Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21866 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21866 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MOIANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo Iiinammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Napoli ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale di Santa Maria C.V. – che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole, in concorso con il legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita cori sentenza del 27 giugno 2012, di bancarotta fraudolenta distrattiva contestata al capo c) -rideterminando la durata delle pene accessorie fallimentari, commisurate alla pena principale.
2.Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore avvocato NOME AVV_NOTAIO, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, lamenta il vizio di motivazione in merito al ruolo attribuito al COGNOME, sostanzialmente denunciando un difetto di correlazione tra contestazione e sentenza, idoneo a ledere il diritto di difesa dell’imputato, dal momento che, mentre il Giudice di primo grado aveva considerato l’imputato quale amministratore di fatto della società fallita, la Corte di appello ha confermato la condanna quale concorrente esterno nel delitto proprio del legale rappresentante della società.
2.2. Il secondo motivo attinge l’elemento soggettivo, posto che la sentenza emessa nei confronti del legale rappresentante della società (COGNOME) non possa rivestire alcun valore probatorio a carico del ricorrente, atteso che il COGNOME è deceduto e il processo a suo carico si è, pertanto, estinto, si deduce che la Corte di appello ha fatto riferimento, ai fini della affermazione di responsabilità, alle condotte distrattive di cui al capo B), non contestate al COGNOME che, pertanto, ha visto violato il suo diritto di difesa, tanto più che, nel giudizio, sarebbe emerso come la fallita fosse in bonis nel periodo di amministrazione COGNOME. Del tutto infondate sarebbero le affermazioni della Corte di appello circa l’insussistenza del credito del COGNOME nei confronti della società fallita, invero, giudizialmente accertato, come da sentenza depositata in atti.
2.3. Violazione dell’art. 133 cod. pen. è denunciata con il terzo motivo, e soprattutto ci si duole che sia stata individuata la medesima pena base per il ricorrente e per AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che rispondeva anche di altri delitti.
2.4. L’ultimo motivo denuncia inosservanza dell’art. 62 bis per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante elementi positivamente apprezzabili costituiti dallo stato di incensurate dell’atteggiamento collaborativo tenuto sia con la curatela che nel processo penale.
Il difensore del ricorrente ha depositato conclusioni scritte con le quali, premessa la ammissibilità del ricorso, insiste nella denunciata contraddittorietà
della sentenza impugnata quanto al ruolo dell’imputato, e negli altri motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1.Non coglie nel segno il primo motivo, in merito alla coincidenza delle ricostruzioni sviluppate dai due giudici di merito quanto al ruolo attribuito al COGNOME, da amministratore di fatto a concorrente esterno, prospettandosi un difetto di correlazione tra contestazione e sentenza, idoneo a ledere il diritto di difesa dell’imputato.
1.1. La sentenza impugnata ( emessa nel giudizio abbreviato’) si sottrae alle censure difensive, in primo luogo, perché, in realtà, non si riscontra la dedotta divergenza nella ricostruzione del ruolo del COGNOME.
Nell’ambito fattuale delineato dalla contestazione, la posizione del ricorrente è stata correttamente individuata quale extraneus, beneficiario dell’operazione ritenuta distrattiva di cui al capo c) (del tutto priva di causa giustilicativa e attuata in frode ai creditori), tuttavia, rimarcando, anche la Corte di appello, come già aveva fatto il primo giudice, come egli fosse risultato ben inserito nelle vicende societarie anche in epoca successiva alla dismissione delle quote, cedute al coimputato, essendo stato amministratore unico e socio della fallita ( cfr. pg . 6 della sentenza impugnata).
1.2. Giova anche evidenziare come la decisione impugnata risulti allineata all’orientamento di legittimità, secondo cui non ricorre la violazione della art. 521 cod. proc. pen. – neppure alla luce dell’art. 111 cost. e dell’art. 6 CEDU come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale ( sentenza 11/12/2007, Drassich c/Italia ) – quando la riqualificazione del reato risulti uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile (Sez. 5, n. 48677 del 06/06/2014, Rv. 261356).
Nel caso di specie, detta prevedibilità è assicurata, poiché, ferma la contestazione del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, ovvero ferma l’azione distrattiva ascritta, la Corte di Appello non ha operato alcuna modifica della qualifica soggettiva, in ordine alla quale l’imputato è chiamato a rispondere, risultando dalla contestazione formale, il riferimento proprio al ruolo di concorrente esterno, come ritenuto dalla sentenza impugnata.
Stando alla prospettazione difensiva, sarebbe stato il Tribunale a incorrere nella denunciata violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., in merito al ruolo di amministratore di fatto del COGNOME, ma di ciò l’appellante non s è affatto doluto,
ciò COGNOME che COGNOME rende COGNOME inammissibile COGNOME il COGNOME motivo COGNOME per NOME tardività COGNOME ( Sez. 6, n. 10094 del 22/02/2005, Rv. 231833 — 01).
In ogni caso, ciò che verrebbe in rilievo è solo una diversa modalità di partecipazione alla condotta criminosa e non differenti ipotesi criminose.
Invero, in tema di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, si afferma, da tempo, che il fatto di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. va definito come l’accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive e oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione fra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica, sicchè la violazione del principio postula una modificazione – nei suoi elementi essenziali del fatto, inteso come episodio della vita umana’ originariamente contestato. (Sez. 1, n. 13408 del 14/02/2008 Rv. 239903 ). Ne consegue che, per aversi “mutamento del fatto”, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, che non consenta di rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta, riscontrandosi invece un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa a fronte del quale si verifica un reale pregiudizio dei diritti della difesa. (Sez. 3, n. 10948 del 22/09/1992 Rv. 192190; Sez. 3, n. 7552 del 0:2/06/1994 Rv. 199505 ; Sez. 2, n. 45993 del 16/10/2007 Rv. 239320). In sostanza, ai fini della sussistenza di detta violazione non è sufficiente qualsiasi modificazione dell’accusa originaria, ma è necessaria una modifica che pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato.
La violazione dell’art. 521 cod. proc. perL non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni. (Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018 Rv. 273204 ).
1.3. Nel caso di specie, l’imputato ha ricevuto integrale contestazione dell’addebito formulato nei suoi confronti, costituito dall’avere concorso nella distrazione del terreno in suo favore, prestandosi a ricevere il cespite della fallita, asseritamente a titolo di compenso per l’attività asseritamente svolta nell’interesse della società, e avendo esercitato con pienezza, con riferimento agli stessi, i suoi diritti difensivi. La decisione della Corte di Appello si sottrae, dunque, alle censure difensive, anche con riferimento all’orientamento di legittimità a tenore del quale l’osservanza del contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica
dei fatti di cui l’imputato è chiamato a rispondere – da intendersi alla luce della regola declinata dalla Corte EDU in tema di garanzia del contraddittorio anche con riferimento alla diversa definizione del fatto operata dal giudice ex officio – è assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza e senza preventiva interlocuzione sul punto, poiché l’imputato può comunque esercitare pienamente il diritto di difesa proponendo impugnazione in appello (Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012 Rv. 254135; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012 Ud. (dep. 19/02/2013 ) Rv. 254648). Purchè, si è precisato, sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione. (Sez. 6, n. 7195 del 08/02/2013 Rv. 254720). Tutte condizioni che, nel caso di specie, per quanto sopra osservato, paiono pienamente rispettate. Analoga regola è stata espressa anche per il caso in cui la riqualificazione avvenga in secondo grado, poiché in tal caso la garanzia del contraddittorio risulta assicurata dal fatto che l’interlocuzione dell’imputato sulla nuova qualificazione giuridica può avvenire mediante il ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 17782 del 11/04/2014 Rv. 25956).
1.4.Del resto, nell’ottica di tali coordinate ermeneutiche, il tema posto dal primo motivo è stato ripetutamente affrontato nella giurisprudenza di legittimità con specifico riguardo ai reati di bancarotta, essendosi esclusa la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), nel caso in cui sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascritta. (Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014 (dep. 2015 ) Rv. 264073; conf. Sez. 5 n. 36155 del 30/04/2019 Rv. 276779, che analogamente ha escluso la violazione del principio di correlazione tra il reato contestato e quello ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), in riferimento alla decisione con la quale un soggetto venga condannato per bancarotta fraudolenta nella qualità di socio amministratore di fatto, anziché quale amministratore unico di diritto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascrittagli).
Parimenti infondato il secondo motivo, incentrato sull’elemento soggettivo. Sulla scorta dei richiamati elementi fattuali, la Corte di appello ha ricostruito, attraverso un ragionamento logico – inferenziale che non lascia residuare
ragionevoli dubbi, l’elemento soggettivo del reato in capo al ricorrente, ovvero la sua piena consapevolezza in merito alla natura distrattiva dell’operazione, alla quale si prestò e della quale beneficiò – in ciò venendo integrato il suo contributo causale all’operazione depauperativa – in ragione del suo inserimento nelle vicende societarie nonché in considerazione dell’assenza di indicazioni della posizione creditoria dell’imputato nei confronti della società, non riscontrabile nella documentazione contabile consegnata al COGNOME. Come affermato dai giudici di merito, infatti, dall’analisi dei bilanci depositati fino a epoca coeva alla cessione delle cariche sociali da parte del COGNOME, non emergevano né utili da distribuire, né spese anticipate dai soci, con ciò risultando sconfessata la ragione giustificativa del trasferimento del terreno addotta dalla difesa.
2.1. La Corte di appello ha, dunque, condotto correttamente lo scrutinio dell’elemento soggettivo proprio del concorrente esterno, secondo le coordinate delineate dalla giurisprudenza che, al fine della configurabilità del concorso dell'”extraneus” nello specifico delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione (art. 216 L. fall.), richiede la consapevolezza del percettore della somma – versata dall’imprenditore, successivamente dichiarato fallito – della sottrazione della stessa alla garanzia patrimoniale dei creditori, non anche la conoscenza dello stato di decozione ( che, peraltro, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha anche ravvisato, cfr. pg . 6). La Corte di appello, facendo leva sull’inserimento dell’imputato nelle vicende societarie anche successivamente alla dismissione delle sue cariche, ha fornito un rigoroso riscontro argomentativo a dimostrazione del contenuto rappresentativo dell’elemento psicologico, focalizzato sul depauperamento delle ragioni creditorie, anche se non qualificato da una specifica volontà di cagionare danno ai creditori dell’imprenditore. La motivazione è congruamente resa rispetto ai dati di fatto acquisiti nel giudizio, e immune da vizi logici o manifeste contraddittorietà, e la sentenza, con argomenti esenti da violazione di legge e vizio di motivazione, ha ravvisato la sussistenza del dolo del concorrente estraneo ritenendo a tale scopo sufficiente, in linea con la più recente giurisprudenza di legittimità, la consapevolezza di contribuire alla riduzione della consistenza patrimoniale dell’impresa, mentre la necessità, sostenuta in ricorso, che l’extraneus debba anche essere a conoscenza dello stato di decozione della società, pure affermata da un indirizzo giurisprudenziale risalente di questa Corte (Cass. Sez. 5, n. 41333 del 27/10/2006 -deo. 18/12/2006, Tisi e altro, Rv. 235766), è stata ridimensionata dall’orientamento successivo, secondo il quale il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (Sez. 5, n. 16579 del 24/0:3/2010 – dep. 29/04/2010, COGNOME e altro, Rv. 246879 ; conf. Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016 Rv. 267059 – 01; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017 Rv. 271123 – 01).
Siffatta interpretazione è la diretta conseguenza del consolidato orientamento di legittimità secondo cui il dolo della bancarotta fraudolenta patrimoniale è generico, e per la sua sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo, pertanto, sufficiente che la condotta di colui che pone in essere l’attività distrattiva, o vi concorre, sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo (ex multis Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014 – dep. 11/12/2014, COGNOME, Rv. 261739). E’ sufficiente, cioè, la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME e altro, Rv. 266805; Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, COGNOME, Rv. 261348; Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016, COGNOME e altri, Rv. 267059; Sez. 5, n. 41055 del 04/07/2014, Crosta, Rv. 260932; Sez. 5, n. 11624 del 08/02/2012, COGNOME e altro, Rv. 252315; Sez. 5, n. 1706 del 12/11/2013 -, COGNOME.COGNOME., COGNOME e altro, Rv. 258950; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, COGNOME e altro, Rv. 246879; Sez. 5, n. 9299 del 13/01/2009, COGNOME Longostrevi, Rv. 243162). Invero, il tratto saliente della nozione di “distrazione fraudolenta” in sé comporta la consapevole ed ingiustificata esposizione a repentaglio delle ragioni dei creditori, sicchè, una volta chiarita l’estraneità del dissesto all’oggetto del dolo caratteristico di detto reato, non vi sono ragioni, in aderenza alle regole generali sul concorso di persone nel reato, perché a tale oggetto debba essere attribuito contenuto diverso e più ampio, per la posizione del concorrente estraneo, rispetto a quello che è richiesto all’amministratore della società. Ed in tal senso è una reiterata affermazione giurisprudenziale, per la quale il dolo dell’extraneus si risolve nella consapevolezza di concorrere nella sottrazione dei beni alla funzione di garanzie delle ragioni dei creditori per scopi diversi da quelli inerenti all’attività di impresa, immediatamente percepibile dal concorrente esterno, così come dall’imprenditore con il quale lo stesso concorre, come produttivo del pericolo per l’effettività di tale garanzia nell’eventualità di una procedura concorsuale, a prescindere dalla conoscenza della Corte di Cassazione – copia non ufficiale
condizione di insolvenza. (Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, COGNOME e altri,)…D’altra parte, risulterebbe assai singolare pretendere che a configurabilità del concorso dell’extraneus in un reato alla cui struttura lo stato di dissesto al momento della consumazione della condotta è estraneo, dipenda dalla sua consapevolezza dello stesso. Ciò equivarrebbe, infatti, a sostenere che il concorso esterno nella bancarotta patrimoniale potrebbe sussistere esclusivamente nell’ipotesi in cui il dissesto dell’impresa è già conclamato, ma si tratterebbe di affermazione che non ha alcuna coerenza con i dati normativi di riferimento. (Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017 , Rv. 271837)
Ergo, per ascrivere all’odierno imputato la condotta di concorrente esterno nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è sufficiente prendere atto di un suo apporto causale e volontario ad una condotta comunque depauperativa del patrimonio sociale, in tal senso sovvenendo la ricostruzione operata dai giudici di merito, che, in maniera logica e giuridicamente corretta, hanno ritenuto ingiustificato il comportamento del ricorrente, alla luce delle prove sinergicamente esaminate e congruamente apprezzate, con esauriente riferimento agli elementi da cui desumere la piena consapevolezza delle descritte operazioni.
Le censure volte al trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondate.
3.1. Quanto alla individuazione della pena base, e alla asserita disparità di trattamento rispetto al coimputato, posto che la sentenza impugnata ha confermato il trattamento sanzionatorio del primo giudice ( solo adeguando la durate delle pene accessorie al dictum della sentenza della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018), rileva che la doglianza viene, inammissibilmente, formulata per la prima volta nel giudizio di legittimità, non essendovi traccia di analoga censura nell’atto di appello. Va, dunque, ribadito l’orientamento costante di questa Corte ( Sez. 1 n. 2176 del 20/12/1993, Rv. 196414; Sez. U. n. del 30/06/1999 , Rv. 213981; Sez. 2 n. 40240 del 22/11/2006, Rv. 235504;) secondo cui la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa qi ammissibilità originaria dell’impugnazione, non potendo essere dedotte, con il ricorso per cassazione, questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, sent. n. 28514 del 23/04/2013, Rv. 255577).
3.2. Non miglior sorte riceve la doglianza incentrata sul diniego delle circostanze attenuanti generiche, dal momento che la Corte di appello ha specificamente argomentato, rilevando la assenza di elementi positivamente apprezzabili,
l’omessa concessione delle attenuanti generiche, apprezzamento che, come è noto, è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il quale è tenuto a motivare la propria scelta nei soli limiti atti a far emergere l’avvenuto scrutinio circa l’adeguatezza della pena in concreto inflitta alla reale gravità del reato e alla personalità dell’imputato (v. tra le tante Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, COGNOME, Rv. 248737- 01; Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, COGNOME, Rv. 23059101). ). L’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta. (Sez.1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv.195339; Sez.6, n.42688 del 24/09/2008, Rv.242419; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, COGNOME ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014,Rv.260610). Pertanto, il giudice di merito può escludere la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24.09.2008, COGNOME; conf. sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 COGNOME), essendosi limitato a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.pen., quello che ritiene prevalente, e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 2 – , n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 27954902) P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Così deciso il 03 aprile 2024 consigliere estensore