Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9163 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9163 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Pubblico Ministero presso il Tribunale di Catanzaro
nel procedimento penale a carico di COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/07/2023 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro annullava l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato, nell’ambito di un procedimento per concorso in associazione n’dranghetista, la misura degli arresti domiciliari ad NOME COGNOME, imprenditore immobiliare operante in ambito milanese, revocandola per difetto di gravità indiziaria.
Ha presentato ricorso il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Catanzaro, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 110 e 416-bis cod. pen. e vizio di motivazione.
L’ordinanza di custodia cautelare affermava, quasi testualmente, come fosse la stessa possibilità, concretamente ottenuta, della messa a disposizione in funzione di futuri e concreti scambi, peraltro attivati in itinere, a conclamare per il COGNOME la responsabilità a titolo concorsuale nell’associazione di tipo n’dranghetista, avendo l’imprenditore espressamente richiesto agli esponenti del c.d. RAGIONE_SOCIALE “interventi” minatori nei confronti dei vari professionisti quali tentavano di recuperare i propri crediti leciti.
Per contro, il Tribunale ha ritenuto che, pur essendo stata realizzata un’attività prodromica alla realizzazione di un patto sinallagmatico (che prevedeva la soluzione delle problematiche economiche di COGNOME, a fronte dell’ampliamento del potere imprenditoriale e del patrimonio della cosca in ambito milanese), dagli elementi di fatto non sarebbe emersa la realizzazione dell’evento di reato. Infatti, i contatti dell’imprenditore con esponenti intranei o comunque vicini alla criminalità organizzata non avrebbero comportato, in una prospettiva ex post, alcun vantaggio tangibile né per l’indagato, né per l’associazione mafiosa: gli accertamenti documentali testimoniando come, a fronte della volontà della consorteria di appropriarsi dei cespiti di COGNOME e di allargare la propria influenza in Lombardia, essa non avesse ampliato la propria operatività né il proprio potere criminale nel territorio milanese.
Ad avviso del ricorrente, i giudici hanno errato nell’individuazione dell’evento rilevante ai fini del concorso esterno.
Pur ad assumere il quadro teorico di riferimento tracciato da Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671, causalmente orientato e teso a dare applicazione ai principi in materia di concorso di persone nel reato (escludendo, dunque, la rilevanza del mero tentativo di concorso, ai sensi dell’art. 115 cod. pen.), l’evento rilevante deve pur sempre consistere nella conservazione o nel rafforzamento dell’organismo criminoso, non essendo richiesta, per contro, la sicura realizzazione del pactum sceleris.
La percezione processuale dell’evento – si legge testualmente nel ricorso deve, infatti, porsi in stretta correlazione con il perseguimento delle finalità tipich del reato associativo, desumibili dal catalogoOt dell’art. 416-bis, comma 3, cod. pen. In altri termini, la condotta deve atteggiarsi a frammento di una concreta utilità per la realizzazione di una delle molteplici attività espressive del programma criminoso.
D’altronde, Sez. 1, n. 8531 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 254926, ha richiesto che, all’esito della verifica probatoria, da svolgere ex post, sull’efficacia causale della condotta, risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dall’estraneo (in quel caso, un politico) abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé e a prescindere da successive condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione e sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali.
In sintonia con quanto affermato in tale sentenza, occorrerebbe quindi evitare che – stante l’evanescenza del concetto di “mantenimento o rafforzamento dell’associazione criminosa”, privo di sostrato naturalistico -, il richiamo alla categoria della causalità, che mira ad assolvere all’esigenza costituzionale di tipicità e tassatività della fattispecie, oscuri il dato che l’art. 416-bis cod. p prevede pur sempre un reato di pericolo.
Nel caso di specie, il contributo causale non si sarebbe limitato al mero accordo. Il patto di COGNOME avrebbe, piuttosto,. Integrato il disvalore giuridicosociale del concorso esterno, essendosi dato inizio alla realizzazione delle prestazioni costitutive del suo oggetto, ferma restando la serietà della promessa della prestazione corrispettiva. Infatti, l’associazione criminale si è attivata per contattare illecitamente l’AVV_NOTAIO, a cui COGNOME doveva onorare la parcella; si sono svolti incontri tra l’imprenditore e altri imprenditori concorrenti che operavano sempre nel milanese, suoi creditori; è stato cercato l’architetto COGNOME, altro creditore di COGNOME, con cui “negoziare” il debito del prevenuto. Le riunioni, la divisione di compiti, la scelta dei contesti su cui interferire rientrerebbero, i altre parole, nell’evento-fine dell’associazione che legislativamente consiste, tra l’altro, nell’acquisire in modo diretto indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche.
La questione di diritto enunciata involge anche il vizio di motivazione. Nell’ordinanza impugnata si afferma, infatti, che dalle intercettazioni risulta che la stessa compagine mafiosa non aveva manifestato un’effettiva volontà di risolvere le problematiche dell’imprenditore, volendo soltanto dare a quest’ultimo l’impressione di farlo (in quest’ottica, la dilazione di pagamento ottenuta dall’AVV_NOTAIO non sarebbe ricollegabile all’intercessione dei “papaniciari”; in
ogni caso, a tale condotta non è corrisposto sinallagmaticamente un contributo di COGNOME che abbia concretamente rafforzato la consorteria mafiosa).
In tale passaggio si sovrappongono, però, in modo illogico i piani dei moventi della cosca (la quale può essere del tutto indifferente all’etica dell’accordo) e il mancato contributo del concorrente. Per contro, viene sminuito il fatto che i delegati della cosca effettivamente contattarono ed incontrarono l’AVV_NOTAIO, su richiesta di COGNOME, come riconosciuto dallo stesso Tribunale.
Quindi, dal punto di vista del sinallagma, la prestazione avvenne perché l’apparato associativo si era messo in moto, a nulla rilevando l’eventuale riserva mentale, nei suoi esponenti, di non agire.
Quanto, poi, all’elemento soggettivo, le stesse Sez. U. COGNOME cit. hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del concorso esterno, non si richiede i capo al concorrente il dolo specifico del partecipe, ma soltanto un dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di fornire il proprio contributo al conseguimento degli scopi della associazione, sicché l’affermazione del Tribunale per cui NOME COGNOME gli altri esponenti della cosca si mostrarono sin da subito attivi nel risolvere tali problematiche, fiutando un’occasione di locupletazione per la cosca / dimostra la sussistenza dell’elemento soggettivo.
D’altronde, il Tribunale riconosce come una serie di vicissitudini, tra cui l’arresto di NOME COGNOME, non consentirono di portare a termine il piano, benché dalle intercettazioni fosse trapelato l’interessa degli esponenti della cosca di accaparrarsi la gestione delle attività dell’imprenditore.
Sarebbe insomma dimostrato che la mancata realizzazione del piano, azionato e misurabile, dipese soltanto dall’arresto di NOME COGNOME, il che esclude che la vicenda in oggetto rientri nell’ambito operativo dell’art. 115 cod. pen., avendo il Tribunale, per contro, eluso l’interrogativo – cui deve darsi risposta positiva – se l’aggancio con l’imprenditore milanese, l’occasione di locupletazione per la cosca in concreto portata avanti dalla consorteria, sia – ancora con le parole di Sez. U COGNOME – una contribuzione percepibile al mantenimento in vita dell’organismo criminale e se la promessa di Frascura sia stata un ingrediente effettivo per la realizzazione di uno degli scopi tipici e, dunque, per il permanere dell’offesa.
3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti, di discussione orale, il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
AVV_NOTAIO ha presentato, nell’interesse dell’imputato, una memoria in cui ripercorre le principali argomentazioni dell’ordinanza impugnata, insistendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. All’esito del contrasto giurisprudenziale sulla configurabilità del concorso di persone (artt. 110 ss. cod. pen.) nei reati associativi e con particolare riferimento a quello di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen.), in tempi ormai risalenti, la giurisprudenza di questa Corte protese per una soluzione affermativa che si è progressivamente affinata grazie al successivo intervento delle Sezioni Unite (vd. Sez. U, n. 16 del 05/10/1994, Demitry, Rv. 199388; Sez. U., n. 22327 del 30/10/2002, dep. 2023, Rv. 224181, Carnevale) il cui ultimo arresto – più volte citato dai ricorrenti – seppur non più recente, resta a tutt’oggi insuperato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671).
In particolare, nella sentenza da ultimo citata, le Sezioni Unite di questa Corte precisarono come, ai fini della punibilità del c.d. concorso esterno in associazione di stampo mafioso, del concorso di persone (art. 110 cod. pen.) dovessero ricorrere tutti gli elementi strutturali e, con riferimento al contributo causale esclusero che esso potesse essere ricostruito in chiave di mera idoneità causale (dunque, secondo un criterio probabilistico apprezzabile soltanto ex ante), là dove il fatto, con giudizio ex post, si fosse rivelato ininfluente (o addirittura controproducente) per la verificazione dell’evento-reato.
Richiamando l’allora GLYPH recente insegnamento Sez. GLYPH U. GLYPH Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, COGNOME, Rv. 222138, attribuirono dichiaratamente, cioè, al contributo causale nel c.d. concorso esterno un’accezione condizionalistica, precisando che l’opposta tesi sarebbe esitata nella punizione del mero tentativo di concorso.
Ancora, spiegarono come non fossero sufficienti la mera “disponibilità” o “vicinanza”, che l’accertamento deve svolgersi secondo un elevato grado di credibilità razionale, confinante con la certezza, e che tale esigenza non è aggirabile accedendo ad una «impostazione di tipo meramente “soggettivistica” che, operando una sorta di conversione concettuale , autorizzi il surrettizio indiretto impiego della causalità psichica c.d. da “rafforzamento” dell’organizzazione criminale, per dissimulare in realtà l’assenza di prova dell’effettiva incidenza causale del contributo materiale per la realizzazione del reato», richiedendo, per contro, la prova che il contributo abbia inciso sulle
capacità operative dell’associazione, alla quale siano derivati vantaggi o utilità: ovvero – con locuzione mutuata anche dalla successiva compatta giurisprudenza di legittimità – che abbia prodotto un «rafforzamento o consolidamento» della struttura criminosa.
A tale insegnamento, il cui rigoroso rispetto scongiura il rischio di attrarre all’area della rilevanza penale altresì la c.d. contiguità compiacente e mette quindi il c.d. concorso esterno nell’associazione mafiosa al riparo da altrimenti inevitabili deficit di legittimità costituzionale (quanto alla violazione dei principi quantomeno di offensività, materialità, libertà di pensiero, oltre che della necessaria tassativit del diritto penale), si è conformata l’ordinanza impugnata.
Nell’imputazione provvisoria si contesta all’indagato, imprenditore impegnato nel settore immobiliare e della ristorazione, di aver offerto agli “accoscati” intervenuti a sua protezione, quale controprestazione, la gestione gratuita di ristoranti ed immobili in Milano, di diretta proprietà e pertinenza delle società della sua famiglia, in tal modo agevolando le attività consortili del sodalizio e permettendo loro di ulteriormente espandere la loro influenza economica nel settore della ristorazione, anche in territorio lombardo.
Se tale prestazione fosse risultata “erogata”, si sarebbe configurato un concorso esterno nel reato associativo.
Tuttavia, il quadro indiziario che emerge dall’ordinanza impugnata e sul quale i Giudici del riesame hanno motivatamente fondato il proprio convincimento, è di tutt’altro segno.
Nel provvedimento si precisa che RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto a NOME COGNOME – il quale aveva, a sua volta, interessato NOME COGNOME, capo della cosca del “papaniciari” – di intervenire su alcuni suoi creditori (NOME, NOME e NOME), promettendo, come ritorno, la “possibilità” di gestire tre ristoranti siti nel comune di Milano. E si aggiunge come dalle indagini effettuate fosse pure trapelato un reale interesse degli esponenti della cosca ad accaparrarsi la gestione dell’attività dell’imprenditore.
I Giudici del riesame affermano però anche che NOME e COGNOME confezionarono da subito una versione di comodo, concordando di comunicare all’imprenditore che avevano un accordo – in realtà mai preso – sia con NOME, sia con COGNOME, ed emerge altresì che il piano nemmeno fu portato a termine, a causa di una serie di vicissitudini, tra cui l’arresto di NOME COGNOME.
Soprattutto e per quel che davvero interessa in questa sede, scrivono che, a seguito di accertamenti documentali coordinati dagli investigatori «si è appurato come nessuno dei ristoranti sia stato dato in gestione a soggetti legati alla criminalità organizzata, essi essendo stati ceduti a terzi ovvero trattenuti dalla
famiglia COGNOME», risultando inoltre che un attico, da adibire a struttura ricettiva e del quale l’indagato aveva parlato con il suddetto COGNOME, era stato venduto a terzi.
4. A fronte di tali emergenze e in disparte le ulteriori precisazioni svolte dai Giudici di merito riguardo al fatto che i problemi economici dell’indagato non risultano essere stati ridimensionati grazie all’intervento della criminalità organizzata (nell’ordinanza si afferma, tra l’altro, che neppure la dilazione del pagamento ottenuto dall’AVV_NOTAIO è sicuramente ricollegabile all’intervento dei “papaniciari”), non si comprende in che cosa consista – allo stato delle indagini il contributo causale del COGNOME al rafforzamento/consolidamento/mantenimento in vita della struttura associativa.
Ciò, a meno di individuare – come propone di fare il ricorrente – tale contributo in una promessa non mantenuta. Così decostruendo la fisionomia causalmente orientata del concorso esterno, si attribuirebbe però un inammissibile rilievo alla mera intenzione riprovevole; si collocherebbe la soglia di punibilità del concorso esterno prima ancora del tentativo impossibile; si confonderebbe, oltretutto, il requisito del contributo causale con la rilevata natura di pericolo de reato-evento (l’art. 416-bis cod. pen.), che integra altro e diverso elemento del concorso esterno.
Pur assumendo, infatti, la natura di reato di pericolo della fattispecie associativa (ancora di recente, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889, Modaffari) rispetto alla quale si ipotizza, di volta in volta, il concorso di una persona estranea alla compagine associativa, tale natura non giustifica alcuna flessibilizzazione della causalità.
Al contrario, e proprio per scongiurare pericolosi cedimenti sul piano della tipicità, sollecita nell’interprete un accertamento particolarmente rigoroso delle circostanze di fatto, da svolgere secondo la prospettiva ex post, consustanziale alla fisionomia condizionalistica del concetto penalistico di causa, rifuggendo valutazioni prognostiche, tanto più se, come nel ricorso, a contenuto spiccatamente congetturale, con conseguente deviazione dai canoni del diritto penale del fatto.
5. Sul punto, in definitiva, affatto pertinenti appaiono i richiami compiuti nell’ordinanza impugnata ai principi fondamentali, quale quello catalizzato nell’art. 115 cod. pen., che esclude la punibilità dell’accordo non seguito dalla commissione del reato (ammesso che l’accordo potesse dirsi “accolto” nel caso di specie: ciò di cui è dato dubitare, in ragione della rilevata riserva mentale dei “papaniciari”), mentre il ricorrente, nella misura in cui attribuisce soverchio spazio ai meri
proponimenti dell’indagato e, soprattutto, a quelli (nemmeno potenzialmente rilevanti ai fini della tipicità concorsuale) della cosca n’dranghetista, indebitamente sbilanciato su quel versante “psicologista” che, come ricordato, più volte citate Sezioni Unite COGNOME hanno espressamente inteso scongiurare.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 06/02/2024