Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43431 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43431 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro
nel procedimento a carico di
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA in Svizzera
avverso l’ordinanza del 12/03/2024 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procur AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME i quali hanno concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, annullava la misura della custodia in carcere disposta nei confronti di NOME COGNOME dal Giudice per le indagini preliminari in relazione ad una ipotesi di cd. concorso esterno nel delitto di associazione di stampo mafioso (artt. 110, 416-bis cod. pen.) (capo 17 di imputazione).
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Catanzaro, deducendo violazione della legge processuale penale e vizio di motivazione per aver il Tribunale di Catanzaro annullato l’ordinanza di custodia cautelare, argomentando il difetto di gravità indiziaria sulla base di una valutazione frazionata ed atomistica degli elementi investigativi, dai quali si desume, per contro, che COGNOME era un imprenditore colluso poiché, pur non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione ed essendo privo dell’affectio societatis, fornì un concreto, specifico, consapevole volontario contributo per la conservazione e rafforzamento delle capacità operative dell’associazione in vista della realizzazione, anche parziale, del suo programma criminoso.
Dagli atti è emerso, infatti, che la “RAGIONE_SOCIALE” otteneva dall’indagato condotte agevolative, rendendosi COGNOME COGNOME disponibile a corrispondere le proprie risorse finanziarie a richiesta dei vertici del sodalizio, a favorire gli incont mettendo a disposizione il proprio locale, presidio sicuro che verosimilmente nen avrebbe destato i sospetti delle forze dell’ordine, ottenendone, per contro, l’espansione dei suoi affari attraverso l’apparato strumentale mafioso.
Emerge, inoltre, la consapevolezza dell’indagato di mettere le sue imprese a disposizione del sodalizio, come si evince dalle captazioni in cui gli interlocutori si dolgono del fatto che COGNOME avesse trattenuto (e speso) somme di cui era custode deputato dal boss e che, in ragione del rapporto societario con il defunto NOME COGNOME, avrebbero dovuto essere, invece, corrisposte al clan.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto generico, limitandosi, nei fatti, ad evocare una reciprocità di interessi tra COGNOME ed esponenti della consorteria mafiosa, senza confrontarsi con la motivazione, coerente e completa, del provvedimento – e, soprattutto, perché sollecita una rivalutazione del compendio indiziario, non consentita a questo Giudice.
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Il Tribunale ha, infatti, negato potesse configurarsi, in capo all’indagato, una responsabilità a titolo di concorso esterno nell’associazione mafiosa per l’impossibilità di ravvisare l’impostazione “causale” che dello stesso hanno tratteggiato le Sezioni Unite e, particolarmente, la sentenza Mannino del 2005 (Sez. U. n. 33748 del 12.07.2005, Mannino, Rv. 231671). A tal fine, ha anche valorizzato la giurisprudenza secondo cui, se la condotta del concorrente non deve tendere a un incremento della potenzialità operativa dell’organismo criminoso, deve però porsi come frammento di una concreta utilità per la realizzazione di una delle molteplici attività espressive del programma criminoso sì da realizzare una contribuzione “percepibile” al mantenimento in vita dell’organismo criminale (Sez. 1, n. 49744 del 07/12/2022, Petrillo, n. 283840), precisando che il rapporto collaborativo deve risultare instaurato con l’associazione e non già soltanto con un suo appartenente (Sez. 6, n. 4258 del 30/11/2023, dep. 2024, Torronino, non mass.).
In particolare, i Giudici del riesame hanno sì preso atto della cointeressenza imprenditoriale (inerente alla gestione di una società), peraltro non occulta, tra l’indagato e l’ormai defunto NOME COGNOME, della omonima RAGIONE_SOCIALE, ma hanno escluso fossero emersi rapporti dell’indagato con la consorteria mafiosa, tali da consentire di ascrivere alle condotte del primo una rilevanza causale (che deve essere di tipo condizionalistico) rispetto alla conservazione/rafforzamento del gruppo mafioso. Ed hanno argomentato come segue.
Hanno negato rilievo ad una intercettazione (tra COGNOME e COGNOME), ritenendola di contenuto generico (alludeva soltanto ad un calo di guadagni per effetto dell’allontanamento del ricorrente da COGNOME): come tale, inidonea ad indiziare un rapporto sinallagmatico tra COGNOME e COGNOME e, tantomeno, tra il primo e l’intera associazione.
Hanno ritenuto l’affermazione di NOME – il quale riferisce la titolarità de ristorante e del bar a «loro» – in mancanza di riferimenti alla consorteria, esplicativa dei soli rapporti instaurati formalmente e in modo non occulto con NOME.
Hanno escluso fosse provata l’ipotesi che la consorteria ricevesse periodicamente denaro dall’indagato in cambio dell’investimento dei proventi dell’attività criminale nell’attività imprenditoriale di questi, essendo emerso che NOME aveva lasciato all’indagato una somma ingente, di cui questi si sarebbe appropriato.
Hanno riportato, infatti, le intercettazioni da cui si desume che NOME COGNOME aveva riposto notevole fiducia nell’indagato, affidandogli l’ingente somma di denaro in questione (700.000 C) e che gli altri esponenti della omonima RAGIONE_SOCIALE, i
quali avevano invece avversato tale scelta, ritenevano opportuno indurre, con la forza e dietro minaccia di morte, l’indagato a confessare tale circostanza.
In tale contesto, hanno, quindi, ritenuto la circostanza che COGNOME avesse restituito una parte del denaro sottratto inidonea a provare la tesi accusatoria, nessun rilievo potendo essere ascritto nemmeno alla frequentazione del bar d’altronde co-gestito con NOME, fino alla morte di questi, intervenuta nel 2013 da parte dei sodali o al fatto che nei loro confronti l’indagato praticasse condizioni di ristorazione favorevoli.
Infine, hanno negato fosse stata fornita la prova dell’elemento soggettivo, che deve consistere nella consapevolezza di recare un contributo causale al mantenimento/rafforzamento della consorteria mafiosa.
Sicché la motivazione, come anticipato, risulta esente dai vizi dedotti dal ricorrente.
P.Q.M.