Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18768 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18768 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME COGNOME nato a TAORMINA il 07/06/1977 COGNOME NOME nato a ACIREALE il 29/06/1967 COGNOME NOME nato a CATANIA il 31/03/1990
avverso la sentenza del 12/01/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che si riporta alla requisitoria in atti e conclude per il rigetto dei ricorsi di NOME COGNOME e COGNOME e per l’inammissibilità del ricorso di COGNOME
udito il difensore di COGNOME e COGNOME avv. COGNOME del foro di CATANIA, che insiste per l’accoglimento dei motivi dei ricorsi;
udito il difensore di COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di ROMA, che insiste per l’accoglimento dei motivi principali del ricorso;
uditi i difensori di COGNOME, avv. NOME COGNOME e Prof. avv.
NOME COGNOME del foro di CATANIA, che concludono per l’annullamento della sentenza impugnata per difetto di motivazione e insistono per l’accoglimento dei motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12.01.2024, la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Catania del 18.07.2022, che condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui all’art.416 bis cod. pen., per avere fatto parte dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, COGNOME-Ercolano, denominata cosa nostra catanese, COGNOME anche per il reato di cui agli artt.110 cod. pen. e 73, D.P.R. 309/1990, capo 5), Impellizzeri per il reato di cui agli artt.110 cod. pen. e 73, D.P.R. 309/1990, capo 6 qualificato il reato di cui al capo 1), nei confronti di COGNOME nel reato concorso esterno ad associazione a delinquere di stampo mafioso, ha rideterminato la pena per COGNOME, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la suindicata sentenza, l’imputato NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a dieci motivi qui di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art.606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione ai criteri di valut della prova di cui agli artt. 192 e 546 comma 1, lett. d) cod. proc. pen., e vizio mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha omesso di pronunciarsi sulla maggior parte delle questioni in materia di inutilizzabilità delle intercettazioni ambiental telefoniche, articolate nei punti da sub I a sub I-ZZZ, ritenendole tardivamente proposte poiché non sollevate nel giudizio di primo grado. Deduce la difesa la tempestiva deduzione delle eccezioni, nella memoria difensiva del 12.01.2021, inoltrata in pari data al Tribunale a mezzo PEC, mentre l’ordinanza ammissiva dei mezzi prova era stata pronunciata dal Tribunale il successivo 13.1.2021, e che non sussisteva la preclusione ravvisata dalla Corte d’appello e ancor prima dal giudice di prime cure.
2.2 II secondo motivo di ricorso lamenta vizio di violazione di legge, con riferimento agli artt. 267 e ss. cod. proc. pen., e vizi motivazionali, nella part cui la Corte di merito ha rigettato l’eccezione di inutilizzabilità de intercettazioni, per mancato deposito dei verbali di inizio e fine operazioni d ciascuno dei RIT indicati. Si deduce che la Corte d’appello avrebbe erroneamente affermato che tali atti non dovevano trovarsi nel fascicolo del dibattimento e che costituiva onere della difesa produrli o dimostrare di non averlo potuto fare, poiché inutilmente richiesti al pubblico ministero. Si deduce che, secondo la normativa vigente all’epoca dei fatti, costituiva onere del PM depositare tali att entro la conclusione delle indagini preliminari, nel fascicolo delle indagin preliminari, adempimento che invece non è stato svolto.
2.3 II terzo e quarto motivo di ricorso lamentano vizi motivazionali, in relazione agli artt.192 e 546 cod. proc. pen., e alla valutazione del motivo d appello che contestava la legittimità dell’ordinanza, pronunciata dal Tribunale 1’8.6.2022, di revoca dell’ammissione dei testi della difesa. Si deduce che la Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare, per relationem, l argomentazioni del giudice di primo grado, pur se quest’ultimo non aveva valutato una serie di deduzioni, non potute articolare in quel giudizio, e proposte soltanto con i motivi di appello. Quanto al merito, si contesta che i capitoli prova siano stati articolati in modo generico, questione che aveva costituito motivo di revoca dell’ammissione dei testi della difesa. Si deduce la rilevanza dell’escussione di sette testi di PG, nominativamente indicati, due dei quali pure indicati dal PM, che non vi aveva esplicitamente rinunciato (Lgt. COGNOME e M.COGNOME), la non genericità dei capi B) e C) della lista testi della difesa, p quali la mancata indicazione nominativa degli operanti di PG era dipesa dalla mancata conoscenza della loro identità, che si chiedeva al decidente di primo grado di ordinare che venisse disvelata. La difesa si riportava ad una serie di att processuali in cui si era interloquito sull’ammissibilità e rilevanza dei testi de difesa già ammessi: i verbali di udienza del 12.10.2020 e del 4.04.2022, nonché l’ordinanza di revoca dei testi emessa dal Tribunale 1’8.6.2022, di cui si chiedeva esplicitamente la revoca, con rinnovazione, in appello, dell’istruttori dibattimentale, ai sensi dell’art.603, cod. proc. pen., in quanto era sta impedito, di fatto, all’imputato di dimostrare l’infondatezza dell’assunt accusatorio. Si contesta che le circostanze, sulle quali i testi avrebbero riferi per i quali è intervenuta la revoca, sarebbero irrilevanti e non necessarie ai fi della decisione, ribadendo che si tratta di testi di PG che hanno partecipato all indagini.
2.4 Il quinto motivo di ricorso lamenta vizio di illogicità e contraddittoriet della motivazione, nella parte in cui il decidente ha ritenuto ammissibile ed utilizzabile la memoria depositata dal PM, in primo grado, dopo che aveva rassegnato le conclusioni, sebbene di gran lunga più esplicativa rispetto all argomentazioni della discussione orale della pubblica accusa, e riportasse la trascrizione delle intercettazioni, effettuata dalla PG, da contrapporre, qual prova, alle risultanze dell’istruttoria dibattimentale (trascrizione effettuata perito), con la indicazione dei nomi dei dialoganti (non presenti in perizia) e degl intestatari delle utenze, dati non emersi dall’istruttoria dibattimentale.
2.5 Il sesto motivo di ricorso lamenta vizio di violazione di legge, i relazione agli artt. 192 e 546 comma 1, lett. d), cod. proc. pen., e v motivazionali, nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto provat l’appartenenza di COGNOME alla consorteria criminale mafiosa, nonostante i medesimo fosse stato detenuto a Spoleto tra il 2017 e il 2018, e i due testi PG, escussi all’udienza del 4.4.2022, di cui si riportano degli stralci (cap. Torris Cap. Leccese), avessero escluso di conoscere il luogo di detenzione di COGNOME se il medesimo avesse avuto colloqui durante il periodo di detenzione e se avesse ricevuto un sostegno economico dal clan durante la detenzione. In particolare, si contesta il dato, affermato in modo apodittico dal decidente, dell’esistenza d contatti tra il ricorrente ed il sorvegliato speciale, COGNOME COGNOME non sorret da alcun elemento di prova.
2.6 II settimo motivo di ricorso lamenta vizio di violazione di legge, con riferimento agli artt. 192 e 546, comma 1 lett. d), cod. proc. pen., e vizi motivazionali, con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, deducendo che la Corte territoriale non avrebbe colto una serie d contraddizioni. Si citano in particolare, NOME COGNOMEche avrebbe riferito contatti con il ricorrente, collocabili sicuramente in epoca precedente al 2017) NOME COGNOMEche avrebbe addirittura affermato di essersi incontrato nel 2015 con tale COGNOME che in quel momento aveva preso il posto del ricorrente, con ciò confermando, dunque, l’avvicendamento di altri nel ruolo apicale, durante la carcerazione di COGNOME), COGNOME (le cui dichiarazioni non sono state collocate temporalmente in un periodo conducente rispetto ai temi di prova). Si contesta, ancora, l’identificazione nel ricorrente del nominativo di NOME, menzionato nelle intercettazioni, sconfessato dallo stralcio dell’O.C.C., emessa dal Tribunale di Messina e prodotta dalla difesa, dalla quale emerge che il ruolo
di reggente dell’articolazione in disamina, nel periodo in contestazione, veniva svolto da COGNOME NOME (cui verosimilmente va riportato il riferimento al nome NOME contenuto nelle conversazioni intercettate) unitamente ad COGNOME NOME, deduzione non presa in considerazione dal decidente.
2.7 L’ottavo motivo di ricorso lamenta vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 546, comma 1 lett. d), cod. proc. pen., e v motivazionali. Si deduce, con riferimento al capo 1), che non risulta spiegato il ruolo esplicato, di fatto, dall’COGNOME in favore dell’associazione, e come abbia, concreto, svolto la funzione gestionale che gli viene attribuita, omettendo di pronunciarsi su tale punto, a fronte di specifico motivo di appello.
2.8 Il nono motivo di ricorso lamenta vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 546, comma 1 lett. d), cod. proc. pen., e vizi motivazionali, ne parte in cui la Corte d’appello ha ravvisato, in capo all’COGNOME detenu continuativamente da circa 14 anni, l’aggravante dell’associazione armata. Si deduce che la Corte territoriale non avrebbe spiegato se l’imputato abbia ignorato, per colpa, la circostanza ovvero se ne fosse consapevole, questione non di poco conto, ove dovrebbero indicarsi gli elementi a sostegno dell’una o dell’altra opzione. Si deduce che la Corte territoriale avrebbe fondato i convincimento sugli esiti di precedenti sentenze definitive, menzionate, ma non acquisite, che avevano riconosciuto il carattere armato dell’associazione in disamina per gli anni passati, mentre di quelle acquisite nessuna riportava l’aggravante di cui al comma 4 dell’art. 416 bis, cod. pen.
2.9 II decimo motivo di ricorso lamenta vizio di omessa valutazione dei motivi di appello, in relazione agli artt.192 e 546, comma 1, lett. d), cod. pro pen., in punto di dosimetria della pena e di richiesta di applicazione dell circostanze attenuanti generiche.
Avverso la suindicata sentenza, l’imputato NOME COGNOME propone due atti di ricorso.
Il ricorso proposto a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME è affidato a dieci motivi, qui di seguito sintetizzati, ai sensi dell’art.173 disp cod. proc. pen.
3.1. I motivi da uno a cinque ed il nono motivo di ricorso sono sovrapponibili a quelli appena esposti per la difesa di NOME COGNOME, da intendersi qu intera mente richiamati.
3.2 II sesto motivo di ricorso dell’avv. COGNOME ed il primo motivo del ricorso dell’avv. NOME COGNOME lamenta – quanto al capo 1) – vizio di violazione di legge, con riferimento agli artt. 192 e 546 comma 1 lett. d), cod. proc. pen., vizi motivazionali, nella parte in cui la Corte d’appello ha riqualificato il ru svolto dal COGNOME, da quello di partecipante a quello di concorrente esterno, in presenza: di intercettazioni di limitato apporto, riferibili al periodo compreso t dicembre 2017 e settembre 2018; di generica chiamata in correità da parte del collaboratore NOME COGNOME; di erronea interpretazione dell’episodio dell’incendio della barca di Musumeci, inquadrato nell’ambito delle dinamiche interne del clan, ma in realtà da intendersi quale atto intimidatorio del clan verso il COGNOME, cui quest’ultimo era da ritenersi, dunque, completamente estraneo, non avendone mai condiviso nemmeno una piccola parte del programma criminoso. Deducono le difese che il coinvolgimento del COGNOME non può desumersi dall’eventuale commissione del reato in materia di stupefacenti, in relazione al quale l’aggravante dell’agevolazione mafiosa è stata riconosciuta in sentenza per un unico episodio di cessione, considerato che COGNOME, per tali cessioni, praticava condizioni e prezzo diversi da quelli che avrebbe dovuto praticare quale sodale del clan.
3.3 Il settimo e ottavo motivo di ricorso dell’avv. COGNOME lamenta – quanto al capo 5) – vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 546 comma lett. d) cod. proc. pen., e vizi motivazionali, nella parte in cui i giudici di mer omettono di pronunciarsi sulla contestazione della genericità dell’imputazione, il cui momento consumativo è indicato in termini prolungati sino a settembre 2018, e in relazione al quale è mancato, nell’istruttoria dibattimentale, qualsia apporto specificativo. Si deduce che dovrebbe richiedersi, al contrario, un particolare rigore, in quanto si verte in ipotesi di droga parlata, ed è mancato riscontro di un sequestro nei confronti del COGNOME. Deduce la difesa che quanto all’identificazione nel COGNOME, nelle captazioni al medesimo riferite, i giudici di merito si sono basati sulla provenienza dall’utenza, che era dimostrato fosse a lui in uso, ma non avrebbero considerato che numerose conversazioni, che lo riguardano, sono state captate, in ambientale, attraverso l’intercettazion telematica, tramite trojan, del dispositivo di COGNOME NOME. Si contesta, inoltre, il riconoscimento dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa in relazione ad un unico episodio, in cui si è ritenuto che la cessione fosse avvenuta in favore di appartenenti alla consorteria mafiosa, che ne avrebbero poi conseguito utili per il clan attraverso la successiva rivendita, da destinare al sostentamento de sodali in carcere. Deducono che le difese che, in motivazione, non viene spiegato
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quale fosse stato l’obiettivo del ricorrente e se, effettivamente, le entr economiche, derivanti dalla successiva cessione, siano confluite nelle casse del clan o piuttosto rimaste a beneficio dei cessionari. Il riconoscimento dell’aggravante sarebbe poi contraddittorio rispetto alla riqualificazione dell condotta di cui al capo 1) come concorso esterno.
3.4 Il secondo motivo di ricorso dell’avv. COGNOME lamenta vizio di illogicità manifesta della motivazione in punto di dosimetria della pena. Si deduce la mancanza di specificazione logica riguardo alla negazione delle circostanze attenuanti generiche, richiamando la professionalità e spregiudicatezza della condotta di COGNOME, giudizio che non sarebbe ancorato ad elementi di prova, nonostante la riscontrata esclusione dell’aggravante di cui all’art.416 bis, comma 4, cod. pen., e con essa una accertata minore pericolosità oggettiva e soggettiva.
Avverso la suindicata sentenza, l’imputato NOME COGNOME propone ricorso mediante i difensori di fiducia, avv. Prof. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME affidato ad un unico motivo, con il quale il ricorrente lamenta vizio di mancanza di motivazione, riguardo agli elementi di prova in base ai quali si è ritenuta la responsabilità del ricorrente per il reato contestat capo 6), con il riconoscimento dell’ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 73 D.P.R. 309/90. Il primo motivo di appello, non riportato in ricorso, sarebbe stato, di fatto, ignorato mentre, nel provvedimento impugnato, si illustrano, in maniera confusa, gli ulteriori profili dei motivi di appello, concludendo per la conferma della decisione di primo grado.
L’avv. COGNOME ha depositato richiesta di remissione in termini.
Si deduce che, al momento della ricezione della mancata consegna, il termine libero di 15 gg. dall’udienza era ormai scaduto e chiede di essere rimesso in termini per il deposito di quanto inoltrato in data 30/12/2024 e di accettare ed ammettere la produzione che verrà eseguita di seguito in data odierna. La rimessione riguarda motivi aggiunti e note di replica alla requisitoria del Procuratore Generale, cui si riporta, deducendo che la mancata allegazione è dovuta alla inesistenza degli atti nel fascicolo del Pubblico Ministero. Quanto alla revoca dei testi della difesa, si deduce di avere allegato in seno all’atto di appe (allegato al ricorso) gli stralci dei verbali di udienza, insistendo nel ricorso allegando documentazione.
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L’avv. COGNOME ha depositato motivi nuovi con i quali reitera le deduzioni contenute nei motivi di ricorso, in relazione alla mancata dimostrazione della funzionalità del reato contestato e ritenuto al capo 5), a carico di COGNOME, per addivenire all’attivazione della catena causale tipica ex artt.110 e 416 bis cod pen. Si deduce che mancherebbe, nella condotta contestata, l’utilità di supportare il gruppo mafioso, che non sarebbe stata valorizzata la funzionalità economica emergenziale, propria del “concorso esterno”, in momenti di fibrillazione del gruppo mafioso. Si deduce la mancanza di qualsiasi apprezzamento della consapevolezza del ricorrente di trovarsi dinanzi a una fornitura dai contenuti condizionati rispetto a problematiche economiche del gruppo mafioso. Si richiama la riunione del 27/8/18, cui avrebbe partecipato il ricorrente, ma si deduce che non emergerebbero accordi di tipo economico, quali quello preteso per sostenere il concorso esterno. Si ritiene che la pretes copertura di sicurezza, rispetto all’incendio del peschereccio, sarebbe atipico non significativo quanto alla fattispecie di concorso esterno, che deve consistere in una condotta ad adiuvandum rispetto al sodalizio, e non certo viceversa, specie quando il soggetto è esterno. Infine, in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, il richiamo alla “professionalità e spregiudicatezza” sarebbero asserzioni valutative, non ancorate a dati fattuali, chiari e conducenti avuto altresì presente come il capo 5) non rechi verifica di attività di spacci professionale continua, in quanto mancano intercettazioni, sequestri, rinvenimenti di denaro da poter comprovare l’attività di spaccio di stupefacenti.
Quanto al motivo svolto dal codifensore, avv. COGNOME in punto di sussistenza della aggravante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen., la requisito sarebbe tautologica nel ritenere l’imputato, quale concorrente esterno, consapevole di finalizzare, a giovamento del gruppo mafioso, l’attività di traffico marijuana. Si deduce che la sentenza avrebbe dovuto verificare la continuazione dell’attività di commercio ex art.73, comma 4, DPR 309/90, quale dato oggettivo dimostrativo di frequentazione, che è stato invece presunto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
1. Per comodità espositiva, vanno esaminati congiuntamente i motivi di ricorso comuni alle difese NOME COGNOME e NOME COGNOME in considerazione dei dedotti vizi di violazione di legge e di mancanza, manifesta
illogicità e contraddittorietà della motivazione, con riferimento alla eccepit inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali e telefoniche, per argomentazioni esplicitate nei punti da sub I a sub I-ZZZ, riportate nella memoria difensiva del 12.01.2021, per mancato deposito “in atti” dei verbali di inizio e fine operazioni.
I primi due motivi di ricorso sono inammissibili.
2.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico ed apodittico.
La Corte territoriale, con motivazione congrua ed immune da vizi di manifesta illogicità, ha richiamato, ritenendola pienamente condivisibile, l’ordinanza del Tribunale del 13.01.2021 che, confrontandosi con le eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni, contrariamente a quanto dedotto da ricorrenti, si pronuncia nel merito, rigettandole.
Quanto alla memoria difensiva, inoltrata al Tribunale via pec il 12.01.2021, è stata ritenuta tardiva, in quanto non depositata in cancelleria, nei termi indicati dal Tribunale, all’udienza del 14.12.2020.
2.2 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto affetto da aspecificità oltre che manifestamente infondato.
In primo luogo, come ribadito dalle Sezioni Unite COGNOME, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di at processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, Sentenza n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME, Rv. 254108 – 01).
Quando il ricorso per cassazione lamenta l’inutilizzabilità di un elemento di prova a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gl elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 30271 dell’11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218 – 01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011 – 01; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 259452 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 39603 del 03/10/2024, Rv. 287024 – 02).
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I ricorrenti si sottraggono all’onere di vincere la prova di resistenz rendendo le proprie doglianze del tutto generiche sul punto. Si attribuisce al giudice di legittimità un compito di individuazione, ricerca e acquisizione di atti notizie o documenti, estraneo ai limiti istituzionali del giudizio di legittim nonché non si chiarisce l’incidenza del vizio sul complessivo compendio indiziario, già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvediment impugnato.
Sul merito della eccezione va, comunque, rilevato che la Corte di appello ha operato la corretta distinzione tra fascicolo del dibattimento e fascicolo de pubblico ministero (che sono i due fascicoli disciplinati dal codice di procedura penale), ed ha evidenziato come nessuna norma imponga al PM di depositare, nel fascicolo del dibattimento, i verbali di inizio e fine delle operazioni. Né p sollecitarsi il pubblico ministero alla produzione, in quanto non sussiste un onere di allegazione a carico del PM.
In base alla previsione dell’art. 268, comma 4, cod. proc. pen., nel testo in vigore al momento della deduzione di tale eccezione, decisa dal Tribunale con ordinanza del 13.1.2021 – ma relativa ad operazioni tecniche disposte tra il 2017 ed il 2018, nel vigore della disciplina ante-riforma, intervenuta con d.lgs 216/2017, applicabile alle operazioni di intercettazione, relative ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020 – tali verbali dovevano essere depositat nella segreteria del pubblico ministero ed inseriti nel relativo fascicolo, dunque certamente non allegati al fascicolo del dibattimento. Non a caso il comma 6 dell’art. 268 cod. proc. pen., prevedeva (e prevede ancora) che ai difensori venga dato avviso della facoltà di esaminare gli atti, oltre che di ascoltare registrazioni e prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, onde poter valutare la regolarità delle operazioni di intercettazion e formulare le relative eccezioni, ovviamente, fornendo al decidente ogni elemento necessario a valutarne la fondatezza. Si evidenzia che anche il deposito dei decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni è soggetto alla medesima modalità di deposito, in base alla previsione (vigente all’epoca dei fatti) dell’art. 267, comma 5, cod. proc. pen Anche tali decreti vengono annotati, secondo un ordine cronologico, nel registro riservato, tenuto nell’ufficio del pubblico ministero, e sono destinati a restare n fascicolo del pubblico ministero, salvo nel caso di estrazione di copia, su richiest della difesa, per articolare e documentare le eccezioni da proporre al giudice.
Ciò è quanto avvenuto nel caso specifico, come si evince dall’indice del fascicolo del pubblico ministero, (allegato al ricorso di COGNOME), dove il faldone si compone proprio dei fascicoletti relativi ai vari R.I.T., che notoriamente
contengono proprio i verbali di inizio/fine intercettazioni, nonché i decreti del PM e del GIP, relativi alle operazioni tecniche. Nel caso specifico, la Corte territoria ha escluso che le numerose eccezioni formulate dalle difese, puntualmente ripercorse nel provvedimento impugnato, siano state sostenute dal deposito della documentazione (verbali di inizio e fine operazioni; decreti di autorizzazione, proroga, convalida intercettazioni) necessaria a valutarne la fondatezza, documentazione indicata genericamente nel ricorso ed allegata, solo in questa sede, unitamente ai motivi aggiunti.
La Corte di appello, con motivazione congrua ed immune da vizi di manifesta illogicità e da certure, ha ritenuto inammissibili le eccezioni sull inutilizzabilità delle intercettazioni, articolate peraltro anche in modo generico meramente esplorativo.
L’eccezione di inutilizzabilità è, innanzitutto, aspecifica, perché non si indic quali sono le intercettazioni coinvolte nella eccezione, né quale sia il contenuto d tali intercettazioni.
Inoltre, non si indica quale sia la incisività delle intercettazioni, utilizzate giudici di merito, ai fini della condanna, né si deduce la decisività dell’eccezion in riferimento al provvedimento impugnato.
Appare evidente che la stessa difesa non ha proceduto alla disamina degli atti – contenuti nel fascicolo del pubblico ministero – di cui si lamenta la mancata allegazione al fascicolo del dibattimento (ad esempio il motivo I-I; I-J, I-0, II-U).
Quanto ai provvedimenti di proroga del 22 gennaio 2018, del 12 febbraio 2018 e del 14 febbraio 2018 del RIT 1648/ 17, si rileva che l’eccezione è stata formulata dalla difesa per la prima volta in appello e non anche nel giudizio di primo grado.
Va, inoltre, richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il mancato rispetto del termine di 5 giorni dalla conclusione delle operazioni per il deposito dei verbali e delle registrazioni non è causa di nullit non essendo espressamente prevista, né di inutilizzabilità dei risultati dell intercettazioni, atteso il mancato richiamo, nell’art. 271 cod. proc. pen., quarto e al sesto comma dell’art. 268 dello stesso codice (Sez. 6, Sentenza n. 14248 del 01/03/2017, Rv. 270025 – 01).
A riguardo, nella motivazione si fa esplicito riferimento ai principi espressi dalle Sezioni Unite De lodo, (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De lodo, Rv. 244329 – 01), ribaditi in più occasioni da pronunce di identico tenore (Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015, COGNOME, Rv. 265535 – 01) secondo cui laddove una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti
rinvenibili nel fascicolo processuale, perché appartenenti ad altro procedimento o – qualora si proceda con le forme del dibattimento- al fascicolo del pubblico ministero, al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si aggiunge l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – e negative- addotte a fondamento del vizio processuale.
La difesa non si è confrontata con i principi espressi da tali pronunce cui la Corte territoriale si è uniformata, in quanto non ha dedotto nulla nei ricorsi merito alla prodùzione degli atti necessari alla disamina delle numerose eccezioni proposte né sul principio espresso da questa Corte. Dall’esame della sentenza di primo grado risulta, peraltro, che, neanche in tale sede, il decidente ha rigetta le eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni per tardività, e ch contrario, le ha esaminate nel merito.
La allegazione, solo in questa sede, dei provvedimenti viziati, senza formazione di un indice, che informi circa la collocazione all’interno del fascicolo del pubblico ministero, se costituisce indice della esistenza degli atti, c risultano muniti del timbro di deposito presso l’ufficio Gip e il Tribunale, inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso.
2.2.1 Quanto alla omessa allegazione di verbali di inizio e fine delle intercettazioni, nella memoria difensiva se ne deduce il mancato deposito nel fascicolo del Pubblico Ministero e la conseguente impossibilità di allegazione unitamente ai motivi di appello: la deduzione è inammissibile.
Al riguardo, va richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui non opera la sanzione della inutilizzabilità sull’omesso deposito dei verbali di esecuzione delle intercettazioni atteso il mancato richiamo, nell’ar 271 cod. proc. pen., al quarto e al sesto comma dell’art. 268 dello stesso codice. La inutilizzabilità deriva, piuttosto, dalla omessa redazione del verbale dell intercettazioni, circostanza che non ricorre, nel caso a mano, e che non è oggetto di contestazione (Sez. 6, Sentenza n. 14248 del 01/03/2017, Rv. 270025 – 01).
2.3 Il terzo e quarto motivo di ricorso sono infondati.
Sul punto, la Corte territoriale ha richiamato integralmente, per relationem, le argomentazioni della sentenza di primo grado.
La Corte d’appello ha, inoltre, con motivazione immune da vizi di illogicità e da censure, ritenuto superflue ed irrilevanti i mezzi di prova testimoniale articolati dai ricorrenti, per la indicazione, quali testi, di persone (i capisc che hanno condotto i ricorrenti in udienza, testi di PG), che dovrebbero riferire sulle stesse circostanze già esposte dai testi di PG, COGNOME e COGNOME, nonché pe la mancata indicazione specifica dei nominativi dei testi da escutere.
I.
La motivazione del Tribunale e il richiamo del giudice d’appello appaiono di per sé non illogiche, e non possono in questa sede essere sottoposte ad ulteriore vaglio, considerato che i ricorrenti non hanno allegato né l’ordinanza del Tribunale dell’8.6.2022, né le loro liste testi, né i verbali, nei quali i testi COGNOME e COGNOME avrebbero sostanzialmente omesso di riferire su quanto richiesto dalla difesa, dichiarandosi non informati sui fatti (verbale di udienza d 12.10.2020 e del 4.04.2022).
La sentenza di primo grado, che richiama le deposizioni di tali testi di PG (pag. 9 e ss.), sottolinea che costoro hanno esaustivamente riferito in merito all attività investigative svolte, quali le dinamiche concernenti la suddett consorteria mafiosa e le posizioni degli odierni imputati. In tal modo, i ricorrent non si sono uniformati al principio di autosufficienza del ricorso, che impone di indicare, in modo chiaro e specifico, gli atti rilevanti per la decisione, così che cancelleria del giudice del provvedimento impugnato possa immediatamente individuarli e autonomamente trasmetterli senza essere onerata della lettura integrale del ricorso.
In tema di ricorso per cassazione, la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma 1, l e), cod. proc. pen:, configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in co l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito, purché dett modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilit del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lett. d), 591 , cod. proc. pen. (Sez. 4, Sentenza n. 3937 del 12/01/2021) Rv. 280384 01).
Il principio di autosufficienza del ricorso trova applicazione anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 165 bis, co. 2, D. Lgs 28 luglio 1989, n. 271, inser dall’art. 7, D. Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, in quanto, come correttamente affermato in un condivisibile arresto di questa Corte, “sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l’onere di indicare puntualmente nel ricorso gli atti che si assumono travisati da inserire nel fascicolo, dei quali si ritiene necessaria l’allegaz delegata alla Cancelleria, organo amministrativo al quale non può essere delegato il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura
•
l’interpretazione del ricorso” (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432- 01; Sez. 5, Sentenza n. 5897 del 03/12/2020, dep. 15/02/2021, Rv. 280419 – 01).
2.4 Il quinto motivo di ricorso è infondato oltre che generico.
Il motivo è generico e reiterativo dell’identico motivo di appello, sul quale la Corte di merito si è pronunciata con argomentazione condivisibile ed immune da vizi.
La Corte territoriale ha ritenuto trattarsi di mera irregolarità, costituita deposito, nei giorni successivi alla requisitoria, di memoria scritta, meramente esplicativa della requisitoria già svolta, che richiama complessivamente il contenuto delle intercettazioni già note alle parti, senza indicarne in dettaglio contenuto, rispetto alla quale nulla è stato aggiunto in termini di fatti nuov Irregolarità che non ha minimamente leso il diritto di difesa degli imputati garantito dalla possibilità di effettuare proprie controdeduzioni al momento delle repliche, mediante deposito di memorie scritte, diritto di cui la difesa ha ritenu di non avvalersi, tanto più che il pubblico ministero aveva rinunciato alle repliche, e la difesa ha avuto la parola per ultima, in ossequio al disposto di c all’art.523 cod. proc. pen.
Il motivo è, comunque, aspecifico in quanto non indica le difformità contenute in tale memoria rispetto agli elementi emersi dalla complessiva istruttoria dibattimentale, poi refluiti nel giudizio espresso dalle sentenze primo e secondo grado, in modo tale da poter ritenere che l’affermazione di responsabilità dei ricorrenti sia stata effettuata sulla scorta di elementi di pr non emersi nel dibattimento.
NOME COGNOME.
3.11 ricorso è infondato.
Per i primi cinque motivi di ricorso, ci si riporta al paragrafo che precede.
3.1 Il sesto e settimo motivi di ricorso sono infondati.
Va, preliminarmente, evidenziato quale sia il perimetro di controllo in ordine alle dedotte critiche: sono, infatti, non consentite in questa sede censure ch pur lamentando l’erronea applicazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., vengano a fondarsi su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (tra tante, Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, COGNOME, Rv. 266924).
I vizi motivazionali ed argomentativi di una pronuncia di merito possono essere dedotti in sede di legittimità purchè ricompresi entro un orizzonte preciso e ben delimitato, diretto a riscontrare l’esistenza di un logico appara argomentativo del provvedimento impugnato, potendo ritenersi inadeguato, con conseguenze di annullamento, soltanto quell’impianto motivazionale che sia afflitto da manifesta illogicità. Esula, pertanto, dai poteri della Corte cassazione quello consistente nella “rilettura” degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, la cui valutazione è, invece ed in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex multis, tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482. Vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24111/1999, COGNOME, Rv. 214794; cfr. altresì Sez. 2, n. 30918 del 7/5/2015, COGNOME, Rv. 264441; Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv 238215; Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Flv. 262965). Nondimeno, neppure l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, allorché le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M, Rv. 271227), poiché dà luogo a vizio della motivazione non qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma solo quella che attenga ad un dato idoneo a disarticolare uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione, quale risultante dall’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico; Sez. 1, n. 13528 del 11/1.1/1998, Maniscalco, Rv. 212053). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base di tali premesse, devono essere considerati inammissibili tutti i motivi a sostegno dei ricorsi che fanno leva sul confronto tra brani della motivazione della sentenza impugnata, riferibili a valutazioni probatorie, e l’alternativa interpretazione difensiva, senza, tuttavia, denunciare, con l necessaria specificità, travisamenti probatori, ossia possibili errori del giudice appello sul “significante” dei dati probatori indicati. Va considerato, inoltre, che estraneo al vizio denunciato ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen. ogni discorso mera contrapposizione dimostrativa quanto al senso delle prove, considerato che
nessun elemento probatorio, per quanto significativo, può essere interpretato per brani o per stralci, ossia al di fuori del più generale contesto in cui è inser sicché GLYPH gli GLYPH aspetti GLYPH del GLYPH giudizio GLYPH che GLYPH consistono GLYPH nella GLYPH valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti, attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se no quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativ Pertanto, si conferma che restano inammissibili, in sede di legittimità, le censur che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione de risultato probatorio, risolvendosi nella proposizione di questioni di merito (Sez. U, sentenza n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651; Sez. 5, sentenza n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 5, sentenza n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540).
I motivi di ricorso afferenti alla contestazione della responsabilità de ricorrente per il reato associativo, capo 1), ed alla valutazione delle dichiarazio dei collaboratori di giustizia, sono generici e non si confrontano con la decisione della Corte di appello che, con motivazione congrua, puntuale ed immune da vizi di illogicità e da censure, ha affrontato compiutamente tutte le censure articolate nei motivi di appello, pedissequamente riproposte come motivi di ricorso.
In particolare, la Corte di merito ha evidenziato che la responsabilità di COGNOME nel suo ruolo di capo promotore dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, svolto dal carcere, luogo in cui il ricorrente riusciva a fare ancor proseliti per il clan, a saldare i rapporti con gli altri partecipi detenuti, o impartiva direttive ai sodali sulla gestione del sodalizio mafioso, è comprovata da numerosi elementi, che il decidente in parte ripercorre autonomamente.
Al riguardo, la motivazione richiama le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia; rigetta, siccome infondata, la deduzione difensiva secondo cui i collaboratori avrebbero riferito di fatti ed episodi non attinenti al periodo contestazione, deduzione che, comunque, ritiene priva di specifica rilevanza, in quanto fonda la penale responsabilità di COGNOME sulle molteplici intercettazioni i atti, ritenute, con motivazione immune da vizi e censure, inequivoche, quanto al ruolo apicale dell’imputato in seno al clan, nel periodo in contestazione, e ch costituiscono, di per sé stesse, prova piena, a carico dello stesso, oltre riscontri alle dichiarazioni rese dai collaboratori. La Corte d’appello richiama inoltre, le sentenze irrevocabili di condanna per il medesimo delitto associativo, e correttamente, ha ritenuto irrilevante l’afferenza a periodi diversi da quell oggetto della contestazione, nonché gli atti di PG e la individuazione dei canali di approvvigionamento dello stupefacente, in parte riportandosi alla corposa disamina effettuata dal giudice di prime cure.
La Corte d’appello ha, inoltre, chiarito il tenore dei contributi dichiarativi ciascun collaboratore di giustizia, che collocano la partecipazione del ricorrente al sodalizio negli anni in contestazione. Quanto alle obiezioni mosse dalla difesa invero anzitutto in modo generico, poiché astratte dal reale confronto con gli argomenti probatori, molteplici, posti a fondamento della sentenza d’appello – il ricorrente si limita ad evidenziare il dato della detenzione in carcere dell’Olivie dal 2014 e per il periodo oggetto di contestazione.
In tema di reati associativi, il “thema decidendum” riguarda la condotta di partecipazione o direzione, con stabile e volontaria compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio: ne consegue che le dichiarazioni dei collaboratori o l’elemento di riscontro individualizzante non devono necessariamente riguardare singole attività attribuite all’accusato, giacché i “fatto” da dimostrare non è il singolo comportamento dell’associato bensì la sua appartenenza al sodalizio (Sez. 2, n. 23687 del 3/5/2012, COGNOME, Rv. 253221). Naturalmente, la prova della partecipazione può essere derivata dalla prova del concorso nei reati-fine del sodalizio (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 18 del 14/3/2017, COGNOME, Rv. 269658). E tuttavia, non può che ribadirsi la consolidata affermazione secondo cui la chiamata in correità investe il ruolo assegnato e il contributo offerto dall’imputato, piuttosto che singoli e individuabil comportamenti, e la sua specificità va valutata sotto tale profilo, non richiedendosi la stessa precisione di dettaglio necessaria nel caso di un delit che implichi la realizzazione di un evento materiale (Sez. 1, n. 6239 del 11/12/1998, dep. 1999, Meddis, Rv. 212810).
Nel provvedimento impugnato vengono ripercorse le parti salienti delle dichiarazioni dei collaboratori, che riguardano proprio il periodo in contestazione, con le quali il ricorrente non si confronta minimamente: NOME COGNOME ad esempio, ha riferito di aver incontrato l’COGNOME, dopo il suo matrimonio avvenuto ad ottobre 2018, nel carcere di Catania Bicocca, dove l’imputato veniva condotto per presenziare ai processi a suo carico e per un problema ad una gamba e presso l’istituto penitenziario, nonché che l’COGNOME ha sempre mantenuto il ruolo apicale sia dentro che fuori dal carcere; NOMECOGNOME parimenti, ha riferito di averlo incontrato negli anni 2016/2017 nel carcere di Catania Bicocca, ove l’COGNOME veniva “appoggiato” in occasione dei processi in cui erano imputati, indicandolo come responsabile del clan COGNOME sin dal 2015, anche dal carcere, e che dal carcere di Cavadonna gli arrivavano le ambasciate tramite il sodale NOME COGNOME; COGNOME riferisce della partecipazione del ricorrente al clan COGNOME, pur dal carcere, sino al 2018; NOME COGNOME indica l’COGNOME tra gli esponenti principali del clan COGNOME, riferendo del ruolo apica
del ricorrente, anche dal carcere, da cui inviava direttive ai sodali e che veniv sempre da questi interpellato su questioni e condotte relative al sodalizi mafioso.
La Corte territoriale ha adeguatamente affrontato le suddette questioni non incorrendo in manifesti vizi logici o errori di diritto.
Quanto poi alle dedotte discrasie, la risposta della Corte di appello appare completa e priva di illogicità manifeste. Questa Corte ha più volte affermato che, in presenza di più fonti dichiarative, non può pretendersi una completa sovrapponibilità degli elementi forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiars l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere, rimanendo, quindi, indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto; e che, comunque, spetta pur sempre al giudice il potere-dovere di valutare se eventuali discrasie possano trovare plausibile spiegazione in ragioni diverse da quelle ipotizzabili nel mendacio di uno o più dichiaranti (Sez. 1, n. 2328 del 14/04/1995, COGNOME, Rv. 201294), e che proprio le eventuali discrasie su alcuni punti possono talora confermarne la reciproca autonomia delle dichiarazioni, perché fisiologiche in presenza di narrazioni dello stesso fatt provenienti da soggetti diversi (Sez. 2, n. 25795 del 19/06/2012, Bernardo, Rv. 253418; Sez. 6, Sentenza n. 40530 del 31/05/2017, Rv. 271482 – 01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello, facendo buon governo dei richiamati principi, non ha sottovalutato in modo illogico gli elementi indicati nel gravame.
A tali deduzioni vanno poi aggiunte le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, anche in punto di attendibilità dei collaboratori di giustizia, ritenute, con motivazione congrua ed immune da censure, non solo convergenti tra loro ma anche suffragate da riscontri esterni, quali le divers intercettazioni, inequivoche circa la partecipazione, nel periodo in contestazione, di COGNOME al clan mafioso COGNOME per il cui contenuto la Corte d’appello richiama integralmente le pagine da 46 a 64 della sentenza di primo grado. In quest’ultimo provvedimento, vengono, anzitutto, ripercorse le tre precedenti condanne irrevocabili, riportate dal ricorrente, per l’appartenenza alla stess famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano, per il territorio di Giarre e comuni limitrofi, denominato clan COGNOME, sino al 2013 e, con ulteriore sentenza, per il periodo compreso tra luglio 2013 e novembre 2014, nell’ultima pure con ruolo apicale direttivo.
Nella sentenza di primo grado (pag. 49 e ss.), sono richiamate le numerose e chiare conversazioni, telefoniche e ambientali, che fanno riferimento a persone, cifre, quote mensili e festività, dalle quali i giudici di merito han
ricavato il ruolo apicale, che il ricorrente continua a ricoprire all’interno sodalizio di stampo mafioso, negli anni 2017 e 2018, nonostante la lunga detenzione in carcere, con l’invio di direttive ai sodali, anche circa comportamento violento da tenere, in caso di problemi, con disposizioni sulla distribuzione degli stipendi alle famiglie dei detenuti (compresa la propria), tant da essere destinatario di somme di denaro, durante la detenzione. Quanto ai collegamenti con i sodali, vengono indicati NOME COGNOME ed il nipote, NOME COGNOME che si preoccupano di garantire il mantenimento in carcere dei sodali detenuti, tra i quali anche l’COGNOME, di osservare le direttive impartit quest’ultimo, che, a sua volta, aveva provveduto al mantenimento di altri affiliati detenuti (cfr. progr. 410, conversazione tra COGNOME NOME e COGNOME NOME).
La Corte di appello procede, poi, ad illustrare il contenuto di alcune conversazioni, altro profilo con il quale il ricorrente non si confronta. Così, per riferibilità al ricorrente del nominativo di NOME, contenuto nelle intercettazioni, viene menzionata la conversazione n. 265 del 21.9.2018 ove a parlare di soldi (10.000,00 euro), da destinare alla moglie di NOME, è COGNOME NOME, peraltro non detenuto all’epoca, da cui, la logica deduzione, che non di quest’uttimo si sta parlando bensì del ricorrente, indicato anche come destinatario di un terzo del ricavato dell’affare della droga, concluso con gli al sodali di Giarre e che era stato informato della trattativa in corso. E ancora, richiama la deposizione del teste di PG, COGNOME, circa la gestione della cassa comune, affidata a NOME COGNOME suo referente in stato di libertà, che, in diverse captazioni, ha ribadito che il suo potere era diretta promanazione dell’autorizzazione conferitagli dall’COGNOME.
Sullo stesso argomento, dell’identificazione in COGNOME del riferimento a NOMECOGNOME contenuto negli innumerevoli colloqui tra gli COGNOME, zio e nipote, anche nel giudizio di primo grado, vengono svolte numerose deduzioni (pag. 62 e ss.).
Il complesso di tali elementi ha portato motivatamente la Corte territoriale ritenere, sulla base delle plurime captazioni, che, nel periodo della contestazione COGNOME ha mantenuto il ruolo apicale all’interno del sodalizio mafioso, nonostante la detenzione in carcere. Sul punto, il ricorso non si confronta con l motivazione, ma si limita a valorizzare unicamente la deposizione dei due testi di PG, cap. COGNOME e COGNOME, omettendo qualsiasi deduzione in merito al corposo impianto accusatorio illustrato nel provvedimento impugnato.
3.2 Parimenti infondato è l’ottavo motivo di ricorso che contesta la legittimità del riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416- bis, comma 4, cod. pen.
Sul punto, con motivazione congrua ed immune da vizi e censure, la Corte d’appello ha evidenziato gli elementi dai quali emerge con certezza la aggravante della associazione armata, ed ha ritenuto comprovato che COGNOME abbia ignorato per colpa l’aggravante, facendo corretta applicazione del principio espresso dalla Suprema Corte negli esatti termini (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 278010 – 01).
Infine, secondo quanto si è sottolineato nella sentenza di primo grado, devono evidenziarsi le numerose pronunce di condanna passate in giudicato, con le quali si è accertata la disponibilità di armi da parte del gruppo mafios Santapaola-Ercolano, operante in Giarre e comuni limitrofi, denominato clan COGNOME, in continuità, dunque, con le condotte associative proseguite nel presente processo. L’evidenza dei dati di prova richiamati dai giudici di merito configura il supporto logico-fattuale utile alla configurabilità dell’aggravant quale caratteristica epifenomenica dell’associazione mafiosa SantapaolaErcolano, articolazione denominata “clan COGNOME“. E tali conclusioni corrispondono pienamente al paradigma interpretativo disegnato negli anni da questa Corte regolatrice. Anzitutto, il Collegio rammenta che, in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della disponibilità delle armi, non è richiesta l’esatt individuazione delle armi stesse, ma è sufficiente l’accertamento, in fatto, dell disponibilità di un armamento, desumibile, ad esempio, dai fatti di sangue commessi dal gruppo criminale o dal contenuto delle intercettazioni, come avviene nel caso della prova del presente processo (cfr. Sez. 6, n. 55748 del 14/9/2017, COGNOME, Rv. 271743; Sez. 1, n. 14255 del 14/6/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269839). A prescindere dalle considerazioni, pur rilevanti, sul fatto che la dotazione di strumenti di offesa è ritenuta normalmente, e con ricadute, in punto di consapevolezza, da parte degli associati, connaturata al perseguimento degli scopi di un sodalizio di tipo mafioso (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 36198 del 3/7/2014, Ancora, Rv. 260272), la giurisprudenza di legittimità si è attestata da tempo nel ritenere che, proprio in ragione delle peculiari strutturali dei sodalizi mafiosi, l’aggravante della disponibilità di armi, previ dai commi quarto e quinto dell’art. 416-bis cod. pen., è configurabile a carico degli associati che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che per colpa lo ignorino (Sez. 6, n. 44667 del 12/5/2016, COGNOME, Rv. 268677), rilevando a tal fine anche il fatto notorio della detenzione di strumenti di offesa in capo ad un determinato sodalizio mafioso, a condizione che detta detenzione sia desumibile da indicatori concreti quali fatti di sangue ascrivibili al sodalizio o risultanze di titoli giudiz Corte di Cassazione – copia non ufficiale
intercettazioni, dichiarazioni od altre fonti – di cui il giudice deve specificamen dare conto nella motivazione del provvedimento (Sez. 1, n.7392 del 12/9/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272403; cfr. Sez. 2, n. 31920 del 4/6/2021, COGNOME, Rv. 281811). Quello che più rileva tuttavia è che, per riconoscere l’aggravante della disponibilità delle armi da parte delle associazioni mafiose storiche – e di “Cosa nostra” in particolare – è possibile fare ricorso ad elementi di conoscenza trat dalla pluriennale esperienza storica e giudiziaria (Sez. 6, n. 5400 de 14/12/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 216149 – 01). Si riafferma, infatti, che, nel ricorso sistematico alle massime di esperienza, nella interpretazione delle condotte riconducibili alle mafie storiche, ai fini della valutazione dei fatti criminalità di stampo mafioso, il giudice deve tener conto delle indagini storico sociologiche, sebbene con prudente apprezzamento e rigida osservanza del dovere di motivazione; tali dati sono infatti utili strumenti di interpretazione d risultati probatori, ogni volta che ne sia stata vagliata l’effettiva idoneit essere assunti ad attendibili massime di esperienza (Sez. 5, n. 47574 del 07/10/2016, COGNOME, Rv. , 268403; Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238838; Sez. 1, n. 84 del 511999, Cabib, Rv. 212579).
Nel caso in esame, la Corte d’appello, con motivazione coerente con tali indicazioni ermeneutiche, ha ritenuto che, quando l’associazione contestata sia riferita ad una associazione mafiosa storica, come “Cosa nostra”, il riferimento alla stabile dotazione di armi è un fatto notorio, sicuramente conosciuto da chi, come l’COGNOME, rivestiva una posizione di vertice nell’associazione.
Da ultimo, questa Corte ha evidenziato come l’aggravante della disponibilità di armi, di cui all’art. 416-bis, commi quarto e quinto, cod. pen., sia configurabi a carico dei partecipi di una “locale” di mafia storica, qualora ricorrano elementi quali, precedenti giudicati definitivi di condanna per il reato aggravato, nonché quando sia riscontrata la perdurante attività criminale da parte della stessa cosca e l’effettiva disponibilità delle armi, desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, utili strumenti interpretazione dei risultati probatori, e sempre che le armi siano utilizzate per conseguimento delle finalità dell’associazione, non essendo sufficiente il solo riferimento alla notoria dotazione di armi in capo al sodalizio storico (Sez. 2, n 31920 del 04/06/2021, PG C/Alampi, Rv. 281811 – 02; Sez. 2, Sentenza n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, Rv. 284761 – 019).
Nel caso specifico, tale disponibilità risulta acclarata sulla scorta degl elementi evidenziati dai giudici di merito. Inoltre, nella sentenza di primo grado si legge che COGNOME è stato condannato con sentenza della Corte di appello di Catania del 9.7.2014, divenuta irrevocabile il 22.11.2014 (n. 9 del casellario
giudiziale) in sede di giudizio abbreviato per il reato di associazione a delinquer di stampo mafioso, ex art. 416 bis comma 1 e 4 cod. pen., commesso in epoca anteriore e prossima al settembre 2003, in Giarre e altrove. Viene, poi, menzionata una sentenza di primo grado del Tribunale di Catania del 15.10.2020, non ancora irrevocabile, ove pure COGNOME risulta condannato per il reato di cui all’art.416 bis, comma 1,2,3,4 e 5, cod. pen., ancora pe associazione mafiosa, armata, per il periodo aprile-luglio 2013.
Dunque, GLYPH risulta chiaramente indicato dai giudici di merito quali provvedimenti costituiscano il precedente utilizzato per ritenere che, a fronte dell’accertata (e non contestata peraltro con il ricorso) disponibilità di armi parte dell’associazione, il ricorrente debba rispondere anche per tale aggravante.
3.3 II decimo motivo è infondato.
È sufficiente, sul punto, richiamare il principio di diritto per il quale giudice di appello non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti alla attenzione del giudice d primo grado e da quest’ultimo disattesi, sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione” (Sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015, Rv. 262249); non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 256340).
Tale principio, di carattere generale, ha trovato applicazione in relazione a molteplici istituti “di favore” per l’imputato: in particolare, si è affermato che richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita, allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, COGNOME, Rv. 275057,). Sez. 4, Sentenza n. 5396 del 15/11/2022, dep.2023, Rv. 284096 – 01).
Nulla aggiungono i motivi ulteriori, depositati, successivamente al ricorso, dalla difesa del ricorrente, poiché anche l’analisi, effettuata alla luce dei prin affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza COGNOME, sostanzialmente in linea con la giurisprudenza dominante facente capo alle Sezioni Unite Mannino, conduce a ritenere l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per la partecipazione mafiosa sino a novembre 2018 fondata su elementi probatori che durano sino all’ultimo anno di datazione della permanenza.
I
,
NOME COGNOME.
4. Il ricorso è infondato.
4.1 Con riferimento al reato contestato al capo 1), la Corte d’appello ha confermato la affermazione di responsabilità, riqualificando la condotta di partecipazione al reato di associazione mafiosa COGNOME-Ercolano, denominata cosa nostra catanese, articolazione denominata clan COGNOME, operante nell’area ionico-etnea nei comuni di Giarre, Mascali, Fiumefreddo di Sicilia, Castiglione di Sicilia e zone limitrofe, come concorso esterno al sodalizio criminoso di stampo mafioso.
La Corte territoriale ha fondato l’affermazione di responsabilità del ricorrente sulle numerose intercettazioni, registrate nell’arco temporale dal mese di dicembre 2017 al mese di settembre 2018, argomentando sulla rilevanza degli elementi ricavabili con riferimento al contributo causale offerto alla conservazione o al rafforzamento della capacità operativa della consorteria criminale. Al riguardo, rimanda alla sentenza di primo grado (da pag. 27 a pag. 46) che richiama, mentre quasi nessun rilievo risulta attribuito alle dichiarazion del collaboratore NOME COGNOME che ritiene generiche.
Al riguardo, la sentenza richiama le intercettazioni di settembre 2018, intercorse tra l’imputato e NOME COGNOME relative alla fornitura di stupefacente per il sodalizio mafioso, nel corso delle quali gli interlocutori menzionano necessità ed esigenze di natura economica riguardanti la gestione dei “colloqui” dei sodali detenuti.
La Corte di appello, con motivazione congrua ed immune da vizi di illogicità e da censure, in base al contenuto delle intercettazioni, chiarisce il ruolo svol dal COGNOME, intrattenendo rapporti con i sodali del clan (collabora con COGNOME) nell’acquisto e vendita di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti ed il contributo offerto al sodalizio mafioso. L’imputato viene indicato quale fornitore, costante e attivo, di consistenti partite di droga, in favore del ci sodalizio mafioso, denominato clan COGNOME, per la piazza di spaccio di Giarre, gestita dal clan, nonché creditore del sodalizio, laddove sollecita i sodali pagamento di pregressa fornitura di droga, discute sul prezzo di future forniture, senza concedere sconti sul prezzo, e fa riferimento anche lui ai “colloqui”, mostrando di essere a conoscenza della funzionalità dell’attività di spaccio rispetto alle esigenze economiche del clan (mantenimento dei sodali detenuti), i cui guadagni non confluiscono nelle case del sodalizio.
La sentenza sottolinea, inoltre, il ruolo di persona di fiducia dei vertici d clan in quanto il ricorrente consentiva, all’interno del residence, dove abitava
lavorava come custode, incontri di vertice, tra squadre territoriali della stes famiglia mafiosa (clan COGNOME), mettendo a disposizione del clan alcuni appartamenti estivi e, nel cui parcheggio, sono state intercettate numerose conversazioni di interesse rilevante. Ulteriore elemento di prova della condotta di concorso viene desunta dalla tutela del clan, ricevuta dal ricorrente, in occasione dell’incendio della propria barca, compiuto da un associato di altra zona.
All’evidenza, il contenuto delle conversazioni intercettate, nelle quali l’imputato viene chiamato chiaramente per nome, con il diminutivo NOME, riportato nella sentenza di primo grado, dà conto della fiducia riposta, d esponenti di vertice del sodalizio, che si occupavano del traffico di stupefacenti quali NOME COGNOME nell’imputato, e della consapevolezza dello stesso della posizione apicale dell’interlocutore, con il quale collabora nella attività approvvigionamento dello stupefacente da fornire agli associati del clan (COGNOME, COGNOME, COGNOME), nonché della posizione di altri componenti del sodalizio mafioso, cui fornisce, in modo costante, ingenti partite di marijuana, e della destinazione, di parte del provento della sostanza stupefacente acquistata dai sodali, al mantenimento degli affiliati detenuti (colloqui) tanto che ques premono sulla circostanza per ottenere dal COGNOME un prezzo di favore.
La circostanza che l’imputato non si pieghi alle richieste dei sodali per ottenere uno sconto sul prezzo delle forniture, indicata, dalla difesa, come indice di estraneità alle dinamiche del sodalizio mafioso, costituisce, invece, come ritenuto, con motivazione logica ed immune da censure, dai giudici di merito, elemento significativo della piena consapevolezza del COGNOME del ruolo dallo stesso svolto, unitamente al vertice del sodalizio NOME COGNOME, nell’attività d approvvigionamento costante di forniture di ingenti quantità di droga al clan, nonché della propria posizione di rilievo, rispetto agli affiliati, in quanto go della piena fiducia da parte di un esponente di vertice del clan, e, dunque, dell propria forza contrattuale dinanzi alle trattative sul prezzo della droga.
La piena fiducia riposta dai vertici del sodalizio nell’imputato viene, inoltre correttamente, ricavata dalla messa a disposizione di appartamenti, ubicati all’interno di un residence estivo, dove l’imputato abitava e lavorava come custode, per le riunioni di vertice tra squadre territoriali della stessa famig mafiosa (clan COGNOME), e ciò proprio tenuto conto della estrema riservatezza degli incontri, cui partecipavano soltanto elementi di spicco di clan.
Corretto ed immune da censure è il richiamo, per comprovare l’intraneità del COGNOME alle vicende del sodalizio, alla sua partecipazione al summit mafioso tra affiliati di Giarre e Mascali ed affiliati di Acireale e Aci catena del 27.8.201 svolto all’interno di uno degli appartamenti messi a disposizione del clan dal
ricorrente, in cui si discute non solo di questioni legate al traffico di stupeface ma anche di questioni legate alla gestione dei c.d. affronti tra associa ,all’interno della stessa famiglia mafiosa.
La partecipazione al summit, cui vengono ammessi soltanto gli affiliati che rivestono un ruolo di spicco, all’interno di un sodalizio mafioso, è sta correttamente ritenuta dalla Corte di merito, unitamente alla partecipazione dello stesso COGNOME agli incontri, quale ulteriore indice non solo della fiducia riposta nell’imputato da esponenti con ruolo di vertice, all’interno del clan, bensì del piena conoscenza della struttura organizzativa del clan, dei capi e dei relativ poteri, delle questioni relative alla gestione del sodalizio mafioso, dei luoghi riunione (mettendoli, anzi, egli stesso a disposizione del sodalizio), degl argomenti trattati.
La partecipazione al summit non è un episodio isolato, ma viene posto in correlazione con altri dati, con i quali il ricorrente evita di misurarsi, qua plurime conversazioni, intrattenute dal COGNOME, con gli affiliati dediti al traffic di stupefacenti, su questioni attinenti all’approvvigionamento di forniture per i sodalizio mafioso. È, quindi, corretta la valutazione dei giudici di merito, che hanno ritenuto tali emergenze sintomatiche del collegamento funzionale esistente tra il ricorrente e l’associazione, nonché sussistere nel COGNOME piena consapevolezza di agire nell’interesse e a vantaggio dell’associazione mafiosa in esame, la cui esistenza ed operatività, all’epoca dei fatti contestati, ris pienamente comprovata e argomentata (Sez. 1, n. 4937 del 19/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254915).
La Corte di merito, confrontandosi con il ricorso, ha tratto fondati elementi per ravvisare la condotta concorsuale del ricorrente soprattutto dal reato di traffico di sostanze stupefacenti, contestato al capo 5), né appare illogico che una volta ritenuto che l’apporto all’associazione sia consistito proprio in ta fornitura di stupefacente, in tale condotta si ricavi l’apporto collaborativo d ricorrente.
Il narcotraffico costituisce sovente uno dei delitti fini della associazione stampo mafioso atteso che parte dei proventi del traffico di stupefacenti confluisctim, nella cassa comune del clan mafioso di riferimento.
Riguardo all’interpretazione dell’episodio dell’incendio, ricostruito alle pag. 44 e 45 della sentenza di primo grado (cui la sentenza di appello rimanda a pag. 8), la versione del ricorrente, per la quale si tratterebbe piuttosto di intimidazione del clan avverso, è smentita dalle intercettazioni indicate dalla Corte di appello (e non menzionate nel ricorso), dalle quali emerge che COGNOME, avendo subito un affronto con l’incendio di’ una barca e di
un’autovettura da parte di associato di altra zona, ricorre al clan per ave soddisfazione, interpellando anche il responsabile mafioso di zona, attraverso COGNOME e COGNOME.
Da tali elementi, che il ricorso contesta genericamente, reiterando argomentazioni già esaminate in sede di appello, e decise con motivazione congrua ed immune da vizi, si è desunta, logicamente e coerentemente, la rilevanza causale del contributo fornito dal COGNOME alla conservazione delle capacità operative del sodalizio e alla realizzazione anche parziale del programma criminoso della medesima associazione.
Le pronunzie, intervenute nel corso del tempo da parte delle Sezioni Unite di questa Corte (negli anni 1994, 2002 e 2005) hanno ormai radicato, sia pure con differenti accentuazioni di alcuni profili, il dato giuridico della ammissibilità d concorso ex art.110 cod. pen., anche in riferimento alla fattispecie plurisoggettiva di associazione, nel senso che assume la qualità di concorrente ‘esterno’ nel reato di associazione di stampo mafioso la persona che – priva dell’affectio societatis e non essendo inserita nella struttura organizzati dell’associazione mafiosa -, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, purchè questo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima (Sez. U. n. 22327 del 30.10.2002, Carnevale, Rv. 224181).
La Corte territoriale, nel definire il rapporto del ricorrente con il sodaliz mafioso di riferimento, richiama le Sezioni Unite COGNOME (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231671); indicando l’imputato quale soggetto non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa e privo dell’affectio societatis e che fornisce, tuttavia, un contributo concret specifico, consapevole e volontario, che emerge attraverso una valutazione del collegamento funzionale, esistente tra lo stesso e l’associazione, con effettiv rilevanza causale necessaria ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come “RAGIONE_SOCIALE“, di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazion territoriale) ed è, comunque, diretto alla realizzazione, anche parziale, de programma criminoso della medesima, con la piena consapevolezza di agire nell’interesse e a vantaggio dell’associazione mafiosa, la cui esistenza operatività all’epoca dei fatti contestati risulta pienamente comprovata e argomentata, e non risulta oggetto di censura in sede di appello (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671).
Il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso non può ritenersi un minus rispetto alla condotta partecipativa, quasi che occorresse uno standard probatorio meno stringente; si tratta, invece, di una condotta diversa, che, comunque, non può prescindere dalla prova di un contributo causale, a maggior ragione per l’assenza dell’affectio societatis che connota, invece, la partecipazione.
La distinzione tra la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno non ha natura meramente quantitativa, ma è collegata alla organicità del rapporto tra il singolo e la consorteria, per cui il concorso ester presuppone, da un lato, la presa d’atto del non/inserimento del soggetto nel gruppo, dall’altro, la ricostruzione di una condotta capace di realizzare un incremento tangibile del macro-evento, rappresentato dalla esistenza e permanenza della associazione (Sez. VI n. 16958 del 8.1.2014, Rv. 261475; Sez. VI n. 8674 del 24.1.2014, Rv. 258807).
Naturalmente, è necessario che il dolo investa sia il fatto tipico, oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condott dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo l’interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio (cfr. Sez. U COGNOME, cit., Rv. 231672; Sez. V n. 15727 del 9.3.2012, Rv 252330, ove si è precisato che il rafforzamento del sodalizio può non essere l’unico o il primario obiettivo perseguito dall’agente, potendo concorrere, come nella specie, con uno scopo individuale, ma deve essere previsto, accettato e perseguito come risultato quantomeno ‘altamente probabile’ della propria condotta).
La conclusione raggiunta è pienamente rispondente ai principi elaborati in tema della giurisprudenza di legittimità secondo cui va considerato concorrente esterno l'”extraneus”, sulla cui disponibilità il sodalizio non può contare, che estraneo al vincolo associativo, pur fornendo un contributo causalmente orientato alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione, ovvero di un suo particolare settore di attività o articolazion territoriale, e diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima, che sia stato più volte contattato per tenere determinate condotte agevolative, concordate sulla base di autonome determinazioni (Sez. 6, n. 16958 del 08/01/2014, Costantino, Rv. 261475; Sez. 2, Sentenza n. 35185 del 21/09/2020, Rv. 280458 – 02); Sez. 5, Sentenza n. 2640 del 23/09/2021, dep. 2022, Rv. 282770 – 01).
La deduzione di assenza di utilità della condotta contestata a supportare il gruppo mafioso, senza alcuna valorizzazione di una funzionalità economica
emergenziale, propria del “concorso esterno”, in momenti di fibrillazione del gruppo mafioso, contenuta nella memoria difensiva, è infondata.
Ai fini della configurabilità del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la verifica “ex post” del contributo causale, riconducibile alla condotta atipica del concorrente esterno, deve essere apprezzata in relazione alle finalit tipiche dell’associazione, prescindendo dalle condizioni di eventuale “fibrillazione” o crisi strutturale che rendono ineludibile l’intervento esterno per la prosecuzion dell’attività.
Come condivisibilmente ritenuto da questa Corte, se, dunque, l’evento del reato di associazione mafiosa è identificabile nella conservazione o nel rafforzamento dell’organismo criminoso e se l’adesione al modello causalmente orientato impone di individuare, nei casi in rilievo, un effettivo ‘raggiungimento dello scopo’ è evidente che la percezione processuale dell’evento deve da un lato identificare il concreto ‘contributo causale’ e dall’altro porsi in stretta correlaz con il perseguimento delle finalità tipiche del reato associativo di cui si discute pertanto, con il catalogo offerto dal comma 3 dell’art. 416 bis cod. pen., (commettere delitti che siano espressivi del metodo mafioso, acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, concessioni, appalti o serviz pubblici, realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per sè od altri etc..) . Con si vuole evidenziare che la condotta del concorrente esterno – per essere punibile – non deve tendere ad un incremento della semplice potenzialità operativa dell’organismo criminoso (altrimenti si rientra nel paradigma di punibilità del mero accordo, con ricadute percepibili solo in ambito psicologico, non sufficiente a realizzare l’evento descritto nella decisione da ultimo citata) ma deve porsi come ‘frammento’ (la realizzazione dello scopo è necessariamente parziale e frammentaria) di una concreta utilità per la realizzazione di una delle molteplici attività espressive del programma criminoso, sì da realizzare una contribuzione «percepibile» al mantenimento in vita dell’organismo criminale. Vi sono, infatti, compiti che – per le loro caratteristiche – richiedono, in realtà, il loro affidamen (anche continuativo) proprio a soggetti ‘non associati’ (nella specie la messa a disposizione di locali per le riunioni degli affiliati), posto che pe raggiungimento degli scopi tipici del sodalizio mafioso – così come per garantirne la stessa esistenza – è necessaria una costante «interazione» tra il gruppo criminoso e persone disposte a realizzare – per finalità personali concorrenti attività strumentali quali, nella specie, l’approvvigionamento, costante, attivo, ingenti forniture di stupefacenti, in ciò accedendo alla realizzazione dell’offesa a bene giuridico protetto. La verifica della effettiva efficacia causale della condott con giudizio ex post, una volta esclusa una impostazione di tipo meramente Corte di Cassazione – copia non ufficiale
soggettivistico, richiede, pertanto, l’esame e la ricostruzione- in sede di merit delle ricadute fattuali della condotta, oggetto di analisi, sì da poter affermare la condivisione, da parte del concorrente, delle finalità perseguite dal gruppo abbia comportato un concreto ausilio, in una o più vicende specifiche, e sì da poter affermare – con il dovuto grado di certezza – che ‘quella’ condotta sia stat un ingrediente effettivo per la realizzazione di uno degli scopi tipici e, dunque per il permanere dell’offesa (Sez. 1, Sentenza n. 49744 del 07/12/2022, Rv. 283840 – 01).
4.2 Con riferimento al capo 5) i motivi sono infondati.
La Corte territoriale rimanda integralmente alla sentenza di primo grado (pag. 27) sia per il contenuto che per la individuazione di COGNOME quale interlocutore, nelle conversazioni ad esso riferite, da parte del teste di PG, COGNOME intercettate sulle due utenze, intestate alla moglie, per un congruo arco temporale (una per più di un mese e l’altra per più di una settimana), che ha confrontato la sua voce, molto caratteristica, nel momento in cui sono stati individuati gli interlocutori delle intercettazioni ambientali.
Invero, i giudici di merito hanno sottolineato che, in molte delle conversazioni, COGNOME viene chiamato per nome, spesso COGNOME (in dialetto), con il diminutivo di NOME, nonché identificato, anche per la sua posizione satellitare, che lo colloca a Fondachello, frazione di Mascali, dove risiede (circostanza che ha costituito anch’essa oggetto di prova), e che la sua voce è stata sentita e riconosciuta, chiaramente e direttamente, in ben cinque progressivi, nel periodo che va dal dicembre 2017 al settembre 2018.
Le censure su tale punto, dunque, appaiono manifestamente infondate, non confrontandosi con tali dichiarazioni, richiamate esplicitamente dalla Corte di appello. Riguardo, poi, alle emergenze processuali, che comprovano la responsabilità del COGNOME per il reato del capo 5), la Corte di appello, anche in tal caso, ha fatto rimando alla sentenza di primo grado (pag. da 27 a 47), ritenendo decisivi i dati emergenti dalle intercettazioni.
Con riferimento alle intercettazioni contestate dal ricorrente, relative all’episodio del 31.12.2017 ed a quelle del mese di settembre 2018, il motivo è generico, a fronte di una compiuta disamina, contenuta nelle pag. da 28 e ss. della sentenza di primo grado, dalle quali risulta come, nei colloqui, si par chiaramente di erba, di somme di denaro da corrispondere, in taluni casi, al grammo, in altri al chilo, e si fa il nome di NOMECOGNOME che peraltro è l’interlocuto anche di alcune conversazioni illustrate. Le contestazioni del ricorrente appaiono
4
oltre modo inconsistenti, non indicando quale diverso significato possa attribuirsi al chiaro dato letterale delle espressioni usate.
Relativamente all’aggravante, riconosciuta nella forma dell’agevolazione mafiosa, in motivazione è ben spiegata, ancora una volta anche per relationem con il provvedimento di primo grado (rimandando alla pag. 44), la consapevolezza di COGNOME di contribuire con le sue forniture di droga, a supportare l’attività di spaccio del clan. Infatti, pur riconoscendo la natura soggettiva dell’aggravante, di agire al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose (S.U. Pen. n.8544 del 19.12.2019, dep. 2020, Rv. 278054 01), la coscienza e volontà dell’imputato di rifornire gli COGNOME e il COGNOME di marijuana, per alimentare la piazza di spaccio, gestita dal clan mafioso, e facilitare loro le spese, in favore dei sodali detenuti, viene ricavata dal contenuto di molteplici conversazioni riportate, con riferimento alla stessa sollecitazione rivolta al COGNOME di concludere l’affare per potere “pagare sti ragazzi”, all’invocare il “camion dei soldi”, di cui disponeva NOME COGNOME, al collegamento del prezzo praticato alle spese per sostenere i detenuti.
Il dato è stato, correttamente, ritenuto evidente nella conversazione in cui COGNOME – fornitore del clan mafioso, insieme all’esponente di spicco dello stesso clan, NOME COGNOME – sollecita l’affiliato, NOME COGNOME a corrispondere il prezzo pattuito di 1,4 al grammo per la marijuana, non accontentandosi di quello di 1,2 euro al grammo proposto da COGNOME (conv. del 21.9.2018, progr. 260, 265, 264) e chiede di parlare con NOME COGNOME, esponente di spicco del clan durante la carcerazione di COGNOME sta parlando nell’interesse proprio e di COGNOME COGNOME con il quale ha condiviso la cessione della droga al clan e, che, ora, attraverso COGNOME, gli chiede uno “sconto”, per poter risparmiare sull’acquisto (e quindi lucrare maggiormente sul successivo spaccio), con l’espressione “poiché dobbiamo sistemare i “colloqui” (fg. 43 della sentenza di primo grado, cui la Corte d’appello rimanda per relationem). Il giorno dopo, è lo stesso COGNOME a proseguire il discorso con NOME COGNOME insieme a COGNOME (RIT 122, prog. 98 e 97 del 22.9.2018). Orbene, correttamente, la Corte d’appello ha ritenuto la piena consapevolezza di COGNOME di contribuire, con il rifornimento di droga del clan, alla proliferazione dei suoi affari ed all’incasso di somme da destinare al mantenimento degli associati in carcere (a ciò riferendosi quando si parla di sistemare i colloqui).
Gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla
censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruit logicità della motivazione (Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, COGNOME, Rv. 182961).
Nulla aggiungono i motivi ulteriori, depositati successivamente al ricorso dalla difesa del ricorrente, poiché anche l’analisi condotta alla luce dei princi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza COGNOME, sostanzialmente in linea con la giurisprudenza dominante facente capo alle Sezioni Unite Mannino, conduce a ritenere l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
NOME COGNOME.
5. Il ricorso è infondato.
5.1 II ricorrente lamenta che, nel provvedimento impugnato, non sarebbe stato analizzato il suo primo motivo di appello, ma tale motivo non viene riportato nel ricorso, così che non è possibile capire se effettivamente sussista vizio di motivazione, riguardo a tale censura.
Sul punto, il motivo è aspecifico.
Vero è che la sentenza impugnata, mancante senz’altro di qualche riga, non consente, al principio della pagina 37, di comprendere se stia affrontando o meno censure dell’COGNOME, ma il dato appare, poi, con chiarezza, al terzo capoverso, ove si parla appunto di cessioni del ricorrente di dieci grammi di cocaina ad NOME COGNOME dato che consente di comprendere come la Corte di appello stia analizzando la sua posizione. Peraltro, mancando l’enunciazione del motivo d’appello disatteso e l’allegazione dell’atto di appello, il motivo inammissibile anche per aspecificità del ricorso. A riguardo, si evidenzia che l’atto di appello non risulta presente nemmeno nel fascicolo, consultato nell’interezza.
Ciò premesso, va osservato che, alla pagina 37 del provvedimento impugnato, viene affrontata la posizione dell’COGNOME, a partire dalla cessione di 10 grammi di cocaina, che è la stessa condotta analizzata per prima nella sentenza di primo grado (a pag. 66), richiamando le numerose intercettazioni ambientali, intercorse tra il ricorrente ed il COGNOME, affrontando tutte contestazioni, già ritenute comprovate nella sentenza di primo grado, relative
•
alle trattative e alla cessione dello stupefacente, l’accordo per una nuov cessione di ulteriori dieci grammi ed il prezzo di acquisto. Pertanto,
contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale, con motivazione congrua ed immune da • vizi di illogicità, confrontandosi con il ricorso, ha analizzato
integralmente la posizione del ricorrente e, al riguardo, nessuna specifica censura viene mossa, apparendo oltre modo generica la censura secondo cui i
giudici non avrebbero spiegato con chiarezza sulla base di quali argomentazioni sono pervenuti all’asserto relativo alla sussistenza di un sostrato probatori
idoneo a supportare adeguatamente la pronuncia di condanna. Le argomentazioni a sostegno della responsabilità del ricorrente sono presenti,
anche per relationem, alle pagine 68 e 69 della sentenza di primo grado, ed alcun confronto critico con le stesse è rinvenibile nei motivi di ricorso.
6. In ragione di tutte le suesposte argomentazioni i ricorsi vanno rigettati condannati i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 15/01/2025.