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Concorso esterno: la Cassazione sui limiti della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero contro l’annullamento di una misura di custodia cautelare per un imprenditore. L’accusa era di concorso esterno in associazione mafiosa, ma secondo i giudici mancava la prova di un contributo concreto e causale al rafforzamento del sodalizio criminale, non essendo sufficiente il rapporto d’affari con un singolo esponente.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso Esterno in Associazione Mafiosa: La Cassazione Traccia i Confini

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 43431 del 2024, offre un’importante lezione sui requisiti probatori necessari per configurare il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso. Il caso riguarda un imprenditore la cui misura di custodia cautelare era stata annullata dal Tribunale del Riesame, decisione poi confermata dalla Suprema Corte, che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura. Questa pronuncia ribadisce la necessità di una prova rigorosa che vada oltre il semplice rapporto d’affari con singoli esponenti di un clan.

I Fatti del Caso: Un Imprenditore e Legami Pericolosi

Il procedimento nasce da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un imprenditore, accusato di concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso (artt. 110 e 416-bis c.p.). Secondo l’accusa, l’imprenditore, pur non essendo un membro organico del clan, avrebbe fornito un contributo volontario e consapevole per la conservazione e il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione criminale.

Il Tribunale del Riesame, tuttavia, aveva annullato tale misura, ritenendo insufficiente il quadro indiziario. Secondo i giudici del riesame, la valutazione degli elementi investigativi non permetteva di dimostrare un legame strutturale tra l’imprenditore e l’associazione nel suo complesso, ma solo un rapporto d’affari, peraltro non occulto, con un membro specifico della cosca, nel frattempo deceduto.

Il Ricorso della Procura e la Tesi del concorso esterno

La Procura della Repubblica ha impugnato la decisione del Tribunale del Riesame dinanzi alla Corte di Cassazione. Il ricorso si basava su due argomenti principali: una presunta violazione della legge processuale penale e un vizio di motivazione. L’accusa sosteneva che il Tribunale avesse analizzato gli elementi in modo frammentato e atomistico, senza cogliere il quadro complessivo che, a suo dire, dimostrava il ruolo dell’imprenditore come imprenditore colluso.

Secondo la Procura, l’indagato avrebbe messo a disposizione le proprie risorse finanziarie e i propri locali per favorire gli incontri del sodalizio, ottenendo in cambio un’espansione dei suoi affari grazie al supporto dell’apparato mafioso. Le intercettazioni, inoltre, avrebbero rivelato la consapevolezza dell’imprenditore di mettere le sue imprese al servizio del clan.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e volto a ottenere una nuova valutazione del merito dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità. La motivazione della Suprema Corte si fonda su una piena condivisione del percorso logico-giuridico seguito dal Tribunale del Riesame.

L’Assenza del Contributo ‘Causale’

La Corte ha ribadito che, per configurare il concorso esterno, non è sufficiente un qualsiasi rapporto con esponenti mafiosi. È necessario dimostrare un contributo che abbia un’efficacia causale, di tipo condizionalistico, rispetto alla conservazione o al rafforzamento del gruppo mafioso. Citando la celebre sentenza ‘Mannino’ delle Sezioni Unite, i giudici hanno sottolineato che la condotta del concorrente esterno deve porsi come un frammento di una concreta utilità per il programma criminoso dell’associazione.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente escluso che i rapporti tra l’imprenditore e il defunto membro della cosca avessero questa valenza. La loro cointeressenza imprenditoriale non si era tradotta in un supporto all’intera consorteria mafiosa.

L’Analisi degli Indizi

La Cassazione ha convalidato l’analisi degli indizi operata dal Tribunale del Riesame:
* Intercettazioni: Un’intercettazione tra due sodali, che lamentavano un calo dei guadagni dopo l’allontanamento dell’imprenditore, è stata ritenuta generica e inidonea a provare un rapporto sinallagmatico con l’intera associazione.
* Titolarità del locale: L’affermazione di un terzo che attribuiva la titolarità di un bar e ristorante a ‘loro’ è stata giudicata, in assenza di altri riferimenti, come esplicativa solo del rapporto formale e non occulto con il singolo socio defunto.
* Gestione del denaro: L’ipotesi che il clan ricevesse denaro dall’imprenditore è stata smentita dalle stesse intercettazioni, da cui emergeva che era stato un esponente del clan ad affidare una somma ingente (700.000 €) all’imprenditore, il quale se ne sarebbe poi appropriato, scatenando le ire degli altri membri che volevano costringerlo a confessare con la forza.

Infine, la Corte ha confermato che non è stata fornita la prova dell’elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza di recare un contributo causale al mantenimento o al rafforzamento dell’associazione mafiosa.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata: la distinzione tra contiguità e collusione penalmente rilevante. Per affermare la responsabilità per concorso esterno, l’accusa deve provare in modo rigoroso che l’agente esterno abbia fornito un apporto concreto, specifico e consapevole, idoneo a rafforzare l’associazione. I rapporti d’affari con un singolo esponente, anche se di spicco, non sono di per sé sufficienti a dimostrare l’esistenza di un patto scellerato con l’intera organizzazione criminale. La motivazione del giudice deve essere coerente, completa e immune da vizi logici, come quella del Tribunale del Riesame in questo caso, la cui valutazione non può essere messa in discussione in sede di legittimità.

Quando si configura il reato di concorso esterno in associazione mafiosa?
Si configura quando un soggetto, non essendo membro dell’associazione, fornisce un contributo concreto, specifico, volontario e consapevole che si rivela causalmente idoneo a conservare o rafforzare le capacità operative dell’organizzazione criminale e la realizzazione del suo programma.

Perché il ricorso del Pubblico Ministero è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico e finalizzato a una nuova valutazione delle prove e dei fatti, un’attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione, la quale si limita a giudicare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

È sufficiente avere rapporti d’affari con un singolo membro di un’associazione mafiosa per essere accusati di concorso esterno?
No. La sentenza chiarisce che il rapporto collaborativo deve essere instaurato con l’associazione nel suo complesso, non solo con un suo singolo appartenente. Deve essere dimostrato che le condotte dell’imprenditore abbiano fornito un’utilità percepibile all’intera organizzazione criminale, e non solo al singolo socio in affari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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