Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 28367 Anno 2025
Penale Sent. Sez. F Num. 28367 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Vico Equense (Na) il 4/12/1974 NOMECOGNOME nato a Castellammare di Stabia (Na) il 26/3/1965 NOME COGNOME nato a Torre Annunziata (Na) il 21/5/1974 NOME FrancescoCOGNOME nato a Torre Annunziata (Na) il 15/3/1966 NOMECOGNOME nato in Croazia il 7/4/1982
avverso la sentenza del 1°/7/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibili i ricorsi di COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME Francesco e COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso di NOME udite le conclusioni dei difensori dei ricorrenti, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME quest’ultimo anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 1°/7/2024, la Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia emessa il 2/11/2023 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, rideterminava nella misura del dispositivo le pene irrogate ad NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME confermando invece quella inflitta ad NOME COGNOME tutti imputati per reati di contrabbando – anche in forma associata – di cui al d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43.
Propongono ricorso per cassazione alcuni degli imputati, deducendo i seguenti motivi:
– COGNOME
Erronea applicazione della legge penale quanto alla misura della pena. La Corte di appello avrebbe rideterminato la sanzione in modo errato, applicando la reclusione pari a 2 anni, 3 mesi e 10 giorni, quale riduzione di 1/3 – per rito abbreviato – di quella pari a 3 anni e 3 mesi di reclusione. La riduzione applicata, pertanto, sarebbe inferiore alla misura di legge;
– Marino
Erronea applicazione della legge processuale in tema di concorso esterno nell’associazione ex art. 291-quater, d.P.R. n. 43 del 1973. Premessa un’ampia ricostruzione dell’istituto, nei suoi richiami giurisprudenziali più rilevanti, evidenzia che la sentenza avrebbe riconosciuto al Marino il ruolo di concorrente esterno in assenza di qualunque elemento, oggettivo e psicologico: in particolare, l’aver ricoperto il ruolo di accompagnatore/autista di Scannapieco, in alcune occasioni, rivestirebbe valenza del tutto neutra, non dando conto di alcuno specifico e concreto contributo ad eventuali attività illecite. Questo elemento, in uno con l’assenza di ogni coinvolgimento nei reati fine, escluso già in sede di riesame, renderebbe dunque viziata la motivazione della sentenza, basata quanto al concorso in esame – su asserzioni del tutto ingiustificate nei loro profili fattuali e psicologici; come confermato, del resto, dall’assenza di rapporti con altri soggetti coinvolti nell’associazione e dal mancato utilizzo, ad opera del ricorrente, di RAGIONE_SOCIALE;
violazione di legge penale quanto alla circostanza aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen. Premesso che questa Corte, con la sentenza n. 32949 del 5/7/2023, pronunciata in fase cautelare, avrebbe evidenziato la radicale assenza di elementi a fondamento dell’aggravante, si censura che la sentenza impugnata avrebbe concluso in termini opposti, senza adeguato argomento (pur a fronte di evidente overruling) ed in presenza degli stessi elementi già valutati dal Giudice di legittimità, privi di qualunque integrazione. La relativa motivazione, inoltre,
sarebbe contraddittoria, negando l’aggravante per i reati fine e riconoscendola per l’associazione.
– NOME COGNOME e NOME
Violazione dell’art. 191 cod. proc. pen. La Corte di appello, sia pur in un giudizio definito ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., avrebbe utilizzato chat criptate acquisite all’estero, mediante ordine di indagine europeo, senza allegare gli atti, relativi, tra l’altro, agli scambi informativi, alla procedura di acquisizio di trasmissione e di decrittazione dei flussi telematici, con evidente lesione del diritto di difesa (impossibilitata a verificare le corrette modalità procedurali) e, dunque, con inutilizzabilità rilevabile anche d’ufficio.
NOME
Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. La Corte di appello avrebbe determinato la pena, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., omettendo passaggi fondamentali per la determinazione della sanzione stessa, così da imporre l’annullamento della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME risulta manifestamente infondato.
L’imputato ha concordato la pena in appello, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., nella misura di 2 anni, 3 mesi e 10 giorni di reclusione; questa stessa pena è stata applicata in sentenza, dunque senza lesione alcuna.
4.1. Nella relativa motivazione, inoltre, non si riscontra la violazione di legge contestata, ma solo un irrilevante errore materiale di calcolo. La Corte di appello, fissata la pena base in 2 anni e 2 mesi di reclusione (capo A, con circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata), l’ha aumentata in continuazione con riguardo a molti capi, per complessivi 1 anno e 3 mesi di reclusione (2 mesi ciascuno per capi K, L, M, Q e 1 mese ciascuno per capi B, C, E, F, H, 3, I), così giungendo alla pena di 3 anni e 5 mesi di reclusione, erroneamente indicata (pag. 17) – per mero difetto di calcolo – come pari a 3 anni e 3 mesi; ebbene, la pena di 3 anni e 5 mesi di reclusione, quando ridotta di 1/3 per il rito abbreviato, è pari a 2 anni, 3 mesi e 10 giorni di reclusione, dunque esattamente quella irrogata in adesione al concordato in appello.
Il ricorso di Marino risulta manifestamente infondato.
5.1 Con riferimento al primo motivo, che contesta il giudizio di responsabilità per concorso esterno nell’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati estero, la Corte osserva che lo stesso è, dapprima, sviluppato in termini teorici, con un ampio richiamo alla giurisprudenza di legittimità in materia, quindi
in termini specifici, negando che l’istruttoria abbia confermato un concorso di tale natura, quanto al profilo oggettivo della condotta e a quello psicologico del dolo.
5.1.1. Entrambi gli argomenti sono del tutto infondati.
5.2. In particolare, la diffusa censura non si confronta affatto con le considerazioni spese dalla Corte di appello nel corpo della motivazione, prima per ribadire la legittimità dell’istituto del concorso esterno nelle fattispecie associative, anche non di tipo mafioso, poi per individuarne gli specifici riscontri nel caso in esame, proprio con riferimento al Marino.
5.3.1. La piena legittimità dell’istituto, pertanto, è stata affermata e ribadita a più riprese in sede di legittimità, con riguardo non solo alle consorterie di tipo mafioso, ma anche alle ordinarie ipotesi di associazione per delinquere, non distinguendosi – né giustificandosi in chiave logica – alcun profilo differenziale tra le due fattispecie (tra le molte, Sez. 5, n. 33874 del 5/7/2021, COGNOME, Rv. 281770; Sez. 2, n. 31541 del 30/5/2017, COGNOME, Rv. 2709465).
5.4. Tanto premesso in termini generali, e con caratteri ancora più ampi nella sentenza impugnata, la Corte di appello – come già il G.i.p. – ha poi individuato plurimi elementi a sostegno della fattispecie concorsuale esterna, in capo al Marino; alle pagg. 21 e 22, in particolare, sono stati richiamati numerosi esiti istruttori – peraltro mai contestati in sede di merito – dai quali è stat motivatamente tratto il ruolo del ricorrente non solo quale autista e uomo di fiducia
dello Scannapieco, ma anche quale soggetto perfettamente a conoscenza – e complice – dei traffici illeciti che coinvolgevano quest’ultimo, in ambito associativo (contesto, peraltro, che in sé non costituisce motivo di ricorso e che è stato adeguatamente descritto in entrambe le sentenze di merito, in forza di numerosi elementi in fatto). In particolare, la Corte ha evidenziato che l’aver accompagnato lo Scannapieco all’estero e in Italia, all’esclusivo fine di approvvigionarsi di tabacchi di contrabbando e di individuare nuovi canali di rifornimento, “dà ragione della configurazione di un contributo fattivo rilevante per l’operatività e la sopravvivenza dell’associazione di cui lo COGNOME è vertice e della cui illecita attività Marino è perfettamente consapevole, in forza della fiducia di cui gode presso il primo”.
Il motivo di ricorso in punto di responsabilità, pertanto, risulta manifestamente infondato.
5.6. Con riguardo, di seguito, alla seconda censura, che contesta il riconoscimento della circostanza aggravante della transnazionalità, di cui all’art. 61-bis cod. pen., la stessa risulta inammissibile: la questione, infatti, non era stata proposta con il gravame, non potendo, pertanto, essere sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione.
5.6.1. In senso contrario, peraltro, non può essere condivisa la tesi difensiva – sostenuta’ solo in udienza – secondo cui la proposizione del medesimo motivo da parte di altri imputati, in sede di appello, comporterebbe l’automatica estensione
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della questione anche al Marino, che pur aveva proposto un gravame privo di censure sul punto; al riguardo, basti qui osservare che nessun effetto estensivo può essere riconosciuto, ai sensi dell’art. 587, comma 1, cod. proc. pen., qualora il motivo in esame, ritualmente proposto, venga poi fatto oggetto di espressa rinuncia, così da non essere esaminato. Ebbene, considerato che tutti gli altri appellanti hanno rinunciato ai motivi di gravame, ad eccezione di quelli concernenti il trattamento sanzionatorio e le circostanze attenuanti generiche, ecco che ogni eventuale doglianza (da altri proposta) relativa all’art. 61-bis cod. pen. risulta espressamente rinunciata, con la conseguenza di precludere ogni eventuale ed ipotetico effetto estensivo in favore del Marino.
5.6.1.1. Opposto, peraltro, sarebbe invece l’esito della questione “a parti invertite”, ossia nel caso in cui il ricorrente avesse concordato la pena in appello e la circostanza aggravante in esame fosse stata esclusa in esito all’esame di altro appellante, che non avesse definito ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. (anche) sul punto: in tale ipotesi, infatti, troverebbe applicazione il principio di diritto in forza del quale l’effetto estensivo dell’impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione non esclusivamente personale (…), su cui la sentenza impugnata ha fondato il giudizio di responsabilità per i concorrenti in un medesimo reato, giova agli altri imputati che non hanno proposto ricorso, ivi compresi coloro che hanno concordato la pena in appello, o che hanno proposto un ricorso originariamente inammissibile, o ancora che al ricorso hanno successivamente rinunciato (Sez. U, n. 30347 del 12/7/2007, Aguneche, Rv. 236756; successivamente, tra le molte, Sez. 3, n. 55001 del 18/7/2018, Cante, Rv. 274213).
Il ricorso di Marino, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili.
6.1. La Corte osserva che l’unica censura proposta in questa sede concernente l’inutilizzabilità delle chat acquisite all’estero mediante ordine di indagine europeo – ha costituito, tra gli altri, un motivo di appello per entrambi i ricorrenti. Gli stessi, tuttavia, hanno successivamente optato per il concordato ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., rinunciando espressamente a tutti i motivi di gravame, ad eccezione – come già richiamato – di quelli relativi alle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio. La censura concernente l’inutilizzabilità delle chat, pertanto, è stata fatta oggetto di rinuncia e non può essere riproposta davanti al Giudice di legittimità.
6.2. Al riguardo, peraltro, non può essere accolta la tesi difensiva in forza della quale, così opinando, si legittimerebbe una decisione assunta in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, ai sensi dell’art. 191, comma 1, cod. proc. pen. Premessa l’assoluta genericità della questione, esposta in termini astratti ed
eventuali (ossia, nei termini di una solo ipotetica e neppure dedotta violazione del diritto di difesa), deve qui ribadirsi che in tema di “patteggiamento in appello”, come reintrodotto ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, in ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (tra le molte, Sez. 4, n. 52803 del 14/9/2018, Bouachra, Rv. 274522; Sez. 5, n. 15505 del 19/3/2018, COGNOME, Rv. 272853. Si veda anche Sez. 3, n. 19983 del 9/6/2020, COGNOME, Rv. 279504. Tra le moltissime non massimate, Sez. 3, n. 24597 del 6/5/2025, COGNOME+altri; Sez. 5, n. 23184 del 12/3/2025, Palma; Sez. 7, n. 22802 del 20/5/2025, Hasibra).
I ricorsi dei due COGNOME, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili.
Il ricorso di COGNOME risulta, del pari, inammissibile.
7.1. Occorre premettere che anche questo imputato ha definito il giudizio di appello ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., previa rinuncia ai motivi di gravame ad eccezione di quelli concernenti le circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzionatorio. Tanto premesso, emerge allora evidente l’assoluta genericità del motivo di ricorso, che contesta alla Corte di appello di aver rideterminato la pena – negli esatti termini concordati – “omettendo passaggi fondamentali per la determinazione della sanzione penale da diminuire”; senza alcuna specificazione, dunque, di quali “passaggi fondamentali” sarebbero stati trascurati, e con quale incidenza sulla pena (si ribadisce, irrogata nella misura oggetto di accordo).
Tutti i ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell
ammende.
Così deciso in Roma, il 29 luglio 2025
Il q igliere estensore