Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1990 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1990 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATENANUOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2022 della Corte d’appello di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Caltanissetta, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene di giustizia pronunciata nei confronti di COGNOME NOME dal Tribunale di Enna in data 2 dicembre 2021, in ordine al reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, mediante la messa a disposizione del sodalizio delle capacità tecniche e delle competenze derivanti dallo svolgimento delle funzioni di dipendente della società RAGIONE_SOCIALE, attraverso attività di verifica su utenze suscettibili di intercettazio
dotazione di utenze e schede telefoniche a taluni associati, fornendo informazioni tecniche pereludere le intercettazioni.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, in relazione agli artt. 192, 546, comma 1, lett. e), 603 cod. proc. pen., e vizio della motivazione: la sentenza non aveva valutato compiutamente gli elementi indicati nell’atto di appello (le dichiarazioni dell’imputato e dei testi a discarico) così omettendo di verificare la praticabilità di ricostruzioni alternative rispetto a quella prospettata dall’accusa. In particolare, era carente ed errata la valutazione di attendibilità dei collaboratori di giustizia che avevano reso dichiarazioni generiche, testualmente contrastanti con l’ipotizzata collaborazione del ricorrente alle attività del sodalizio, talune viziate d cause di inutilizzabilità non rilevate; infine, irrilevante era la portata indizia attribuibile sia all’ipotizzato intervento del ricorrente a favore di componenti della famiglia COGNOME, in assenza di riscontri rispetto all’ipotesi dei legami del ricorrent con esponenti delle forze di polizia che indagavano su tali soggetti, così come per gli ostacoli verificatisi nelle intercettazioni nei confronti dai COGNOME; allo ste modo, di scarsa rilevanza risultava l’ipotizzato intervento nell’attività estorsiva del sodalizio in danno di tale COGNOME (potendosi al più ritenere che l’intervento fosse dettato dalla volontà di aiutare la vittima).
2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione con riguardo alla valutazione degli elementi necessari per dimostrare la condotta di concorso esterno nel delitto ex art. 416 bis cod. pen.; era completamente carente l’individuazione del contributo specifico del ricorrente in favore del sodalizio, così come indimostrato era il necessario elemento soggettivo, mancando alcun riferimento diretto alla finalizzazione delle condotte poste in essere a vantaggio dell’associazione.
2.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 192, 546, comma 1, lett. e), 603 cod. proc. pen., e vizio della motivazione, quanto all’operata qualificazione giuridica dei fatti accertati, escludendo a priori l riconducibilità delle condotte alla fattispecie del favoreggiamento personale risultando, al più, l’obiettivo di agevolare singoli individui e non già l’inte associazione.
In data 8 novembre 2023 la difesa del ricorrente ha depositato memoria difensiva con cui sono stati approfonditi i temi esposti con il terzo motivo di ricorso relativo al profilo della qualificazione giuridica del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel suo complesso infondato.
1.1. Il primo motivo di ricorso formalmente evoca il vizio della motivazione, derivante dall’errata valutazione delle regole di valutazione della prova indiziaria; nella sostanza, però, la censura assume esclusivamente i contorni dell’alternativa ricostruzione in fatto, senza metter in rilievo alcuno dei vizi indicati dall’art. 60 lett. e) cod. proc. pen.
Il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la deduzione della violazione dei criteri di valutazione della prova indicati dall’art. 192 cod. proc. pen., non potendo esser evocata né quale violazione di norme processuali, ai sensi dell’art. 606 lett. C) cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191 – 01; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli, Rv. 271294 – 01), né come inquadrabile nella nozione della violazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. (Sez. unite, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04), è consentita esclusivamente sotto il profilo del vizio motivazionale, che non può essere superato proponendo censure che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio valutato dai giudici di merito (Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, COGNOME Angelis, Rv. 266924 0; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 258153 – 01).
Il ricorrente insiste nel rivalutare la portata del contenuto dichiarativo dei collaboratori di giustizia, segmentando la portata dimostrativa dei singoli dichiaranti; ritiene di scarsa valenza il contenuto delle intercettazioni considerate, invece, dalla Corte territoriale dimostrative di specifici rapporti di ausilio e d costante disponibilità del ricorrente, nel garantire ai sodali informazioni e eventuale assistenza, grazie alle proprie competenze lavorative (pagg. 5-9); trascura ulteriori captazioni il cui tenore univoco attesta non solo la conoscenza da parte del ricorrente dei traffici illeciti del sodalizio cui prestava ausilio, ma anche delle specifiche cautele da lui suggerite in passato ad alcuni componenti dell’associazione circa i rischi derivanti dalle attività di intercettazione (pag. 7) ritiene irrilevante l’intervento dello COGNOME nell’ambito di una vicenda estorsiva, non contestata storicamente e che, al contrario, la Corte (pagg. 9-10) ha considerato indicativa della capacità del ricorrente di rapportarsi anche con esponenti di rilievo del consorzio criminale cui faceva conseguire un versamento non dovuto di somme di denaro, argomentando sulle ragioni per cui la vittima del reato non avesse fatto riferimento al ricorrente, a lui legato da rapporti amicali.
In definitiva, le censure formulate finiscono per prospettare non già vizi riconducibili alle categorie specificate dall’art. 606, lett. e) cod. proc. pen., ma esclusivamente una differente, “più logica e verosimile ricostruzione” (IX foglio del
ricorso), che per costante insegnamento della giurisprudenza della Corte non può formare oggetto di scrutinio in sede di legittimità («in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito»: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01; « in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, del spessore della valenza probatoria del singolo elemento»: Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
1.2. Il secondo motivo è anch’esso infondato.
La Corte territoriale, al pari della sentenza di primo grado, ha descritto in dettaglio il contributo fornito ed assicurato dal ricorrente, in modo non episodico né occasionale, ponendo al servizio (non dei singoli, ma dell’intero sodalizio) le capacità tecniche e professionali derivanti dall’inserimento in un’azienda di servizio nel settore delle telecomunicazioni, assicurando interventi e forniture di materiali in un campo “vitale” per il funzionamento dell’associazione e, quindi, per il perseguimento dei fini del sodalizio.
1.3. Il terzo motivo di ricorso, integrato nel contenuto dalla memoria depositata, è anch’esso infondato.
Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, «la configurabilità del favoreggiamento personale con riguardo ad un reato presupposto di natura permanente (nella specie associazione per delinquere di stampo mafioso) presuppone che si sia già verificata la sua cessazione, costituita dallo scioglimento del sodalizio, ricorrendo altrimenti la partecipazione all’associazione mafiosa o il concorso esterno alla stessa, a seconda che risulti o meno dimostrato lo stabile inserimento del soggetto nella struttura associativa» (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217 – 07, riguardante una fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto esente da censure la condanna per concorso esterno con riferimento alla condotta costante di bonifica dei luoghi da eventuali microspie,
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prestata a favore del capo dell’associazione, ancora in essere, ritenuta indicativa di una disponibilità qualificata a vantaggio del sodalizio).
Tale profilo, avente carattere decisivo una volta superate le censure riguardanti il giudizio sulla responsabilità del ricorrente per le condotte di concorso esterno contestate (che nella memoria vengono riprese con il medesimo approccio di rinnovazione valutativa del compendio probatorio, già ritenuto infondato con l’esame del primo motivo di ricorso), non viene scalfito dalle deduzioni formulate con la memoria difensiva; il diverso orientamento che viene evocato, a sostegno di una differente interpretazione sul punto, non è in contrasto con la giurisprudenza ricordata dalla Corte territoriale, poiché le decisioni che hanno affermato l’astratta configurabilità del favoreggiamento personale con riguardo ad un reato presupposto di carattere permanente anche quando detta permanenza sia ancora in atto, hanno avuto cura di precisare che a tali fini è necessario accertare «che la condotta di ausilio non possa in alcun modo tradursi in un sostegno o incoraggiamento alla prosecuzione dell’attività delittuosa da parte del beneficiario, che darebbero luogo invece a responsabilità per il reato associativo» (Sez. 6, n. 27720 del 05/03/2013, COGNOME, Rv. 255622 – 01, citata dalla difesa del ricorrente; ancor più chiaramente, pur se riferita all’ipotesi contermine del favoreggiamento reale, Sez. 6, n. 30873 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260050 01, ove è specificato che la configurabilità del delitto di favoreggiamento presuppone che l’agente non partecipi all’associazione o non concorra esternamente con essa).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/11/2023