Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18398 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18398 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a NOTO il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a AVOLA il DATA_NASCITA;78
avverso la sentenza del 06/06/2023 della CORTE di APPELLO di CATANIA visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi i difensori, AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, che, dopo breve discussione, ha chiesto l’accoglimento del ricorso e AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, in difesa di NOME COGNOME, che, dopo breve discussione, hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catania con sentenza del 6/6/2023 – in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania, che aveva condanNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati loro rispettivamente ascritti riqualificato il reato di cui al capo a) per il Po ai sensi degli artt. 110 e 416-bis cod. pen. e ritenuta l’operatività del disposto d cui all’art. 63, comma 4, cod. pen. per il ‘COGNOME, rideterminava la pena per entrambi e – per quel che qui interessa – confermava nel resto la sentenza impugnata.
2.1 Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 110-4165s e 379 cod. pen. Ritiene che nel caso di specie al più ricorrano gli elementi costitutivi del favoreggiamento reale, atteso che l’estorsione era già stata consumata e che il COGNOME si era prodigato affinché il profitto del reato venisse assicurato al sodalizio; che la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare come in simili ipotesi sia ammissibile la configurabilità del reato di cui all’art. 379 cod. pen quando l’agente – che non partecipi all’RAGIONE_SOCIALE o che non concorra esternamente in essa – con la sua condotta aiuti il partecipe ad assicurare il prodotto o il profitto del reato; che nel caso di specie è incontestato che il COGNOME intervenisse mensilmente e solo per permettere gli incontri tra il COGNOME ed il COGNOME, nel corso dei quali il secondo consegnava al primo il provento delle estorsioni commesse, senza peraltro trarne alcuna utilità.
NOME COGNOME, a mezzo dei difensori, ha proposto due distinti ricorsi per cassazione.
3.1 II ricorso dell’AVV_NOTAIO è affidato ad un unico articolato motivo. Deduce, innanzitutto, la violazione di legge in relazione al reato associativo, evidenziando che il colloquio tra terzi, cui si fa riferimento a pagina 12 della sentenza impugnata, non è idoneo a provare la partecipazione del ricorrente al sodalizio RAGIONE_SOCIALE, specie se si considera che non vi sono elementi in atti per poter affermare che il COGNOME abbia effettivamente tenuto il comportamento ipotizzato; che, con riferimento alle interlocuzioni con il COGNOME, ritenute relative al tema dell’accordo finalizzato a imporre il monopolio della commercializzazione dei prodotti caseari, la sentenza non prende in considerazione gli elementi offerti a discolpa dall’imputato, dai quali emerge una situazione del tutto diversa; che analoghe considerazioni valgono con riferimento al colloquio intercettato in carcere in data 24/10/2017; che anche dalla vicenda dei limoni coltivati si evince un quadro di disinteresse dell’odierno ricorrente rispetto alle sorti del sodalizio.
Quanto al tentativo di estorsione, rileva che non sono stati considerati i risultati delle indagini difensive e che il litigio fu composto nel giro di qualc ora.
Osserva, inoltre, che non vi è traccia di armi negli elementi a carico dell’imputato, né dell’utilizzo delle stesse o, infine, della consapevolezza in capo al ricorrente della loro disponibilità; che la circostanza per cui vi sono condanne passate in giudicato, che – pur non riguardando il COGNOME – hanno ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante in discorso, non può essere posta automaticamente a suo carico.
Ritiene, infine, quanto alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. che la sentenza impugnata difetti di motivazione nella parte in cui da un lato ascrive al RAGIONE_SOCIALE l’attività economica svolta a titolo personale e dall’alt gliela pone a carico nell’interesse del sodalizio.
3.2 Il ricorso dell’AVV_NOTAIO deduce con il primo motivo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. peli., in relazione agl artt. 125, comma 3, 192, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con specifico riferimento all’art. 416-bis cod. pen. Ritiene che dagli atti non emerga la prova dell’inserimento del COGNOME nel sodalizio di cui al capo a); che, invero, non è all’uopo idoneo il contenuto della conversazione intercettata il 13/3/2018 tra il capoclan NOME COGNOME NOME e la di lui moglie NOME COGNOME, nel corso della quale la donna si sarebbe lamentata con il marito che “la raccolta dei soldi” non stava andando bene e che NOME COGNOME, a ciò preposto, non voleva
renderne conto nemmeno al “nipote”, atteso che non può identificarsi l’odierno ricorrente con il “nipote” cui fa riferimento la COGNOME, in presenza di altro cugino, quale NOME COGNOME; che nemmeno la vicenda che ha visto contrapposto l’imputato ai NOME NOME e NOME, contestata al capo k), è sintomatica dell’inserimento del COGNOME nell’omonimo sodalizio (la spedizione punitiva, invero, sarebbe seguita ad uno schiaffo ricevuto da un soggetto del tutto estraneo al clan, per cui sarebbe slegato da logiche associative) e che, in ogni caso, non si può basare la stabilità del vincolo associativo sulla occasionalità di un’unica condotta ritenuta oggetto del presunto programma criminoso; che, infine, anche l’episodio (desunto dalla intercettazione della conversazione avvenuta il 24/10/2017) relativo all’ipotizzato contrasto tra l’odierno ricorrente ed il cugino NOME COGNOME per “questioni di pascoli”, per I quale il primo si lamenta con il cugino, figlio del capoclan, risulta inidoneo ai fini del dimostrazione della intraneità dell’imputato al sodalizio sub a); che, anzi, dal contenuto dell’intercettazione emergerebbe la disaffezione del COGNOME rispetto alla vita dell’RAGIONE_SOCIALE.
3.2.1 Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, 192, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con specifico riferimento agli artt. 59, comma secondo e 416-bis, comma quarto, cod. pen. Rileva che la Corte ha fondato la sussistenza della circostanza aggravante dell’essere l’RAGIONE_SOCIALE armata sulle risultanze dell’attività di captazione e, con specifico riferimento alla posizione del COGNOME sull’assunto per cui l’odierno ricorrente non poteva ignorare la disponibilità di armi in capo al clan, peraltro, capeggiato dallo zio e dal cuginb; che in tal modo, premesso che occorre far comunque riferimento all’articolazione mafiosa territoriale e non all’organizzazione RAGIONE_SOCIALE nella sua globalità, i giudici di appello hanno finito per confondere la natura oggettiva della circostanza aggravante con una sua non consentita ascrizione in via soltanto oggettiva, dunque, a prescindere dalla prova della consapevolezza in capo al COGNOME del possesso delle armi da parte della RAGIONE_SOCIALE o della sua ignoranza per colpa.
3.2.2 Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, 192, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con specifico riferimento agli artt. 56-629 cod. pen. Osserva che nel caso di specie mancherebbero due degli elementi costitutivi del reato di estorsione, vale a dire l’ingiusto profitto e l’altrui danno, tenuto conto che COGNOME, produttore di latte, non aveva alcun interesse ad Impedire ai NOME COGNOME la distribuzione ed il commercio dei prodotti derivati; senza tacere che la spedizione punitiva era stata determinata dall’intento di restituire l’onore leso
del presunto clan COGNOME.
3.2.3 Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, comma 3, 192, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con specifico riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. Evidenzia, in particolare, che, con riferimento all’utilizzo del metodo RAGIONE_SOCIALE, la condotta non risulta specificamente evocativa della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo, non potendo ciò identificarsi con le caratteristiche soggettive di chi agisce; che, con riferimento al profilo agevolativo dell’RAGIONE_SOCIALE mafiosa, premesso che il dolo specifico richiesto deve innestarsi su un sostrato fattuale già di per sé offensivo del bene giuridico, l’aggravante può ravvisarsi solo ove sia raggiunta la prova della oggettiva idoneità della condotta al raggiungimento della finalità avuta di mira dall’agente; che, invece, nel caso di specie, è stata ritenuta l’aggravante cosiddetta agevolatrice senza accertare se il ricorrente avesse agito allo scopo di agevolare l’attività del clan o, comunque, facendo propria tale finalità, dunque, senza verificare la ricorrenza in capo allo stesso del dolo specifico.
3.2.4 Con l’ultimo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, comma 3, 192, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con specifico riferimento agli artt. 62-bis, 81, comma secondo e 133 cod. pen. Rileva che il diniego delle circ:ostanze attenuanti generiche è malamente motivato, in quanto fa esclusivo rifermento alla gravità del fatto sub k) ed all’intensità del dolo, parametri previsti dall’art. 133 cod. pen. per la determinazione della pena, senza peraltro tener conto che la condotta si è arrestata alla soglia del tentativo; che analogo deficit motivazionale si rinviene nella commisurazione della pena, che – pur essendo stata ridotta rispetto a quella irrogata in primo grado – risulta quantificata in termini decisamente superiori al minimo edittale sulla base di formule di stile; che, anche con riferimento ai significativi aumenti per la continuazione, difetta qualsivoglia motivazione.
3.3 In data 22/2/2024 è pervenuta memoria difensiva a Firma di entrambi i difensori con cui si ribadiscono le conclusioni di cui ai ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1 Manifestamente infondato è il primo motivo.
Premesso che non si ravvisano contraddizioni nel percorso argomentativo seguito dai giudici di appello, atteso che una intermediazione svolta con cadenza mensile per più mesi consecutivi è senz’altro una intermediazione costante, osserva il Collegio che – a prescindere dai rapporti lavorativi esistenti tra il COGNOME
ed il COGNOME, su cui ha insistito la difesa – la Corte territoriale abbia dato con di come dal contenuto delle conversazioni captate emerga il contributo causale fornito alla gestione ed alla implementazione della cassa dell’RAGIONE_SOCIALE, mantenuta e gestita dal COGNOME; di come non vi siano altri plausibili motivi per i quali i due pregiudicati COGNOME e COGNOME fissassero gli incontri mensili per la consegna del denaro provento delle attività illecite del sodalizio attraverso l’odierno ricorrente, se non perché, in quanto soggetto incensurato, ritenevano fosse esente da controlli da parte degli investigatori; di come il COGNOME fosse pienamente consapevole che si trattasse di denaro dell’RAGIONE_SOCIALE, avendo in alcune occasioni presenziato personalmente all’incontro tra i due associati, assistendo alla consegna delle spettanze mensili al COGNOME, affinché provvedesse al pagamento degli stipendi degli affiliati ed al mantenimento delle famiglie dei sodali ristretti in carcere; di come la consapevolezza si desumesse anche dalle conversazioni intercettate, nel corso delle quali il ricorrente commentava le questioni insorte, proponendo altresì soluzioni. Trattasi di motivazione congrua, esaustiva, oltre che immune da vizi logici, che, dunque, non è soggetta al sindacato di legittimità, rispetto alla quale peraltro il difensor si confronta solo apparentemente. In particolare, il ricorso glissa sia sulla circostanza della partecipazione del COGNOME ad alcuni incontri tra il COGNOME ed il COGNOME, sia in relazione al contenuto delle conversazioni intercettate nelle quali si commentano situazioni relative alla gestione della cassa comune, per cui sotto tale profilo il motivo è anche aspecifico.
1.2 Manifestamente infondato risulta anche il secondo motivo, con cui si prospetta una diversa qualificazione giuridica della condotta tenuta dall’imputato, il quale – intervenendo quando l’attività estorsiva era ormai conclusa – dovrebbe rispondere del reato di favoreggiamento reale, in quanto con il suo comportamento si sarebbe semplicemente attivato affinché il profitto del reato fosse assicurato al sodalizio. Osserva il Collegio sul punto che l’arresto di legittimità riportato nel ricorso a supporto di siffatta impostazione risult inconferente rispetto al caso concreto che si sta scrutinando. Ed invero, Sezione 2, n. 19146 del 20/2/219, COGNOME, Rv. 275583 – 03, presuppone che l’agente non partecipi all’RAGIONE_SOCIALE o che non concorra esternamente con essa, ciò che non può dirsi nel caso di specie, atteso che non si è in presenza di una condotta isolata, ma costante, posta in essere dal COGNOME con cadenza mensile, con la conseguenza che correttamente è stato ritenuto il concorso esterno nell’RAGIONE_SOCIALE mafiosa sub a). Invero, con i comportamenti ascrittigli l’odierno ricorrente ha fornito un contributo concreto e consapevole, dotato di rilevanza causale ai fini del mantenimento delle capacità operative del sodalizio RAGIONE_SOCIALE, consentendo la confluenza mensile nelle casse sociali dei proventi illeciti, in tal
modo contribuendo alla realizzazione, anche solo parziale, del programma associativo.
I ricorsi di NOME COGNOME sono fondati nei limiti che seguono.
2.1 Il primo motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, limitatamente al profilo della gravità indiziaria con riferimento ai reati sub a) e k) ed il primo ed terzo motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO:NOME COGNOME non sono consentiti, atteso che sono costituiti da mere doglianze di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità.
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Cort di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dai ricorrenti, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fin della decisione. In altri termini, eccede dai limiti di cognizione della Corte d cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni de predetti vizi dal testo impugNOME o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sezione 3, n. 17395 del 24/1/2023, COGNOME, Rv. 284556 01; Sezione 5, n. 26455 del 9/6/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/2/21, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sezione 5, n. 48050 del 2/7/2019, COGNOME., Rv. 277758 – 01; Sezione 3, n. 18521 del 11/1/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01; Sezione 6, n. 5146 del 16/1/2C)14, COGNOME, Rv. 258774 – 01; Sezione 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non
può, quindi, estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Dunque, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito ed il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi Ci motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica.
Peraltro, la sentenza impugnata in relazione alla ricostruzione dei fatti ascritti all’imputato ai capi a) e k) costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro dei richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Giudice dell’udienza preliminare, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 – 01).
Deve esser ribadito, inoltre, che i motivi sono reiterativi di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del material probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale, che ha evidenziato la rilevanza del contenuto della conversazione intercettata il 13/3/2018, non messa in discussione nemmeno dalla difesa, che si è limitata a rilevare solo come l’identificazione dell’odierno ricorrente non sia sicura, tenuto conto che la presenza nel presente procedimento di un suo cugino, NOME COGNOME, rende incerto che con il termine “nipote” gli interlocutori intendessero riferirsi proprio all’imputato di cui discute. In proposito, rileva il Collegio che la censura è generica, in quanto non evidenzia il rapporto di parentela che legherebbe il COGNOME al capoclan, tenuto conto che la circostanza per cui il COGNOME sia il cugino del ricorrente non comporta necessariamente che sia anche nipote di NOME COGNOME. I giudici di secondo grado, inoltre, hanno fondato la conferma del giudizio di responsabilità in relazione al reato associativo anche sulle risultanze di una conversazione intercettata all’interno sempre della casa circondariale ove era ristretto NOME COGNOME in data 24/10/2017, da cui si evince che – a seguito di una discussione con NOME COGNOME per questioni di pascoli – il capoclan affermava che l’odierno ricorrente aveva riportato il fatto,
lamentandosi, al cugino detenuto suo omonimo, circostanza questa ritenuta compatibile solo in ragione della partecipazione al sodalizio. Osserva il Collegio che la interpretazione della stessa conversazione, nella parte in cui il cugino detenuto si lamentava dell’iniziativa economica assunta dal ricorrente nel commercio di limoni, sia esente da profili di illogicità, tenuto conto che un siffatt risentimento è stato ritenuto potesse trovare spiegazione proprio in ragione della intraneità dell’imputato al clan. Infine, la Corte territoriale ha valorizzato ai associativi il concorso del COGNOME nel tentativo di estorsione di cui al capo k condotta posta in essere sia per riaffermare il prestigio del sodalizio, messo in discussione dal comportamento dei NOME COGNOME, sia per agevolare il clan, al fine di assicurargli il monopolio della distribuzione dei prodotti caseari nel territorio di insistenza. Anche sullo specifico punto, le doglianze difensive non colgono nel segno, posto che per un verso non rileva che il NOME non avesse diretto interesse ad inibire ai NOME la distribuzione dei prodotti casea nel territorio di influenza del sodalizio, atteso che era l’organizzazione a godere del monopolio della distribuzione e che per altro verso tendono a proporre una diversa interpretazione rispetto alla ricostruzione dei fatti operata in maniera lineare ed aderente alle risultanze delle conversazioni intercettate, essendo emerso come lo scopo della spedizione punitiva fosse duplice; senza considerare che, anche con riferimento all’intento di reagire all’affronto subito, lo stesso deve essere inquadrato in logiche associative, essendo finalizzato a difendere la reputazione RAGIONE_SOCIALE del sodalizio, a seguito del comportamento dei NOME COGNOME, come si evince in maniera piana dalle conversazioni intercettate.
2.2 In relazione alla circostanza aggravante dell’essere l’RAGIONE_SOCIALE mafiosa armata, le doglianze (contenute sia nell’unico motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO, che nel secondo motivo del ricorso dell’AVV_NOTAIO) sono infondate. Invero, il Collegio intende dar seguito all’orientamento di legittimità secondo il quale, «in tema di RAGIONE_SOCIALE per delinquere di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la circostanza aggravante della disponibilità di armi, prevista dall’art. 416 bis comma quarto, cod. pen. è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l’accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio RAGIONE_SOCIALE» (Sezione 2, n. 50714 del 7/11/2019, Caputo, Rv. 278010 – 01; Sezione 1, n. 44704 del 5/5/2015, lana, Rv. 265254). In particolare, deve evidenziarsi che, quantomeno il profilo di ignoranza colposa, sia da ritenersi dimostrato – nell’ambito di tale articolazione di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE – in rapporto alla notoria disponibilità di strumenti del genere per la realizzazione degli scopi associativi.
La motivazione espressa sul tema dai giudici del merito, dunque, è del tutto
logica ed immune da vizi, per il preciso riferimento nei numerosi dialoghi intercettati alla disponibilità di armi da parte del clan RAGIONE_SOCIALE per cui si procede.
2.3 In relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., le doglianze (contenute sia nell’unico motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO, che nel quarto motivo del ricorso dell’AVV_NOTAIO) sono manifestamente infondate. Sotto il profilo dell’utilizzo del metodo RAGIONE_SOCIALE, le modalità eclatanti dell condotta esprimono tutta la forza di intimidazione del sodalizio: alla persona offesa, che viaggiava a bordo di una autovettura, veniva sbarrata la strada, costretta a scendere ed a subire pubblicamente la violenta aggressione fisica e verbale. Si tratta all’evidenza di una condotta per così dire dimostrativa, che si connota per la sua assolutezza e perentorietà, che esprime tutta la forza intimidatrice del clan RAGIONE_SOCIALE («non venire a Noto; non scendere più a Noto: questo è tutto il rispetto»). Sotto il profilo dell’agevolazione dell’RAGIONE_SOCIALE, non pare possa revocarsi in dubbio che l’inibizione alla distribuzione dei propri prodotti, imposta ai NOME, sia stata posta in essere al fine di garantir il monopolio all’organizzazione mafiosa di RAGIONE_SOCIALE, come emerge di palmare evidenza dal contenuto delle conversazioni intercettate ed è il fine ulteriore che si aggiunge a quello esterNOME con il metodo RAGIONE_SOCIALE di riaffermazione pubblica del dominio del territorio. La motivazione della sentenza impugnata in punto di sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., pertanto, per essere immune da vizi logici, non è censurabile in questa sede.
2.4 Il quinto motivo del ricorso dell’AVV_NOTAIO, relativo al trattamento sanzioNOMErio coglie parzialmente nel segno. Ed invero, quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed all’individuazione della pena base per il reato di cui al capo k) in misura superiore al minimo edittale, la motivazione – sia pure contratta – è sufficiente a far comprendere l’iter logico giuridico seguito dai giudici dell’appello, che hanno valutato particolarmente allarmanti le modalità della condotta ed elevata l’intensità il dolo, circostanze queste rispetto alle quali lo stato di incensuratezza del COGNOME è stato ritenuto recessivo. Trattasi, dunque, di motivazione esente da manifesta illogicità, con la conseguenza che è insindacabile in cassazione (Sezione 3, n. 2233 del 17/6/2021, COGNOME, Rv. 282693 – 01; Sezione 5, n. 43952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01; Sezione 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163 – 01; Sezione 6, n. 42688 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 242419 – 01).
Del resto, è ormai pacifico il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sezion 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549 – 02; Sezione 5, n. 43952/20017 cit.; Sezione 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899 – 01; Sezione 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244). Altrettanto pacifico è, in tema di dosimetria della pena, il principio per il quale le statuizioni relative quantum della pena, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (Sezione 2, n. 36104 del 27/4/2017, Mastro, Rv. 271243 – 01), tale dovendo ritenersi quella dell’impugnata sentenza per quanto sopra specificato. Dunque, in tema di dosimetria della pena, per costante giurisprudenza non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge ed ai canoni di logica, in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 132 e 133 cod. pen.
Diverse considerazioni devono, invece, essere svolte con riferimento all’aumento per la continuazione, peraltro, fissato nella misura di quattro anni di reclusione (invero, deve rilevarsi anche l’evidente errore nel calcolo della pena, atteso che dalla pena di anni sette di reclusione ed euro settemilacinquecento di multa, a seguito dell’aumento per la continuazione, si perviene alla pena di anni undici di reclusione ed euro settemilacinquecento di multa, poi ridotta per la scelta del rito alla pena di anni sette mesi quattro di reclusione ed euro cinquemila di multa, per cui l’aumento disposto non è di anni tre di reclusione, come scrive la Corte territoriale), rispetto al quale difetta qualsivogli motivazione. In proposito, la giurisprudenza di legittimità, anche nella sua più autorevole composizione, ha avuto modo di precisare che sul giudice di merito grava l’obbligo di rendere una motivazione specifica e dettagliata in ordine all’aumento effettuato per la continuazione, obbligo che si attenua solo qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferitogli dall’art. 132 cod. peri. In altri termini l’obbligo della motivazione non può essere astrattamente circoscritto secondo canoni predeterminati, non potendosi ritenere che il vizio renda nulla la decisione sul punto allorché la pena irrogata sia stata determinata in prossimità del minimo piuttosto che al massimo edittale. Dunque, l’astratto rigore che assiste la decisione del giudice di merito nell’operazione di calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, nel senso che il grado di impegno nel motivare richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto de rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illecit
accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e c non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sezioni Unite, n. 47127 del 24/6/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01; Sezione 6, n. 44428 del 5/10/2022, COGNOME, Rv. 284005 – 01).
Orbene, nel caso che si sta scrutinando, non vi è dubbio che il consistente aumento di pena – pari a quattro anni di reclusione, per il sia pur grave delitto associativo – necessitava dell’esplicitazione delle ragioni che lo hanno determiNOME in tale misura, al fine di consentire il controllo sulla correttezza del percorso motivazionale. La sentenza, dunque, va annullata in parte qua con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo esame sul punto.
All’inammissibilità del ricorso proposto da NOME COGNOME segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzioNOMErio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catania; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 22 marzo 2024.