LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Concorso esterno: la Cassazione sul ruolo dell’imprenditore

Un imprenditore, accusato di reati associativi di stampo mafioso, ha visto il suo ricorso respinto dalla Corte di Cassazione. La Corte ha confermato la misura della custodia cautelare, chiarendo la nozione di ‘concorso esterno’. Secondo la sentenza, integra questo reato la condotta dell’imprenditore ‘colluso’ che, pur non essendo membro del clan, mette la propria impresa a disposizione del sodalizio per rafforzarne il potere economico, instaurando un rapporto di vantaggi reciproci. Le esigenze cautelari sono state ritenute sussistenti a causa di recenti e gravi fatti di violenza, che hanno reso irrilevante il suo presunto trasferimento in un’altra regione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso esterno: La Cassazione definisce il ruolo dell’imprenditore ‘colluso’

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43103/2024, è tornata a pronunciarsi su una questione tanto delicata quanto cruciale: la linea di demarcazione tra lecite attività imprenditoriali e il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso. La decisione offre importanti chiarimenti su quando un imprenditore, pur non essendo un affiliato, può essere considerato responsabile per aver favorito un sodalizio criminale, instaurando con esso un rapporto di reciproco vantaggio.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un imprenditore del settore ortofrutticolo. L’accusa iniziale era di partecipazione diretta a un’associazione mafiosa. Secondo l’ipotesi accusatoria, l’imprenditore e suo fratello avrebbero messo la loro attività a disposizione di un clan per il perseguimento degli interessi criminali del sodalizio in un’ampia area territoriale.

Il Tribunale del Riesame, pur confermando la misura cautelare, aveva riqualificato il reato da partecipazione ad associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) a concorso esterno in associazione per delinquere (artt. 110 e 416 c.p.).

L’imprenditore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione: sosteneva la mancanza di prove del concorso esterno, evidenziando come la sua impresa non avesse ottenuto vantaggi economici significativi e che i suoi rapporti commerciali fossero limitati a una sola famiglia, non all’intero clan.
2. Mancanza di esigenze cautelari: affermava che il Tribunale non avesse considerato adeguatamente la chiusura della sua attività nel 2021 e il suo trasferimento con la famiglia in un’altra regione, elementi che a suo dire avrebbero dimostrato l’assenza di pericolosità sociale.

La Decisione della Corte sul Concorso Esterno

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso. I giudici hanno sottolineato che il ricorso mirava a una rivalutazione dei fatti, un’attività preclusa in sede di legittimità. La Corte ha invece ritenuto la motivazione del Tribunale del Riesame adeguata, coerente e priva di vizi logici.

Il punto centrale della decisione è la figura dell'”imprenditore colluso”. Il Tribunale aveva accertato che l’indagato, sebbene gestisse un’impresa con risorse proprie, aveva consentito a esponenti del clan di intervenire attivamente nella sua attività economica. Questo intervento si concretizzava nel procacciamento di clienti e nella determinazione dei prezzi, in cambio di una provvigione. In questo modo, il clan riusciva ad aggirare le misure di prevenzione e a mantenere una solida presenza nel settore commerciale di riferimento.

Dall’altro lato, l’imprenditore otteneva un notevole vantaggio economico: non solo un aumento della clientela, ma anche la possibilità di imporre prezzi di vendita più vantaggiosi rispetto a quelli derivanti dalla normale negoziazione di mercato. Questo rapporto di reciproca utilità, secondo la Cassazione, integra pienamente la fattispecie del concorso esterno, in quanto l’imprenditore mette consapevolmente la propria impresa a disposizione del sodalizio, ne condivide metodi e obiettivi, e ne rafforza il potere economico sul territorio.

La Valutazione delle Esigenze Cautelari

Anche il secondo motivo di ricorso è stato ritenuto infondato. La Corte ha spiegato che la necessità della custodia in carcere non derivava solo dalla presunzione di legge legata al titolo di reato, ma era supportata da fatti gravissimi e recenti.

In particolare, sono state citate conversazioni del marzo 2022 in cui si discuteva della disponibilità di armi per un attentato, e un tentato omicidio avvenuto nel giugno 2023, di cui l’imprenditore e suo fratello erano ritenuti responsabili. Quest’ultimo episodio, essendo accaduto dopo il presunto trasferimento al Nord, ha reso tale circostanza del tutto irrilevante ai fini della valutazione della pericolosità attuale dell’indagato. La commissione di un reato così grave dimostrava, al contrario, la persistenza di una spiccata pericolosità sociale, giustificando pienamente il mantenimento della misura cautelare più afflittiva.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi giuridici consolidati. In primo luogo, viene ribadito che il controllo di legittimità della Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Il compito della Corte è verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della decisione impugnata, non riesaminare gli indizi.
In secondo luogo, la sentenza cristallizza la definizione di imprenditore ‘colluso’ la cui condotta, pur esterna alla struttura organica del clan, ne costituisce un supporto fondamentale. Questo supporto, basato su un patto di reciproco vantaggio, è sufficiente per configurare il reato di concorso esterno. Infine, si sottolinea che la valutazione della pericolosità di un indagato deve basarsi su elementi concreti e attuali; condotte criminose recenti e gravi prevalgono su circostanze potenzialmente positive ma smentite dai fatti, come un trasferimento.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per il mondo imprenditoriale. Stabilisce con chiarezza che intrattenere rapporti economici con organizzazioni criminali, quando questi si traducono in un accordo di mutuo vantaggio che rafforza il potere del clan, non è una semplice scelta commerciale, ma un reato grave. La figura del concorso esterno serve proprio a colpire quelle ‘zone grigie’ in cui l’economia legale si contamina con quella criminale. La decisione conferma inoltre che, di fronte a una comprovata e attuale pericolosità sociale, dimostrata da fatti di sangue, argomenti come il cambio di residenza o la cessazione di un’attività perdono ogni valore ai fini dell’applicazione delle misure cautelari.

Quando un imprenditore commette il reato di concorso esterno in associazione criminale?
Secondo la sentenza, un imprenditore commette concorso esterno quando, pur non essendo un membro affiliato, mette consapevolmente la propria impresa a disposizione di un’organizzazione criminale, condividendone metodi e obiettivi, e instaurando un rapporto di reciproci vantaggi che rafforza il potere economico del clan sul territorio.

Avere semplici rapporti commerciali con persone legate a un clan è sufficiente per essere accusati di concorso esterno?
No, non è il semplice rapporto commerciale a costituire reato. Diventa penalmente rilevante quando si trasforma in un rapporto ‘collusivo’, ovvero un patto di reciproco vantaggio in cui l’imprenditore consente al clan di usare la sua attività per i propri fini (es. controllo del mercato, riciclaggio) e in cambio ottiene vantaggi illeciti, come imporsi sulla concorrenza.

Trasferirsi in un’altra città e chiudere la propria attività è sufficiente a escludere la pericolosità sociale e quindi le misure cautelari?
No. Secondo la Corte, tali elementi perdono di rilevanza se l’indagato commette successivamente altri reati gravi. Nel caso specifico, un tentato omicidio avvenuto dopo il presunto trasferimento ha dimostrato una pericolosità sociale attuale e concreta, giustificando il mantenimento della custodia in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati