Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2142 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2142 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VIAGRANDE il 19/08/1963 avverso l’ordinanza del 04/07/2024 del TRIBUNALE DEL RAGIONE_SOCIALE di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che hanno chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 maggio 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania aveva applicato a COGNOME Francesco la misura cautelare della custodia cautelare in carcere, per il reato di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso.
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Con provvedimento emesso il 4 luglio 2024, il Tribunale di Catania – Sezione Riesame -, in parziale riforma dell’ordinanza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari, ha sostituito la custodia cautelare in carcere con gli arrest domiciliari.
Secondo l’impostazione accusatoria, l’indagato e NOME COGNOME quali legali rappresentanti della “RAGIONE_SOCIALE“, avrebbero posto la loro attività imprenditoriale a disposizione di un sodalizio di stampo mafioso riferibile a “cosa nostra”, operante sul territorio di Vittoria e finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti contro la vita, l’incolumità individuale e il patrimon nonché ad acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, anche mediante «l’operatività di NOME NOME, detto NOME, nel settore della produzione e commercializzazione di prodotti ortofrutticoli». In particolare, avrebbero messo a disposizione di NOME (promotore, capo e organizzatore del sodalizio, cui partecipavano anche NOME, COGNOME Alberto, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME) e dei suoi sodali la loro attività imprenditoriale, impiegando NOME come intermediario per la commercializzazione delle cassette in pvc prodotte dalla “RAGIONE_SOCIALE“, così accrescendo il giro d’affari della loro società «e, al contempo, apportando un concreto contributo causale ai fini della conservazione, del rafforzamento, e comunque della realizzazione anche parziale del programma criminoso dell’associazione mafiosa …, sotto il profilo del controllo del territorio e d capacità economica, attraverso il regolare versamento di somme di denaro a NOME NOME».
Avverso l’ordinanza, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 309 cod. proc. pen.
Rappresenta che: la difesa, dopo per avere ascoltato le conversazioni intercettate, aveva chiesto al pubblico ministero di trasmettere al Tribunale del riesame i decreti autorizzativi relativi ad «alcuni Rit di interesse» (n. 2060/2021, 453/2021, 1017/2021 e 15/2021); il pubblico ministero aveva trasmesso i decreti autorizzativi in questione solo il 2 luglio 2024, ossia lo stesso giorno dell’udienza.
Il Tribunale, tuttavia, ha ritenuto infondata l’eccezione con la quale la difesa aveva eccepito la mancata tempestiva trasmissione dei decreti, sostenendo che: la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare conseguirebbe soltanto nel caso di mancata trasmissione al Tribunale del riesame degli atti che erano stati trasmessi al giudice per le indagini preliminari al momento della richiesta della misura; nel
caso in esame, la difesa non aveva «lamentato la mancata trasmissione di detti decreti al giudice per le indagini preliminari di tali decreti».
Il ricorrente sostiene che, a prescindere dalla scarsa logicità di tale motivazione, sarebbero configurabili solo due ipotesi: o i decreti autorizzativi erano stati presentati dal pubblico ministero al Giudice per le indagini preliminari con la richiesta cautelare e non erano stati in seguito trasmessi da quest’ultimo al Tribunale del riesame, determinandosi in tal caso l’inefficacia della misura, ai sensi dell’art. 309, commi 5 e 10; oppure i decreti autorizzativi non erano stati trasmessi dal pubblico ministero al Giudice per le indagini preliminari con la richiesta cautelare, determinandosi in tal caso l’inutilizzabilità degli esiti delle operazioni captazione, atteso che la difesa aveva presentato specifica e tempestiva richiesta di acquisizione e la difesa e il Tribunale non erano stati in condizione di effettuare un adeguato «controllo di legittimità».
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Contesta la sussistenza del sodalizio criminale facente capo a COGNOME, sostenendo che i documenti in atti e, in particolare, quelli relativi alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale richiesta nei confronti di COGNOME smentirebbero l’ipotesi accusatoria. Da essi, infatti, emergerebbe che la Corte di appello di Catania, con ordinanza del 10 aprile 2022, avrebbe annullato la misura di prevenzione in precedenza applicata dal Tribunale di Catania, ritenendo che non risultasse raggiunta la prova, nemmeno a livello indiziario, dell’esistenza di un’associazione mafiosa alla quale partecipasse il Greco. La Corte di appello avrebbe escluso anche la sussistenza della pericolosità generica, mancando completamente il requisito dell’attualità.
Sotto altro profilo, il ricorrente deduce il difetto di motivazione, per aver i Tribunale completamente omesso di valutare il suddetto provvedimento della Corte di appello, che era stato specificamente richiamato dalla difesa con i motivi di riesame.
2.3. Con un terzo motivo, articolato in più censure, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 110 e 416-bis cod. pen.
Con una prima censura, sostiene che il Tribunale si sarebbe limitato solo a ritenere dimostrata la «caratura criminale» di NOME Emanuele, senza preoccuparsi di verificare se i fratelli NOME avessero intessuto rapporti commerciali con l’associazione criminale oppure solo con il Greco. Ai fini della dimostrazione del concorso esterno, tuttavia, non sarebbe sufficiente il fatto che l’impresa degli indagati avesse avuto rapporti commerciali con NOME e i suoi figli, essendo, invece, necessaria la dimostrazione che tali rapporti si
estendessero all’intera associazione. Sotto il profilo soggettivo, poi, non basterebbe la conoscenza da parte degli indagati dell’appartenenza del Greco all’associazione criminale, essendo, invece, necessaria la consapevolezza di fornire, con la propria condotta, un contributo al mantenimento e al rafforzamento dell’associazione.
Il ricorrente, in ogni caso, sostiene che il COGNOME e suoi familiari, nelle conversazioni con gli indagati, non avrebbero mai fatto cenno al coinvolgimento di altri associati. La difesa avrebbe espressamente riportato, nei motivi di riesame, le conversazioni dalle quali emergerebbe che i rapporti in questione erano esclusivamente di tipo commerciale e riguardavano solo la famiglia COGNOME e la famiglia COGNOME. Il Tribunale, tuttavia, avrebbe omesso di considerare tali conversazioni, su cui si fondavano i motivi di riesame, rimasti privi di effettiva risposta.
Con una seconda censura, rappresenta che, secondo i giudici di merito, i fratelli COGNOME si sarebbero avvalsi del potere di intimidazione esercitato dal clan COGNOME, per indurre gli imprenditori agricoli operanti nel territorio sottoposto all’influenza del sodalizio criminale ad acquistare le cassette prodotte dalla “RAGIONE_SOCIALE“, remunerando l’associazione con una percentuale sui profitti. Il Tribunale avrebbe basato tale ricostruzione sulle seguenti circostanze: «la provvigione pretesa dai COGNOME per la campagna 2019/2020, svolta in favore di COGNOME senza l’intermediazione dei Greco»; «NOME COGNOME» aveva chiesto a COGNOME NOME di esercitare il potere del clan, per far ottenere all’azienda di famiglia un contratto di fornitura anche con tale COGNOME; dopo che la società riconducibile ai RAGIONE_SOCIALE (“RAGIONE_SOCIALE“) era stata sottoposta a sequestro (il 28 dicembre 2019) e poi a confisca (il 3 ottobre 2021), i fratelli COGNOME avevano interrotto ogni rapporto commerciale con tale società, continuando la proficua collaborazione con la famiglia COGNOME
Il ricorrente contesta la rilevanza di tali circostanze.
In particolare, sostiene che il Tribunale sarebbe caduto in errore nel ritenere un elemento a carico dell’indagato «la provvigione pretesa dai Greco per la campagna 2019/2020, svolta in favore di COGNOME senza l’intermediazione dei Greco». La somma di euro 1.000,00, infatti, sarebbe stata versata «per tentare di tacitare un rivenditore su piazza di indiscusso prestigio, che pretendeva molto di più e che non aveva gradito la fornitura a COGNOME senza» il suo «intervento». Tale ricostruzione sarebbe confermata anche dalla consulenza del dott. COGNOME dalla quale risulterebbe che, dal novembre 2020 all’aprile 2021, non ci sarebbero state fatturazioni tra la società degli indagati e l’impresa del COGNOME.
Il ricorrente, in ogni caso, evidenzia che la società degli indagati aveva una vasta clientela e che l’unica vicenda nella quale era stata coinvolta la famiglia COGNOME era stata «quella con COGNOME e solo per l’insistenza di quest’ultimo a subordinare le forniture alla presenza dei COGNOME».
Il ricorrente contesta anche la rilevanza della vicenda relativa al contratto di fornitura dell’azienda del Candiano.
Al riguardo, evidenzia che la conversazione citata dal Tribunale non aveva avuto alcun seguito e che la società dell’indagato non aveva effettuato alcuna fornitura all’azienda del Candiano, che risultava fornita dall’impresa di tale RAGIONE_SOCIALE. Sostiene, inoltre, che la ricostruzione del Tribunale, secondo il quale quell’episodio andrebbe ricondotto al tentativo degli indagati di espandersi nel mercato di Vittoria, grazie al potere di intimidazione esercitato dai Greco, sarebbe smentito dove due circostanze: il versamento della somma di euro 1.000,00 sarebbe precedente alla telefonata dell’8 gennaio 2022, in cui si parla per la prima e unica volta del Candiano; la vicenda relativa alla fornitura alla “RAGIONE_SOCIALE” dimostrerebbe, contrariamente all’impostazione accusatoria, che sarebbero stati i Greco a tentare di sottrarre clienti alla società degli indagati.
Il ricorrente contesta anche l’interpretazione che il Tribunale avrebbe dato alle vicende successive al sequestro della “Vittoria Pack”.
Tale interpretazione sarebbe viziata da un errore relativo alla data del sequestro, che era intervenuto non il 28 dicembre 2019, come affermato a pagina 24 dell’ordinanza, ma, come correttamente riportato a pagina 12 della stessa ordinanza, il 24 gennaio 2019, per essere poi eseguito il successivo 28 gennaio.
L’individuazione della corretta data di esecuzione del sequestro consentirebbe di rilevare che, in realtà, la società degli indagati aveva fornito le cassette alla “Vittoria Pack” per tutto il 2019 e dunque anche durante l’amministrazione giudiziaria della società.
Sarebbe del tutto apodittica, infine, l’affermazione del Tribunale secondo la quale l’interruzione dei rapporti tra la società degli indagati e la “RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stata effettuata in buona fede, quando invece la ragioni della rottura erano da individuare nel contenzioso tra le due società, che non era pretestuoso ma reale, come dimostrato dall’istanza di fallimento presentata dalla “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti della società degli indagati.
2.4. Con un quarto motivo, articolato con specifico riferimento alle esigenze cautelari, deduce l’inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 292 e 309 cod. pen.
Sostiene che il Tribunale si sarebbe limitato ad asserire che il giudice per le indagini preliminari avrebbe motivato diffusamente in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, senza, però, rispondere ai rilievi della difesa, che aveva
evidenziato come la motivazione dell’ordinanza applicativa della misura non riportasse altro che «una sequenza di formulazioni di principio», «scollate dalla vicenda processuale concreta».
Il ricorrente, in ogni caso, sostiene che il Giudice per le indagini preliminari e il Tribunale per il riesame sarebbero caduti in errore nel ritenere applicabile la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., anche all’ipotesi del concorso esterno, atteso che la giurisprudenza di legittimità avrebbe escluso l’applicabilità della presunzione nel caso della contestazione dell’aggravante del metodo mafioso, con argomentazioni sicuramente estensibili anche all’ipotesi del concorso esterno.
Il Tribunale, inoltre, avrebbe erroneamente ritenuto che «il tempo silente di oltre due anni» potrebbe avere rilievo solo sulla scelta della misura ma non anche sulla sussistenza delle esigenze cautelari, ponendosi in tal modo in contrasto con la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto.
Non avrebbe neanche tenuto conto del fatto che non sussisterebbe il concreto pericolo di reiterazione della condotta criminosa, atteso che la società degli indagati è fallita.
Il Tribunale, infine, non avrebbe giustificato la scelta di applicare gli arrest domiciliari, al posto di una misura cautelare meno afflittiva, come richiesto dalla difesa.
L’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME hanno depositato una memoria, con la quale hanno chiesto di annullare l’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Al riguardo, va ricordato che «in tema di intercettazioni telefoniche, la mancata allegazione, da parte del pubblico ministero, dei relativi decreti autorizzativi a corredo della richiesta di applicazione della misura cautelare e la successiva omessa trasmissione degli stessi al Tribunale del riesame, a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo, non determina l’inefficacia della misura ex art. 309, comma 10, cod. proc. pen., né l’inutilizzabilità delle captazioni, che consegue, invece, all’adozione dei decreti fuori dei casi consentiti dalla legge o in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 267 e 268 cod. proc. pen. obbligando, purtuttavia, il Tribunale ad acquisire tali provvedimenti a garanzia del diritto di difesa della parte che ne abbia fatto richiesta, ai fini del controllo circ
loro sussistenza e legittima adozione» (Sez. 4, n. 26297 del 15/05/2024, C., Rv. 286817; Sez. 1, n. 823 del 11/10/2016, NOME, Rv. 269291).
Ebbene, nel caso in esame, il ricorrente non deduce che le intercettazioni siano avvenute fuori dei casi consentiti dalla legge né quale specifica disposizione prevista dagli artt. 267 e 268 cod. proc. pen. sia stata violata. È vero, poi, che l difesa aveva chiesto l’acquisizione dei decreti, ma è altrettanto vero che tali decreti erano già in atti, in quanto trasmessi dal pubblico ministero, sia pure solo il giorno dell’udienza. Il Tribunale, pertanto, alcun provvedimento di acquisizione di atti doveva emettere, avendo già la disponibilità dei decreti per verificarne eventuali illegittimità, che, peraltro, non risultano essere state specificamente dedotte.
1.2. Il secondo motivo e il terzo motivo – che possono essere trattati congiuntamente, essendo entrambi completamente versati in fatto – sono inammissibili.
Il ricorrente, invero, ha articolato alcune censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sen dell’art. 606 cod. proc. pen., non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Pata la no).
Il ricorrente contesta la valutazione degli indizi effettuata dal Tribunale, ma nessuna delle censure da lui mosse, nella sostanza, si configura come vizio deducibile in sede di legittimità.
Al riguardo, va ricordato che, «in tema di ricorso per cassazione, il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento» (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, COGNOME, Rv. 269438).
Va evidenziato che, in ogni caso, il Tribunale, in ordine alla sussistenza del sodalizio criminale, ha motivato in maniera adeguata, coerente e senza incorrere in alcun vizio logico, ripercorrendo «la storia criminale» di Greco Emanuele a partire dagli anni settanta (cfr. pagine 7 e ss. dell’ordinanza).
Il Tribunale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non ha omesso di considerare le vicende della misura di prevenzione, richiamate nei motivi di riesame, atteso che ha espressamente richiamato la richiesta di misura cautelare del pubblico ministero, nella parte relativa a tali vicende (cfr. pag. 11), ma le ha implicitamente ritenute superate dalle univoche risultanze delle indagini svolte nel presente procedimento e, in particolare, dalle conversazioni intercettate e dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia (cfr. pagine 12 e ss. dell’ordinanza)
Quanto al ruolo di concorrente esterno rivestito dall’indagato, il Tribunale del riesame l’ha desunto da una lettura analitica e del tutto coerente delle conversazioni intercettate (cfr. pagine 18 e ss. dell’ordinanza impugnata). In particolare, ha ricostruito i reciproci vantaggi tra i Bella e il sodalizio capeggia dal COGNOME, al quale gli indagati si erano rivolti per accrescere il loro “giro d’affa sapendo benissimo con chi stessero trattando e rivolgendosi a lui proprio per il controllo del territorio esercitato dal sodalizio criminale da lui diretto. In cambio fratelli COGNOME, pur non essendo affiliati formalmente all’organizzazione mafiosa, avevano messo la loro impresa a disposizione del clan, per facilitarne e rafforzarne le operazioni economiche. Il legame con il clan era reso evidente dalla mediazione di COGNOME Alberto nelle vendite e nella gestione dei rapporti commerciali dell’impresa.
Il Giudice per le indagini preliminari e il Tribunale per il riesame hanno ricostruito in maniera logica e consequenziale le risultanze delle conversazioni telefoniche, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, che, invece, tende a frammentare le varie conversazioni, fornendo del loro contenuto un’interpretazione particolare e in alcuni frangenti anche poco comprensibile, senza rappresentare, in ogni caso, la sussistenza di alcun vizio logico determinate, risultante dal testo del provvedimento impugnato, oppure il travisamento di una prova.
Il ricorrente lamenta poi la presunta omessa valutazione della particolare lettura delle intercettazioni fornita dalla difesa con i motivi di riesame, senz tenere conto che tale lettura si presentava incompatibile con quella operata dal Tribunale, rigorosamente motivata.
Al riguardo, va ricordato che «nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata» (Sez. 6, n.
34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281935; cfr. anche Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593)
Quanto alla vicenda dell’interruzione dei rapporti con la società dei Greco, dopo il sequestro, la circostanza dell’effettiva data del sequestro appare scarsamente rilevante, atteso che, pur facendo riferimento alla data del 24 gennaio 2019, risulterebbe, in ogni caso, che, poco dopo l’apposizione del vincolo reale, i rapporti con la “RAGIONE_SOCIALE” erano stati interrotti. Al riguardo, deve esser evidenziato che il Tribunale ha dato rilievo alla circostanza che nessuna vendita era stata riscontrata negli anni dal 2020 al 2022.
1.3. Il quarto motivo è inammissibile.
Preliminarmente, va rilevato che è manifestamente infondata la questione relativa alla non applicabilità della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. alle ipotesi di concorso esterno. Invero, per il costante orientamento di questa Corte, «la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari opera anche nel caso in cui sia stata contestata la fattispecie di concorso esterno in associazione di tipo mafioso» (Sez. 6, n. 27685 del 08/07/2011, COGNOME, Rv. 250360; Sez. 1, n. 2946 del 17/10/2013, COGNOME Rv. 257774; Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180).
Manifestamente infondata è anche la censura relativa alla presunta omessa valutazione delle critiche mosse dalla difesa all’ordinanza applicativa della misura, avendo il Tribunale risposto ai principali rilievi difensivi, evidenziando tra l’al che le condotte dell’indagato si erano protratte nel corso degli anni e che la pericolosa personalità dell’indagato si era manifestata anche nella consumazione di altri gravi reati, commessi al di fuori dell’espletamento dell’attività d’impresa Anche con riferimento alle esigenze cautelari, d’altronde, va ricordato che, nella motivazione, il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni difensive e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dovendosi considerare implicitamente disattese le deduzioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Quanto al c.d. «tempo silente», va rilevato che il Tribunale non ha ritenuto che esso, in generale, possa assumere rilievo solo rispetto alla scelta della misura, ma, invece, ha ritenuto che, nel caso concreto, il periodo di due anni, trascorso dal momento della commissione dell’ultima condotta rilevante, potesse essere sufficiente per ritenere attenuate le esigenze cautelari, in maniera tale da poter essere soddisfatte con la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari, ma non
l’ha ritenuto ancora sufficiente a determinare un completo superamento della necessità di prevenire il pericolo di recidiva.
Del tutto infondata è anche la censura relativa all’omessa valutazione dell’adeguatezza della misura, atteso che la Corte di appello si è ampiamente soffermata proprio su tale profilo e, all’esito di una ponderata valutazione, ha sostituito la misura originariamente applicata della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, ritenuta sufficiente ma anche necessaria a prevenire il pericolo di reiterazione del reato.
Quanto alla dichiarazione di fallimento della “RAGIONE_SOCIALE, va rilevato che, dallo stesso ricorso, emerge che l’indagato ha costituito anche altre società. È vero, poi, che il ricorrente sostiene che anche queste altre società sarebbero fallite, ma è altrettanto vero che l’indagato, come in passato, potrebbe costituirne altre, mediante le quali reiterare il reato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 1’8 ottobre 2024.