Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23356 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23356 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a SAN GIORGIO A CREMANO il 25/03/1985
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 07/08/1998
avverso l’ordinanza del 28/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi.
uditi i difensori
L’avvocato COGNOME del foro di ROMA in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI, nomina dichiarata oralmente in udienza, in difesa di COGNOME conclude riportandosi ai motivi di ricorso.
L’avvocato NOME COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di NOME COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. GLYPH Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Napoli, investito dei ricorsi ex art. 309 cod. proc. pen. avanzati da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 02/09/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, ha confermato l’impugnata ordinanza emessa nei confronti di NOME COGNOME e, in parziale accoglimento del riesame avanzato da NOME COGNOME, ha sostituito la massima misura carceraria allo stesso applicata, con quella degli arresti domiciliari.
L’ordinanza genetica oggetto di riesame aveva applicato ad entrambi gli indagati la misura di massimo rigore, in quanto ritenuti gravemente indiziati del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, contestata al capo 2); dopo avere richiamato precedenti provvedimenti giudiziari anche definitivi, attestanti l’esistenza, nel quartiere napoletano di Ponticelli e zone limitrofe, del clan camorristico denominato COGNOME COGNOME, il Tribunale ne evidenziava l’attuale operatività, come comprovato dagli esiti delle intercettazioni disposte nel procedimento e dalle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia.
Con precipuo riferimento alla posizione degli attuali ricorrenti, il Tribunale evidenziava come NOME COGNOME fosse il titolare della barberia RAGIONE_SOCIALE, ubicata in Napoli INDIRIZZO, ove collaborava anche il fratello NOME COGNOME (nonché con il fratello NOME, la cui posizione è stata diversamente valutata); osservava quindi come dagli esiti delle disposte intercettazioni, oltreché dalla visione delle immagini riprese dalle telecamere installate presso il negozio di NOME COGNOME, fosse emerso che detto negozio era a disposizione, a qualsiasi ora del giorno e fino a tarda sera, del capo della cosca, NOME COGNOME il quale, prima del suo arresto per l’omicidio di NOME COGNOME, avvenuto 04/04/2022, era solito trascorrere parecchie ore del giorno nel citato locale, ove, quotidianamente, convocava anche per il tramite dei predetti Russo, i propri affiliati o soggetti appartenenti ad altre consorterie, ritenendo in tal modo di essere al riparo da eventuali attività di controllo eseguite dalle forze dell’ordine. Entrambi i COGNOME erano consapevoli del vincolo criminale che legava i frequentatori del loro locale sia per il rapporto di parentela di NOME COGNOME (fratello di NOME e di NOME COGNOME) con COGNOME, sia per i consolidati rapporti di conoscenza e frequentazione con gli affiliati, sia per quanto emerso dalle intercettazioni. Era altresì emerso che i due fratelli COGNOME mettevano a disposizione del COGNOME i propri veicoli, le proprie utenze telefoniche e si rendevano disponibili ad esaudire le sue richieste.
Con riferimento alle esigenze cautelari il Tribunale ha richiamato la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3 cod. proc. pen.; ha quindi ritenuto che nei confronti di NOME COGNOME le esigenze cautelari potessero essere tutelate dalla meno gravosa misura degli arresti domiciliari, mentre, con riferimento alla posizione di
NOME COGNOME COGNOME doveva essere confermata l’applicazione della misura carceraria, in considerazione del ruolo più rilevante dallo stesso tenuto nei confronti dei vertici del clan, essendo lo stesso già ristretto in misura cautelare per l’omicidio di NOME COGNOME il cui procedimento pende attualmente in primo grado.
Avverso tale ordinanza ricorrono per cassazione gli indagati, a mezzo dei rispettivi difensori, deducendo i seguenti motivi di impugnazione, che qui si enunciano nei termini strettamente necessari alla motivazione della sentenza, a tenore dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME difeso dall’avv. NOME COGNOME
3.1. Il primo motivo deduce ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 416 bis cod. pen., con riferimento agli artt. 273 e 292 cod. proc. pen., nonché mancanza ed illogicità della sentenza con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo 2).
Osserva la Difesa come il Tribunale abbia reso una motivazione apparente mancando di motivare adeguatamente in ordine ai requisiti specifici richiesti per configurare il concorso esterno in associazione mafiosa. Si rileva in particolare l’assenza di riscontri oggettivi che possano dimostrare la consapevolezza del ricorrente circa l’uso illecito dei locali adiacenti al suo locale, nè risultano emersi elementi che possano consentire di ritenere sussistente un nesso causale diretto tra la disponibilità del locale e il rafforzamento del sodalizio mafioso.
La difesa analizza poi le fonti di prova poste a fondamento del provvedimento impugnato, rilevando, in sintesi, come il Tribunale abbia del tutto omesso il preliminare vaglio di attendibilità in ordine alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME le cui dichiarazioni in ogni caso sono intrinsecamente contraddittorie e prive di elementi concreti.
Quanto alle dichiarazioni di COGNOME (il quale aveva definito NOME COGNOME “simpatizzante del clan COGNOME“), il Tribunale del riesame ha proceduto ad una selezione arbitraria e frammentaria delle dichiarazioni del collaboratore, ritenendone attendibili solo alcune parti e reinterpretandone altre in funzioni dell’impianto accusatorio. Quanto alle intercettazioni che il Riesame ha ritenuto decisive per delineare il coinvolgimento del ricorrente, esse in realtà non offrono alcun riscontro concreto alla tesi accusatoria, prestandosi ad interpretazione che, lungi dal confermare le accuse, ne evidenziano l’inconsistenza: il ricorrente analizza nello specifico, alle pagine 13 – 18 del ricorso, il contenuto delle conversazioni valorizzate dal Tribunale partenopeo, osservando come per ognuna di esse l’interpretazione data dai giudici della cautela fosse frutto di travisamenti.
Evidenzia poi la difesa come, contrariamente a quanto scritto in ordinanza, non vi sia alcuna prova che NOME COGNOME abbia mai svolto la mansione ascritta di fare da tramite per convocazioni illecite; ed ancora si evidenzia come dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME emergesse chiaramente che gli affiliati frequentavano il salone principalmente, se non esclusivamente, quali clienti.
In punto di elemento soggettivo, infine, si denuncia una carenza di motivazione dal momento che l’elenco delle intercettazioni riportato in ordinanza non contiene elementi idonei a dimostrare che NOME COGNOME fosse pienamente consapevole di fornire un apporto funzionale agli scopi criminali dell’associazione né che avesse l’intenzione di agevolare la conservazione e il rafforzamento del sodalizio.
3.2. Il secondo motivo deduce ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., violazione e falsa applicazione degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà ed illogicità della sentenza con riguardo all’asserita sussistenza delle esigenze di cautela.
Il Tribunale non ha adeguatamente valutato le circostanze personali in cui versa l’indagato, il quale svolge un’attività lavorativa regolare, non ha mai commesso reati di alcuna natura: tali elementi avrebbero dovuto condurre i Giudici della cautela ad escludere la sussistenza delle esigenze cautelari.
4. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME difeso dall’avv. NOME COGNOME.
Con un unico motivo NOME COGNOME denuncia, ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., mancanza e/o manifesta logicità e contraddittorietà della motivazione e violazione e/o erronea applicazione della legge penale, in particolare dell’art. 297 comma 3 cod. proc. pen.
Attualmente l’indagato è detenuto in forza di provvedimento cautelare in relazione ai reati di omicidio, detenzione e porto d’armi e ricettazione, tutti fatti aggravati ex 416 bis comma 1 cod. pen.; in detto diverso procedimento, osserva la Difesa, all’indagato si contesta di aver fatto parte di un’associazione camorristica (clan COGNOME COGNOME), attivo nel territorio di Ponticelli, e di aver avuto, nell’ambito dell’episodio omicidiario di NOME COGNOME, il compito di specchiettista.
Si duole il ricorrente che i fatti oggi contestati siano i medesimi oggetto del diverso procedimento oggi pendente in Corte d’assise, e si fondino sulle stesse identiche prove.
Censura a tal proposito la difesa la motivazione resa dal Tribunale del Riesame che, nel respingere la richiesta di declaratoria di inefficacia della misura cautelare ex art. 297 comma 3 cod. proc. pen., ha affermato che i fatti oggetto dell’ordinanza oggi impugnata sono stati contestati “con condotta perdurante” e che quindi la condotta ascritta all’indagato si è protratta anche in epoca successiva al 05/04/2022, data di emissione della prima ordinanza. Invero, dal 05/04/2022 il Russo è ininterrottamente
detenuto in carcere in esecuzione della prima misura cautelare, e non si ravvisa in atti alcun atto di indagine che attribuisca all’indagato condotte di reato commesse in senso partecipativo all’associazione successive a tale data.
Il difensore di NOME COGNOME COGNOME ha depositato una memoria con la quale ulteriormente argomenta in ordine alla fondatezza del motivo di ricorso già avanzato e ne chiede l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso avanzato nell’interesse di NOME COGNOME che presenta tratti di inammissibilità, è nel complesso infondato.
Il primo motivo è infondato.
2.1. Giova ricordare che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976). Il ricorso è pertanto inammissibile quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito. (Sez. 2, Sentenza n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628).
Va, inoltre, ricordato che, in tema di valutazione del contenuto di intercettazioni, la censura di diritto può riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa (Sez. 5, n. 3643 del 14/07/1997, Rv. 209620). Pertanto, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. un. n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; in senso conforme Sez. 3, Sentenza n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337).
2.2. GLYPH Ciò posto, deve evidenziarsi che la gravità del panorama indiziario evocato a sostegno della misura, come scrutinato in termini di adeguatezza dal Tribunale del riesame, deve ritenersi congruamente sostenuta dall’apparato motivazionale su cui si radica l’impugnato provvedimento, che ha correttamente proceduto ad una valutazione
analitica e globale degli elementi indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica e adeguata, delle ragioni che giustificano l’epilogo del relativo percorso decisorio. Entro tale prospettiva, deve rilevarsi come l’impugnata ordinanza abbia fatto buon governo del quadro dei principi che regolano la materia, ponendo in evidenza, sulla base delle emergenze investigative ivi compiutamente rappresentate (cfr. pagg. 6-18 ordinanza impugnata), le ragioni giustificative dell’ipotizzata condotta di concorso esterno in associazione mafiosa, valorizzando le plurime, convergenti emergenze probatorie emerse nel corso delle indagini.
Si è quindi dato conto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali, pur non avendo mai attribuito all’indagato il ruolo di affiliato nel clan, ne hanno descritto le condotte agevolatrici poste in essere in favore dei partecipi e della stessa organizzazione; in tal senso, osservava il Tribunale, andava inteso il termine atecnico (“simpatizzante”) utilizzato dal COGNOME per descrivere proprio tale vicinanza, e messa a disposizione nei confronti del sodalizio. Il Tribunale ha poi evidenziato come i servizi di osservazione di p.g., le riprese delle telecamere di sorveglianza installate all’ingresso della barberia gestita dai fratelli COGNOME, le intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte nell’ambito del presente procedimento, avessero cOnsentito di riscontrare le dichiarazioni dei due collaboratori e di accertare che la barberia era effettivamente il luogo di incontro da parte degli associati del clan COGNOME COGNOME, e che i fratelli COGNOME – le cui utenze erano utilizzate direttamente e costantemente anche da NOME COGNOME per comunicazioni relative alla gestione delle illecite attività del clan-, svolgevano per l’associazione specifici compiti (messa a disposizione del clan del locale barberia, dei propri veicoli, e delle proprie utenze cellulari; convocazione degli affiliati per conto del capo; avviso agli affiliati della presenza di forze dell’ordine). Il Tribunale analizzava anche il profilo soggettivo del contestato reato, evidenziando come i NOME COGNOME fossero consapevoli del vincolo criminale che legava i frequentatori del loro locale, sia in forza del rapporto di parentela di NOME COGNOME con NOME COGNOME, sia per i consolidati rapporti di conoscenza e frequentazione con gli affiliati, come emerso dalle operazioni tecniche di intercettazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze, esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente si è limitato a contestare la valenza dei sopra indicati elementi indiziari, senza però confrontarsi con il coerente ragionamento logico e giuridico svolto dal giudice a quo per confermare la ordinanza genetica. In sostanza, l’indagato contrappone una lettura alternativa delle risultanze investigative, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili di merito già puntualmente vagliati in sede di riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non è consentita in questa sede.
2.3. GLYPH Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha correttamente ritenuto la sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di recidivanza, richiamando la presunzione, relativa, di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., ed evidenziando come l’apporto del Russo all’operatività del clan fosse stato continuativo e poliedrico, e che l’indagato non avesse serbato alcun comportamento sintomatico della volontà di allontanarsi dall’associazione camorristica agevolata, ancora operante.
La Difesa contesta tale valutazione in termini meramente confutativi, evidenziando come il Russo disponga di un’attività lavorativa lecita e sia incensurato. Va tuttavia osservato come l’attività lavorativa è svolta nel medesimo locale, la barberia, ove si sono prevalentemente estrinsecate le condotte oggetto di contestazione; per il resto, gli elementi valorizzati dalla Difesa sono stati considerati dal Tribunale che è pervenuto alla sostituzione della massima misura carceraria con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari.
2.4. GLYPH Il ricorso avanzato nell’interesse di NOME COGNOME deve pertanto essere respinto; consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
3. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME è inammissibile.
L’indagato è stato tratto in arresto il 05/04/2022 in esecuzione di misura cautelare per i reati di omicidio (per aver fatto da palo o specchiettista nell’omicidio di NOME COGNOME), detenzione e porto d’arma e ricettazione, tutti aggravati ex art. 416 bis cod. pen.. Attualmente, come scrive il difensore in ricorso, si trova in custodia cautelare per tale fatto, per il quale pende il procedimento in primo grado in Corte di assise di Napoli.
Va quindi data continuità al principio più volte affermato da questa Corte secondo cui, nel procedimento di riesame, non è deducibile l’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase, in relazione all’asserita contestazione a catena, salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza tali termini fossero già scaduti, in quanto si tratta di vizio che non riguarda la legittimità dell’ordinanza, ma l’efficacia della misura cautelare. (In motivazione, la Corte ha precisato che la questione del diritto alla scarcerazione per decorrenza dei termini, da calcolarsi al momento dell’esecuzione del primo titolo custodiale, deve essere proposta al giudice per le indagini preliminari con istanza ex art. 306 cod. proc. pen. e, successivamente, in caso di rigetto, al tribunale in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen.). Sez. 3 n. 48034 del 25/10/2019 Di COGNOME Rv. 277351 – 01.
Nello stesso senso più recentemente si è affermato che “in tema di contestazione a catena, la questione della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia
cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame, a condizione che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione della successiva ordinanza
cautelare il termine di durata complessivo fosse già scaduto. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’indagato in stato di custodia cautelare, nei cui confronti siano stati
adottati vari provvedimenti restrittivi della libertà personale e che assuma la sussistenza di un’ipotesi di “contestazione a catena”, non può impugnare davanti al
tribunale del riesame l’ulteriore ordinanza impositiva di misura cautelare, posto che la cosiddetta “contestazione a catena” non incide sul provvedimento in sé, ma solo sulla
decorrenza e sul computo dei termini di custodia cautelare, questioni che possono essere proposte al giudice che ha applicato la misura con istanza di scarcerazione ex
art. 306 cod. proc. pen.). Sez. 2 n. 37879 del 05/05/2023 , COGNOME, Rv. 285027 – 01.
Nella vicenda in esame, ove astrattamente dovesse ritenersi integrata l’ipotesi della contestazione a catena, la retrodatazione degli effetti comporterebbe un computo
dei termini di fase da attestare alla data di esecuzione della prima ordinanza
(05/04/2022): il ricorrente ha tuttavia omesso di dedurre che il termine complessivo, anche a computarlo dalla prima misura cautelare, sia scaduto, incorrendo nel vizio di aspecificità, con conseguente inammissibilità della doglianza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso avanzato nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma, che si stima equo fissare in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende (non ricorrendo elementi per ritenere i ricorrenti esenti da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
Copia del presente provvedimento deve essere trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME Junior COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Rigetta il pagamento delle spese processuali. ricorso di NOME COGNOME che condanna al
Così deciso il 18 marzo 2025
Il C•Asigliere estensore
I P r e sidente