Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1496 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1496 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Peschiera del Garda il 07/06/1960
avverso l’ordinanza 12/07/2023 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME difensori de ricorrente, che hanno concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 7 giugno 2023 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva
disposto l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari confronti di NOME COGNOME sottoposto ad indagini in relazione al reato di agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., per avere – in Veneto, in provincia di Cro e in altri luoghi del territorio nazionale, dal 2011 con condotta all’attual qualità di imprenditore, pur senza essere inserito stabilmente nella strut organizzativa del sodalizio, concorso nell’attuazione delle fina dell’associazione per delinquere di tipo lidraghetistico, denominata ” papaniciari” e ‘locale di Cutro”, fornendo un concreto, specifico, consapevole volontario contributo ai componenti di quel gruppo criminale, agevolandone le attività e ottenendo “protezione” e appoggi per la sua attività imprenditorial particolare, per avere intrattenuto continui rapporti con gli esponenti apica quel sodalizio di stampo mafioso, in specie con NOME COGNOME e NOME COGNOME, mettendo a disposizione le proprie aziende per organizzare truffe finanziar telematiche, per effettuare operazioni di falsa fatturazione e per consenti reinvestimento dei proventi delle attività delittuose; fungendo da raccordo t Megna e imprenditori veneti; ottenendo la protezione dei componenti di quella associazione, come nel caso dell’acquisto di un terreno in Svezia o in quello d riscossione di un credito vantato verso altro imprenditore; agevolando le attiv degli affiliati a quel sodalizio per espandere l’influenza e il condizionamen attività economiche in regioni del Nord Italia (capo d’imputazione provvisor 48).
Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso NOME COGNOME con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125, 192, 273 e 546 cod. p pen., 110 e 416-bis cod. pen., e vizio di motivazione, per assenza, illogic contraddittorietà, per avere il Tribunale del riesame erroneamente confermat l’ordinanza genetica della misura, omettendo di considerare le deduzion difensive, senza considerare che gli elementi di conoscenza non permettevano di ritenere sussistenti i gravi indizi con riferimento alla contestata ipo concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare, difetta n motivazione del provvedimento gravato una descrizione di fatti riguardanti u addebito che “copre” un arco temporale di dodici anni; l’indicazione d contributo che il NOME avrebbe dato alla consorteria e la controprestazi ottenuta; la precisazione degli elementi indiziari da cui desumere l’esistenza dolo necessario per “sostenere” una fattispecie di reato proseguita per l’in arco temporale dell’addebito.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125, 192, 273 e 546 cod. p pen., e vizio di motivazione, per avere il Tribunale di Catanz
ingiustificatamente desunto i gravi indizi di colpevolezza dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, i quali avevano riferito fatti e circostanza no sovrapponibili nei loro tratti essenziali e non avevano offerto alcuna indicazione in ordine al ruolo e al contributo fornito dal COGNOME a quella associazione per delinquere, avendo i propalanti parlato genericamente del COGNOME come di “soggetto in affari con quei circuiti mafiosi”. In dettaglio, il collaborato NOME COGNOME aveva riferito circostanze rimaste priva di alcun serio riscontro estrinseco, tenuto conto che tale non poteva ritenersi l’esito di un “neutro” controllo di polizia e che la difesa aveva giustificato le ragioni della trasferta, ne 2014, in Calabria del Prospero ed aveva segnalato che questi era stato mandato assolto dall’imputazione di aver concorso nella realizzazione di operazioni con false fatture; i collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano offerto indicazioni dal tenore vago e indeterminato, in parte riguardanti anche notizie apprese de relato; i collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano reso deposizioni altrettanto generiche (il secondo senza neppure menzionare il prenome del Prospero), senza chiarire le modalità del contributo dato dal Prospero e senza precisare, in specie in relazione ai lavori eseguiti in un villaggio turistico per la realizzazione di una sala giochi, come talune relazioni tra imprenditori avessero avuto una efficacia causale rispetto all’ipotesi delittuosa oggetto di indagine.
2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125, 192, 273 e 546 cod. proc. pen., 40, 110 e 416-bis cod. pen., e vizio di motivazione, per avere il Collegio del riesame confermato la esistenza dei gravi indizi di colpevolezza sotto il profilo oggettivo, impropriamente ricostruendo il contributo fornito dall’indagato “alla stregua della logica prognostica dell’aumento del rischio”: laddove le emergenze procedimentali avevano confermato che il Prospero aveva agito al solo scopo di conseguire un profitto personale, non essendo stato provato l’asserito accordo iniziale del 2011, né la commissione di specifici illeciti da parte del prevenuto o un reale vantaggio in quegli anni conseguito dall’associazione `ndranghetistica. Ciò anche considerato che talune conversazioni intercettate non contengono alcun riferimento diretto al COGNOME; che altri colloqui captati presentano richiami a vicende non meglio delineate ed alcuni richiami a non meglio precisate volontà di tenere certe condotte; che al COGNOME non è stato mai contestata alcuna ipotesi di riciclaggio o di commercializzazione di stupefacenti, ma a lui sono stati riferiti meri dati di sospetto o generici o congetturali aspetti d “stranezza”.
2.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125, 192, 273 e 546 cod. proc. pen., 42, 43, 110 e 416-bis cod. pen., e vizio di motivazione, per avere il Tribunale catanzarese confermato la sussistenza delle condizioni per
l’applicazione della misura prospettando l’elemento psicologico del reato, contestato in termini di mera “assicurazione di vantaggi” alla consorteria criminale, in ragione dei rapporti intrattenuti dal COGNOME con i presunti vertici di quel sodalizio, ovvero più genericamente in termini di mera accettazione del rischio del verificarsi dell’evento.
2.5. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., 110 e 416-bis cod. pen., e vizio di motivazione, per avere il Tribunale del riesame, con mere formule di stile, riconosciuto l’applicabilità dell’art. 274 cod. proc. pen., benché vi siano elementi dimostrativi della assenza di concreti e attuali pericoli di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato: l’ordinanza gravata, dunque, non poteva limitarsi a prospettare “la generica sussistenza di occasioni prossime favorevoli alla protrazione della condotta criminosa”, ma doveva chiarire da quali indizi fosse desumibile un rischio di recidiva per un soggetto chiamato a rispondere di condotte fermatesi, al più, al maggio 2019; e quali fossero le prove la cui genuinità o acquisizione poteva dirsi messa a rischio dall’indagato, aspetto questo in ordine al quale difetta del tutto la motivazione.
Con memoria del 6 dicembre 2023 i difensori del ricorrente hanno formulato un motivo nuovo, evidenziando come, in relazione al capo d’imputazione provvisorio 48), il Tribunale del riesame di Catanzaro abbia annullato il sequestro della somma di denaro rinvenuta rinvenute nella disponibilità del NOME, ragionevolmente ritenendo che la stessa potesse essere considerata provento dello sfruttamento delle “aderenze mafiose” di cui il prevenuto avrebbe beneficiato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME vada rigettato.
I primi quattro motivi del ricorso – strettamente connessi tra loro e, perciò, esaminabili congiuntamente – non superano il vaglio preliminare di ammissibilità nella parte in cui sono stati prospettati, sotto diversi profili, vizi di motivazione.
È pacifico nella giurisprudenza di legittimità come il controllo dei provvedimenti di applicazione delle misure limitative della libertà personale sia diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato, nonché il valore sintomatico degli indizi medesimi. Controllo che non può comportare un coinvolgimento del giudizio ricostruttivo del
fatto e degli apprezzamenti del giudice di merito in ordine all’attendibilità delle fonti ed alla rilevanza e concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
Questa Corte ha, dunque, il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (si veda, ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Alla luce di tali regulae iuris, bisogna, dunque, riconoscere come, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano dato puntuale e logica contezza degli elementi indiziari sui quali si fonda il provvedimento cautelare, a tal fine valorizzando gli esiti delle investigazioni, da cui è stato possibile evincere come l’odierno ricorrente, nel periodo di riferimento, fosse stato parte di un prolungato e stabile rapporto sinallagmatico con le due cosche ‘ndranghetistiche operanti nel crotonese, tale da produrre vantaggi per entrambi. In particolare, il ricorrente era stato “interessato” dalle dichiarazioni rese da ben cinque collaboratori di giustizia, la cui attendibilità soggettiva era stata già saggiata in alt procedimenti penali per la loro intraneità all’organizzazione criminale in esame: i quali avevano riferito che fin dal 2014 NOME COGNOME aveva curato gli interessi della cosca COGNOME, per il tramite del capo clan NOME COGNOME, nelle regioni del Nord Italia, occupandosi della vendita di inerti e di operazioni di falsa fatturazione (così il collaboratore NOME COGNOME); che oltre a gestire affari economici con il clan COGNOME, il COGNOME si era interessato della vendita di inerti per conto e nell’interesse anche del clan ‘ndranghetistico Grande Aracri, ricevendo dagli affiliati di quei gruppi “protezione” per le sue attivit imprenditoriali riguardanti anche il settore delle false fatturazioni (così collaboratori NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME); e che il COGNOME, titolare di un villaggio turistico sul lago di Garda, aveva coinvolto NOME COGNOME, altro appartenente a quell’associazione criminale, nella realizzazione di una sala giochi all’interno di quella struttura ricettiva (così collaboratore NOME COGNOME, esponente di vertice della `ndrangheta in Emilia Romagna). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Deposizioni, sufficientemente coincidenti in relazione agli elementi essenziali delle vicende narrate, che avevano trovato significativi riscontri estrinseci nel contenuto delle intercettazioni di comunicazioni eseguite in vari procedimenti, di
cui significativamente non vi è riferimento nel ricorso oggi in esame; captazioni che avevano consentito di appurare che: a) nel novembre 2014 – cioè proprio nei giorni indicati dal collaboratore COGNOME – il COGNOME era stato fermato nei pressi di Catanzaro, mentre si trovava in auto con altri due soggetti del luogo, senza alcuna plausibile giustificazione; b) tra il marzo e il novembre 2012 il Femia era stato registrato nel mentre discuteva con NOME COGNOME a proposito del comune interesse alla realizzazione di una sala giochi-casinò all’interno del villaggio appartenente al Prospero; c) nel giugno 2016 il capo clan NOME COGNOME era stato ascoltato nel mentre commentava il fatto , che il COGNOME (che dal COGNOME veniva indicato come “un nostro amico”) aveva ricevuto somme di denaro dal COGNOME, il quale ne aveva preteso la restituzione; d) nell’agosto 2018 il COGNOME era stato intercettato nel mentre discuteva con il Prospero di ingenti investimenti di somme di denaro, transitate su vari conti esteri per non consentire di accertarne la provenienza, che imprenditori avrebbero effettuato nelle regioni del Nord Italia, operazioni della cui gestione il secondo si sarebbe dovuto occupare su incarico del primo; e) nello stesso periodo il NOME si stava occupando dell’acquisto di terreno in Svezia, operazione per la cui attuazione si era rivolto al COGNOME che, all’evidenza cointeressato, esplicitamente aveva comunicato all’imprenditore che “se una cosa (non la ottieni)… ci sarebbero volute altre maniere”; f) nel novembre 2018 il COGNOME aveva sollecitato l’intervento del COGNOME su un altro imprenditore, tal COGNOME, nei confronti del quale il primo vantava un credito; g) nel medesimo arco temporale il COGNOME aveva accettato di fare da “intermediario” con altro imprenditore, tal COGNOME, interessato ad aprire un grande supermercato in Calabria, operazione per la cui realizzazione il COGNOME aveva preteso che il COGNOME, in luogo del pagamento di un “pizzo” ogni mese (con il rischio di essere poi arrestati), dovesse assumere una “ventina di operai” da lui indicati; h) nel marzo 2019, in occasione del suo arresto in Veneto, il COGNOME aveva chiesto al COGNOME di indicargli un avvocato del luogo, e questi aveva poi versato l’anticipo richiesto da quel professionista; i) nell’agosto 2018 il COGNOME aveva colloquiato con il COGNOME promettendogli la consegna di qualcosa che, per il linguaggio volutamente criptico utilizzato (“…io ho portato cento… è buona… come l’altra volta.., l’altra volta non l’ho portat perché non mi piaceva l’odore… a quarantasette gli è uscita… lunedì arriva quella buona, buona… tutto quanto diecimila.., l’ho messa nelle patatine così non si sente l’odore… perché non te ne prendi un chilo…), era ragionevole ritenere trattarsi di sostanza stupefacente (v. pagg. 4-12 ord. impugn.; pagg. 304-320 ord. Gip) Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Da tanto il Collegio del riesame ha arguito, con un procedimento deduttivo nel quale non si è ravvisabile alcun vizio di manifesta illogicità, come l’odierno
ricorrente dovesse essere considerato, a livello indiziario, concorrente esterno di quella associazione criminale.
In tal modo, lungi dal proporre un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, il ricorso è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di valutazione, sollecitando una inammissibile rivalutazione del materiale d’indagine rispetto al quale è stata proposta un significativo alternativo rispetto a quello privilegiato dal Tribunale nell’ambito di un sistema motivazionale perspicuo e completo.
Valutazione, questa, che vale soprattutto in considerazione del fatto che gli elementi indiziari a carico del ricorrente sono stati desunti in gran parte dal contenuto delle conversazioni intercettate durante le indagini: materiale rispetto al quale si pone un mero problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, che è questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se – come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.
Contesto indiziario sul quale nessuna incidenza, sotto il profilo della tenuta logico-motivazionale può avere la decisione del Tribunale di Catanzaro sulla misura reale applicata nei riguardi del NOME, in quanto provvedimento di cui non si conoscono ancora le ragioni.
Le doglianze formulate, nei medesimi primi quattro motivi, in termini di violazione di legge sono infondate.
3.1. Escluso che, nel caso di specie, sia configurabile una motivazione del tutto assente o solo apparente (avendo il Tribunale di Catanzaro sviluppato un più che congruo apparato argomentativo a sostegno delle proprie determinazioni), la prospettata inosservanza di norme di diritto penale processuale riguarda, invero, criteri di giudizio probatorio che non si traduce ex se nella operatività di una delle sanzioni processuali previste dall’art. 606, comma 1, lett. c) dello stesso codice di rito: le doglianze difensive riguardano, infatti, la ricostruzione del fatt e non anche una reale mancanza della motivazione, sicché le relative questioni refluiscono nell’esame dei considerati vizi di motivazione.
3.2. Prive di pregio sono le censure relative alla inosservanza delle contestate disposizioni di diritto penale sostanziale.
La difesa del ricorrente ha, in pratica, denunciato la violazione degli artt. 110 e 416-bis cod. pen., così come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità in
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relazione all’ipotesi di reato del concorso esterno in associazione mafiosa attribuita ad un imprenditore.
Invero, la decisione del Tribunale del riesame si pone in linea con l’orientamento interpretativo espresso in materia da questa Corte di cassazione, che, in generale, ha chiarito che assume il ruolo di “concorrente esterno” di un’associazione di stampo mafioso il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo delraffectio societatis”, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671-01); e che, più in particolare, integra la fattispecie delittuosa in argomento la condotta dell’imprenditore che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e pur privo della “affectio societatis”, instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per l’imprenditore, nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l’organizzazione mafiosa, nell’ottenere risorse, servizi o utilità, anche in forma di corresponsione di una percentuale sui profitti percepiti dal concorrente esterno (così, ex multis, Sez. 1, n. 47054 del 16/11/2021, COGNOME, Rv. 282455; Sez. 5, n. 30133 del 05/06/2018, COGNOME, Rv. 273683; Sez. 6, n. 25261 del 19/04/2018, La Valle, Rv. 273390).
Né è possibile riconoscere nel caso di specie la lamentata erronea applicazione della norma incriminatrice oggetto di imputazione provvisoria, per il fatto che secondo la impostazione difensiva – le emergenze procedimentali avrebbero dimostrato al più l’esistenza di relazioni bilaterali del Prospero con singoli appartenenti al sodalizio criminale più volte richiamato. E ciò non solo perché gli accertamenti in fatto hanno permesso di appurare che l’odierno ricorrente aveva intrattenuto proficui e duraturi rapporti di cointeressenza economica e finanziaria con diversi esponenti delle due fazioni della considerata consorteria di stampo mafioso; ma anche perché le disposizioni incriminatrici in esame sono state applicate dai giudici di merito nel rispetto del principio di diritto fissato dal giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di associazione di stampo mafioso, affinché risulti integrato il concorso esterno, gli effetti delle condotte dell’agente risultano utili per l’intera associazione laddove – come nella fattispecie si è appurato essere avvenuto – esse si siano concretizzate in iniziative attuate d’intesa ed in stretta collaborazione anche con uno dei capi dell’associazione mafiosa ovvero con alcuni specifici rappresentanti di spicco della stessa, laddove si sia trattato di comportamenti stabilmente idonei a fornire un consistente contributo all’associazione, tenuti dall’interessato nella piena consapevolezza di recare aiuto all’intera organizzazione proprio per il fatto di
avere agito conoscendo il ruolo ricoperto dai beneficiari all’interno di quella organizzazione criminale (in questo senso, tra le molte, Sez. 2, n. 32076 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281959; Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 276831; Sez. 1, n. 21642 del 08/01/2016, COGNOME, Rv. 266886; Sez. 1, n. 54 del 11/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242577; Sez. 1, n. 1073 del 22/11/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235855).
Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
4.1. Il ricorrente si è limitato ad enunciare, pure in forma molto indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dal Tribunale del riesame, senza realmente specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi dell decisione, cioè, omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata: pronuncia con la quale, al di là della presunzione relativa operante ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. in ragione del titolo del reato contestato, erano stati analiticamente indicati gli elementi fattuali (connessi alla oggettiva gravità delle condotte tenute dall’indagato per un lungo lasso temporale, ed ancora fino alla metà del 2019, a stretto contatto con soggetti di indubbia caratura criminale appartenenti ad una pericolosa organizzazione di stampo mafioso tuttora attiva – v. pag. 12 ord. impugn.) idonei a dimostrare la sussistenza di un concreto e attuale pericolo che il ricorrente possa tornare a commettere in futuro gravi reati della stessa natura di quello per il quale si procede.
4.2. In presenza della riconosciuta legittimità della motivazione contenuta nella ordinanza impugnata nella parte riguardante la sussistenza del bisogno di cautela di cui alla lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen., lo specifico motivo ricorso attinente alla omessa motivazione in ordine al rischio cautelare della lett. a) dello stesso articolo, risulta inammissibile per carenza di interesse.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
<IR getta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Ft'