Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20344 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20344 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Matino il 24/10/1971
avverso l’ordinanza del Tribunale di Lecce del 21/10/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il difensore, avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 21.10.2024, il Tribunale di Lecce ha deciso su un’istanza di riesame dell’ordinanza del g.i.p. del Tribunale di Lecce del 16.9.2024, con cui è stata applicata a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di concorso c.d. esterno in associazione di stampo mafioso e per tre condotte di estorsione ed illecita concorrenza aggravate ex art. 416bis .1 cod. pen.
In particolare, la difesa dell’indagato aveva contestato la sussistenza dei presupposti della misura sotto il profilo della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari.
Quanto alle censure relative al quadro indiziario, l’ordinanza impugnata premette di condividere l’iter logico giuridico seguito dal g.i.p., richiamandolo integralmente, e passa poi a valutare specificamente le singole imputazioni provvisorie a carico di Barone.
1.1 Per quel che riguarda il capo A7 in danno della ditta RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME (minaccia di morte, in concorso con NOME COGNOME, ad NOME COGNOME, mediante evocazione dell’intervento del noto esponente della criminalità organizzata NOME COGNOME per intimargli di desistere dal procacciare clienti), il Tribunale richiama le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, gestore della RAGIONE_SOCIALE, e soprattutto da NOME COGNOME, suo collaboratore, dalle quali emergono gravi episodi di intimidazione e violenza ai danni di COGNOME stesso, minacciato e picchiato da tale NOME COGNOME nonché minacciato da tale NOME COGNOME perché non si recasse a raccogliere l’olio esausto presso gli esercizi commerciali di cui avevano acquisito – o avevano intenzione di acquisire – il controllo per conto della RAGIONE_SOCIALE e perché comunque non ricercasse nuovi clienti nella zona di competenza della RAGIONE_SOCIALE. COGNOME confermava, altresì, che COGNOME gli avesse fatto il nome del noto pregiudicato NOME COGNOME come soggetto pronto a riprendersi i clienti eventualmente sottratti alla COGNOME e che COGNOME fosse persona la cui caratura criminale era nota sul territorio. In particolare, l’episodio di cui COGNOME era stato vittima l’8.6.2021 ad opera di COGNOME trovava ris contro nelle intercettazioni, che captavano in tempo reale le minacce rivolte da COGNOME, peraltro poco dopo che questi aveva informato lo stesso COGNOME di avere picchiato il dipendente della Rove.
L’ordinanza, pertanto, conferma la valutazione di gravità indiziaria a carico di COGNOME, non sminuita dal fatto che nella intercettazione l’indagato sembra dissociarsi dall’iniziativa di COGNOME, anche se non chiaramente (tanto è vero che alla fine dà ragione al suo interlocutore), e peraltro con riferimento ad una sola delle intimidazioni rivolte a COGNOME. Rimarca che COGNOME non aveva alcun ruolo formale nella ditta di COGNOME, e nonostante questo ne curava gli interessi, peraltro essendo noto come esponente di spicco della criminalità locale. La esistenza di un accordo tra la ditta Barone e la criminalità organizzata -secondo il Tribunale -è comprovata anche da una conversazione intercettata tra due esponenti della criminalità organizzata, tali COGNOME e COGNOME, in cui si fa riferimento anche all’intervento di NOME COGNOME, inserito nel clan COGNOME di Lecce e la cui compagna è tra i dipendenti della società di Barone.
1.2 Quanto al reato di cui al capo A9 (intimidazione, in concorso con COGNOME, ai danni del titolare del ristorante ‘La INDIRIZZO‘), l’ordinanza richiama le dichiarazioni dei titolari di alcuni ristoranti della provincia di Lecce e il contenuto di alcune conversazioni intercettate, da cui emerge una complessiva attività minacciosa e violenta, funzionale all’acquisizione da parte della RAGIONE_SOCIALE di una posizione di monopolio nella raccolta degli oli esausti, per il tramite di interventi nei confronti dei clienti di aziende concorrenti, tesi a persuaderli a risolvere i precedenti contratti per stipularne di nuovi con la RAGIONE_SOCIALE
In questo contesto, l’ordinanza ricava gravi indizi in ordine alla attività intimidatoria posta in essere da COGNOME ai danni dei titolari del ristorante ‘La INDIRIZZO‘ perché passassero a conferire l’olio esausto alla RAGIONE_SOCIALE, nella consapevolezza dello stesso COGNOME, comprensiva anche della sua adesione ai metodi utilizzati dallo stesso COGNOME.
1.3 Quanto al reato di cui al capo A10, il Tribunale richiama la parte dell’ordinanza del g.i.p. in cui si dà atto che la ditta COGNOME, al fine di espandersi sul territorio del brindisino, abbia cercato l’appoggio della criminalità organizzata locale, attraverso un avvicinamento al clan COGNOME, per il tramite di NOME COGNOME, ciò che emerge chiaramente da conversazioni intercettate (in particolare da una, intercorsa tra tali COGNOME e COGNOME), il cui contenuto il provvedimento impugnato riporta analiticamente.
Il collegio specifica espressamente che l’argomento difensivo secondo cui le affermazioni registrate sono state riferite agli interlocutori da un appartenente alla Guardia di Finanza non destituisce di fondamento la veridicità di quanto emerge, perché, ove anche così fosse, ciò non implicherebbe affatto una minore credibilità delle affermazioni e perché, in realtà, a leggere bene il colloquio, tali circostanze sarebbero state piuttosto riferite da uno dei due interlocutori ad un amico della Guardia di Finanza e non viceversa.
Il Tribunale richiama poi la circostanza che il 4.9.2020 si sia tenuto a Porto Cesareo un pranzo cui hanno partecipato COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, che, anche alla luce delle conversazioni intercettate successivamente, può essere ritenuto come un incontro organizzato per stringere il pactum sceleris tra Barone e la criminalità organizzata.
L’ordinanza, quindi, riporta il contenuto di numerose intercettazioni, da cui si trae la conferma che esponenti del clan COGNOME, in particolare COGNOME e COGNOME, lavorassero per la RAGIONE_SOCIALE allo scopo di raccogliere gli oli e procacciare clienti, intervenendo sui titolari degli esercizi commerciali nel brindisino -essi stessi sentiti a sommarie informazioni, con le quali confermavano la prospettazione accusatoria -per convincerli ad avvalersi della Barone a danno delle altre aziende concorrenti.
1.4 Il Tribunale passa, quindi, alla qualificazione giuridica dei fatti, ritenendo che integrino i delitti di atti di concorrenza illecita con minaccia e di estorsione. In particolare, quanto al tornaconto economico per gli esponenti del clan COGNOME, vengo no richiamate alcune conversazioni da cui risulta che, per l’aiuto fornito a Barone nel reperimento di nuovi clienti, fosse previsto un ritorno economico per COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME. Sotto questo profilo, l’ordinanza evidenzia, quanto al rilievo difensivo secondo cui COGNOME ricavava da ciò soltanto 600 euro al mese, che invece dovesse in realtà conseguire un importo di 1.000 euro e soprattutto che la prospettiva fosse quella di guadagnare 3.000-4.000 euro al mese senza fornire alcun tipo di contributo; sicché risultava evidente il vantaggio reciproco che l’impresa, da un lato, e il gruppo criminale, dall’altro, traevano dall’accordo.
Quanto al concorso esterno in associazione mafiosa, il Tribunale osserva che il reato è rimasto integrato nel caso di specie, perché Barone con l’ausilio della criminalità organizzata si imponeva sul territorio in posizione dominante e in cambio il clan av eva una partecipazione agli utili: di conseguenza, l’indagato forniva un concreto e consapevole contributo al perseguimento dei fini criminosi dell’associazione, instaurando con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi.
1.5 Quanto, infine, alle esigenze cautelari, l’ordinanza richiama innanzitutto la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e considera che nel caso di specie non vi sono elementi specifici da cui risulti che in concreto le sussistenti esigenze cautelari possano essere soddisfatte con una misura diversa.
Sotto questo profilo, deve tenersi conto, da un lato, che COGNOME abbia offerto un’ampia disponibilità alla criminalità organizzata leccese e brindisina e, dall’altro, che la sua attività sia ancora operativa, sicché sussistono l’attualità delle esigenze cautelari e il pericolo di reiterazione dei reati. Gli arresti domiciliari non sarebbero idonei, perché non impedirebbero a COGNOME di gestire le attività dal domicilio con l’ausilio di terzi e di porre in essere attività di inquinamento probatorio, modificando documenti o avvicinando testimoni.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME articolando un unico motivo, con cui deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen., 81, 110, 513bis , 629, 628, 416bis e 416bis .1 cod. pen., nonché manifesta illogicità, contraddittorietà e mancanza della motivazione in ordine alla gravità indiziaria.
Il ricorso, sulla falsariga dell’ordinanza impugnata, si occupa delle singole contestazioni.
2.1 Con riferimento al reato di cui al capo A7, osserva che il Tribunale ha ritenuto la sussistenza della gravità indiziaria sulla base delle dichiarazioni di NOME COGNOME, titolare della RAGIONE_SOCIALE, concorrente di Barone, e di NOME COGNOME, suo dipendente, oltre che di alcune intercettazioni.
Quanto a COGNOME, questi non ha mai dichiarato di avere ricevuto minacce da COGNOME, bensì di avere subito furti di olio e di sapere che alcuni suoi dipendenti sono stati minacciati da ditte concorrenti non meglio individuate; ma non ha indicato il ricorrente come mandante di furti o minacce. Quanto alle sue dichiarazioni su COGNOME, non sono attendibili perché quest’ultimo è un suo ex dipendente, il quale proprio in quel periodo aveva rassegnato le dimissioni ed era passato con COGNOME, portando con sé centotrenta clienti della Rove e reclamando formalmente attraverso i suoi avvocati il TFR non versato.
Vi è, poi, un difetto di motivazione sul fatto che le minacce e le percosse di NOME siano state poste in essere su mandato di COGNOME. È probabile che NOME abbia agito per proprio conto al fine di impedire a NOME di sottrargli clienti, e ciò in funzione di come era costituita la sua paga mensile con gli incentivi.
La motivazione è illogica anche in relazione alle minacce che COGNOME avrebbe subito da NOME COGNOME su mandato di COGNOME. Non valuta adeguatamente le dichiarazioni degli stessi COGNOME e COGNOME, i quali hanno riferito che le minacce del secondo riguardavano un astio personale nei confronti di COGNOME, che aveva parlato male di lui. La ricostruzione è confermata dalle intercettazioni (n. 1799 dell’8.6.21), in cui peraltro COGNOME tenta di dissuadere COGNOME.
Non è condivisibile nemmeno quanto ritenuto dal Tribunale circa la consapevolezza da parte di COGNOME della caratura criminale di COGNOME. Il ricorrente ha dichiarato che, quando lo ha conosciuto, COGNOME era netturbino del comune di Castro e lo stesso COGNOME ha dichiarato di avere detto a COGNOME che lavorava per il comune ‘ai servizi sociali’.
2.2 Quanto al reato di cui al capo A9, il ricorso censura che la motivazione del Tribunale su questo episodio consiste nella pedissequa ripetizione dell’ordinanza del g.i.p. impugnata e omette di prendere in considerazione le censure della difesa in merito alla insussistenza dell’estorsione, atteso che l’acquisizione del cliente da parte di COGNOME non ha arrecato alcun danno all’esercente, comunque obbligato a conferire l’olio esausto ad una ditta specializzata, quale che fosse. Anzi, l’amministratrice del ristorante ha dichiarato di essere passata con NOME perché il contratto era più conveniente.
2.3 Quanto al reato di cui al capo A10, la motivazione è caratterizzata -ad avviso del ricorrente -da una serie di lacune e salti logici. Nonostante la specifica censura mossa in sede di riesame, il Tribunale ha ritenuto attendibili le dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME in una telefonata intercettata
(n. 2411 del 18.11.2020), a rileggere la quale appare chiaro che quanto riferito COGNOME lo ha appreso da un suo amico della Guardia di Finanza. Quindi, nessuna informazione idonea a fondare la conferma dell’ordinanza cautelare poteva essere ricavata dalla conversazione, perché i due colloquianti non avevano una conoscenza diretta dei fatti di cui parlavano.
L’ordinanza cautelare sostiene, poi, che COGNOME era sicuramente a conoscenza della caratura criminale di COGNOME e COGNOME, perché il primo utilizzava il furgone della ditta per il trasporto di droga e Barone non gli aveva mai mosso rimprovero. Ma la motivazione non è convincente, perché COGNOME svolgeva la sua attività a 100 km. di distanza dalla sede della COGNOME e l’imputato non poteva sapere dell’uso che il dipendente faceva del furgone.
2.4 Non è convincente l’interpretazione che dà il Tribunale né del dialogo riportato a p. 23 dell’ordinanza, in quanto è evidente che NOME e COGNOME stessero immaginando di acquisire nuovi autisti, e non nuovi ristoranti, per una società che avevano in animo di costituire, né del dialogo n. 2232 del 4.9.2020, da cui si fa derivare la prova che Barone fosse consapevole di avere a che fare con un boss mafioso, COGNOME, mentre invece l’indagato ha spiegato di avere organizzato l’incontro con NOME e di non sapere della presenza di COGNOME.
Del tutto errata è la motivazione del Tribunale circa la consapevolezza da parte di COGNOME dei metodi usati da COGNOME e COGNOME con riferimento allo schiaffeggiamento di NOME COGNOME, risultando invece dalle intercettazioni che COGNOME non abbia mai ascoltato la conversazione in cui COGNOME raccontava di avere preso a schiaffi COGNOME.
L’ordinanza afferma che COGNOME e COGNOME ricevevano un vantaggio economico di 1.000 euro da parte di Barone, ma omette di motivare circa la sproporzione tra il vantaggio che Barone avrebbe ricevuto dal clan e l’apporto che egli gli avrebbe assicurato. Negli anni oggetto di indagine, i ricavi aziendali di COGNOME sono stati di 600.000 euro per il 2020 e di 1.300.000 euro per il 2021, sicché si stenta a credere che il boss mafioso si sia accontentato di soli 1.000 euro per aiutarlo. È più probabile, invece, che sia stato NOME a riconoscere un corrispettivo al proprio capo, giacché il suo compenso cresce in rapporto al numero di autisti assunti.
In definitiva, la motivazione circa la sussistenza del concorso esterno nella associazione di stampo mafioso è contestabile, in quanto non è stato dimostrato che Barone abbia tratto, dal suo eventuale contributo all’associazione, un vantaggio sinallagmatico.
2.5 L’ordinanza è lacunosa, infine, anche quanto al profilo dell’attualità delle esigenze cautelari all’atto dell’applicazione della misura. L’assunto secondo cui l’azienda è tuttora operativa non tiene conto del sequestro preventivo, che deve
considerarsi elemento sufficiente a impedire la prosecuzione dell’attività e della operatività della RAGIONE_SOCIALE; anche la sottoposizione a misura carceraria degli indagati associati avrebbe dovuto essere valorizzata per ritenere l’assenza del pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
1. E’ opportuno premettere che, in tema di misure cautelari personali, il controllo del giudice di legittimità, in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, consente, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non anche il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/6/2019, COGNOME, Rv. 276976 -01; Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628 -01).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è rilevabile in cassazione se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge ovvero nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato (Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, COGNOME, Rv. 261400 -01). Alla Corte spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della relativa motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv. 215828 -01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 255460 -01).
È proprio alla luce di questo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si è ritenuto in precedenza di riportare piuttosto analiticamente sia i passaggi dell’ordinanza impugnata riguardanti i gravi indizi di colpevolezza, sia le censure mosse nel ricorso alla motivazione del tribunale del riesame in punto di gravità indiziaria.
Dal loro raffronto, emerge che, in sostanza, il ricorso contenga, per la gran parte, la prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito in modo non manifestamente illogico né contraddittorio.
Quanto ai gravi indizi di colpevolezza, infatti, il ricorso denuncia, essenzialmente, un vizio di motivazione e si risolve, di fatto, nella proposta di una rilettura e di una diversa interpretazione dei fatti posti a base della decisione impugnata.
In particolare, si critica l’ordinanza nella parte in cui apprezza il contenuto o l’attendibilità stessa delle fonti dichiarative ovvero la concludenza dei dati probatori ricavabili dalle intercettazioni.
Ma il sindacato della Corte di cassazione non involge la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza degli elementi indiziari, ove tale apprezzamento sia stato espresso con motivazione adeguata.
E, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 5/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 -01; Sez. 5, n. 6350 del 22/12/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 216269 – 01).
Quando reinterpreta il significato attribuito dal Tribunale, sulla base del loro tenore letterale, alle dichiarazioni di alcuni testimoni (per esempio, COGNOME o i ristoratori avvicinati da COGNOME) o contesta la credibilità di altri (per esempio, COGNOME) ovvero decodifica diversamente il contenuto di alcune conversazioni intercettate, il ricorso è sostanzialmente diretto a sollecitare una rivisitazione esclusivamente fattuale delle risultanze investigative, tutta imperniata su una valutazione alternativa nel merito delle fonti di prova, non consentita in sede di legittimità.
Qui, rileva, in senso contrario al ricorso, che la motivazione dell’ordinanza impugnata dia congruamente conto della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in modo rispondente ai canoni della logica e ai principi che devono governare l’apprezzamento degli elementi indiziari disponibili.
Quanto, poi, alle violazioni di legge dedotte, che attengono all’applicazione delle norme penali che prevedono i reati ipotizzati a carico di Barone, la motivazione del Tribunale sulla qualificazione giuridica dei fatti risulta del tutto condivisibile.
In particolare, il ricorrente, in primo luogo, contesta specificamente la qualificazione del fatto oggetto del capo A9) come integrante una estorsione, sulla base dell’osservazione che, del reato di cui all’art. 629 cod. pen. difetta l’elemento costitutivo del danno ingiusto altrui: anche ad ammettere, cioè, che Barone sia
intervenuto sui titolari del ristorante ‘INDIRIZZO‘ perché lasciassero le aziende concorrenti e diventassero suoi clienti, in ogni caso nessun danno ne sarebbe derivato all’esercente, comunque tenuto a conferire l’olio esausto ad una ditta specializzata.
Tuttavia, nemmeno questa ricostruzione delle dinamiche intercorrenti tra Barone e i suoi correi, da un lato, e i titolari dei ristoranti che dovevano smaltire l’olio esausto, dall’altro, è suscettibile di escludere l’est orsione.
Infatti, nel delitto di estorsione c.d. contrattuale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto più opportuno (Sez. 2, n. 12434 del 19/2/2020, Pmt c. COGNOME, Rv. 278998 -01; Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, P.g. in proc. COGNOME e altri, Rv. 269364 – 01).
Il ricorrente contesta, in secondo luogo, che la condotta di COGNOME sia qualificabile come integrante il concorso c.d. esterno nella associazione di stampo mafioso , in quanto non è stato dimostrato che l’indagato abbia tratto, dal suo eventuale contributo all’associazione, un vantaggio sinallagmatico, e cioè che la sua società sia cresciuta grazie all’aiuto del sodalizio criminoso.
In realtà, l’ordinanza impugnata motiva adeguatamente circa il fatto che la ditta di Barone ha acquisito numerosi nuovi clienti per effetto degli interventi degli esponenti del clan mafioso e afferma in modo congruo la riconducibilità della sua condotta nella fattispecie del concorso nel reato di cui all’ art. 416bis cod. pen., facendo corretta applicazione del principio secondo cui integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta dell’imprenditore che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e pur privo della “affectio societatis”, instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per l’imprenditore, nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l’organizzazione mafiosa, nell’ottenere risorse, servizi o utilità, anche in forma di corresponsione di una percentuale sui profitti percepiti dal concorrente esterno (Sez. 1, n. 47054 del 16/11/2021, COGNOME, Rv. 282455 -01; Sez. 6, n. 32384 del 27/0/2019, COGNOME, Rv. 276474 – 01).
Quanto, infine, alle esigenze cautelari, il motivo di ricorso attiene al difetto di attualità delle esigenze stesse, che sarebbe conseguente -nella prospettazione difensiva -al sequestro dell’azienda di Barone e all’arresto dei coindagati.
Premesso che nel caso di specie opera comunque la presunzione relativa di cui all’art. 275 cod. proc. pen. , conseguente alla contestazione della circostanza
aggravante ex art. 416bis .1 cod. pen., quello del sequestro, innanzitutto, è argomento non decisivo, giacché, in un contesto di illegalità di stampo mafioso che si impone sul territorio con minaccia e violenza, non è certo il dato formale della sopravvenuta inoperatività coatta della società a soddisfare l’esigenza che non si riorganizzi l’attività illecita con l’impiego di strumenti societari formalmente legali e di persone diverse.
È stato già affermato da questa Corte in tema di custodia in carcere disposta per gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di partecipazione ad un’associazione di tipo criminoso, con argomenti che , mutatis mutandis e pur tenendo conto della diversità del collegamento criminale, possono essere mutuati per l’ipotesi di concorso dell’imprenditore nel reato associativo, che la cessazione delle esigenze cautelari deve essere desunta o dal fatto dell’avvenuto scioglimento del gruppo associativo criminale o dal fatto dell’avvenuto recesso dal gruppo del soggetto sottoposto ad indagine, non essendo conforme a canoni logici la deduzione del loro venir meno, sotto il profilo dell’eliminazione del pericolo di reiterazione criminosa, dall’avvenuto sequestro preventivo di aziende, appartenenti ad altri soggetti sottoposti ad indagine, che erano utilizzate dal gruppo associativo per la realizzazione delle finalità delittuose (Sez. 2, n. 45525 del 20/10/2005, P.m. in proc. Russo, Rv. 232781 – 01).
Per quel che riguarda, in secondo luogo, il dato che i soggetti con cui Barone ha concorso nei reati ipotizzati siano stati a loro volta destinatari di un provvedimento restrittivo della libertà personale, si tratta di argomento potenzialmente utilizzabile da tutti gli indagati, ciascuno dei quali potrebbe addurre la sottoposizione alla misura di massimo rigore degli altri per invocare la cessazione a suo carico delle esigenze cautelari, con le conseguenze irragionevoli e illogiche che ben si possono immaginare.
L’argomento potrebbe valere tutt’al più per indagati con ruoli obiettivamente minori o marginali, e tale non può invece considerarsi Barone, che è il titolare della attività imprenditoriale attorno a cui ruotava il meccanismo associativo diretto ad alterare e inquinare in maniera intimidatoria e violenta il settore economico della raccolta degli oli esausti, senza la quale ditta la complessiva attività delittuosa non avrebbe potuto avere luogo.
In tema di esigenze cautelari, vale il principio secondo cui la posizione processuale di ciascun coindagato è autonoma, in quanto la valutazione da esprimere ex art. 274 cod. proc. pen., con particolare riguardo al pericolo di recidivanza, si fonda sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato da ognuno dei concorrenti alla realizzazione dell’illecito e su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo (Sez. 4, n. 13404 del
14/02/2024, COGNOME Rv. 286363 -01; Sez. 3, n. 7784 del 28/1/2020, Mazza, Rv. 278258 -02).
Se questo può giustificare l’adozione di regimi difformi, pur a fronte della contestazione di un medesimo fatto di reato, è altresì vero, di contro, che l’indipendenza delle singole posizioni esclude ogni automatismo nella valutazione delle esigenze cautelari, tale per cui l’avvenuta applicazione contestuale di una misura restrittiva nei confronti di tutti i concorrenti in un reato o di tutti gli autori di un reato plurisoggettivo sia suscettibile di determinare una modifica del quadro cautelare in senso favorevole a taluno di essi (magari al primo che formuli una richiesta di revoca o di sostituzione della misura).
Alla luce di quanto fin qui osservato, perento, il, ricorso è da ritenersi infondato e deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Giacché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, si deve disporre ex art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen., che copia del provvedimento sia trasmessa, a cura della Cancelleria, al Direttore dell ‘Istituto penitenziario ove è attualmente ristretto NOME COGNOME COGNOME.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 7.3.2025