Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33036 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33036 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 03/09/1972;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Partinico il 24/05/1980;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Partinico il 30/01/1986;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 13/07/1975;
COGNOME COGNOME nato a Palermo il 14/05/1983;
Di Trapani NOMECOGNOME nato a Palermo il 02/10/1977;
COGNOME NOMECOGNOME nato in Svizzera il 17/06/1968;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 11/02/1972;
NOMECOGNOME nato a Palermo il 25/05/1973;
Primavera NOMECOGNOME nato a Palermo il 10/07/1976;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Borgetto il 03/04/1968
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 15/09/2023
visti gli atti e la sentenza impugnata;
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esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che la sentenza impugnata venga annullata senza rinvio nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME per essere i reati ascritti ai predetti estinti per prescrizione, con declaratoria di inammissibilità dei ricorsi presentati dagli altri imputati;
sentiti i difensori degli imputati, Avvocato NOME COGNOME per COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e, in sostituzione dell’Avvocato NOME COGNOME per COGNOME Antonio; Avvocata NOME COGNOME per COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME COGNOME; Avvocata NOME COGNOME per COGNOME NOME; Avvocato NOME COGNOME per COGNOME NOME; Avvocata NOME COGNOME per COGNOME NOME; Avvocato NOME COGNOME per COGNOME Francesco COGNOME che hanno tutti insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
sentiti i difensori delle Parti civili: Comune di Partinico; RAGIONE_SOCIALE; Associazione Nazionale lotta contro la illegalità e le mafie “A. COGNOME“, Ente generico; RAGIONE_SOCIALE, Ente pubblico; RAGIONE_SOCIALE, Ente generico; Centro Studi e iniziative culturali “Pio La Torre”, Ente generico; RAGIONE_SOCIALE Palermo, Ente generico; Confesercenti provinciale di Palermo, Ente generico – tutte costituite nei confronti del solo COGNOME NOME NOME – che hanno chiesto che il relativo ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato, depositando conclusioni scritte e note spese.
RITENUTO IN FATTO
la Corte di appello di Palermo con sentenza del 15 settembre 2023 (motivazione depositata in data 8 marzo 2024), per quanto rileva in questa sede, ha condannato alle pene ritenute di giustizia:
COGNOME NOME NOME, in relazione ai delitti di cui: agli artt. 110 e 416 bis cod. pen. (capo B bis) – ritenuta applicabile la disciplina sanzionatoria antecedente alla modifica normativa di cui alla I.n. 69 del 2015; all’art. 513 bis cod. pen., aggravato ex art. 416 bis.l. cod. pen. (capo B ter); all’art. 416 cod. pen. – con ruolo apicale – aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen. (capo C); art. 512 bis cod. pen. – esclusa l’aggravante della “mafiosità” (capo G); agli artt. 81 e 648 bis cod. pen. (capo V, ipotesi nn. 1 e 3);
COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME NOME in relazione al delitto di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 (COGNOME NOME per i due capi N e P; gli altri due imputati per il solo capo N);
COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME COGNOME Salvatore, COGNOME Alessandro Rosario e COGNOME Domenico, in relazione al delitto di cui all’art. 416 cod. pen. (capo C);
NOME NOME COGNOME in relazione al delitto di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 (capo S);
COGNOME NOME, in relazione al delitto di cui agli artt. 81 e 648-bis cod. pen. (capo K).
Avverso tale sentenza gli imputati sopra indicati hanno presentato, a mezzo dei propri difensori, ricorsi nei quali deducono i seguenti motivi che si provvede a riassumere ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. COGNOME NOME NOME, dieci motivi:
3.1. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’utilizzazione di un servizio giornalistico della testata “Telejato” e di uno stralcio di un interrogatorio reso da COGNOME Salvatore (atti che, nonostante la premessa contenuta nella sentenza impugnata circa la loro non utilizzabilità, sono stati poi ampiamente valorizzati per la conferma della condanna di primo grado);
3.2. violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla condanna per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa (capo B bis), fondata in modo apodittico e in contrasto con le emergenze istruttorie – tra cui le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra loro non collimanti e comunque generiche – sulla asserita natura di “imprenditore colluso” del COGNOME che invece aveva gestito una lecita attività imprenditoriale in materia di giochi e scommesse ed è stato vittima delle pretese estorsive di “cosa nostra”;
3.3. sempre in riferimento al capo B bis), si deduce violazione di legge e vizio della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 416 bis comma 4 cod. pen. (disponibilità delle armi), affermata in modo presuntivo a carico del COGNOME che, per di più, non era certamente organico all’associazione mafiosa;
3.4. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’ulteriore aggravante ex comma 6 dell’art. 416-bis cod. pen. – sempre riferita al capo B bis) – anch’essa affermata a carico del COGNOME in modo apodittico e in contrasto con la statuizione della Cassazione che, in processo a carico di coimputati, definito con giudizio abbreviato, ha annullato la sentenza di appello proprio su tale profilo con rinvio ad altra Sezione della Corte territoriale di Palermo che, recentemente, in sede di giudizio rescissorio, ha escluso l’aggravante su indicata;
3.5. vizio di motivazione e violazione di legge in merito all’affermazione di penale responsabilità per il capo B ter), fondata su elementi equivoci e non concludenti;
3.6. vizio della motivazione in merito alla conferma della condanna per il capo G) (art. 512-bis cod. pen.) avendo la sentenza impugnata, da un lato, omesso di confrontarsi con l’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo che, in sede cautelare, aveva escluso la configurabilità di detta fattispecie; dall’altro lato, ha fondato la condanna su un’intercettazione tra il ricorrente e la propria zia NOME il cui tenore non è affatto concludente;
3.7. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla conferma della condanna per il capo C) (partecipazione, con ruolo direttivo, nell’associazione finalizzata alla gestione illecite di giochi e scommesse), atteso che non è emersa alcuna prova convincente che l’attività in questione avesse natura illecita poiché essa faceva capo a società con regolare licenza a Malta che ha partecipato alla regolarizzazione del 2016, ottenendo 53 concessioni;
3.8. in merito alla condanna per il capo V), n. 3 (riciclaggio), si eccepisce il contrasto con il giudicato di assoluzione nei confronti del coimputato COGNOME, giudicato con rito abbreviato;
3.9. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, per la quale sussistevano tutti í presupposti, anche in considerazione delle gravi condizioni di salute che hanno determinato la sostituzione della misura carceraria con gli arresti domiciliari;
3.10. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello, avente ad oggetto oltre all’esame di testimoni di assoluta rilevanza anche una perizia fonica su una intercettazione alla quale aveva preso parte il coimputato NOME dalla quale emergeva l’assenza di collusione di COGNOME con “cosa nostra”.
COGNOME NOME – condannato per i capi N) e P), relativi a due distinte coltivazioni di piante di marijuana, entrambe contestate sino al 4 giugno 2015 – e COGNOME NOME – che ha riportato condanna per il solo capo N) quattro analoghi motivi:
4.1. violazione di legge processuale in merito alla decisione – che va qualificata come abnorme – del Gup di revocare l’ordinanza con la quale aveva ammesso il giudizio abbreviato, richiesto dai ricorrenti come subordinato alla trascrizione di alcune intercettazioni (integrazione necessaria per verificare l’eventuale responsabilità e certamente non incompatibile con la natura del rito alternativo); revoca motivata sulla base di un presunto “equivoco” circa la natura incondizionata del rito alternativo e confermata dal Tribunale prima e dalla Corte di appello poi, nonostante sia pacifico che il Giudice non possa revocare il rito abbreviato condizionato una volta che questo sia stato ammesso;
4.2. violazione di legge e vizio della motivazione in merito all’affermata responsabilità degli imputati fondata su elementi equivoci, quale il non affatto chiaro tenore delle conversazioni nelle quali i predetti sono coinvolti, atteso che non è emerso alcun collegamento dei predetti con le contestate coltivazioni di marijuana in Partinico;
4.3. intervenuta prescrizione dei reati – risalenti al giugno del 2015 – prima della pronuncia della sentenza di appello;
4.4. doglianza relativa alla mancata concessione delle attenuanti “generiche”, nonché alla dosimetria della pena, ex artt. 133 e 81 cod. pen.
COGNOME NOME – condannato per il già indicato capo N) – tre motivi:
5.1. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità, in assenza di elementi probatori adeguati idonei a dimostrare il coinvolgimento del ricorrente nel reato di coltivazione di piante stupefacenti;
5.2. violazione di legge in merito alla mancata concessione delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 114 cod. pen.;
5.3. mancata declaratoria dell’intervenuta prescrizione del reato prima della sentenza di appello.
COGNOME COGNOME – condannato per il capo C), partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata all’esercizio illecito di giochi e scommesse – cinque motivi:
6.1. inutilizzabilità delle intercettazioni – già dichiarata in relazione ai reati di cui all’art. 4 della I.n. 401 del 1989 – anche in merito alla fattispecie associativa, alla luce della sentenza delle Sez. U “Cavallo”, atteso che tra il delitto per il quale sono state autorizzate le intercettazioni (art. 416 bis cod. pen.) e quello a carico dell’imputato – partecipazione ad associazione a delinquere semplice – non vi è connessione e, comunque, il reato ascritto al ricorrente (art. 416 comma 2 cod. pen. in qualità di mero partecipe) è punito con pena che non consente l’intercettazione ai sensi dell’art. 266 cod. proc. pen.;
6.2. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità per la partecipazione alla associazione, in assenza di idonei elementi probatori (l’imputato è stato assolto da tutti i reati fine del presunto sodalizio) e non avendo la sentenza impugnata fornito risposta alle censure contenute nell’atto di appello, essendosi limitata a richiamare in modo acritico le argomentazioni della sentenza di primo grado, senza neppure pronunciarsi in ordine all’elemento psicologico del reato; sotto altro profilo, la Corte territoriale non ha tenuto conto che in separato giudizio una serie di imputati – che rivestivano ruolo del tutto equipollente a quello del ricorrente –
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sono stati assolti per difetto del dolo di fattispecie, conclusione che deve applicarsi anche al Di Trapani;
6.3. si censura la mancata concessione delle attenuanti generiche – per la quale sussistevano tutti i presupposti – e l’aumento di pena per la recidiva semplice, operata senza tenere conto della modesta gravità del precedente e della sua risalenza all’anno 2001.
Di Trapani NOME COGNOME condannato anch’egli per il solo capo C) -: vengono formulati motivi identici a quelli dedotti dal precedente ricorrente (ad eccezione di quello relativo alla recidiva, non contestata a questo imputato).
COGNOME NOME – condannato per il capo C) – quattro motivi:
8.1. inutilizzabilità delle intercettazioni (v. i simmetrici motivi dei precedenti ricorrenti);
8.2. vizio di motivazione in ordine al tempus commissi delicti (la cui determinazione è dalla sentenza impugnata argomentata in modo del tutto illogico, sulla base di una mera presunzione) – e conseguente intervenuta prescrizione del reato a carico dell’imputato (considerato che già in primo grado è stata esclusa la recidiva reiterata e specifica e ritenuta solo quella “generica”);
8.3. si censura la pronuncia in appello in merito alla mancata concessione delle attenuanti generiche e all’aumento di pena per la recidiva, nonostante la scarsa gravità del reato precedente e la sua risalenza al 1993;
COGNOME NOME – sempre condannato per il capo C) – tre motivi:
9.1. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per la condotta partecipativa, e ciò anche per l’assenza di prova circa la illiceità della gestione dell’attività di giochi e scommesse;
9.2. inutilizzabilità delle intercettazioni (per le medesime ragioni già esposte in riferimento ai precedenti ricorsi);
9.3. mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
COGNOME NOME – anch’egli condannato per il capo C) – cinque motivi:
10.1. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per la condotta partecipativa, difettando la prova in ordine all’esistenza di una struttura organizzata avente uno scopo illecito,
trascendente l’eventuale commissione di specifici reati fine, e comunque in merito alla partecipazione consapevole e connotata dal dolo di fattispecie da parte del ricorrente;
10.2. inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche sulla base delle argomentazioni già indicate;
10.3. erronea datazione della contestazione sub C, in quanto la condotta di partecipazione cessa nella data dell’ultima telefonata che coinvolge l’imputato, il 30 giugno del 2015, con conseguente estinzione del reato per intervenuta prescrizione;
10.4. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine: al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche; alla dosimetria della pena (fissata, senza alcuna congrua motivazione, in misura doppia rispetto al minimo edittale, nonostante il ruolo, comunque marginale, eventualmente ricoperto dal ricorrente); alla affermazione della sussistenza della recidiva, nonostante i precedenti a carico siano non omogenei e risalenti a molti anni orsono.
NOME NOME COGNOME condannato per il reato di cui al capo S), detenzione illecita e cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana e/o hashish (fatti commessi sino al marzo del 2015) – tre motivi:
11.1. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato, fondata solo su alcune isolate intercettazioni di conversazioni (in modo particolare quella ambientale del 4 marzo 2015), dalle quali non emerge alcuna prova convincente del fatto contestato; sul punto si richiamano i requisiti che la giurisprudenza di legittimità ha individuato in merito alla motivazione circa la prova derivante dalla c.d. “droga parlata”, requisiti che le sentenze di merito non hanno rispettato;
11.2. in subordine, si eccepisce la mancata qualificazione del fatto ai sensi del comma 5 dell’art. 73 TU Stup., qualificazione doverosa atteso che non vi sono elementi per determinare la quantità della droga – comunque di tipo “leggero” – oggetto dell’imputazione e che, come emerge da alcune conversazione, la qualità di detto stupefacente era assai bassa;
11.3. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine: al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche – in ragione della comunque modesta gravità del fatto e del fatto che il precedente a carico è risalente nel tempo che dovevano essere giudicate quanto meno equivalenti rispetto alla recidiva;
alla misura pena irrogata, ingiustificatamente elevata rispetto alle concrete connotazioni del fatto e alla personalità dell’imputato.
COGNOME NOME – condannato per il delitto di riciclaggio, contestato al capo K) – : un unico motivo, nel quale si denuncia l’omessa motivazione in ordine alle doglianze formulate in appello circa l’insussistenza degli elementi costitutivi del delitto ascritto all’imputato, essendosi la sentenza impugnata limitata ad affermare assertivamente la correttezza delle decisione di primo grado senza esaminare le censure dell’appellante sia in ordine al profilo oggettivo della fattispecie – in mancanza di verifica se le condotte ascritte al COGNOME potessero avere idoneità ad ostacolare l’accertamento sull’origine eventualmente illecita del denaro – che, in particolare, relativamente al dolo (avendo affermato la Corte di appello la sufficienza del “dolo eventuale”, la cui esistenza è stata però ritenuta in modo apodittico).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso in favore di COGNOME NOME COGNOME è parzialmente fondato.
1.1. Preliminarmente, va rilevato che il primo motivo di ricorso – con il quale si denuncia l’utilizzo di un servizio giornalistico trasmesso dall’emittente Telejato e delle dichiarazioni rese da COGNOME Salvatore – risulta inammissibile. A prescindere dalla circostanza che in modo logico la sentenza impugnata (pag. 45 s.) rileva che il citato servizio è stato dalla sentenza di prime cure menzionato quale semplice fatto storico dal quale hanno preso le mosse le indagini concernenti i reati ascritti all’imputato, così come anche lo stralcio dell’interrogatorio del COGNOME “non è stato considerato quale elemento di prova di responsabilità penale, bensì … esclusivamente come fatto storico”, il ricorrente non ha assolto al necessario onere di indicare la decisiva rilevanza di dette prove, asseritamente inutilizzabili, in ordine alla affermazione di penale responsabilità. In tal modo, non è stato rispettato il principio – pacifico nella giurisprudenza di questa Corte – secondo cui nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si deduca l’inutilizzabilità della prova il motivo di impugnazione, a pena di inammissibilità per difetto di specificità, deve illustrare l’incidenza della sua eventuale eliminazione sul complessivo compendio probatorio, ai fini della
cosiddetta “prova di resistenza” (tra le tante, v. Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, COGNOME Rv. 279829 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 20/02/2017, COGNOME, Rv. 269218 – 01).
1.2. Infondate sono le censure relative all’affermazione di responsabilità in merito all’imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa (capo B bis). Al riguardo, la sentenza impugnata (pagg. 60 ss.), richiamando l’ampia motivazione al riguardo contenuta nella pronuncia di primo grado (pagg. 413 ss.), evidenzia che l’affermazione del Tribunale – secondo cui COGNOME ha rivestito la figura di “imprenditore colluso” con cosa nostra, risultando dunque un “concorrente esterno” – si fonda in primo luogo sulle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia (COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Mario, COGNOME NOME, COGNOME, tutti intranei ai dan mafiosi). Dichiarazioni riportate in sintesi dalle Corte territoriale – dalle quali, in modo non illogico, si è tratta la conclusione che il rapporto tra COGNOME e l’associazione mafiosa si è svolto su un piano di parità, avendo í reggenti delle famiglie mafiose palermitane deciso di puntare – anche in ragione delle sue indubbie capacità imprenditoriali – sul ricorrente, “liberando il campo”, con l’utilizzo del metodo mafioso, dell’attività economica in materia di giochi e scommesse nell’ambito palermitano da possibili concorrenti; a propria volta, garantendo il Bacchi a cosa nostra una cospicua percentuale degli assai rilevanti introiti che, grazie alla “tutela mafiosa”, le sale giochi e scommesse dallo stesso gestite generavano. Emblematico è, al riguardo, quanto dichiarato dal collaboratore NOME COGNOME. Questi, dopo aver riferito degli accordi intercorsi tra COGNOME e i referenti delle varie famiglie mafiose palermitane (tra i quali NOME COGNOME per il mandamento della Noce, NOME COGNOME per COGNOME, NOME COGNOME per Porta Nuova, NOME COGNOME per San Lorenzo), ha precisato che in base a questi accordi, COGNOME era riuscito ad espandere il proprio potere nel settore delle slot machines e delle scommesse on line, sino a diventare una sorta di monopolista di fatto, avendo avuto il placet delle più importanti famiglie di cosa nostra in tutto il territorio della città, così traendo dall’attività svolta in base ad una «società di fatto con l’organizzazione mafiosa» ingentissimi guadagni (circa 500 mila euro al mese), dai quali venivano scorporate le quote che COGNOME mensilmente pagava a ciascun capo famiglia per la protezione accordatagli, la cui entità variava in base di profitti conseguiti. Conclude il collaboratore (v. sentenza di appello, pag. 63) che “COGNOME era uomo di cosa Corte di Cassazione – copia non ufficiale
nostra … cioè era uomo di fiducia di cosa nostra palermitana, su questo tipo di scommesse e di gioco … COGNOME era persona di fiducia e a noi ci conveniva che stava COGNOME là al posto di quale altro … a stu’ COGNOME noi ci tenevamo tanto, perché era una miniera d’oro, perché ci sapeva fare più degli altri”. Dichiarazioni collimanti con quanto riferito dagli altri collaboratori che “tutti hanno confermato che la decisione di puntare sul COGNOME fu assunta in modo unanime dai reggenti delle famiglie mafiose palermitane” (pag. 63). Il già citato COGNOME ha altresì aggiunto che “per rispetto del signor COGNOME abbiamo fatto smontare delle macchinette e dei pannelli per fargli infilare a COGNOME … andavamo a minacciare quelli per fare uscire altri pannelli, per fare mettere questi del signor COGNOME … e essere lui il monopolio di quei mandamenti”. Minacce confermate da altri collaboratori di giustizia (COGNOME e COGNOME) e finalizzate a far sì che venissero installate le macchinette e gli apparecchi del COGNOME (pag. 62). A fronte dell’intervento mafioso a favore di COGNOME, questi – come riferito dal collaboratore COGNOME NOME, che ha dato conto dell’esistenza di un accordo tra l’imprenditore e le cosche, precisando di avere personalmente riscosso le somme di denaro dovute dal COGNOME a “cosa nostra” per le diciassette agenzie ubicate nel territorio di Resuttana – corrispondeva alle cosche somme di denaro “a titolo di corrispettivo per il monopolio ottenuto con lo sponsor dell’organizzazione mafiosa” (ibidem).
Oltre a tali dichiarazioni, come detto plurime e congruenti (di tal la doglianza sul punto del ricorrente risulta generica), la Corte territoriale indica, a conferma della posizione di “concorrente esterno” di COGNOME NOME NOME, diverse intercettazioni di conversazioni (il cui tenore è sintetizzato a pag. 64 s.), dimostrative del rapporto instauratosi tra il ricorrente e le cosche palermitane. Sulla base di tali elementi, “Emerge dunque la figura del COGNOME quale imprenditore colluso e non vittima, di soggetto sempre teso a cercare degli accordi con l’organizzazione criminale e che trova adeguata sponda negli esponenti di quest’ultima, consapevoli del vantaggio economico che l’espansione della rete del Bacchi porterebbe alle famiglie mafiose protagoniste dell’accordo” (pag. 65). Dopo avere riepilogato le diverse emergenze probatorie indicate dal Tribunale, che dà adeguato conto degli accordi stretti tra il ricorrente e i capi e reggenti delle articolazioni di cosa nostra palermitana nelle varie zone (v. pag. 70 s. della sentenza impugnata), i Giudici di appello concludono precisando che la figura del COGNOME rientra a pieno titolo nella
“categoria dell’imprenditore colluso”, vale a dire dell’imprenditore che, lungi dal soggiacere passivamente alle pretese estorsive dei clan mafiosi, rivolge a proprio vantaggio il rapporto con la criminalità organizzata entrando volontariamente in un sistema illecito di esercizio dell’impresa nel quale ottiene la possibilità di incrementare il proprio volume di affari grazie all’intermediazione mafiosa (pag. 73).
Tale conclusione, peraltro, è congruente con quanto ritenuto da questa Corte in due pronunce che hanno già esaminato la posizione del COGNOME. Nella prima (Sez. 5, n. 30133 del 05/06/2018, COGNOME, Rv. 273683 – 01), alla quale si riferisce espressamente la Corte territoriale (pag. 59) ed emessa nella fase cautelare del presente procedimento, si è dato atto che gli elementi raccolti nelle indagini (e in particolare le dichiarazioni dei diversi collaboratori di giustizia, tra cui il già citato COGNOME) delineavano in modo congruo la natura di “imprenditore colluso” del COGNOME e dunque la correttezza dell’addebito provvisorio di concorrente esterno all’associazione mafiosa; qualifica – specifica la sentenza ora indicata – da riconoscersi in capo a chi, «senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e privo della “affectio societatis”, instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per l’imprenditore, nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l’organizzazione mafiosa, nell’ottenere risorse, servizi o utilità. (Fattispecie relativa ad un imprenditore che si era accordato con i vertici di Cosa Nostra al fine di ottenere il monopolio, nei quartieri di rispettivo controllo, nelle attività di gestione dei videopoker e degli apparati di intrattenimento elettronici, in cambio del versamento di corrispettivi fissi o a percentuale sulle entrate)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Inoltre, nella sentenza – indicata dal ricorrente nel suo atto di impugnazione dinanzi a questa Corte – che ha definito la posizione di alcuni concorrenti del COGNOME, tra cui il suo “braccio destro” COGNOME Antonio, che avevano optato per il giudizio abbreviato (Sez. 5, n. 9949 del 07/11/2022 dep. 2023), è stata ritenuta congrua la ricostruzione dei Giudici di merito in merito alla sussistenza del rapporto tra COGNOME, imprenditore “colluso” e l’articolazione di “Cosa Nostra”.
A fronte di tale complessiva motivazione – come detto certamente non illogica – il ricorso appare aspecifico, e comunque infondato, in quanto intende prospettare una diversa ricostruzione dei fatti (raffigurando cioè COGNOME come
“vittima della mafia”) basata su una lettura solo parziale e parcellizzata di alcune emergenze probatorie.
1.3. Fondati sono, invece, i motivi relativi alla ritenuta configurabilità delle circostanze aggravanti di cui ai commi 4 (associazione mafiosa armata) e 6 (reimpiego di proventi illeciti) dell’art. 416 bis cod. pen.
1.3.1. Al riguardo della prima aggravante, la sentenza impugnata (pag. 83 s.) si è limitata a richiamare l’orientamento di legittimità secondo cui, per le “mafie storiche”, è plausibile ritenere che esse dispongano di armi e che perciò tutti i partecipi rispondano della fattispecie aggravata. Trattasi di motivazione che nella specie non risulta sufficiente. Invero, COGNOME risponde a titolo di concorrente esterno e questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio – che il Collegio condivide – secondo cui la sopra riportata massima di esperienza, declinata in riferimento ad associazioni di stampo mafioso “storiche”, non può essere automaticamente applicata nei confronti dei concorrenti esterni alla cosca mafiosa, i quali non sono per definizione soggetti organici al gruppo delinquenziale organizzato (in tal senso, v. Sez. 6, n. 36190 del 03/07/2014, Ancora, Rv.260272 – 01).
1.3.2. Anche la motivazione della Corte territoriale in relazione alla configurabilità a carico del ricorrente dell’aggravante di cui al comma 6 non risulta congrua.
Sul punto, la sentenza impugnata si è limitata fare riferimento alla circostanza che “il denaro proveniente dal contestato e ritenuto delitto di concorso esterno in associazione mafiosa sia stato dal COGNOME reinvestito nell’attività di gioco e raccolta di scommesse” (pag. 84 s.).
Invero, la sopra citata sentenza di questa Corte – emessa a carico di alcuni coimputati del COGNOME che avevano richiesto il giudizio abbreviato (Sez. 5, n. 9949 del 07/11/2022 – dep. 2023, COGNOME e altri) – ha (pag. 11 ss.) disposto l’annullamento con rinvio della pronuncia di appello proprio in merito all’aggravante del comma 6, richiamando i principi declinati nella sentenza “COGNOME“. Come è noto, in tale pronuncia (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, Rv. 259588 – 01) si è precisato che «l’aggravante prevista dall’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. è configurabile nei confronti dell’associato autore del delitto che ha generato i proventi oggetto di successivo reimpiego da parte sua. (In motivazione la Corte ha precisato che la “ratio” dell’aggravante in parola è da ravvisarsi nella necessità di sanzionare più efficacemente l’inserimento delle
associazioni mafiose nei circuiti dell’economia legale, in quanto espressione di una “progressione-criminosa” rispetto al reato-base che denota la maggiore pericolosità dell’organizzazione)». Sarebbe stata dunque necessaria una adeguata motivazione in merito all’effettivo reinvestimento da parte del COGNOME dei profitti economici generati nell’ambito dell’associazione mafiosa, tenuto anche conto del ruolo – non di partecipe, ma – di mero concorrente esterno del predetto.
1.3.3. Sotto tali profili si impone, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo che, alla luce dei principi sopra indicati, provvederà ad accertare la configurabilità a carico del ricorrente delle due circostanze aggravanti. Gli ulteriori motivi riferibili – tra gli altri – al capo B bis), relativi al mancato riconoscimento del circostanze aggravanti e alla misura della pena irrogata, risultano allo stato assorbiti.
1.4. Infondati sono i motivi dedotti in merito alla condanna per il delitto di cui al capo C). COGNOME NOME NOME risponde della partecipazione – con ruolo apicale – all’associazione a delinquere finalizzata all’esercizio illecito di giochi e scommesse, aggravata dalla “mafiosità”. In relazione al titolo di reato (art. 416, comma 1, cod. pen., sanzionato con pena rientrante nell’ambito dell’art. 266 cod. proc. pen.) risultano utilizzabili a carico del predetto le intercettazioni telefoniche autorizzate per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen.: fattispecie – per la quale il predetto ricorrente risponde a titolo di “concorso esterno” – chiaramente collegata con quella di cui all’indicato capo C). Così come risulta irrilevante la circostanza che per i singoli reati fine ex art. 4 I.n. 409 del 1981 non sia stata pronunciata condanna (in ragione della inutilizzabilità per dette fattispecie delle intercettazioni, come detto disposte per altro delitto, al di fuori dei requisiti indicati dalla sentenza delle Sez. U “Cavallo”). Infatti, da un lato, come esattamente rilevato dalla Corte territoriale, è configurabile il concorso tra il reato di associazione per delinquere e quello di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, in quanto quest’ultimo, non necessitando di una stabile struttura e predisposizione di uomini e mezzi e non richiedendo necessariamente la partecipazione di una pluralità di soggetti, non si pone in rapporto di specialità rispetto al primo (da ultimo, Sez. 3, n. 40774 del 06/06/2019, Rigano, Rv. 277164 – 03). Dall’altro lato, «in materia di reati associativi, la commissione dei “reati-fine”, di
qualunque tipo essa sia, non è necessaria né ai fini della configurabilità dell’associazione né ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione» (così, tra le altre, Sez. 4. n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 02). Pertanto, non vi è incompatibilità logico giuridica tra l’assoluzione per i reati fine (peraltro, nella specie disposta per ragioni di inutilizzabilità delle prove) e la condanna per la fattispecie associativa.
1.5. Infondato, in modo manifesto, è il motivo di ricorso del COGNOME relativo alla condanna per il delitto di reimpiego (art. 648 ter cod. pen.) di cui al capo V) n. 3 (per il fatto sub n. 1 del predetto capo, la sentenza impugnata evidenzia
che non vi è stato appello, mentre il ricorrente è stato assolto dalla contestazione di cui al n. 4 in primo grado e di quella sub n. 2 in appello). Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata (pag. 81 s., che richiama quella del Tribunale, contenuta nelle pagg. 1043 – 1110 della relativa pronuncia), non è affatto illogica. In essa si dà conto delle operazioni poste in essere dal ricorrente tramite COGNOME RAGIONE_SOCIALE e aventi ad oggetto l’utilizzo di cospicue risorse finanziarie, di illecita provenienza (in quanto derivanti dall’attività criminosa indicata al capo C), per l’acquisto di una società (la RAGIONE_SOCIALE) per la somma di 49.000 euro, di un fabbricato ubicato in Palermo, in INDIRIZZO per l’ammontare complessivo di 500.000 euro, e di un terreno edificabile situato in San Vito Lo Capo, per l’ammontare di 190.000 euro. In particolare, la sentenza di primo grado, sulla base dell’analisi della documentazione bancaria e finanziaria e delle conversazioni intercettate chiarisce come tali provviste fossero state fornite allo COGNOME (soggetto che non aveva assolutamente tali disponibilità) dal COGNOME che risulta “il regista occulto e il finanziatore degli ingenti investimenti dello COGNOME” (pag. 1185), concludendo che tutte le operazioni indicate sono “operazioni sempre finanziate dal COGNOME con gli enormi proventi della sua attività illecita … finalizzate a occultare la provenienza criminosa di tali risorse”.
1.5.1. A fronte di tale, congrua, motivazione, la censura del ricorrente che si limita a contestare la correttezza della statuizione – risulta aspecifica e dunque inammissibile. Quanto, poi, all’intervenuta assoluzione dello COGNOME, essa non risulta rilevante: da un lato, non viene neppure specificata la ragione di tale assoluzione; dall’altro lato, non si ravvisa alcuna potenziale inconciliabilità tra le due statuizioni, atteso che non sussiste contrasto fra giudicati se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti (così, Sez. 6, n 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317 – 01).
1.6. Inammissibile è, altresì, il motivo del ricorso relativo al delitto di interposizione fittizia di cui al capo B ter). La doglianza sul punto (pag. 22 del relativo atto di impugnazione dinanzi a questa Corte) si limita a evidenziare “che l’impugnata sentenza … ha totalmente omesso di confrontarsi con l’ordinanza del tribunale della Libertà di Palermo, già presente in atti, la quale
aveva invece ritenuto tale fattispecie criminosa inconfigurabile nel caso di specie”.
1.6.1. Invero, è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che – come nel caso in esame – si sviluppi mediante un’esposizione del tutto generica che fuoriesca dai canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata, senza consentire un ordinato inquadramento delle ragioni di doglianza nella griglia dei vizi di legittimità deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen. (da ultimo, Sez. 2, n. 3126 del 29/11/2023 – dep. 26/01/2024, COGNOME, Rv. 285800 – 01).
1.7. Per le medesime ragioni risulta inammissibile anche il motivo contenuto nel ricorso in favore di COGNOME e relativo alla condanna intervenuta a carico del predetto per il delitto di intestazione fittizia di cui al capo G). Anche in questo caso, a fronte di motivazione non illogica della Corte di appello (pag. 76 s., che richiama quanto ampiamente indicato dal Tribunale alle pag. 474 ss.) la censura del ricorrente risulta assolutamente generica, facendosi riferimento solo a una possibile diversa interpretazione della conversazione intercorsa tra l’imputato e la propria zia, intestataria fittizia.
1.8. Infondato è, infine, l’ultimo motivo di ricorso, nel quale si censura la sentenza impugnata per l’omessa rinnovazione dell’istruzione in appello. Invero, questa Corte ha precisato che il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice di appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (ex multis, Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022, COGNOME, Rv. 283522 – 01). L’imputato (pag. 34 del ricorso) dà atto che all’udienza del 24 febbraio 2023, la Corte di appello ha respinto la richiesta di rinnovazione istruttoria (avente ad oggetto l’esame di quattro testimoni e una perizia trascrittiva con l’ascolto di conversazione intercorsa tra due soggetti) dal momento “che alla luce del compendio probatorio acquisito nel corso del primo grado del giudizio, celebratosi con le forme del rito ordinario, le richieste istruttorie avanzate non rivestono il carattere della indispensabilità ai fini della decisione, perché tutti i temi di prova sottesi alle dette richieste risultano sufficientemente esplorati”. Motivazione non
illogica e rispetto alla quale la censura mossa dal ricorrente, secondo cui, invece, la conversazione intercettata alla quale ha preso parte un “soggetto apicale” dell’associazione mafiosa e dalla quale si dovrebbe ricavare la mancanza di accordi del Bacchi con il predetto, risulta, anche in considerazione del già indicato cospicuo e articolato compendio probatorio che supporta l’affermazione di penale responsabilità per il capo B) bis, del tutto generica.
1.9. In conclusione, nei confronti di COGNOME COGNOME Antonio la sentenza impugnata va annullata, limitatamente al capo B bis) e in ordine alle sole circostanze aggravanti di cui ai commi 4 e 6 dell’art. 416 bis cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. Il giudice del rinvio, all’esito dello stesso, provvederà anche a rivalutare l’eventuale sussistenza dei presupposti per riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, se del caso, procederà a rideterminare il complessivo trattamento sanzionatorio.
1.9.1. Ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. deve altresì dichiararsi la irrevocabilità della affermazione di penale responsabilità di COGNOME Benedetto NOME in ordine ai reati al medesimo ascritti. Il predetto ricorrente va, infine, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili costituite, liquidate come da dispositivo.
I ricorsi presentati da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME sono parzialmente fondati.
2.1. Infondato – e comunque irrilevante – è il motivo comune ai ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME e relativo alla dedotta abnormità della revoca del giudizio abbreviato “condizionato”, dopo che lo stesso era stato ammesso dal Gup. Invero, la revoca del giudizio abbreviato nel caso in esame non integra un atto abnorme. Infatti, questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio – applicabile anche al caso in esame – secondo cui «in tema di giudizio immediato, è irrituale, ma non abnorme, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari revochi, al di fuori degli specifici casi consentiti, quello adottato ai sensi dell’art. 458, comma 2, cod. proc. pen. a seguito della formulazione – da parte dell’imputato – di richiesta di rito abbreviato non condizionato, procedendo all’emissione di un nuovo decreto di giudizio immediato, giacché esula la ricorrenza di un’ipotesi di stasi
procedimentale, in considerazione della possibilità per l’imputato, che abbia ritualmente eccepito dinanzi al giudice del dibattimento l’illegittima privazione della facoltà di essere giudicato con rito alternativo, di ottenere comunque dal medesimo, in caso di condanna, il recupero della diminuzione di pena per il rito» (Sez. 5, n. 15691 del 04/05/2020, COGNOME, Rv. 279165 – 01). Dunque, a seguito della revoca del rito alternativo – eventualmente irrituale – avrebbe potuto conseguire il “recupero” della riduzione di pena stabilito dall’art. 442 cod. proc. pen. Detta riduzione, da un lato, non risulta essere stata chiesta nel corso del giudizio di merito; dall’altro lato, la sua rilevanza è comunque superata in ragione dell’accoglimento del motivo – dedotto da tutti e tre gli imputati – relativo alla intervenuta prescrizione.
2.2. Invero, la Corte territoriale nel dichiarare prescritto il reato sub capo R) (detenzione illecita di marijuana ascritto al ricorrente COGNOME Francesco e contestato al febbraio 2015), dà atto che non si sono verificati periodi di sospensione del relativo corso (pag. 87). Pertanto, i reati sub N) e P) si sono estinti per prescrizione il 4 dicembre 2022, dunque prima della pronuncia impugnata. Non emergendo, sulla base della motivazione della Corte di appello, che richiama in modo adeguato gli elementi probatori evidenziati dal primo Giudice, l’evidenza della prova dell’innocenza dei suindicati imputati, nei confronti dei predetti va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per l’intervenuta prescrizione dei reati ai medesimi ascritti.
Il ricorso presentato in favore di COGNOME COGNOME è parzialmente fondato.
3.1. Il motivo relativo alla inutilizzabilità delle intercettazioni, pur astratto non infondato, è però irrilevante.
In primo luogo, rileva il Collegio che tra la fattispecie ex art. 416 bis cod. pen., per la quale le intercettazioni sono state autorizzate, e quello sub capo C), di cui risponde il ricorrente (e nel quale al COGNOME e a altri sodali, in posizione apicale, è stata contestata e ritenuta l’aggravante della “mafiosità”) vi è certamente connessione.
Piuttosto, non risulta condivisibile – per le ragioni che verranno esposte in riferimento alla posizione di COGNOME Salvatore – la motivazione della Corte territoriale circa la possibilità di utilizzo, in base ai principi declinati dalle S U nella sentenza “COGNOME“, delle intercettazioni disposte per il reato di
partecipazione ad associazione a delinquere, anche laddove la contestazione concerna il mero partecipe. Tale profilo risulta tuttavia superato dalla considerazione che, per un verso, la sentenza di primo grado ha evidenziato la sussistenza, nei confronti di questo imputato, così come degli altri che rispondono del medesimo capo C), di elementi probatori ulteriori rispetto alle sole intercettazioni; per altro verso, e la considerazione risulta dirimente, il reato risulta prescritto.
3.2. Infatti, l’ultima intercettazione dalla quale risulta il coinvolgimento del ricorrente risale al 27 marzo 2015 (v. sentenza di primo grado, pag. 905), dopo di che nulla più viene evidenziato nei confronti del predetto. Sul punto, la Corte di appello non si esprime in relazione alla posizione del ricorrente (l’unico riferimento in merito al perdurare della fattispecie associativa concerne il coimputato COGNOME su cui v. infra). Pertanto, non essendovi prova adeguata di una prosecuzione della partecipazione, il reato – punito con pena inferiore a sei anni di reclusione e attesa l’irrilevanza a tali fini della recidiva “generica” ritenuta a carica del presente imputato – si è prescritto prima della sentenza di appello.
3.2.1. Non può, infatti, essere condivisa l’argomentazione della Corte territoriale secondo cui, trattandosi di reato permanente, sarebbe irrilevante l’assenza di elementi probatori in merito alla effettiva prosecuzione della partecipazione dei concorrenti all’attività criminosa, incombendo sui predetti la dimostrazione di avere interrotto i contatti con la consorteria.
Invero, è stato già affermato il principio – che il Collegio condivide secondo cui in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta “aperta” o a “consumazione in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola di “natura processuale” per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale (così, Sez. 2, n. 23343 del 01/03/2016, Ariano, Rv. 267080 – 01). Sempre in tema di reati associativi, si è recentemente precisato che «in tema di associazione di tipo mafioso, qualora il reato sia stato contestato senza specificazione del termine finale della condotta, ma con indicazione della sola data di accertamento, il giudice del dibattimento deve
verificare in concreto se la fattispecie descritta nell’imputazione si sia già esaurita prima, dopo o contestualmente a tale accertamento o sia ancora in atto, poiché, in tale ultimo caso, deve ritenersi che la contestazione comprenda anche l’ulteriore eventuale permanenza e se ne può tenere conto a ogni effetto penale, senza la necessità di un’ulteriore contestazione da parte del pubblico ministero» (Sez. 2, n. 15551 del 04/11/2021 – dep. 21/04/2022, COGNOME, Rv. 283384 – 01). Deduzioni e verifiche nella specie assenti.
Va, inoltre, considerato che la sentenza impugnata ha ritenuto che la condotta di concorso esterno contestata a COGNOME Benedetto NOME al capo B bis) è cessata prima del maggio del 2015 e che l’associazione di cui al capo C) – di cui risponde il ricorrente e gli altri imputati di cui si tratterà in seguito in riferimento alla posizione del COGNOME stesso, aggravata dalla “mafiosità”, di tal che pare verosimile che all’interruzione dei rapporti tra questi e “cosa nostra” palermitana (rapporti che avevano consentito l’insediamento e l’espansione dell’illecita attività di giochi e scommesse) sia conseguita anche la fine della associazione a delinquere servente.
Rileva infine il Collegio che, in caso di obiettivo dubbio – non risolto dal Giudice di merito – circa la data di decorrenza del termine di prescrizione, il relativo momento iniziale deve essere fissato in modo che risulti più favorevole all’imputato (Sez. 3, n. 7245 del 12/01/2024, NOME COGNOME, Rv. 285953 – 01).
In conclusione, non emergendo elementi per un proscioglimento nel merito, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per l’intervenuta prescrizione del reato ascritto al ricorrente COGNOME.
Analoga statuizione deve essere adottata in riferimento ai ricorrenti anch’essi condannati per il capo C) – COGNOME NOME COGNOMEper il quale la sentenza di primo grado – pag. 914 – dà conto che l’ultima telefonata alla quale partecipa il ricorrente risale al novembre del 2014 e dopo tale data non viene evidenziato alcun elemento che possa dimostrarne il coinvolgimento nell’attività illecita) e COGNOME NOME (in merito al quale l’ultimo coinvolgimento nell’associazione a delinquere va individuato nelle conversazioni telefoniche risalenti al giugno del 2015: sentenza del Tribunale, pag. 893).
Nel medesimo senso deve procedersi in riferimento alla posizione di COGNOME NOME COGNOME La sentenza impugnata (pag. 98) ha rigettato il
motivo di gravame relativo alla intervenuta prescrizione, sulla base della seguente argomentazione: “osserva il Collegio che il tenore della citata conversazione del 26 settembre 2014 dà conto che l’attività illecita del COGNOME, impegnato nella gestione del circuito B 2875 e altresì del pannello RAGIONE_SOCIALE si è protratta ben oltre tale data”.
5.1. Motivazione apodittica e non logica e come tale non idonea a dimostrare una partecipazione del ricorrente oltre tale data. A carico del COGNOME è stata ritenuta sussistente la “recidiva generica”, non rilevante ai fini dei termini di prescrizione del reato, di tal che pure nei confronti del predetto imputato la sentenza va annullata senza rinvio per l’intervenuta estinzione del reato contestato.
Il ricorso di COGNOME NOME è parzialmente fondato.
6.1. Preliminarmente, rileva questa Corte che il reato al medesimo ascritto non è prescritto. Infatti, sebbene sia condivisibile la censura mossa dal ricorrente in merito alla data di cessazione della condotta partecipativa (dalla sentenza di primo grado, pag. 919, emerge che l’ultimo contatto registrato a carico dell’COGNOME risale al 30 giugno 2015), nella specie tale elemento non determina la prescrizione del reato. Infatti, a carico del predetto imputato è stata ritenuta la recidiva reiterata; essa è stata motivata dai Giudici di merito in modo non illogico, e dunque insindacabile in questa sede di legittimità “trattandosi di ricadute criminose indicative di una accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità” (sentenza di primo grado, pag. 1132; giudizio confermato dalla Corte di appello).
6.2. Invece risulta fondata la censura mossa dal ricorrente in ordine alla utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche. La sentenza impugnata ha superato il motivo di gravame sul punto – che eccepiva la violazione del principio di diritto affermato dalla Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 51 del 28/11/2019 – dep. 02/01/2020, COGNOME, Rv. 277395 – 01), tenuto conto che il delitto di mera partecipazione all’associazione a delinquere non rientra nel perimetro dell’art. 266 cod. proc. pen. – richiamando una pronuncia di legittimità (Sez. 2, n. 685 del 20/11/2009 – dep. 11/01/2010, Pm in proc. COGNOME, Rv. 246038 – 01). Secondo questo arresto «non assume rilievo, ai fini della legittimità del decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione
telefonica l’omessa precisazione, in riferimento al fatto criminoso di associazione per delinquere per cui si procede, del ruolo associativo dei vari sottoposti ad indagine, se meri partecipi o partecipi qualificati».
Ritiene il Collegio che tale principio – peraltro precedente all’intervento della citata sentenza delle Sezioni Unite – non possa comunque applicarsi al caso in esame. Invero, ribadito che, come già indicato, sussiste una evidente connessione tra la fattispecie ex art. 416 bis cod. pen., per la quale le intercettazioni sono state autorizzate, e il capo C) (nel quale al COGNOME e a altri sodali, in posizione apicale, è stata contestata e ritenuta l’aggravante della “mafiosità”), l’utilizzo delle intercettazioni in un procedimento connesso presuppone – proprio sulla base del decisum delle Sez. U. – l’individuazione del reato in relazione al quale tale utilizzo avviene. E nel caso in cui la contestazione riguardi un reato – quale la mera partecipazione all’associazione – per il quale difetti il presupposto ex art. 266 cod. proc. pen., l’intercettazione non potrebbe essere utilizzata.
6.2.1. Nella specie, peraltro, non è chiaro quale sia la posizione contestata all’COGNOME nell’ambito del delitto sub capo C). Infatti, la sentenza impugnata (pag. 96) indica l’imputato come “responsabile della rete del RAGIONE_SOCIALE per l’area di Campobello di Mazara”; la contestazione fa altresì riferimento alla sua funzione di “responsabile per la diffusione commerciale dei siti e brand dell’associazione con il compito di affiliare nuove sale giochi e scommesse e gestire la successiva relazione operativa con il vertice dell’associazione …” nonché “referente per la risoluzione per la risoluzione delle problematiche operative segnalate dalle sale giochi e scommesse, con un ruolo di mediatore tra delle relazioni tra questi e il management”. Peraltro, sebbene la motivazione sembra relativa alla posizione dell’imputato quale “organizzatore”, nondimeno la pena è stata determinata con riferimento alle previsioni sanzionatorie del secondo comma dell’art. 416 cod. pen.
Si impone pertanto l’annullamento con rinvio della sentenza di appello relativamente alla posizione dell’COGNOME. Laddove il Giudice di rinvio accerti che il ruolo dell’imputato è da considerarsi – al pari di quello degli altri ricorrenti le cui posizioni sono state prima esaminate – quello di mero partecipe, le intercettazioni telefoniche non possono, per le ragioni sopra indicate, essere utilizzate e dovrà procedersi, previa espunzione di tali elementi probatori, alla “prova di resistenza”. Infatti, la sentenza di primo grado dà atto (pag. 920)
dell’esistenza di ulteriori dati (relativi al ruolo – non contestato dell’COGNOME nell’ambito aziendale e ai suoi rapporti con il COGNOME, dominus dell’associazione) “integrati con le risultanze delle intercettazioni telefoniche”.
Risultano, allo stato, assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso relativi all mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME – che ha riportato condanna per il reato di cui al capo S): detenzione illecita e cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana e/o hashish, fatti commessi sino al marzo del 2015 – è infondato.
7.1. La sentenza impugnata (pag. 100 s.) richiama la pronuncia di primo grado nella quale (pag. 579 ss.) è riportata la conversazione intercorsa in data 4 marzo 2015 tra il ricorrente e NOME COGNOME NOME, classe 1980, nella quale “si discute in modo del tutto esplicito di pacchetti, di somme di denaro, di conti. Successive conversazioni, pure riportate testualmente in sentenza, sono dello stesso tenore. Dal tenore di detti colloqui emerge che il Pace si rifornisce di stupefacente da NOME COGNOME, che poi provvede a spacciare, il Pace arriva perfino a dichiarare di avere in casa un chilogrammo di sostanza stupefacente (ancora n’aio un chilo in casa). Infine, sull’identità degli interlocutori delle conversazioni intercettate ha riferito il teste di p.g. COGNOME COGNOME (dato non contestato dal ricorrente).
A fronte di tali elementi probatori, le contestazioni difensive appaiono del tutto generiche, non venendo fornita alcuna plausibile spiegazione alternativa del contenuto delle dichiarazioni intercettate, di evidente significato autoaccusatorio. Risulta dunque rispettato il principio secondo cui in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell’art.192, comma secondo, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore ed, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità
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razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299 – 01).
7.2. Non illogica è, altresì, la motivazione con la quale la Corte territoriale ha escluso la configurabilità dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 TU Stup., in considerazione della quantità rilevante di stupefacente, oggetto delle conversazioni ((l’imputato dichiara di “averne un chilogrammo a casa”), né sul punto rilevano le eventuali “lamentele dei clienti” per la presenza di alcuni “rami grossi” presenti nei quantitativi acquistati, e del “carattere non occasionale dell’attività di spaccio, desunto dal chiaro tenore dei colloqui intercettati”.
7.3. Ugualmente infondate sono le censure relative alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla dosimetria della pena. Invero, la sentenza impugnata evidenzia che a favore di Pace – gravato da recidiva reiterata e specifica – non emergono elementi valutabili positivamente ai fini dell’art. 62 bis cod. pen. (elementi peraltro neppure indicati specificamente dalla Difesa del ricorrente). La pena base è stata determinata dal primo Giudice in due anni di reclusione (pari al minimo edittale, trattandosi di “droga leggera”), aumentata a tre anni e quattro mesi per la recidiva ex art. 99 quarto comma cod. pen. Sul punto, la Corte di appello rileva – in modo non illogico che la pena complessivamente inflitta “appare proporzionata al grave disvalore del fatto, avuto riguardo al carattere continuativo della condotta di spaccio, e alla personalità del reo, sul quale gravano precedenti penali”.
Infine, rileva il Collegio che essendo stata ritenuta a carico dell’imputato la recidiva reiterata e specifica – rilevante ex artt. 157 e 161 cod. pen. – il reato a lui ascritto non è prescritto.
Al rigetto del ricorso segue la condanna di NOME al pagamento delle spese processuali.
Fondato è, infine, il ricorso proposto in favore di COGNOME NOME, che risponde del reato di riciclaggio, di cui al capo K).
La relativa contestazione è esaminata dalla sentenza di primo grado a partire da pag. 1032. Il Tribunale dà conto che COGNOME – zio materno della moglie di COGNOME NOME NOME – è l’amministratore unico di una società (RAGIONE_SOCIALE) di proprietà al 100% della RAGIONE_SOCIALE, società di diritto maltese. Si indica successivamente che dal contenuto di alcune conversazioni intercettate risulta che “COGNOME è un mero prestanome,
la cui interposizione consente di non comparire formalmente quale titolare di fatto della società che verrà utilizzata per i suoi ingenti investimenti immobiliari”; “in definitiva … non è revocabile in dubbio che la RAGIONE_SOCIALE sia riconducibile al Bacchi”. Il Tribunale evidenzia altresì che in data antecedente al 31 dicembre 2014 la RAGIONE_SOCIALE dal proprio conto corrente ha bonificato la somma di euro 550.000 euro – ricevuta dalla DAMA alla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, asseritamente per un acquisto immobiliare in Palermo in INDIRIZZO. Pertanto, la contestazione – che il Tribunale ritiene provata – (pag. 1043) ha ad oggetto la “messa a disposizione a favore del COGNOME del conto corrente della società di cui COGNOME era amministratore unico, con lo scopo di farvi transitare, a fine di sostituzione e trasferimento, la somma (provento dell’illecita attività di concorso esterno e di esercizio abusivo di attività di giochi e scommesse). Successivamente, nel ricapitolare gli eventi, la sentenza di primo grado torna sulla figura del COGNOME (pag. 1126 s.) precisando che a suo carico è configurabile anche l’elemento del dolo – in caso eventuale – in considerazione dei rapporti, anche familiari, con COGNOME e del fatto che la provvista transitata sulla società amministrata dall’imputato – e poco dopo trasferita alla RAGIONE_SOCIALE – proveniva da una società estera.
8.1. La sentenza di appello (pag. 107 s.) si limita a sintetizzare quanto argomentato sul punto dal Tribunale, ritenendo provato che la somma in oggetto sia “costituita dai proventi delle illecite attività imprenditoriali de COGNOME, svolte nel settore del gioco e delle scommesse online con il sostegno dell’associazione mafiosa” e che “deve essere condivisa l’opinione del Tribunale in merito al fatto che la condotta del COGNOME fosse stata sorretta quantomeno dal dolo eventuale, avendo egli accettato il rischio che la detta somma movimentata dal COGNOME fosse di provenienza illecita”.
8.2. Ritiene il Collegio che la Corte territoriale non abbia fornito adeguata risposta alle censure dell’appellante, non valutando, con il necessario rigore, se le prove acquisite evidenziassero la consapevolezza da parte dell’imputato dell’illecita provenienza delle somme transitate sul conto della società di cui era amministratore. In particolare, se è vero che questa Corte ha ritenuto ammissibile l’imputazione soggettiva per il delitto di riciclaggio a titolo di dolo eventuale, si è però precisato che questo elemento psicologico può ritenersi configurabile solo quando «l’agente ha la concreta possibilità di rappresentarsi, accettandone il rischio, la provenienza delittuosa del denaro
ricevuto ed investito» (così, Sez. 2, n. 36893 del 28/05/2018, Pg c. COGNOME, Rv. 274457 – 01); in questa pronuncia si è evidenziato che, a tal fine, rilevano alcuni indici dimostrativi della provenienza delittuosa della cospicua somma investita, quali l’allocazione dei fondi in Paesi “off shore” e l’intestazione a soggetti giuridici costituiti per impedire l’individuazione del reale beneficiario. Al riguardo, la Corte territoriale non si è pronunciata, richiamando in toto la motivazione del Tribunale che, però, non risulta idonea a dar conto di una completa valutazione dalla quale emerga, con il necessario grado di affidabilità probatoria, la sussistenza di tale atteggiamento psicologico in capo al COGNOME.
Per tali ragioni, si impone l’annullamento della sentenza impugnata per nuovo giudizio in merito alla posizione del ricorrente.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, classe 1980, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME perché i reati rispettivamente ascritti son estinti per prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. Annulla altresì la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Antonio limitatamente alle aggravanti di cui all’art. 416 bis commi 4 e 6 cod. pen. e per la determinazione del trattamento sanzionatorio e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME Antonio e dichiara irrevocabile l’affermazione di penale responsabilità in ordine ai reati ascrittigli.
Rigetta il ricorso di NOME Paolo che condanna al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, COGNOME Benedetto Antonio alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle Parti civili costituite Comune di Partinico; RAGIONE_SOCIALE; Associazione Nazionale lotta contro le illegalità e le mafie “A. COGNOME“, Ente generico; RAGIONE_SOCIALE, Ente pubblico; RAGIONE_SOCIALE, Ente generico; Centro Studi e iniziative culturali “Pio La Torre”, Ente generico; RAGIONE_SOCIALE Palermo, Ente
generico; Confesercenti provinciale di Palermo, Ente generico, spese che liquida a favore di ciascuna in euro 3.686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 12 luglio 2024
e e
Il Consigli nsore
Il Presidente