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Concorso esterno mafioso: la promessa non basta

Un imprenditore aveva promesso beni a un’associazione criminale in cambio di un aiuto, mai concretizzato, contro i suoi creditori. La Corte di Cassazione ha stabilito che non sussiste il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per la condanna è necessario un contributo concreto e verificabile che abbia effettivamente rafforzato l’organizzazione, non bastando un mero accordo o una promessa non mantenuta.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso Esterno Mafioso: Quando la Promessa Non Diventa Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9163 del 2024, offre un’importante chiarificazione sui confini del concorso esterno in associazione mafiosa. Il caso analizzato riguarda un imprenditore che, in cambio di un aiuto per risolvere problemi con i creditori, aveva promesso a esponenti di un’organizzazione criminale la gestione di alcune sue attività. La Corte ha stabilito che una promessa non mantenuta, priva di un effettivo e concreto contributo al rafforzamento del sodalizio, non è sufficiente per configurare questo grave reato. Analizziamo i dettagli di questa decisione fondamentale.

I Fatti del Caso: La Promessa dell’Imprenditore

Un imprenditore attivo nel settore immobiliare e della ristorazione, operante principalmente nel nord Italia, si trovava in difficoltà economiche. Per far fronte ai creditori che reclamavano legittimamente i loro crediti, si rivolgeva a esponenti di un noto clan della ‘ndrangheta. L’accordo prevedeva che il clan sarebbe ‘intervenuto’ per risolvere le pendenze dell’imprenditore; in cambio, quest’ultimo avrebbe concesso loro la gestione di alcuni ristoranti e immobili di sua proprietà.

Le indagini hanno però rivelato una realtà diversa. Da un lato, l’intervento del clan si è rivelato inefficace e pretestuoso, volto più a dare l’impressione di un’azione che a risolvere concretamente i problemi. Dall’altro, l’imprenditore non ha mai mantenuto la sua promessa: nessun ristorante è stato ceduto in gestione e un attico, oggetto dell’accordo, è stato venduto a terzi. Sulla base di questi elementi, il Tribunale del Riesame aveva annullato l’ordinanza di arresti domiciliari, ritenendo assente la gravità indiziaria. Il Pubblico Ministero ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione sul concorso esterno in associazione mafiosa

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile, confermando la decisione del Tribunale. I giudici supremi hanno ribadito i principi consolidati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (in particolare, la celebre sentenza ‘Mannino’). Per integrare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, non basta un’intenzione, una vicinanza o un accordo. È indispensabile la prova di un contributo causale, concreto e specifico, che abbia effettivamente contribuito a conservare o a rafforzare l’associazione criminale.

La Corte ha specificato che la valutazione di tale contributo deve essere condotta ex post, cioè analizzando con il senno di poi se l’azione del concorrente esterno abbia prodotto un’utilità tangibile per il clan. Un accordo non seguito da alcuna prestazione, come nel caso di specie, si ferma alla soglia della rilevanza penale e non può essere punito, in linea con quanto previsto dall’art. 115 del codice penale sulla non punibilità del mero accordo a delinquere.

Le Motivazioni

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella netta distinzione tra il piano delle intenzioni e quello della materialità del fatto. Il Pubblico Ministero sosteneva che già solo la disponibilità offerta dall’imprenditore e l’attivazione del clan per ‘risolvere’ i suoi problemi costituissero un rafforzamento del sodalizio. La Corte ha respinto questa tesi, definendola un’impostazione ‘soggettivistica’ o ‘psicologista’ che il diritto penale del fatto non può accogliere.

Il reato associativo, pur essendo un reato di pericolo, richiede comunque un contributo causale effettivo. La promessa dell’imprenditore, essendo rimasta lettera morta, non ha prodotto alcun vantaggio per l’organizzazione, né in termini economici né in termini di espansione del potere sul territorio. Di conseguenza, è venuto a mancare l’elemento essenziale del reato: l’effettiva incidenza causale del contributo sulla vita e l’operatività dell’associazione mafiosa. Punire la mera promessa significherebbe punire un tentativo di concorso, figura non prevista dal nostro ordinamento.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: per essere condannati per un reato così grave come il concorso esterno mafioso, è necessario aver fornito un aiuto reale e dimostrabile. Le semplici parole, gli accordi non onorati o le intenzioni, per quanto riprovevoli, non superano la soglia della punibilità. La decisione impone agli inquirenti un onere probatorio rigoroso, richiedendo l’accertamento ex post di un effettivo rafforzamento dell’organizzazione criminale, scongiurando il rischio di condanne basate su mere vicinanze o su contatti che non si sono tradotti in un vantaggio concreto per il sodalizio.

È sufficiente una promessa non mantenuta per essere accusati di concorso esterno in associazione mafiosa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una promessa non mantenuta o un semplice accordo non seguito da atti concreti non è sufficiente. È necessario un contributo materiale che abbia effettivamente rafforzato o conservato l’associazione criminale.

Come si valuta se un contributo ha rafforzato un’associazione mafiosa?
La valutazione deve essere fatta ‘ex post’, cioè analizzando dopo i fatti se l’azione ha prodotto un vantaggio o un’utilità concreta per l’organizzazione. Non è sufficiente che l’azione fosse solo ‘potenzialmente’ idonea a rafforzarla.

Perché il mero accordo a commettere un reato, se non eseguito, non è punibile in questo contesto?
La Corte applica il principio dell’art. 115 del codice penale, che stabilisce la non punibilità del mero accordo a commettere un reato se il reato non viene poi eseguito. Dato che l’accordo non ha prodotto il contributo causale richiesto, non si configura il reato di concorso esterno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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