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Concorso esterno e misure cautelari: la Cassazione

Un imprenditore è stato sottoposto a custodia cautelare in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte di Cassazione, pur confermando la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, ha annullato l’ordinanza. La motivazione del Tribunale del riesame sulle esigenze cautelari è stata ritenuta insufficiente, poiché non ha adeguatamente valutato l’attualità del pericolo di reiterazione del reato, specialmente considerando che le condotte contestate si erano fermate a diversi anni prima.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso esterno e misure cautelari: la Cassazione fissa i paletti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30321/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema tanto delicato quanto complesso: il concorso esterno in associazione di tipo mafioso. La decisione offre importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione delle misure cautelari, in particolare sulla necessità di una motivazione rafforzata riguardo all’attualità del pericolo di recidiva, soprattutto quando i fatti contestati non sono recenti.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’indagine su un imprenditore, accusato di aver stretto un patto con un noto clan mafioso. Inizialmente, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) aveva respinto la richiesta di custodia cautelare in carcere avanzata dalla Procura, ritenendo che il quadro probatorio fosse ancora incerto e non permettesse di distinguere con chiarezza tra un imprenditore colluso e una vittima di estorsione.

Di parere opposto il Tribunale del riesame che, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero, disponeva la misura cautelare in carcere per il solo reato di concorso esterno. Secondo il Tribunale, gli elementi raccolti erano sufficienti a delineare un quadro di gravi indizi di colpevolezza. L’imprenditore, tramite il suo difensore, ha quindi proposto ricorso per cassazione avverso tale ordinanza.

La Distinzione tra Imprenditore Colluso e Vittima

La Corte di Cassazione, prima di affrontare il nodo centrale delle esigenze cautelari, ribadisce i principi che distinguono l’imprenditore “colluso”, concorrente esterno, da quello “vittima”. Il discrimine risiede nella natura del rapporto con l’organizzazione criminale.

* L’imprenditore vittima subisce la forza intimidatrice del clan, cede all’imposizione e cerca solo di limitare il danno, versando in uno stato di soggezione.
* L’imprenditore colluso, invece, instaura con la cosca un rapporto di reciproco vantaggio, un vero e proprio patto sinallagmatico. Pur non essendo un membro organico, egli accetta liberamente di scendere a patti per ottenere benefici per la propria attività, come protezione, sbaragliamento della concorrenza o altri vantaggi economici.

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto logica e congrua la motivazione del Tribunale del riesame nel qualificare l’indagato come imprenditore colluso, sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e di intercettazioni che dimostravano un rapporto di contiguità e la disponibilità a occultare le armi del clan.

Il problema delle esigenze cautelari nel concorso esterno

Il punto cruciale su cui la Cassazione ha annullato l’ordinanza riguarda la valutazione delle esigenze cautelari. Il Tribunale del riesame si era limitato a fondare il pericolo di reiterazione del reato sulla stabilità dei rapporti tra l’imprenditore e il clan e sulla gravità dei fatti. Tale motivazione è stata giudicata insufficiente.

La Suprema Corte ha sottolineato che, per il concorso esterno, la presunzione di pericolosità non è assoluta come per i membri interni dell’associazione. Il concorrente esterno, per definizione, non ha un vincolo di adesione permanente al gruppo criminale. Di conseguenza, il giudice deve compiere una valutazione prognostica concreta e attuale, ancorata a dati fattuali specifici.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha censurato la decisione del Tribunale del riesame perché non ha spiegato per quali ragioni specifiche si dovesse ritenere concreta e attuale la possibilità che l’imprenditore potesse riallacciare i rapporti con il clan. Questo onere motivazionale era ancora più stringente per due motivi:

1. La particolare posizione del concorrente esterno: non essendo un affiliato, non si può presumere una sua intrinseca e permanente pericolosità legata al vincolo associativo.
2. La risalenza nel tempo delle condotte: i fatti contestati all’imprenditore si fermavano al febbraio 2020. Il notevole lasso di tempo trascorso imponeva al giudice di dimostrare, con elementi concreti, che il pericolo di reiterazione del reato fosse ancora presente al momento della decisione.

In assenza di questa specifica motivazione, l’applicazione della misura cautelare più afflittiva si basa su una presunzione non supportata da un’analisi fattuale adeguata.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata, rinviando il caso al Tribunale del riesame per un nuovo giudizio limitatamente al punto delle esigenze cautelari. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la libertà personale può essere limitata solo in presenza di pericoli concreti e attuali, la cui esistenza deve essere rigorosamente motivata dal giudice. Per il reato di concorso esterno, non basta affermare la gravità dei fatti passati, ma è necessario dimostrare perché, oggi, quella persona rappresenti ancora un pericolo per la collettività.

Quando un imprenditore è considerato colluso con la mafia e non una semplice vittima?
Un imprenditore è considerato colluso, e quindi responsabile di concorso esterno, quando instaura con l’associazione mafiosa un rapporto di reciproco vantaggio (sinallagmatico). Non subisce passivamente l’intimidazione, ma tratta con il clan per ottenere benefici per la propria attività, come protezione o servizi, in cambio di risorse o utilità fornite all’organizzazione.

Per applicare una misura cautelare per concorso esterno è sufficiente dimostrare la stabilità dei rapporti passati con il clan?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è sufficiente. Poiché il concorrente esterno non è un membro dell’associazione, il giudice deve fornire una motivazione concreta e attuale sul pericolo di reiterazione del reato, che non può basarsi solo sulla stabilità dei rapporti passati o sulla generica gravità dei fatti.

Che impatto ha il tempo trascorso dai fatti sulla valutazione delle esigenze cautelari?
Il tempo trascorso dai fatti contestati è un elemento cruciale. Se è passato un notevole periodo (nel caso di specie, le condotte si erano fermate nel 2020), il giudice ha un onere motivazionale rafforzato. Deve spiegare con elementi specifici perché, nonostante il tempo, il pericolo che l’indagato commetta nuovi reati sia ancora concreto e attuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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