Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11491 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11491 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME n. Catania 06/12/1944
NOMECOGNOME n. Catania 22/01/1982
NOME NOME, n. Catania 15/06/1960
avverso la sentenza n. 2377/23 della Corte di appello di Catania del 10/05/2023
letti gli atti, i ricorsi e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME sentito il pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso il rigetto dei ricorsi; sentito per la parte civile RAGIONE_SOCIALE l’avv. NOME COGNOME che ha
chiesto di dichiarare inammissibile o rigettare i ricorsi, con la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado, come da separata nota depositata;
sentiti l’avv. NOME COGNOME per il ricorrente COGNOME e l’avv. NOME COGNOME per il ricorrente COGNOME i quali hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi rispettivamente patrocinati
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catania ha ribadito le responsabilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME in ordine ai reati di partecipazione ad associazione mafiosa (art. 416bis, primo e quarto comma, cod. pen.), concorso esterno della predetta associazione (artt. 110, 416-bis cod. pen.), concorso in trasferimento fraudolento di valori (artt. 110, 512-bis, 416-bis.1, cod. pen.), illecit concorrenza con minaccia o violenza (artt. 513-bis, 416-bis.1, cod. pen.) nonché estorsione tentata e consumata (artt. 56, 81, 629, primo e secondo comma, in rel. all’art. 628, terzo comma, n. 3, 416-bis.1 cod. pen.), riducendo, però, le pene loro inflitte in primo grado all’esito di giudizio celebrato con rito abbreviato.
Le condotte costituenti reato si collocano nel più ampio contesto della riaffermata e non contestata persistenza della cosca mafiosa SantapaolaErcolano affiliata a Cosa Nostra, di cui gli imputati COGNOME e COGNOME sono stati riconosciuti partecipi, il primo anche perché già in precedenza condannato per lo stesso titolo di reato all’esito della definizione del procedimento cd. Orsa Maggiore, riferito a segmento temporale antecedente rispetto a quello (dal 2014 all’attualità) oggetto del presente giudizio.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, che hanno rispettivamente formulato i motivi di seguito riassunti.
2. Ricorso COGNOME
2.1. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in ordine alla ribadita affermazione di responsabilità il reato di partecipazione alla associazione mafiosa aggravata di cui al capo 1.
2.2. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in ordine alla ribadita affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen contestato al capo 2.
2.3. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. contestato al capo 4. ordine alla ribadita 512-bis cod. pen.
2.4. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. contestato al capo 5. ordine alla ribadita 512-bis cod. pen.
2.5. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. contestato al capo 6. ordine alla ribadita 513-bis cod. pen.
2.6. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in ordine alla ribadita affermazione di responsabilità ed alla mancata assoluzione dal delitto di estorsione contestato al capo 7.
In via subordinata deduce:
2.7. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in ordine alla mancata esclusione dell’aggravante del carattere armato dell’associazione mafiosa di cui al capo 1.
2.8. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in ordine alla mancata esclusione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa contestata in relazione ai reati di cui ai capi 2 e 3.
2.9. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in ordine alla mancata revoca della confisca dei beni in sequestro.
3. Ricorso Di Grazia
3.1. Contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata in merito alla ribadita credibilità delle dichiarazioni rese dai testi NOME COGNOME (capo 3).
3.2. Illogicità della motivazione in merito alla sussistenza degli elementi sintomatici del dolo del delitto di estorsione contestato al capo 3 in relazione al suo apporto sporadico alle condotte intimidatorie.
3.3. Illogicità della motivazione in merito alla insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 3, cod. pen., in relazione all’impossibilità per le vittime NOME COGNOME di avere contezza della appartenenza del ricorrente ad una consorteria mafiosa così da percepire nella sua condotta un carattere di particolare vessazione, diversa e maggiore rispetto a quella posta in essere da altri soggetti autori di analoghe condotte intimidatorie.
3.4. Mancanza di motivazione in merito alla omessa estensione massima della riduzione della pena per il delitto base, ritenuto nella forma del tentativo (art. 56 cod. pen.) e alla disparità di trattamento fra concorrenti nel medesimo reato rispetto al coimputato COGNOME
4. Ricorso NOME
4.1. Nullità della sentenza per violazione di legge e vizi di motivazione per avere i giudici di merito ritenuto la responsabilità dell’imputato perché ritenutone provato il consapevole contributo concreto e fattivo in favore dell’organizzazione mafiosa Ercolano – Santapaola.
4.2. Nullità della sentenza per violazione di legge e vizi di motivazione per avere i giudici di merito ritenuto provata la consapevolezza dell’imputato di avere operato in un contesto mafioso; tra le migliaia di conversazioni intercettate solamente pochissime riguarderebbero il ricorrente e tra queste solo due sono state riportate nella motivazione della sentenza impugnata.
4.3. Nullità della sentenza per violazione di legge e vizi di motivazione per avere i giudici di merito ritenuto la responsabilità dell’imputato come addetto alla raccolta del denaro investito dai vertici della consorteria mafiosa.
4.4. Nullità della sentenza per violazione di legge e vizi di motivazione per omessa considerazione di temi posti con l’interposizione dell’appello quali la fibrillazione dell’associazione e la violazione del principio di prevedibilità di cu all’art. 7 della Conv. EDU
4.5. Nullità della sentenza per violazione di legge e vizi di motivazione per non avere la Corte territoriale riconosciuto, in subordine, la sussistenza di una diversa ipotesi delittuosa (art. 378 o 418 cod. pen.) invece di quella di natura associativa di cui al capo 1.
4.6. Nullità della sentenza per violazione di legge e vizi di motivazione per non avere la Corte territoriale riconosciuto la riduzione di pena, nonché la prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante, ove sussistente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti dagli imputati COGNOME e COGNOME vanno dichiarati inammissibili perché largamente basati su motivi improponibili in sede di legittimità o comunque manifestamente infondati; quello proposto dall’imputato Geremia va, invece, rigettato, per effetto del suo quarto motivo di doglianza (punto 4.4.) in tema di fibrillazione dell’associazione e violazione del principio di prevedibilità riferito all’imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa, avendo ricevuto dalla Corte di appello confutazione su almeno un punto sintetica, tale da richiedere alcune considerazioni integrative.
2. Ricorso COGNOME.
Dalle sentenze di merito, conformi su tale aspetto, emerge la figura del ricorrente quale garante, custode e liquidatore degli investimenti economicofinanziari effettuati, decenni prima, dai alcuni dei capi storici del gruppo mafioso egemone nella città di Catania, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, investimenti cui lui stesso imputato aveva, inoltre, in prima persona partecipato.
Sempre dalle pronunce di merito si ricava che a distanza di anni, essendo deceduti o ristretti in carcere gli originari investitori, l’imputato si era adoperat per monetizzare gli investimenti effettuati così da dividerne i proventi tra discendenti ed eredi, intrattenendo a tal fine rapporti con gli intestatari fittizi de beni oggetto di quelle operazioni e assicurando con in tal modo stabilità e sicurezza economica del gruppo di vertice dell’associazione mafiosa.
La sentenza impugnata dà conto dell’esistenza a suo carico di un consistente compendio di conversazioni intercettate, caratterizzato dalla singolare presenza di numerosi monologhi o soliloqui in cui l’imputato anticipava e simulava i colloqui da intrattenere con terzi, compendio completato dalle propalazioni di due collaboratori di giustizia (NOME COGNOME e NOME COGNOME) che ne hanno confermato la specifica funzione svolta nell’ambito del sodalizio criminale nonché da prove dichiarative, in particolare delle persone offese di alcuni dei reati contestati, nonché di natura documentale.
Il ricorrente è stato, pertanto, riconosciuto responsabile delle condotte oggetto dei reati scopo, da lui minimizzate nel loro significato poiché asseritamente ascritte al mero intento di effettuare investimenti per conto degli eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME e dei congiunti di NOME COGNOME tutti esponenti, peraltro, di assoluto rilievo dell’omonimo clan mafioso.
Tutto quanto ora premesso, i motivi formulati ai punti da 1 a 6 del ricorso risultano declinati esclusivamente in fatto oltre che manifestamente infondati.
Sebbene evocanti i consueti di vizi di legge e motivazione, tutti indistintamente finiscono per contestare le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale a conferma dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato di natura associativa, ovviamente riferito alla frazione temporale oggetto di contestazione (capo 1 della imputazione) ed a quelli specificamente connessi allo specifico ruolo svolto di curatore degli interessi finanziari del sodalizio (capi successivi).
Com’è ampiamente noto, tuttavia, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari
punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Il ricorrente contesta, invece, la sussistenza di un sufficiente quadro probatorio riferito ai vari reati ascrittigli.
Rinviando alle precedenti considerazioni quanto alla sua partecipazione alla compagine mafiosa e al ruolo cruciale svolto al suo interno, giova svolgere alcune sintetiche notazioni aggiuntive sui reati di cd. competenza specifica.
Con riferimento al capo 2, concernente l’intestazione fittizia della RAGIONE_SOCIALE, la composita fattispecie in addebito ha ad oggetto la modifica della ragione sociale, l’ampliamento dell’oggetto sociale, la riduzione del capitale sociale accompagnata da una modifica nella distribuzione della percentuale delle quote agli apparenti titolari, dal trasferimento della sede legale, l’approvazione di nuovo statuto sociale (pag. 10 sent.).
Nel ribadire l’affermazione di responsabilità pronunciata dal primo giudice, la Corte di appello ha richiamato a sostegno delle sue valutazioni la giurisprudenza elaborata da questa Corte di cassazione sul tema del momento consumativo del delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen., allorquando all’originaria e istantane condotta di trasferimento fraudolento di valori (nella specie, in favore dello imprenditore colluso NOME COGNOME sotto la ragione sociale RAGIONE_SOCIALE) facciano seguito vicende societarie di rilevanza tali da differire in avanti i tempus commissi delicti (nella specie: al 9 maggio 2014).
E’ stato, infatti, più volte affermato il principio secondo cui il delitto trasferimento fraudolento di valori di cui all’art. 512-bis cod. pen. costituisce reato istantaneo ad effetti permanenti, che può assumere natura di fattispecie a condotta plurima o frazionata, sicché la modifica della compagine sociale o dell’organo amministrativo di una società, realizzata mediante la fittizia intestazione di quote a terzi, è suscettibile di determinare una nuova apparenza, con raggiungimento di un assetto stabile e definitivo e conseguente slittamento del momento consumativo del reato, a condizione che sia strumentale alla elusione di una misura di prevenzione (Sez. 2, n. 17035 del 10/03/2022, Frascati, Rv. 283193; conf. Sez. 2, n. 11881 del 06/03/2018, Szalska, Rv.
272903; Sez. 6, n. 10024 del 11/12/2008, dep. 2009, P.m. in proc. COGNOME e altri, Rv. 242754 ed altre).
Essendo indiscutibile nel caso di specie che lo scopo perseguito sia stato proprio quello consentire l’elusione di misure ablatorie in sede di prevenzione a soggetti già condannati per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la decisione della Corte di merito si pone, dunque, nel solco di un orientamento interpretativo consolidato con conseguente buon governo dei principi da esso affermati.
Con riferimento al reato di cui al capo 3 (intimidazioni estorsive ai danni dei fratelli COGNOME cui faceva seguito l’incendio dello stabilimento balneare da essi gestito), il ricorrente ne è stato riconosciuto mandante (pag. 13 sent.) sulla scorta degli elementi di prova valorizzati dai giudici di merito (v. pag. 14-16 sent.), correttamente essendosi configurato il delitto di cui agli art. 56, 629 cod. pen., non vantando egli alcun credito personale ragionevolmente azionabile nei confronti dei debitori.
La statuizione costituisce corretta applicazione dei diversi principii affermati da Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 tra cui quello per cui la consapevolezza da parte dell’agente di agire per soddisfare una pretesa insuscettibile di essere giudizialmente tutelata incide in maniera decisiva sullo elemento soggettivo dell’illecito, costituente il discrimine tra delitto di estorsione e quello di cui all’art. 393 cod. pen., la cui condotte materiali risultano sovente indistinguibili sul piano della concreta manifestazione.
Quanto al reato di cui al capo 4 (terzo motivo di ricorso), riguardante l’attribuzione fittizia della carica di amministratore societario della RAGIONE_SOCIALE a prestanome in persona di NOME COGNOME remunerato con regolare stipendio nonché l’attribuzione delle quote sociali al medesimo ed a tale COGNOME NOME, non sono stati dedotti I riguardo vizi di legge ed appaiono, pertanto, incensurabili sotto il profilo logico-argomentativo le considerazioni svolte dalla Corte di merito per ribadire che la società, operante nel settore del deposito ferroviario e trasporto merci, era in realtà di proprietà del ricorrente unitamente al figlio NOME (pag. 19-20 sent.).
Lo stesso è a dirsi del reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. di cui al capo 5 (quarto motivo di ricorso), che contempla la variante, rilevante in termini di mero fatto, dell’acquisto da parte della RAGIONE_SOCIALE di un ramo d’azienda della predetta RAGIONE_SOCIALE al prezzo di 10.000 euro corrispondente all’intero capitale sociale, subentrandone nei contratti dalla stessa già stipulati, società acquirente a sua volta intestata, a partire dal 23/03/2016, a NOME e NOME COGNOME nipoti del ricorrente in quanto figli di suo figlio NOMECOGNOME
Quanto al reato di cui al capo 6 (quinto motivo di ricorso), anche in questo
caso nessun vizio di legge è stato evocato dal ricorrente e quelli di motivazione mascherano in realtà la mera contestazione della ribadita affermazione di responsabilità in ordine alla minaccia formulata nei confronti della parte civile costituita RAGIONE_SOCIALE del gruppo Ferrovie dello Stato, attuatasi in prima battuta mediante intimazione ai fratelli COGNOME, titolari di un’impresa concorrente della RAGIONE_SOCIALE, di rifiutare future commesse dalla partecipata pubblica e successivamente tramite intimidazione esercitata de visu nei confronti di un dipendente di RAGIONE_SOCIALE, tale NOME COGNOME che per tale fatto chiedeva ed otteneva dalla società datrice di lavoro di essere trasferito in una sede nel Nord Italia per tema di ritorsioni (pag. 25 sent.).
Ugualmente è, infine, a dirsi del delitto di tentata estorsione di cui al capo 7 (sesto motivo di ricorso), in ordine al quale la Corte di appello si è limitata a ricordare che il quadro probatorio poggia sulle dichiarazioni della persona offesa NOME NOME per fatto connesso ad una vicenda di compravendita di una abitazione di vacanze avvenuta circa vent’anni addietro, riscontrate dal contenuto di alcune intercettazioni telefoniche (pag. 26 sent.) in un quadro di riferimento normativo scevro di contestazioni.
Passando ora all’esame delle doglienze formulate dalla difesa del ricorrente in via subordinata, valgono le sintetiche considerazioni che seguono.
Con riferimento al carattere armato dell’associazione, di cui già una volta il ricorrente è stato riconosciuto far parte (settimo motivo di ricorso) ed a prescindere dal principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione della sufficienza di una prova attenuata sul punto nel caso di cd. mafie storiche (per tutte v. Sez. 2, n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284761 riguardante proprio l’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra) – essendo notoriamente la cosca COGNOME-Ercolano una delle più rilevanti di quelle affiliate a detto sodalizio criminale almeno nella Sicili Orientale – va osservato come la Corte di appello abbia messo nel dovuto rilievo come lo stesso ricorrente, unitamente al figlio NOME, disponessero in prima persona di armi comuni da sparo e segnatamente di pistole (pag. 27-28) sicché la censura si rivela palesemente infondata anche in punto di stretto merito.
Parimenti di stretto merito si rivelano, infine, la doglianza (ottavo motivo di ricorso) concernente la mancata esclusione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa contestata in relazione ai reati di cui ai capi 2 e 3, per cui si rinvia alle pertinenti e congrue argomentazioni svolte dai giudici di appello alla pag. 30 della sentenza impugnata nonché quella (nono motivo) riguardante la mancata revoca della confisca dei beni in sequestro (v. pag. 31), da ritenere, per contro, necessaria conseguenza della ribadita affermazione di responsabilità in ordine a tutti i reati in addebito.
Alla dichiarazione di inammissibilità di tutte le censure seguono le conseguenze di legge di cui agli artt. 615 e 616 cod. proc. pen. nonché la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE persona offesa del reato di cui al capo 6, nella misura indicata in dispositivo.
3. Ricorso Di Grazia
Come anticipato, anche l’impugnazione proposta da tale ricorrente va dichiarata inammissibile.
La censura formulata con il primo motivo di ricorso risulta declinata in punto di stretto merito e riguarda la ribadita valutazione di credibilità delle dichiarazioni rese dai testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME parti offese del delitto di estorsione in addebito al capo 3 dell’imputazione.
Vale in sintesi ricordare che i suddetti fratelli COGNOME erano subentrati nella titolarità di uno stabilimento balneare, formalmente intestato alla RAGIONE_SOCIALE, originariamente costituita da due acclarati prestanome della mafia catanese, nelle persone dell’arch. NOME COGNOME e dell’ing. NOME COGNOME, omettendo, però, di versare la quota residua del prezzo a COGNOME, il quale a sua volta, avendo contratto debito nei confronti di esponenti del clan Santapaola – Ercolano, aveva loro in maniera informale ceduto il credito vantato presso i fratelli COGNOME (v. pag. 16 sent.), da cui l’interesse nutrito dal coimputato COGNOME indicato come mandante della condotta intimidatoria, unitamente a NOME COGNOME (non ricorrente) e ad altre due persone non identificate, di pretendere la restituzione del debito dai COGNOME contratto con terzi.
Ebbene i giudici di appello hanno fornito congrua spiegazione delle ragioni per cui hanno ritenuto credibili le dichiarazioni delle persone offese (pag. 33 sent.) e di certo non introduce alcun elemento di contraddizione o illogicità rispetto a detta statuizione la circostanza, ricordata in sentenza, che tre giorni dopo l’ultimo avvertimento loro impartito personalmente dal ricorrente, accompagnato per l’occasione da due soggetti non identificati, lo stabilimento balneare gestito dai fratelli COGNOME andava distrutto per effetto di un incendio divampato nella notte tra il 23 e 24 gennaio 2017.
Del pari palesemente infondato è il secondo motivo di censura, secondo cui la motivazione sulla sussistenza del dolo di estorsione risulterebbe illogica, in relazione al rapporto asseritamente sporadico delle condotte intimidatorie riferibili al ricorrente, essendo sufficiente rinviare a quanto appena argomentato con riferimento alla precedente doglianza.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta, invece, la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 3, cod. pen., in relazione all’impossibilità per le vittime dell’intimidazione, NOME COGNOME di avere contezza dell’appartenenza del ricorrente ad una consorteria mafiosa così da percepire nella sua condotta un carattere di particolare vessazione, diversa e maggiore rispetto a quella posta in essere da altri soggetti autori di analoghe condotte intimidatorie.
E’ sufficiente in realtà rinviare ai termini del concreto esercizio della intimidazione (v. pag. 42 sent.) seguita dall’incendio per evidenziare la palese inconsistenza della censura.
A tanto vale aggiungere alcune notazioni sulla personalità dell’imputato, che fungono da indiretta conferma al ricorso alle peculiari modalità della condotta intimidatoria (v. supra) tipica delle associazioni mafiose.
Dalla sentenza impugnata emerge, infatti, che il ricorrente (conosciuto tra gli appartenenti alla cosca e negli ambienti mafiosi in genere come COGNOME) è stato già condannato (sentenza della Corte di appello di Catania del 03/02/2022) alla pena di otto anni di reclusione per partecipazione al clan SantapaolaErcolano per il periodo novembre 2016-novembre 2017 quale responsabile dell’articolazione territoriale di Giarre (pag. 38 sent.) e che prima della presente verifica giudiziale, il collaboratore di giustizia NOME COGNOME già intraneo al sodalizio quale componente del gruppo di S. Giovanni Galerno, ne aveva ribadito l’appartenenza alla cosca, riconoscendolo anche in fotografia senza margini di incertezza (pag. 41 sent.).
Con il quarto motivo di censura, la difesa del ricorrente lamenta l’assenza di motivazione in merito alla omessa estensione massima della riduzione della pena per il delitto base, ritenuto nella forma del tentativo (art. 56 cod. pen.) e alla disparità di trattamento fra concorrenti nel medesimo reato rispetto al coimputato COGNOME
Il motivo risulta semplicemente improponibile, in primo luogo perché non evoca profili di illegalità del trattamento sanzionatorio, limitandosi a contestare la determinazione discrezionale della pena che la legge attribuisce al giudice di merito e in secondo luogo perché in concreto il procedimento di determinazione è avvenuto sulla scorta di una motivazione che va ritenuta congrua (v. pag. 43 sent.) e come tale insuscettibile di censure di ordine logico.
4. Ricorso NOME
L’impugnazione proposta da tale ricorrente va, invece, dichiarata solo infrondata, per quanto di seguito precisato.
I primi tre motivi di ricorso, che replicano corrispondenti motivi di gravame, risultano, peraltro, declinati in punto di stretto merito e puro fatto, investendo
direttamente il tema del concreto, consapevole e fattivo contributo reso dallo imputato all’organizzazione mafiosa Ercolano-COGNOME, pur non facendone parte.
Vale, infatti, sinteticamente ricordare che l’imputato è stato condannato per concorso esterno al clan COGNOME – Ercolano nel periodo 2013 – 2018 e che il consapevole e fattivo contributo fornito al gruppo mafioso è stato individuato dai giudici di merito nelle condotte:
a) di avere consentito incontri tra esponenti di vertice del clan (segnatamente NOME COGNOME e NOME COGNOME, ancorché non in via esclusiva, v. pag. 55 sent.) presso i locali della RAGIONE_SOCIALE società di cui l’imputato figurava come socio nonché presso un bar ed un chiosco, entrambi documentati da servizi di osservazione e pedinamento predisposti dagli investigatori (pag. 59 sent.);
b) di avere prestato la propria opera professionale di geometra e mediatore immobiliare onde far conseguire a NOME COGNOME e ad altri esponenti di vertice Cosa Nostra catanese (tra cui NOME COGNOME ed NOME COGNOME nonché il coimputato NOME COGNOME) un indennizzo per l’espropriazione di un terreno intestato in maniera fittizia all’imprenditore colluso e prestanome della cosca, NOME COGNOME (v. reato di cui al capo 2).
Il richiamo ai motivi di gravame appare, dunque, oltre modo pertinente, dal momento che la stessa Corte territoriale ha evidenziato che già quelli risultavano formulati in termini di esclusivo merito (pag. 51 sent.), aggiungendosi così una ulteriore ragione di inammissibilità dovuta ad aspecificità (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708 ed altre) a quella fondata sulla improponibilità intrinseca delle doglianze.
Risulta, invece, solo infondato il motivo di censura incentrato sui temi della cd. fibrillazione dell’associazione e della violazione del principio di prevedibilità di cui all’art. 7 della Conv. EDU .
Il tema riguarda, come è noto, gli indici obiettivi necessari al riconoscimento della responsabilità a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa (artt. 110, 461-bis cod. pen.), che ha visto l’intervento di alcune pronunce della Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul tema della violazione da parte dell’ordinamento italiano dell’art. 7 della Conv. EDU .
Come anticipato, la risposta fornita dalla Corte di appello alle specifiche censure difensive appare corretta (v. pag. 59-60) ma in parte sintetica, meritando qualche integrazione.
Con riferimento, infatti, al tema della cd. fibrillazione dell’associazione, nel senso cioè che l’area di definizione del concorso esterno sarebbe consustanziale ai periodi di fibrillazione del sodalizio, è indiscutibile che il principio enfatizza
con la decisione delle Sez. U, n. 16 del 05/10/1994, Demitry, Rv. 199386 è stato successivamente abbandonato dalle ulteriori pronunce (Sez. U, n. 22327 del 30/10/2002, dep. 2003, Carnevale, Rv. 224181; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671), tant’è che attualmente ciò che rileva è l’individuazione da parte dell’agente di un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo al sodalizio, purché il contributo stesso abbia avuto un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione
Ma nella fattispecie contributo e modalità della relativa manifestazione sono stati concretamente individuati da parte dei giudici di merito (v. supra) e non sono configurabili ragionevoli censure al riguardo.
Sul tema dell’insufficiente determinazione e tassatività della fattispecie astratta di concorso esterno in associazione mafiosa, con conseguente violazione del principio di prevedibilità di cui all’art. 7 della Convenzione EDU, va poi detto che allo stato attuale dell’elaborazione giurisprudenziale, tenuto conto degli interventi della Corte di Strasburgo, si può affermare che le statuizioni adottate in alcuni specifici casi dalla Corte europea, per quanto di notoria rilevanza (decisione Corte EDU del 14 aprile 2015, Contrada c. Italia), non sembrano tenere conto del particolare ruolo che nell’ordinamento nazionale svolge l’art. 110 cod. pen., il quale – a differenza di altri ordinamenti nazionali e sovra nazionali che necessitano di volta in volta la previsione specifica dell’estensione dell’imputazione ai soggetti concorrenti – costituisce una previsione di ordine generale, suscettibile di combinarsi, ricorrendone le condizioni, con ciascuna previsione precettiva, risultando comunque rispettati i principi di legalità e tassatività delle fattispecie incriminatrici e delle relative sanzioni (Sez. 1, n. 36509 del 12/06/2018, COGNOME, Rv. 273615; Sez. 1, n. 26686 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276197).
Esaminato tale aspetto, la Corte di appello si è, inoltre, peritata di precisare che il concreto e consapevole apporto fornito dal ricorrente al sodalizio mafioso ha avuto significativa durata cronologica (come anticipato: dal 2013 al 2018), dichiarando sul punto di aderire a quello tra gli orientamenti interpretativi di legittimità, non ancora radicatosi in termini di prevalenza, secondo cui la condotta di concorso esterno deve rispondere al requisito della disponibilità protrattasi nel tempo (Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180) e non essersi manifestata in via solo sporadica.
Ma, come evidenziato, le condotte ascritte al ricorrente, di natura oltre tutto eterogenea, si inscrivono appieno nel paradigma astratto del concorso esterno in associazione mafiosa, quand’anche interpretato in maniera più rigorosa con riferimento al profilo della durata temporale.
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Risulta, invece, improponibile per violazione dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il quinto motivo di doglianza – vertente sul mancato riconoscimento da parte della Corte territoriale della ricorrenza, in via subordinata, delle diverse ipotesi delittuose di cui all’art. 378 o 418 cod. pen. in luogo di quella di natura associativa (capo 1) – non essendo stato tempestivamente formulato con i motivi di appello.
Così come improponibile risulta, infine, il sesto e ultimo motivo di censura in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, formulato senza evocare profili di illegalità della pena o di arbitrarietà delle determinazioni assunte.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
i Il Pr sidente