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Concorso esterno: la Cassazione sulla custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, che chiedeva la revoca della misura cautelare in carcere. La Corte ha stabilito che la cessazione dell’attività imprenditoriale usata per agevolare il clan non è sufficiente a escludere il pericolo di reiterazione del reato. La decisione del Tribunale del riesame è stata ritenuta corretta, poiché basata su elementi concreti come intercettazioni che rivelavano la pianificazione di futuri progetti collusivi, dimostrando la persistenza di un legame pericoloso con l’associazione criminale.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso Esterno e Misure Cautelari: La Cassazione Chiarisce i Criteri di Valutazione

Il tema del concorso esterno in associazione di tipo mafioso è uno dei più complessi e dibattuti nel nostro ordinamento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 26192 del 2024, offre importanti chiarimenti su come debbano essere valutate le esigenze cautelari per chi non è un membro organico del clan, ma un suo fiancheggiatore. La decisione sottolinea che la semplice cessazione dell’attività illecita non basta a far venire meno il pericolo di recidiva.

Il Caso in Esame

Un imprenditore, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori, si era visto respingere dal Tribunale del riesame la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare in carcere. La difesa dell’imputato aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la situazione fosse mutata e che le esigenze cautelari si fossero affievolite.

Le Argomentazioni della Difesa

Secondo i legali, diversi fattori avrebbero dovuto portare a una riconsiderazione della misura detentiva:

* La riqualificazione del reato da partecipazione ad associazione mafiosa a concorso esterno, che non prevede la stessa presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere.
* La cessazione di ogni attività imprenditoriale che potesse agevolare il sodalizio criminale.
* L’impossibilità di continuare a fornire supporto logistico o a favorire incontri, dato che i suoi contatti all’interno dell’associazione erano detenuti.

In sostanza, la difesa sosteneva che, venuto meno lo strumento attraverso cui si realizzava il contributo al clan (l’attività commerciale), non vi fosse più un concreto pericolo di reiterazione del reato.

La Valutazione del Concorso Esterno e delle Esigenze Cautelari

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale. La sentenza chiarisce un punto fondamentale: la valutazione delle esigenze cautelari per il concorrente esterno segue un parametro diverso, e per certi versi meno severo, rispetto a quello previsto per il partecipe interno. Chi è affiliato al clan deve dimostrare di aver reciso il vincolo di appartenenza; chi è un concorrente esterno, non avendo tale vincolo, deve dimostrare l’impossibilità o l’elevata improbabilità di poter fornire un nuovo contributo all’associazione.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale del riesame non fosse né illogica né apparente. Il giudice di merito aveva correttamente valorizzato elementi che andavano oltre la mera cessazione dell’attività commerciale. In particolare, la prognosi negativa sul pericolo di recidiva si fondava su:

1. La Sentenza di Condanna: Il fatto stesso che fosse intervenuta una condanna per reati così gravi era un elemento sfavorevole all’imputato.
2. La Natura del Legame: I rapporti con esponenti di vertice del clan non erano occasionali, ma radicati e basati su una cointeressenza economica profonda. L’imputato aveva agito come prestanome e aveva messo a disposizione le sue attività per riciclare denaro e organizzare incontri riservati.
3. La Progettualità Futura: Elemento decisivo sono state le conversazioni intercettate, non menzionate nel ricorso della difesa, dalle quali emergeva un interesse comune tra l’imputato e gli associati a sviluppare nuovi progetti imprenditoriali sul territorio. Questo dimostrava che la collusione non era legata a una specifica attività ormai conclusa, ma a una disponibilità più ampia e protratta nel tempo.

Il Tribunale aveva quindi giustamente concluso che la trama di interessi comuni con il clan non si era affatto interrotta, alimentando una concreta prognosi di reiterabilità di nuove collusioni mafiose. La Corte ha inoltre giudicato irrilevanti gli altri elementi portati dalla difesa, come il tempo trascorso in custodia o le condizioni di salute, in quanto già adeguatamente valutati in precedenza.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale: per il concorso esterno, la valutazione del rischio di recidiva non può limitarsi a verificare se la specifica condotta illecita sia cessata. È necessario un esame più ampio della natura del rapporto tra l’imprenditore e l’associazione criminale. Se emergono prove di una persistente trama di interessi comuni e di progetti futuri, come in questo caso, la pericolosità sociale rimane attuale e giustifica il mantenimento della misura cautelare più afflittiva. La decisione rappresenta un importante monito per chi, pur non essendo affiliato, sceglie di stringere patti con la criminalità organizzata: recidere tali legami richiede molto più che chiudere un’azienda.

Per un ‘concorrente esterno’ a un’associazione mafiosa, è sufficiente cessare l’attività illecita per ottenere la revoca della custodia cautelare?
No, non è sufficiente. La Cassazione ha chiarito che il concorrente esterno deve provare l’impossibilità o l’elevata improbabilità di poter fornire un nuovo contributo all’associazione. La sola cessazione dell’attività commerciale specifica non basta se persistono altri indicatori di pericolosità.

Quali elementi ha considerato la Corte per ritenere ancora presente il pericolo di reiterazione del reato?
La Corte ha dato peso a diversi elementi: la sentenza di condanna stessa, i rapporti pregressi con esponenti apicali del sodalizio e, in particolare, conversazioni intercettate che rivelavano un interesse comune a futuri progetti imprenditoriali, dimostrando che il legame collusivo non era occasionale ma proiettato nel futuro.

La valutazione delle esigenze cautelari per un concorrente esterno è diversa da quella per un membro effettivo dell’associazione?
Sì, è diversa. Mentre il membro interno deve dimostrare la rescissione del vincolo di appartenenza al clan, il concorrente esterno deve dimostrare che è venuta meno la sua capacità o volontà di contribuire alla sopravvivenza del gruppo criminale. Il parametro è quindi meno severo, ma la valutazione rimane rigorosa e basata su una prognosi concreta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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