Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28625 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28625 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN SOSTI il 17/10/1978
avverso la sentenza del 10/10/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di BOLZANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, riportandosi alla memoria in atti.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale udito il difensore della ricorrente, avvocato NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.E’ impugnata la sentenza della Corte di appello di Trento – Sez. Distaccata di Bolzano – con la quale, in parziale riforma della decisione del Tribunale di quella stessa città, che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole di concorso esterno
(capo 2.4.) nel delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva (capo 2.2.) contestato all’amministratore, NOME COGNOME della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del 18 dicembre 2018, e di ricettazione, l’ha assolta dalla ricettazione e ha rideterminato la pena per il residuo delitto di bancarotta.
1.1.Secondo la ricostruzione proveniente dalla sentenza impugnata, la ricorrente aveva ricevuto sul proprio conto corrente due bonifici bancari per il complessivo importo di euro 60.000, disposti dal COGNOME dal proprio conto personale utilizzando provvista proveniente dalla fallita RAGIONE_SOCIALE, pagamento che sarebbe stato privo di giustificazione, per avere ricevuto la COGNOME importi del tutto esorbitanti rispetto alla prestazione professionale a lei affidata dall società, consistita nella redazione di una relazione tecnica relativa a un verbale di accertamento emesso dalla DTL di Imperia nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e nello studio della relativa documentazione della società.
L’ imputata era ritenuta consapevole concorrente nel delitto di bancarotta distrattiva fraudolenta dell’amministratore, in quanto a conoscenza, quale commercialista e per l’attività professionale esercitata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, della situazione economico finanziaria della fallita e della esposizion debitoria, nonché in ragione dell’esorbitanza degli importi ricevuti e della mancata emissione di fattura prima della ricezione degli importi (fattura emessa solo nel 2017 e per il minore importo di 15.000 euro), oltre che della mancata restituzione degli importi superiori percepiti indebitamente, peraltro, non dichiarati fiscalmente.
Il ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME è affidato a quattro motivi, enunciati nei limiti richiesti per motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
2.1. Con il primo, deduce vizi della motivazione, anche per travisamento della prova. Deduce che la Corte di appello non si è confrontata con il contenuto del verbale assembleare del 31 luglio 2016, con il quale venne deliberato di trasferire le somme disponibili sui conti correnti della società ad altro conto da aprirsi a nome dell’amministratore COGNOME onde salvaguardare il patrimonio sociale da liti pretestuose insorte con alcuni dipendenti, e a tutela dei terzi creditori. Alla luce di tale dato probatorio, la Corte di appello avrebbe dovuto spiegare se la ricorrente avesse concorso in tale scelta distrattiva, in quanto integrante il distacco dei beni dal patrimonio sociale.
2.2. Con il secondo motivo, è dedotta la mancanza di motivazione in merito alla pericolosità della condotta distrattiva contestata alla ricorrente: la Corte d appello, omettendo di prendere in considerazione il verbale assembleare, non ha spiegato se l’appropriazione della COGNOME abbia effettivamente messo in pericolo la consistenza del patrimonio sociale al momento della procedura fallimentare, e se potesse esserne consapevole, considerato che il trasferimento di somme dai
conti sociali a quello dell’amministratore era avvenuto due anni e mezzo prima del fallimento. Si deduce, inoltre, che non risultino valorizzati gli indici fraudolenza.
2.3. Il terzo motivo attinge lo scrutinio dell’elemento soggettivo: la Corte di appello non ha indicato elementi da cui trarre che la COGNOME fosse consapevole, al momento del pagamento della parcella, che essa portasse al depauperamento della società – considerata la provenienza “dei bonifici, non dal conto della società, ma da quello personale dell’amministratore – e che quei pagamenti fossero destinati a risorse e impieghi estranei alla attività. L’incasso non ha inciso, infatti, sull’eventuale depauperamento della società quanto su quello personale dell’amministratore.
Con il quarto motivo, ci si duole del vizio di motivazione in ordine alla deduzione dell’appellante volta alla derubricazione del fatto in bancarotta preferenziale, esclusa dalla Corte di appello sul rilievo che non vi fosse giustificazione al pagamento in favore dell’imputata di un importo superiore a quello di euro 15.000,00, di cui alla parcella del 13/04/2017, e in assenza di prova che la parte eccedente sia stata restituita. Invece, sostiene la difesa ricorrente, la Corte di appello non ha considerato quanto riferito dalla stessa imputata al P.M., che poi ha formulato il capo di imputazione sub 2.5., ovvero di avere restituito all’Avolio, suo datore di lavoro, la somma di euro 22.260,00.
Ha depositato motivi aggiunti il difensore del ricorrente, con pec del 26 maggio 2025.
Deduce violazione e/o erronea applicazione dell’art. 110 c.p., degli artt. 630, 1°comma, lett. a), 444, 516, 521 c.p.p., degli art. 3 e 24, 2°comma, Costituzione, in relazione all’art. 606 lett. b) c.p.p, evidenziando che i concorrente intraneus NOME COGNOME ha definito con patteggiamento il giudizio, previa riqualificazione, da parte del P.M., del fatto distrattivo bancarotta preferenziale. La riqualificazione del reato ascritto al concorrente intraneus incide sulla posizione processuale dell’ extraneus, odierna ricorrente, essendo le condotte rispettivamente ascritte strettamente tra loro collegate, cosicchè, all’esito della riqualificazione in bancarotta preferenziale anche del capo 2.2 dell’imputazione, collegato al capo 2.4 ascritto alla COGNOME, anche la ricorrente deve essere messa nelle condizioni di chiedere il patteggiamento, non essendo consentito che il concorrente intraneus risponda di bancarotta preferenziale e quello extraneus di bancarotta patrimoniale fraudolenta, stante l’unicità della condotta, in tal senso eccependo la violazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. Invoca i principi espressi dalla Corte Cost. con sentenza n. 206 del 05.07.2017, nel dichiarare incostituzionale l’art. 516 cod. proc. pen.
E’ stata depositata anche una memoria integrativa, con la quale si insiste nei motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sulla responsabilità.
1.La sentenza impugnata ha ritenuto ravvisabile il consapevole concorso della COGNOME nella condotta distrattiva dell’amministratore della società sul rilievo che la ricorrente fosse a conoscenza della situazione economico finanziaria della fallita e della esposizione debitoria, altresì indicando, quali ulteriori indici fraudolenza, gli importi esorbitanti ricevuti, rispetto all’attività di consulen svolta per la società, l’assenza di fatturazione (la fattura è stata emessa solo nel 2017 e per il minore importo di 15.000 euro), e la mancata restituzione degli importi superiori percepiti, peraltro, non dichiarati fiscalmente.
1.1. Nondimeno, ai fini della affermazione della responsabilità della ricorrente, quale concorrente extraneus nella condotta propria dell’amministratore, è necessario chiarire gli elementi sulla base dei quali, più che essere a conoscenza della situazione finanziaria della società, la COGNOME potesse essere considerata consapevole dell’intento distrattivo perseguito dalla società per il tramite dell’amministratore, peraltro, mediante condotte risalenti ad alcuni anni prima del fallimento: occorre chiarire, cioè, le ragioni per le quali la COGNOME sarebbe stata consapevole – avendo sostanzialmente raggiunto un accordo con l’amministratore – che le somme a lei versate dal conto corrente di quest’ultimo fossero in realtà quelle precedentemente distratte dal conto corrente della società, tanto più che si trattava di somme in parte a lei spettanti, quale compenso per l’attività di consulenza svolta in favore della società.
1.2. D’altronde, è opportuno precisare, con riferimento alla bancarotta prefallimentare distrattiva, che, secondo l’esegesi più aderente a una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, tale delitto resta integrato non già dalla sottrazione di ricchezza tout court, ma solo laddove venga distratta quella concretamente idonea a recare danno alle pretese dei creditori, e cioè a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale dei crediti verso l’impresa. Non vi è dubbio, infatti, che la Corte di cassazione disegni attualmente il paradigma tipologico del delitto previsto dall’art. 216, comma primo, n. 1, prima parte, L. fall., secondo lo schema del reato di pericolo concreto, con particolare riguardo – per quel che interessa alla presente analisi – alla condotta dell’imprenditore che abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato, in tutto o in parte i suoi beni (per tutte, cfr. Sez. 5, n. 17819 del 24/3/2017 COGNOME, Rv. 269562 e Sez. 5, n. 38396 del 23/6/2017, COGNOME, Rv. 270763; in tema di bancarotta fraudolenta dissipativa cfr. Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269019), richiedendosi che la valutazione del pericolo
sia condotta con giudizio ex ante (ancorchè al momento della declaratoria dello stato di insolvenza), e in riferimento agli atti depauperativi compiuti nella cd. zona di rischio penale (cfr. Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879, in motivazione, e Sez. 5, n. 18517 del 22/2/2018, Lapis, Rv. 273073), e alla qualità oggettiva della distrazione, ancorchè realizzata in un tempo lontano dal fallimento, se particolarmente condizionante in negativo per le sorti future della società.(Sez. 5 n. 28941 del 14/02/2024,Rv. 287059).
Dunque, il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare è un reato di pericolo concreto, in cui l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare. Il pericolo previsto dalla bancarotta pre-fallimentare – che è anche l’evento giuridico del reato, come ribadito da Sez. u. n. 21039 del 2011, Loy – non può che essere correlato alla idoneità dell’atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia dei creditori in caso di apertura di procedura concorsuale – non, dunque, come singoli, ma come categoria- , con una analisi che deve riguardare in primo luogo l’elemento oggettivo, per investire poi in modo omogeneo l’elemento soggettivo e che certamente deve poggiare su criteri “ex ante”, in relazione alle caratteristiche complessive dell’atto stesso e della situazione finanziaria della società, laddove l'”anteriorità” di regola è tale relativamente al momento della azione tipica, senza però che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione, fino all’epoca che precede l’atto di apertura della procedura e senza, comunque, che possano acquisire rilevanza, nella prospettiva che qui interessa, fattori non imputabili, come un tracollo economico.
In effetti, tutta la prospettiva di tutela penale del delitto di bancaro fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare ruota intorno ai creditori: è integrativa del reato non già la sottrazione di ricchezza tout court, ma solo quella concretamente idonea a recare danno alle pretese dei creditori, e cioè a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale dei crediti verso l’impresa. Anche analizzando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, si ritrova diffusamente l’affermazione che indica la fattispecie di bancarotta, nel disegno normativo congegnato dalla legge fallimentare, come reato posto a tutela dell’integrità del patrimonio della società in decozione, nella sua peculiare funzione di garanzia dei creditori (In motivazione, Sez. Un Sez. n. 21039 del 27/01/2011 Cc. (dep. 26/05/2011 ). Loy; Sez. U, n. 24468 del 26/2/2009, Rizzoli; Sez. U, n. 22474 del 31/3/2016, COGNOME).
Tale ricostruzione non è mutata neppure per il legislatore del Codice della crisi d’impresa, che ha riproposto il consueto schema tipico della disposizione dell’art. 216, comma primo, n. 1, I. fall. nella fattispecie dell’art. 322, comma
primo, lett. a) del Codice introdotto dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, sostituendo il lessico di riferimento per l’autore della condotta: non più “il fallit ma l’imprenditore “dichiarato in liquidazione giudiziale” (per l’affermazione di piena continuità normativa tra le due previsioni, stante l’identità della formulazione delle norme incriminatrici, al netto di aggiornamenti lessicali non rilevanti in sede penale, cfr. Sez. 5, n. 33810 del 26/5/2023, Rizzo, Rv. 285107).
Nel rinnovato giudizio di merito, dovrà, dunque, essere accertata, con giudizio ex ante, la effettiva messa in pericolo della garanzia dei creditori, e che essa sia psicologicamente riferibile alla ricorrente.
Deve, inoltre, essere rimarcato, quanto al tema del dolo del concorrente estraneo, che, in linea con la più recente giurisprudenza di legittimità, si ritiene sufficiente la consapevolezza di contribuire alla riduzione della consistenza patrimoniale dell’impresa, mentre la necessità che l’extraneus debba anche essere a conoscenza dello stato di decozione della società, pure affermata da un indirizzo giurisprudenziale risalente di questa Corte (Sez. 5, n. 41333 del 27/10/2006 -dep. 18/12/2006, Rv. 235766), è stata ridimensionata dall’orientamento successivo, secondo il quale il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010 – dep. 29/04/2010, Rv. 246879 ; conf. Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016 Rv. 267059 – 01; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017 Rv. 271123 – 01). Siffatta interpretazione è la diretta conseguenza del consolidato orientamento di legittimità – che ha ricevuto l’autorevole avallo delle Sezioni Unite – secondo cui il dolo della bancarotta fraudolenta patrimoniale è generico, e per la sua sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo, pertanto, sufficiente che la condotta di colui che pone in essere l’attività distrattiva, o vi concorre, sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, perché minano, depauperandolo, il patrimonio sociale e la correlata garanzia, senza che sia necessaria l’intenzione di causare tale danno. (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME e altro, Rv. 266805). E’ sufficiente, cioè, la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il richiamato e condiviso orientamento giurisprudenziale in tema di elemento soggettivo del concorrente extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, trae, dunque, le conseguenze dalla ritenuta estraneità del dissesto, in quanto elemento non qualificabile come costitutivo del reato di bancarotta
patrimoniale, all’oggetto del dolo caratteristico di detto reato, per dedurne che non vi siano ragioni, in aderenza alle regole generali sul concorso di persone nel reato, perché a tale oggetto debba essere attribuito contenuto diverso e più ampio, per la posizione del concorrente estraneo, rispetto a quello che è richiesto all’intraneus. Risulterebbe assai singolare pretendere che la configurabilità del concorso dell’extraneus, in un reato alla cui struttura lo stato di dissesto al momento della consumazione della condotta è estraneo, dipenda dalla sua consapevolezza dello stesso. Ciò equivarrebbe, infatti, a sostenere che il concorso esterno nella bancarotta patrimoniale potrebbe sussistere esclusivamente nell’ipotesi in cui il dissesto dell’impresa è già conclamato, ma si tratterebbe di affermazione che non ha alcuna coerenza con i dati normativi di riferimento. (Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017 , Rv. 271837).
Il Collegio condivide l’affermazione, rinvenibile nella giurisprudenza di questa Sezione (Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, non massimata sul punto), che riconduce al terreno probatorio la rilevanza dello stato di decozione da parte dell’extraneus, allorché afferma che “qualora l’impresa depauperata dalla distrazione versi in stato di decozione, la consapevolezza di tale stato costituisca un indice inequivocabile del dolo del concorrente, che a tale distrazione abbia prestato il proprio contributo, giacché tale consapevolezza contiene inevitabilmente (e senza necessità di prova ulteriore) la rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori. Ciò, peraltro, no significa che, in situazioni in cui il dissesto o anche il solo disequilibrio economico dell’impresa non si sia ancora palesato, le circostanze del fatto alle quali il soggetto concorre non possano rivelarne la natura effettivamente distrattiva nel senso illustrato in precedenza” (Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, Rv. 271123, anche per una diffusa ricostruzione dell’indirizzo qui condiviso).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, non può ritenersi sufficiente, ai fini dell’affermazione della responsabilità della COGNOME, quale concorrente extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva, la mera consapevolezza dello stato di dissesto in cui versava la società (consapevolezza che, paradossalmente, non si richiede invece all’amministratore), giacchè, per ascrivere all’odierna imputata la condotta di concorrente esterno nel reato proprio dell’amministratore di bancarotta fraudolenta patrimoniale, occorre prendere atto di un suo apporto causale e volontario ad una condotta effettivamente depauperativa del patrimonio sociale, secondo il parametro probatorio sopra ricordato.
Di tanto dovrà farsi carico la Corte di appello nel rinnovato giudizio di merito, altresì, confrontandosi con la circostanza che l’amministratore della società, concorrente intraneus, ha definito la propria posizione sulla base di una riqualificazione giuridica del fatto in termini di bancarotta preferenziale, con inevitabili ricadute anche sulla fattispecie contestata alla concorrente esterna nel
delitto, atteso che, come è noto, ‘il concorso esterno nel medesimo reato si riferisce alla situazione in cui un soggetto, pur non partecipando direttamente
all’esecuzione del reato, fornisce un contributo causale e consapevole rilevante alla sua commissione, agevolandola o rafforzandone il proposito criminoso. Il
reato al quale fornisce il proprio contributo non può che essere lo stesso ascritto al concorrente
intraneus.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Trento.
Il Presidente
NOME COGNOME
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