Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 43103 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 43103 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SCICLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/06/2024 del TRIB. LIBERTA’ di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale COGNOME
NOME COGNOME, che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 30 maggio 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania aveva applicato a NOME NOME la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso (capo 1) nonché per il reato di cui agli artt. 2, 4 e 7 legge n. 895 del 1967 (capo 23).
Secondo l’originaria ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dal Giudice per le indagini preliminari, NOME e il fratello NOME avrebbero partecipato (assieme a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME
NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME) a un sodalizio di stampo mafioso, riferibile a RAGIONE_SOCIALE, operante sul territorio di Vittoria e comuni limitrof finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti contro la vita, l’incolumità individuale e il patrimonio, nonché ad acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, anche mediante «l’operatività di COGNOME NOMENOME NOME, nel settore della produzione e commercializzazione di prodotti o rtofrutticol i ».
COGNOME NOME e COGNOME NOME, in particolare, avrebbero posto in essere le attività strumentali al perseguimento degli interessi criminali del sodalizio nel territorio di Scicli e Modica.
Con ordinanza del 29 giugno 2024, il Tribunale di Catania – Sezione riesame -, previa riqualificazione del reato di cui al capo 1) nel reato previsto dagli art 110 e 416 cod. pen., ha confermato l’ordinanza impugnata.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME NOME, a mezzo del proprio difensore, articolando due motivi di seguito enunciati negli stretti limiti di cu all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con un primo motivo, articolato con particolare riferimento al delitto di partecipazione all’associazione per delinquere di stampo mafioso, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che mancherebbero gli elementi per ritenere sussistente il concorso esterno in associazione di tipo mafioso e, in particolare, quelli che, applicando i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, sarebbero stati necessari per qualificare «mafiosa» la ditta dell’indagato.
Evidenzia che, nel caso in esame, nessun vantaggio economico e nessuna posizione dominante sarebbero stati acquisiti dall’impresa dell’indagato, durante il periodo in cui egli aveva intrattenuto rapporti commerciali con il COGNOME.
Sotto altro profilo, evidenzia che l’indagato aveva «tenuto rapporti commerciali solo con le ditte riconducibili alla famiglia COGNOME o ai suoi rappresentanti (COGNOME), non avendo mai avuto rapporti di nessun tipo con gli altri presunti sodali».
2.2. Con un secondo motivo, deduce la «mancanza di motivazione con riferimento alla mancanza di esigenze cautelari».
Sostiene che il Tribunale non avrebbe motivato in ordine alla dedotta mancanza di esigenze cautelari e non avrebbe tenuto conto «della rilevanza nel tempo delle condotte contestate e, in particolare, del fatto» che l’indagato aveva «chiuso l’attività nel 2021» e si era trasferito, con la propria famiglia, a Vercelli.
Non assumerebbero, inoltre, rilievo altri delitti contestati all’indagato e, i particolare, il tentato omicidio del 2023, atteso che si trattava di reati commessi al di fuori dal contesto associativo.
Il Procuratore generale, nelle conclusioni scritte, ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
Con esso, invero, il ricorrente ha articolato alcune generiche censure che non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, COGNOME).
Al riguardo, va ricordato che, «in tema di ricorso per cassazione, il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento» (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Sansone, Rv. 269438).
Va evidenziato che, in ogni caso, il Tribunale, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, ha motivato in maniera adeguata, coerente e senza incorrere in alcun vizio logico (cfr. pagine 32 e ss. dell’ordinanza impugnata). Il Tribunale, in particolare, ha evidenziato che l’indagato, sebbene esercitasse l’attività di impresa con risorse e strutture proprie e, quindi, non come mero intestatario di ditte riconducibili al clan, nondimeno aveva consentito ai COGNOME di intervenire nello svolgimento dell’attività economica svolta dalla sua impresa (principalmente attraverso il procacciamento dei clienti e la determinazione del prezzo), riconoscendo loro una provvigione su detta attività. In tal modo, i COGNOME avevano potuto aggirare la misura di prevenzione,
mantenendo la propria presenza nel settore commerciale in questione, traendo pure un profitto senza costi d’impresa.
L’indagato era stato economicamente agevolato dal rapporto con il clan, avendo in conseguenza di esso non solo incrementato la clientela, ma anche “strappato” un prezzo di vendita della merce più vantaggioso di quello che si sarebbe determinato per effetto nella normale negoziazione tra venditore e acquirente. Proprio grazie al rapporto istaurato con il clan, l’impresa dell’indagato era riuscita a imporsi nel mercato della zona di Vittoria.
Si tratta di una decisione in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale «integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta dell’imprenditore “colluso” che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale, instauri con questo un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e nel far ottenere all’organizzazione risorse, servizi o utilità, mentre si configura i reato di partecipazione all’associazione nel caso in cui l’imprenditore metta consapevolmente la propria impresa a disposizione del sodalizio, di cui condivide metodi e obiettivi, onde rafforzarne il potere economico sul territorio di riferimento» (Sez. 6, n. 32384 del 27/03/2019, Putrino, Rv. 276474).
A fronte di una motivazione congrua in fatto e corretta in diritto, il ricorrente si è limitato a delle deduzioni generiche, meramente assertive e versate in fatto.
1.2. Il secondo motivo è infondato, avendo il Tribunale reso adeguata motivazione anche in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.
In particolare, ha rilevato che, nel caso in esame, la sussistenza delle esigenze cautelari derivava non solo dalla presunzione correlata al titolo di reato (artt. 110, 416 bis cod. pen.), che non era contraddetta da alcuna emergenza dimostrativa di senso contrario, ma anche da fatti gravissimi e recenti che dimostravano la necessità di mantenere la misura della custodia cautelare in carcere.
Apparivano in tal senso particolarmente significative le conversazioni (del marzo 2022) tra l’indagato e NOME, nel corso delle quali si faceva riferimento alla disponibilità di armi da usare in un attentato, e i gravi fatti accadu nel giugno 2023, quando i NOME si erano resi responsabili di un tentato omicidio, sparando colpi di fucile verso due persone. Il Tribunale ha evidenziato che l’episodio era accaduto nel giugno 2023, dopo il presunto trasferimento in Piemonte, che dunque, di per sé, finiva per assumere scarsa rilevanza.
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 9 ottobre 2024.