Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30321 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30321 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a Catania avverso l’ordinanza del 12/03/2024 del Tribunale del riesame di Catania
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore .í) r’ 14..Krb GLYPH ) .e –À ( -23 “:= , generale NOME COGNOME, che ha chiesto GLYPH ; udito l’AVV_NOTAIO, il quale si è riportato ai motivi del ricorso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Catania ha accolto, limitatamente al capo 1) di incolpazione, l’appello proposto dal Pubblico ministero avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Catania in data 6 ottobre 2023, con la quale era rigettata la richiesta di misura cautelare formula nei confronti di COGNOME NOME, ritenuto gravemente
indiziato dei reati di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. (capo 1) e 110, 512bis cod. peri. (capi 2 e 5) per mancanza di gravi indizi di colpevolezza.
Il Tribunale del riesame ha, quindi, disposto l’applicazione della custodia cautelare in carcere in relazione al solo reato di concorso esterno in associazione mafiosa con riferimento al RAGIONE_SOCIALE (sino al febbraio 2020).
Il RAGIONE_SOCIALE aveva ritenuto fossero ancora da chiarire i tratti dell’accordo tra l parti, trattandosi di un passaggio investigativo dirimente per la valutazione giuridica della condotta dell’indagato, «allo stato ancora oscillante sul crinale tra l’imprenditore colluso e la vittima di estorsione».
Il Collegio della cautela non ha, invece, condiviso le conclusioni alle quali era pervenuta l’ordinanza genetica, sostenendo che il materiale indiziario consentiva di apprezzare appieno la sussistenza dei gravi indizi di reato del solo reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso.
2.Avverso l’ordinanza, ricorre per cassazione COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi.
2.1.Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il Tribunale del riesame ha fondato il suo convincimento sulle dichiarazioni del collaboratore COGNOME COGNOME, unico collaborante di giustizia che ha parlato di COGNOME, nonché su alcune conversazioni intercettate, dalle quali sarebbe rilevabile un rapporto di contiguità dello stesso con soggetti variamente legati a consorterie mafiose, che avevano accesso alla discoteca del Lido balneare da lui gestito e ad alcuni bungalow dello stesso stabilimento.
Il Tribunale ha ritenuto di ravvisare un ulteriore elemento di giudizio nel rinvenimento di un notevole numero di armi da fuoco in un terreno limitrofo al lido balneare gestito dal ricorrente e nel fatto che il predetto avrebbe fornito armi a esponenti del RAGIONE_SOCIALE, oltre ad essere condannato per il possesso di una carabina ad aria compressa modificata e di una pistola.
Il Collegio della cautela non ha condiviso le conclusioni del G.i.p., sostenendo che lo stesso materiale indiziario consentiva di apprezzare la sussistenza del delitto contestato, ma non ha affrontato il tema posto dal G.i.p per rigettare la misura, e cioè se la condotta dell’ indagato fosse da collocare nella posizione dell’imprenditore vittima o dell’imprenditore colluso.
Gli elementi indiziari non sono in grado di dimostrare la prestazione sinallagmatica del RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’imprenditore. L’ordinanza impugnata, quindi, ritenuto che COGNOME fosse stato destinatario di richieste estorsive attesa la sua qualità di imprenditore, secondo lo schema tracciato dalla
giurisprudenza avrebbe dovuto accertare anche il superamento del ruolo di vittima attraverso, appunto, l’individuazione di un rapporto sinallagmatico.
Il Tribunale del riesame, inoltre, non ha supportato con adeguata motivazione la prospettazione difensiva concernente la incompatibilità del ravvisato concorso esterno con i numerosi incendi, furti e risse che si erano verificati nei locali gestiti dai COGNOME.
Infine, riscontro rilevante e individualizzante ai fini della gravità indiziaria carico di COGNOME NOME, non può essere costituito dal mero rinvenimento delle armi interrate, in quanto anche persone diverse da COGNOME avrebbero potuto provvedere all’occultamento dell’arsenale, essendo indifferente che il ricorrente ne fosse o meno a conoscenza. Quanto al controllo del terreno incolto mediante telecamere installate presso il Lido “Le Capannine”, la difesa aveva già evidenziato che fu la Questura di Catania a imporre l’installazione di un sistema di videosorveglianza, poiché all’interno di molti locali limitrofi si erano verific episodi di violenza.
2.2. GLYPH Violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla inammissibilità dell’appello per omessa indicazione dei motivi a sostegno della attualità e concretezza delle esigenze cautelari.
Il G.i.p. si è limitato a escludere la gravità indiziaria senza neppure esaminare il tema delle esigenze cautelari, assorbito dalla prima valutazione negativa, all’evidenza pregiudiziale rispetto all’applicazione della misura. L’appello interposto dalla pubblica accusa conteneva doglianze aventi ad oggetto unicamente la gravità indiziaria, mentre difettava qualsivoglia riferimento alle esigenze giustificative dell’intervento cautelare e, per tale motivo, doveva essere dichiarato inammissibile.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari e la adeguatezza della misura applicata.
Il concorrente esterno resta estraneo all’organizzazione, motivo per il quale gli elementi idonei a superare la presunzione di pericolosità devono essere diversi rispetto a quelli del partecipe.
Il tribunale del riesame non ha precisato per quali ragioni debba ritenersi concreta e attuale la ripetibilità della situazione che ha dato luogo al contributo concorsuale; la spiegazione, nonostante la presunzione relativa di pericolosità, era necessaria, sia per la particolare posizione del concorrente esterno, per definizione non partecipe del RAGIONE_SOCIALE, sia per la risalenza nel tempo delle condotte rilevate, contestate “fino al febbraio 2020”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, limitatamente al motivo sulle esigenze cautelari.
2.11 primo motivo è infondato.
In via preliminare, mette conto di rilevare come, secondo i principi fissati da questa Corte regolatrice, debba ritenersi “colluso” e, dunque, concorrente esterno nell’associazione mafiosa, l’imprenditore che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del RAGIONE_SOCIALE criminale e privo della affectio societatis, instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per l’imprenditore, nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l’organizzazione mafiosa, nell’ottenere risorse, servizi o utilità (ex plurimis Sez. 6, n. 30346 del 18/04/2013, Orobello, Rv. 256740).
L’imprenditore “colluso” è cioè colui il quale entra in rapporto sinallagmatico con l’associazione, tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti, per l’imprenditore, nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e, per il RAGIONE_SOCIALE criminoso, nell’ottenere risorse, servizi o utilità. Deve inve ritenersi imprenditore “vittima” colui il quale, soggiogato dall’intimidazione, non tenta di venire a patti con il RAGIONE_SOCIALE, ma cede all’imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un’intesa volta a limitare tale danno (Sez. 5, n. 39042 del 01/10/2008, Samà, Rv. 242318).
Il discrimen fra l’una e l’altra figura si colloca, dunque, nel diverso atteggiarsi dal punto di vista materiale e psicologico – del rapporto del singolo con la societas sceleris. L’imprenditore “vittima” si trova in uno stato di timore o soggezione, derivante dalla forza intimidatrice dispiegata dall’associazione mafiosa, che ne elide – o ne vizia – la volontà e che lo costringe o lo induce a venire a patti con la consorteria, al fine di evitare nocumenti o anche soltanto di scongiurare un maggior danno. L’imprenditore può invece reputarsi “colluso” allorquando tratti su di un piano di sostanziale parità con il proprio interlocutore, cioè aderisca alla “clausola contrattuale” impostagli dalla societas sia pure economicamente svantaggiosa -, non perché coartato dall’intimidazione mafiosa, ma per propria libera decisione e nella prospettiva di trarre dei vantaggi per la propria azienda dallo scendere a patti con l’organizzazione criminale. Nel primo caso, il privato versa in uno stato di soggezione nei confronti della consorteria, che vizia a monte l’assetto dei reciproci interessi nel c.d. “accordo”; nel secondo, l’imprenditore non si trova in uno stato di timore psicologico nei confronti dell’altro contraente, ma accetta di versare le somme quale mera clausola di un accordo sinallagnnatico improntato alla logica del do ut des, in forza del quale egli si impegna a dare, in cambio di ritorni favorevoli per la propria attività
economica. D’altra parte, va ribadito che, nella ipotesi in cui si sia verificat cooperazione imprenditoriale tra gli appartenenti ad un RAGIONE_SOCIALE di stampo mafioso, da un lato, ed un soggetto non inserito nella predetta struttura delinquenziale, dall’altro, deve escludersi la ricorrenza della esimente dello stato di necessità in favore di quest’ultimo, che, accogliendo la proposta proveniente dalla compagine criminosa, si giovi, al contempo, dell’esistenza della associazione e ne tragga benefici in termini di protezione e di finanziamento (Sez. 5, n. 6929 del 22/12/2000 – dep. 2001, Cangialosi, Rv. 219245). Non può, difatti, ravvisarsi la causa di giustificazione dello stato di necessità quando i soggetto si trovi nella situazione di potersi sottrarre alla costrizione a violare l legge facendo ricorso all’autorità, cui va chiesta tutela (Sez. 5, n. 4903 del 23/04/1997, PG in proc Montalto, Rv. 208134).
2.1. A tali coordinate ermeneutiche si sono attenuti i Giudici del merito cautelare, evidenziando, con motivazione congrua e logica, che COGNOME NOME «aveva instaurato con la cosca mafiosa un rapporto di reciproci e indubbi vantaggi, consistenti per l’imprenditore nell’esercitare la propria attività godendo della protezione del RAGIONE_SOCIALE e per la consorteria nell’ottenere servizi e utilità, come usufruire della struttura dei COGNOME per matrimoni, feste e summit».
A fondamento di tale valutazione sono state poste le dichiarazioni del collaboratore COGNOME, puntualmente riscontrate dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, dalle quali si evince, anche, la ciponibilità del ricorrente a far occultare le armi del RAGIONE_SOCIALE in un terreno adiacente al suo stabilimento balneare.
Il secondo motivo è infondato perché, avendo riguardo alla giurisprudenza in tema di interesse a impugnare del Pubblico ministero con ricorso per cassazione, e ritenendola analogicamente applicabile anche all’appello innanzi al Tribunale del riesame, è vero che il Pubblico ministero che impugni l’ordinanza che, in sede di riesame, abbia escluso il presupposto della gravità indiziarla deve indicare, a pena di inammissibilità per carenza di interesse, le ragioni a sostegno dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari, ma, tuttavia, le stesse possono ritenersi implicitamente sussistenti nel caso in cui la misura sia stata richiesta con riguardo ai reati per i quali opera la presunzione di cui all’art. 275 comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 46129 del 25/11/2021, NOME COGNOME, Rv. 282355 – 01).
Rileva il Collegio che anche per il concorso esterno opera la presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., anche se in forma diversa, potendo la stessa essere vinta.
Quanto, invece, alle esigenze cautelari, la motivazione del Tribunale del riesame è insufficiente, limitandosi a sostenere che il pericolo di reiterazione della condotta criminosa si trae dalla stabilità e continuatività nel tempo dei rapporti intrattenuti da COGNOME con il RAGIONE_SOCIALE, nonché dalla serietà degli addebiti a lui mossi.
In realtà, come evidenziato dal difensore, la condotta contestata a ricorrente si ferma al 2020.
Deve osservarsi che la disciplina in materia di esigenze cautelari, pur prevedendo ipotesi di presunzione di esistenza delle stesse quando si procede per reati che si inseriscono in un “contesto mafioso”, stabilisce, in ogni caso, la possibilità di rilevarne l’insussistenza.
Nei confronti dell’indagato (o del condannato in primo grado) per concorso esterno in associazione di tipo mafioso o per reati aggravati dal metodo mafioso o dalla finalità di agevolare un tale tipo di RAGIONE_SOCIALE, non solo, a norma del medesimo art. 275, comma 3-bis, cod. proc. pen., la presunzione di adeguatezza della misura della custodia in carcere è relativa e non assoluta, ma, secondo la giurisprudenza, il giudizio sulla presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari deve essere effettuato sulla base di altri parametri.
In particolare, più volte si è affermato che, in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari può essere superata attraverso una valutazione prognostica, ancorata ai dati fattuali emergenti dalle risultanze investigative acquisite, della ripetibil della situazione che ha dato luogo al contributo dell’extraneus alla vita della consorteria, tenendo conto in questa prospettiva dell’attuale condotta di vita e della persistenza o meno di interessi comuni con il RAGIONE_SOCIALE mafioso, senza necessità di provare la rescissione del vincolo, peraltro in tesi già insussistente (così, in particolare, Sez. 2, n. 32004 del 17/06/2015, COGNOME, Rv. 264209, e Sez. 6, n. 9748 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 258809).
L’impostazione implicante la non necessità di provare la rescissione del vincolo da parte del concorrente esterno si pone in linea con quanto osservato dalla Corte costituzionale, sent. n. 48 del 2015. Invero, nella trama motivazionale di questa decisione, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., nella formulazione precedente alla riforma recata dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, nella parte in cui non prevedeva la possibilità di soddisfare le esigenze cautelari nei confronti del concorrente esterno nel reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. con misure diverse da quella carceraria, il Giudice delle Leggi ha evidenziato che: «il concorrente esterno è, per definizione, un soggetto che non fa parte del RAGIONE_SOCIALE: diversamente, perderebbe tale qualifica, trasformandosi in associato.
Nei confronti del concorrente esterno non è, quindi, in nessun caso ravvisabile quel vincolo di adesione permanente al gruppo criminale che è in grado di legittimare, sul piano «empirico-sociologico», il ricorso in via esclusiva alla misura carceraria ».
Alla luce dei principi giuridici indicati, e degli elementi esposti, le conclusio del Tribunale di Catania risultano viziate.
L’ordinanza impugnata, infatti, non precisa per quali ragioni debba ritenersi concreta ed attuale la ripetibilità della situazione che ha dato luogo al contributo concorsuale. La spiegazione, nonostante la presunzione relativa di pericolosità, è necessaria, sia per la particolare posizione del concorrente esterno, per definizione non partecipe del RAGIONE_SOCIALE, sia per la risalenza nel tempo delle condotte rilevate, non successive, al 2020.
L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, limitatamente alla sussistenza e adeguatezza delle esigenze cautelari.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di GLYPH 2.Catania competente ai sensi dell’art. GLYPH comma Q cod. proc. pen. Così deciso il 18 luglio 2024
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