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Concorso esterno in bancarotta: ruolo intermediario

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per concorso esterno in bancarotta fraudolenta di un intermediario che aveva tentato di spedire all’estero beni distratti da una società fallita. La Corte ha ritenuto valida la notifica degli atti al co-difensore dopo il decesso del legale domiciliatario e ha stabilito che la consapevolezza del fine illecito poteva essere desunta da elementi come l’uso di fatture false, anche in assenza di contatti diretti con l’amministratore della società fallita. Il ricorso è stato giudicato infondato e in parte inammissibile.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso esterno in bancarotta: quando l’intermediario è responsabile?

Il concorso esterno in bancarotta fraudolenta è una figura giuridica complessa che estende la responsabilità penale anche a soggetti che, pur non essendo amministratori della società fallita, contribuiscono alla sua spoliazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul ruolo dell’intermediario e sulla prova della sua consapevolezza, nonché su delicate questioni procedurali relative alla notifica degli atti processuali.

I fatti del caso

Il caso riguarda un intermediario commerciale condannato in primo e secondo grado per concorso esterno in bancarotta patrimoniale. L’imputato aveva ricevuto dall’amministratore di una società, poi fallita, un autocarro, una centrale di betonaggio e una pala meccanica. Il suo compito era organizzare la spedizione di questi beni in Afghanistan, presentandoli per l’imbarco presso uno scalo marittimo. L’accusa sosteneva che questa operazione facesse parte di un piano per sottrarre i beni ai creditori della società. La difesa dell’imputato si basava su tre argomenti principali: un vizio nella notifica del decreto di citazione in appello, la mancanza di prova della sua consapevolezza del fine fraudolento e l’insussistenza di una vera e propria condotta di distrazione a lui imputabile.

La questione procedurale: la notifica al co-difensore

Un primo motivo di ricorso riguardava un aspetto procedurale. L’imputato aveva inizialmente nominato due avvocati, eleggendo domicilio presso il primo. Quest’ultimo, dopo aver presentato l’appello, era deceduto. Il decreto di citazione per il giudizio d’appello era stato notificato via PEC al secondo avvocato, il co-difensore. Secondo la difesa, la notifica avrebbe dovuto essere effettuata personalmente all’imputato.

La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che il decesso del difensore domiciliatario crea un’impossibilità di notifica non imputabile all’imputato. Tuttavia, la notifica effettuata al co-difensore di fiducia è stata ritenuta valida. Il rapporto fiduciario tra l’imputato e il suo legale, insieme agli obblighi professionali di quest’ultimo, costituisce un forte indizio di effettiva conoscenza dell’atto da parte dell’assistito. Spettava, in caso, al difensore dimostrare l’esistenza di circostanze eccezionali che avessero impedito tale conoscenza.

Il ruolo dell’intermediario nel concorso esterno in bancarotta

Il cuore della questione risiedeva nella posizione dell’intermediario. La difesa sosteneva che l’imputato avesse agito con scarsa cautela, ma senza la consapevolezza di partecipare a un’operazione illecita. Egli non aveva rapporti diretti con l’amministratore della società fallita, ma solo con un’altra persona che gli aveva consegnato i beni. Inoltre, il fatto che le fatture di vendita fossero false, perché emesse da un soggetto non proprietario, non era ritenuto sufficiente a provare il suo dolo.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte Suprema ha dichiarato i motivi relativi alla responsabilità penale inammissibili. In primo luogo, ha evidenziato come le argomentazioni della difesa fossero una “pedissequa reiterazione” di censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata. In secondo luogo, il ricorso proponeva una diversa ricostruzione dei fatti e una differente valutazione delle prove, un’attività preclusa al giudice di legittimità, che non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.

Implicitamente, la Corte ha confermato l’impianto accusatorio secondo cui la consapevolezza dell’intermediario poteva essere desunta da elementi oggettivi, come l’aver gestito un’operazione commerciale basata su fatture palesemente false. Anche se l’atto di depauperamento principale si era già verificato con il trasferimento dei beni dalla società fallita a un’altra entità, il successivo tentativo di spedizione all’estero è stato considerato parte integrante della condotta distrattiva, finalizzata a rendere definitivo l’occultamento dei beni.

Conclusioni

La sentenza ribadisce due principi fondamentali. Sul piano procedurale, la notifica al co-difensore di fiducia è generalmente valida ed efficace, anche in caso di decesso del legale domiciliatario. Sul piano sostanziale, per configurare il concorso esterno in bancarotta, non è necessario un rapporto diretto con l’amministratore della società fallita. La consapevolezza del fine illecito può essere provata attraverso indizi gravi, precisi e concordanti, come la partecipazione a un’operazione commerciale anomala e basata su documentazione falsa. Per un intermediario, questo significa che non ci si può nascondere dietro un ruolo puramente tecnico quando le circostanze dell’operazione sono tali da rivelare chiaramente la loro natura fraudolenta.

Se l’avvocato presso cui ho eletto domicilio muore, la notifica fatta al mio secondo avvocato (co-difensore) è valida?
Sì, secondo la Corte la notifica effettuata al co-difensore di fiducia è valida. Il rapporto fiduciario esistente tra cliente e avvocato costituisce un indizio di effettiva conoscenza dell’atto, a meno che il difensore non provi circostanze particolari che abbiano impedito tale conoscenza.

Per essere condannato per concorso esterno in bancarotta, devo conoscere personalmente l’amministratore della società fallita?
No, non è necessario. La sentenza conferma che la consapevolezza di partecipare a un’operazione illecita può essere desunta da altri elementi, come ad esempio il fatto di operare sulla base di fatture palesemente false, che è un indicatore sufficiente della natura fraudolenta dell’intera operazione.

Se i beni sono già stati sottratti alla società fallita, chi aiuta a nasconderli in un secondo momento commette comunque reato?
Sì. La Corte ha ritenuto che il successivo tentativo di trasportare i beni all’estero, anche se già materialmente usciti dal patrimonio della società fallita, costituisce una condotta che rientra nel perimetro del reato di bancarotta, in quanto finalizzata a completare e rendere definitiva la distrazione a danno dei creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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