travisamento della prova senza, tuttavia, corroborare la propria deduzione difensiva in termini di autosufficienza del ricorso.
Il provvedimento impugnato ha inoltre esaminato le dichiarazioni della COGNOME e la vicenda da costei riferita e di cui ha sottolineato la natura prettamente civilistica e non penalmente rilevante, quantomeno nell’ottica della ipotesi investigativa perseguita; ha segnalato, infatti, che costei non era stata in grado di precisare l’oggetto delle liberatorie di cui aveva parlato e che, in ogni caso, non erano legate alla cauzione che era, in realtà, una caparra confirmatoria che il COGNOME era legittimato contrattualmente a trattenere nell’ipotesi di mancata conclusione del contratto; ha spiegato che, in questo contesto, il riferimento operato al COGNOME (che il COGNOME non aveva alcun bisogno di evocare per opporsi alla richiesta della COGNOME) non poteva implicare, come automatica conseguenza, che i due fossero soci nell’affare (cfr., pag. 13).
Quanto al contenuto delle conversazioni intercettate, il Tribunale ha richiamato quelle valorizzate nell’ordinanza del GIP: tra queste, in particolare, la conversazione del 5.2.2018 tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ma anche quella 16.3.2018 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME (cugino di COGNOME sulla vicenda “COGNOME“; e, ancora, quella 23.4.2017 tra l’imprenditore NOME COGNOME e la moglie, quella del 28.3.2018 tra il COGNOME e NOME COGNOME e quella dell’8.5.2018 tra gli stessi protagonisti.
I giudici del riesame, perciò, non hanno affatto trascurato il dato investigativo di cui hanno tuttavia fornito una interpretazione difforme rispetto a quella proposta dalla pubblica accusa; con riguardo, poi, alla conversazione del 5.2.2018, hanno fatto presente che non risulta in alcun modo che il RAGIONE_SOCIALE si fosse attivato fornendo un reale apporto alla vita ed alla attività della cosca.
Hanno inoltre ricostruito i termini dell’affare “COGNOME” relativo all realizzazione di un manufatto in INDIRIZZO da parte di una società, la RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME su incarico della RAGIONE_SOCIALE; hanno spiegato che era insorto un contenzioso definito con sentenza del Tribunale di R.C. del 2008 che aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE a pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 379.595,82 pari al costo di costruzione sopportato per la realizzazione dei rustico; l’immobile era stato messo all’asta con un prezzo base di euro 2.545.000,00 con nove vani tentativi di vendita che avevano determinato un abbassamento della base d’asta sino ad euro 452.955,37, somma per la quale la società di RAGIONE_SOCIALE se lo era aggiudicato in data 17.3.2017, dovendo tuttavia corrispondere una tangente di 100.000 alla cosca RAGIONE_SOCIALE nonostante l’immobile ricadesse nel territorio della cosca RAGIONE_SOCIALE (cfr., pag. 13-14).
Ed è proprio la vicenda “COGNOME” che, con argomentazione immune da profili di manifesta illogicità o aspetti di intrinseca o estrinseca contraddittorietà, è stata giudicata dal Tribunale emblematica, semmai, della sottoposizione del COGNOME ad
estorsione, non avendo invece condiviso la interpretazione della conversazione sostenuta dal PM (secondo cui COGNOME si sarebbe recato da COGNOME per “sponsorizzare” COGNOME) sostenendo che, al contrario, era stato COGNOME a recarsi da COGNOME per concludere l’affare.
I giudici del riesame hanno inoltre richiamato, sul punto, le dichiarazioni rese da NOME COGNOME (altro imprenditore nei cui confronti si procede per concorso esterno e per il quale, come per il COGNOME, la misura adottata dal GIP era stata annullata dal Tribunale), il quale aveva contattato COGNOME per acquistare due appartamenti avendo nell’occasione appreso dall’indagato della tangente richiesta dai COGNOME proprio tramite Mangiola e RAGIONE_SOCIALE.
In questo contesto, il rilievo operato dal PM si risolve nella prospettazione di una alternativa ricostruzione dei rapporti tra il COGNOME e gli esponenti della cosca COGNOME oltre che, tramite questi, della cosca COGNOME che, tuttavia, non possono avere ingresso in questa sede di legittimità laddove, peraltro, il Tribunale ha operato una valutazione complessiva degli elementi acquisiti escludendo che, da essi, fosse ricavabile quell’apporto causalmente rilevante che rappresenta il nucleo essenziale del concorso “esterno” per la cui configurabilità, come è noto, non si può prescindere dalla prova del contributo causale alla conservazione o al rafforzamento della capacità operativa della consorteria criminale, proprio in ragione dell’assenza delraffectio societatis” che connota, invece, la partecipazione (cfr., Sez. 5 – , Sentenza n. 2640 del 23/09/2021, COGNOME NOME, Rv. 282770 – 01).
2.2 In ogni caso il Tribunale ha fatto presente che la risalenza dei fatti oggetto delle indagini escludeva la sussistenza dei presupposti di concretezza e di attualità in grado di giustificare la adozione di una misura personale: è appena il caso di ribadire che, in caso di concorso esterno, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari ben può essere superata attraverso una valutazione prognostica, ancorata ai dati fattuali emergenti dalle risultanze investigative acquisite, della ripetibilità della situazione che ha dato luogo al contributo dell -extraneus” alla vita della consorteria, tenendo conto in questa prospettiva dell’attuale condotta di vita e della persistenza o meno di interessi comuni con il sodalizio mafioso senza necessità, invece, di provare la rescissione del vincolo, peraltro in tesi già insussistente (cfr., così, ad esempio, Sez. 6, n. 18015 del 13/04/2018, Maesano, Rv. 272900 01; Sez. 2, n. 32004 del 17/06/2015, Putortì, Rv. 264209 – 01) e che, ai fini della presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere, il reato di concorso esterno non è assimilabile a quello di partecipazione alla associazione mafiosa e non si può considerare esistente alcuna presunzione assoluta in punto
di adeguatezza della suddetta misura, in quanto l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 4, comma 1, legge 16 aprile 2015, n. 47, deve essere interpretato conformemente alla sentenza della Corte costituzionale n. 48 del 2015 che, nel vigore della previgente disciplina, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’equiparazione del concorso esterno alla partecipazione al reato associativo (cfr., tra le altre, Sez. 1 – , n. 10946 del 16/12/2020 dep. 22/03/2021, COGNOME, Rv. 280757 – 01).
Anche sotto questo profilo, il ricorso si limita a contrapporre, a quella del Tribunale, una propria ed alternativa prospettazione delle esigenze cautelari: a fronte, infatti, della constatazione, da parte dei giudici del riesame, della risalenza degli elementi investigativi valorizzati nella richiesta e nel provvedimento genetico, il PM ricorrente si è limitato a sostenere la “continuità” del rapporto tra il COGNOME la cosca che importerebbe, di per sé, la persistenza delle rappresentate esigenze secondo uno schema non dissimile da quello, tuttavia non esportabile per le ragioni sopra indicate, che caratterizza la condotta partecipativa.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 19.4.2024