Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26192 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26192 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME NOME, nato a Vibo Valentia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/03/2024 del Tribunale del riesame di Catanzaro letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udite le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, anche in sostituzione
dellAVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
I difensori di NOME NOME COGNOME hanno presentato ricorso avverso l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il Tribunale di Catanzaro ha respinto l’appello proposto avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca o di sostituzione della misura custodiale applicata all’imputato, emesso il 29 novembre 2023 dal Tribunale di Vibio Valentia.
Ne chiedono l’annullamento per violazione di legge e vizi della motivazione in relazione alla valutazione dei fatti sopravvenuti e alle esigenze cautelari con particolare riferimento alla concretezza e attualità delle stesse nonché alla adeguatezza della misura.
La motivazione è illogica e apparente riguardo all’affievolimento delle esigenze cautelari conseguente alla riqualificazione della condotta del ricorrente in concorso esterno, non vigendo per detta fattispecie la presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere valida per la partecipazione associativa ed essendo stati offerti elementi idonei a superare la presunzione relativa di persistenza delle esigenze cautelari. Il Tribunale non ha considerato che: il ricorrente ha cessato ogni attività imprenditoriale che possa agevolare l’associazione mafiosa; non potrebbe garantire, neanche tramite prestanome, la continuità di attività imprenditoriali di interesse dell’associazione o favorir incontri tra gli associati; non può assicurare la continuità dei rapporti con componenti del sodalizio con i quali interagiva perché detenuti, sicché non è concreto il pericolo di reiterazione. Inoltre, non si è tenuto conto del tempo trascorso in regime custodiale e degli ulteriori elementi sopravvenuti, quali le dichiarazioni del COGNOME, le condizioni di salute, la riqualificazione del reato, l’inesistenza dell’attività commerciale tramite la quale aveva fornito un contributo all’associazione, oltre alla pena inflitta di 16 anni e 6 mesi d reclusione.
1.1. Con memoria del 15 maggio 2024 i difensori hanno ribadito e sviluppato i motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti, diretti a censurare il merito della motivazione resa più che la mancanza o apparenza della stessa, unico vizio deducibile in materia cautelare, nella specie solo formalmente enunciato.
E’ pacifico che dalla non equiparabilità del concorso esterno alla partecipazione ad una associazione mafiosa, fattispecie entrambe assistite dalla presunzione di persistenza delle esigenze cautelari, discende una diversa valutazione dell’ambito di operatività della presunzione posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. / non essendo richiesti per il concorrente esterno gli stessi elementi necessari per il partecipe al fine di superare la presunzione, mancando per il primo un vincolo da rescindere.
Si è, infatti, affermato che nel caso del concorrente esterno non è richiesta la dimostrazione della rescissione del vincolo di appartenenza al sodalizio, non
essendovi COGNOME alcun COGNOME vincolo COGNOME da COGNOME rescindere, COGNOME stante COGNOME la COGNOME sua COGNOME estraneità all’organizzazione, sicché il parametro per superare la presunzione non solo è diverso, ma è anche necessariamente meno severo, rimanendo legato alla prognosi di non reiterabilità del contributo alla consorteria (Sez. 6, n. 9478 del 29 gennaio 2014, Ragosta, Rv. 258809; Sez. 6, n. 276858 del 08/07/2011, COGNOME, Rv. 250360). Sono, pertanto, necessari elementi diretti a sostenere l’impossibilità o l’elevata improbabilità che il concorrente esterno possa ancora fornire un contributo alla cosca ovvero diretti ad evidenziare il venir meno degli interessi comuni con l’associazione o la perdita di quegli strumenti che assicuravano di poter contribuire alla sopravvivenza del gruppo criminale.
Oltre a richiamare tali differenze, il ricorso si limita ad elencare gli elementi ritenuti idonei a vincere la presunzione, trascurando che il Tribunale non si è affatto sottratto a tale disamina, ma ha valorizzato elementi non menzionati nel ricorso.
In primo luogo, il Tribunale ha fatto riferimento all’affermazione di responsabilità per i delitti di concorso esterno in associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori contenuta nella sentenza di condanna emessa a carico del ricorrente, quale elemento di novità certamente non favorevole al ricorrente neppure sul piano delle esigenze cautelari.
In secondo luogo, ha attribuito rilievo agli accertati risalenti rapporti e all cointeressenze in affari emerse tra il ricorrente ed esponenti apicali del sodalizio, in particolare, con riferimento al contributo prestato,,fungendo da prestanome di COGNOME NOME in un’attività commerciale, così consentendo all’associazione di riciclare denaro e di organizzare incontri riservati.
La riduttiva prospettazione difensiva esclude la reiterabilità della condotta e dell’apporto del ricorrente in ragione della cessazione dell’attività commerciale e dell’interruzione dei rapporti con gli associati, tutti detenuti, senza, tuttav considerare che il Tribunale ha fondato la prognosi di recidiva sulle conversazioni intercettate, non menzionate affatto nel ricorso, attestanti il comune interesse del ricorrente e degli associati ad ulteriori progetti imprenditoriali da avviare su territorio; ha, inoltre, valorizzato la eterogeneità e la protratta messa a disposizione del ricorrente per agevolare esigenze economiche e logistiche della cosca, fortemente radicata sul territorio e ancora operativa. Il Tribunale ha, quindi, ancorato la prognosi negativa alla progettualità futura condivisa con esponenti mafiosi, escludendo l’occasionalità del rapporto collusivo con esponenti mafiosi, non circoscritto alla sola attività commerciale ormai cessata.
In tal modo il Tribunale ha giustificato la prognosi di reiterabilità di nuove collusioni mafiose, che per il concorrente esterno discende essenzialmente dalla persistenza di quella trama di interessi comuni con gli esponenti mafiosi di maggiore influenza criminale, che nel caso di specie non risulta aver registrato
fratture o conflitti di interesse o altro tipo di divergenze in grado di incidere su profilo cautelare.
Anche gli ulteriori elementi nuovi indicati nel ricorso sono stati vagliati, ma ritenuti ininfluenti con motivazione congrua, attesa la valenza neutra attribuita al tempo trascorso in regime custodiale, la mancanza di novità relativamente alle condizioni di salute dell’imputato, la cui compatibilità con il regime carcerario era stata già accertata di recente dallo stesso Tribunale e l’irrilevanza dell’attenuazione delle misure disposta per alcuni coimputati, non essendo comparabili le singole posizioni né vigendo automatismi in punto di esigenze cautelari. Sul punto il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale la valutazione richiesta dall’art. 274 cod. proc. pen. è correlata, oltre che alla diversa entità del contributo materiale o morale assicurato alla realizzazione dell’illecito da ognuno dei concorrenti, a profili strettamente attinenti alla personalità del singolo, sicché può risultare giustificata l’adozione d regimi difformi, pur a fronte della contestazione di un medesimo fatto di reato (Sez. 3, n. 7784 del 28/01/2020, Mazza, Rv. 27825-02).
Da ultimo va rimarcata l’assoluta genericità del riferimento alle dichiarazioni del COGNOME, non risultandone chiarita la portata e l’incidenza sul profilo in esame.
2. Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativannente determinata in tremila euro.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, 28 maggio 2024