Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12375 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12375 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 13/02/2025
R.G.N. 39313/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a VERBICARO il 09/05/1962 avverso l’ordinanza del 25/09/2024 del Tribunale del Riesame di Roma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
uditi i difensori:
L’avv. NOME COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’avv. NOME COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 25 settembre 2024 il Tribunale del riesame di Roma, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza con cui il Tribunale ordinario di Roma aveva sostituito la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, ha ripristinato a carico di NOME COGNOME la misura della custodia in carcere, in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 416bis cod. pen. a lui ascritto.
Il Tribunale ha ritenuto non condivisibile la valutazione di una riduzione del pericolo di reiterazione del reato, conseguente alla cessazione dell’attività dello studio professionale dell’indagato e alla sottoposizione al regime penitenziario differenziato dell’unico soggetto con cui egli aveva avuto rapporti, riduzione che, secondo il primo giudice, rendeva sufficiente una misura meno grave. Secondo il Tribunale del riesame, infatti, la cessazione dell’attività dello studio professionale del commercialista COGNOME non Ł significativa, perchØ non Ł venuta meno la ‘dote professionale’ dell’imputato che, proprio in virtø delle sue competenze, consigliava ai capi della locale romana di ‘ndrangheta, in particolare a NOME COGNOME le operazioni da compiere per commettere delitti di intestazione fittizia di società, di riciclaggio di denaro, di truffe commerciali. Il
Tribunale del riesame ha ritenuto che tale ‘dote professionale’ può essere esercitata anche in assenza di uno studio professionale, potendo il COGNOME avvalersi degli strumenti informatici oppure di terzi operatori del settore, essendo egli risultato in possesso di una vasta rete di relazioni e rapporti nonchØ già abituato a schermare la propria attività professionale, per fini fiscali, dietro l’apparente svolgimento della stessa da parte di altri soggetti. L’intervenuta sospensione dall’attività professionale da parte dell’ordine dei commercialisti non Ł stata ritenuta sufficiente per fronteggiare le esigenze cautelari, stante la natura transitoria del provvedimento ed essendo stato esso adottato in relazione ad un diverso procedimento penale, pendente solo per violazioni tributarie. Il Tribunale ha altresì ritenuto irrilevante l’intervenuto scioglimento delle società facenti capo all’COGNOME, stante l’accertata propensione di questi a costituirne sempre di nuove, con l’ausilio del COGNOME, per poi scioglierle e costituirne altre nei medesimi locali, e irrilevante l’attuale sottoposizione del predetto al regime di cui all’art. 41bis Ord. pen., essendo emerso che il COGNOME intratteneva rapporti con molti altri coimputati, facenti parte del medesimo contesto criminale. Anche l’asserita disgregazione della locale in questione Ł stata ritenuta, allo stato, del tutto indimostrata, così come Ł stato dichiarato irrilevante il decorso del tempo.
Tutti questi elementi, secondo il Tribunale del riesame, non consentono di ritenere superata la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura della custodia in carcere, stabilita per gli accusati del delitto di cui all’art. 416bis cod. pen., così come non sono idonee a tal fine le affermazioni difensive, che vengono singolarmente esaminate e disattese.
Pertanto ha disposto il ripristino della misura della custodia in carcere, ritenendo non superata la indicata presunzione relativa e non sopravvenuti fatti nuovi che attenuino il quadro cautelare, non risultando neppure rescissi i legami del COGNOME con la criminalità organizzata.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo dei suoi difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata ha esaminato la posizione del ricorrente quale quella di un ‘concorrente puro’ nel reato di cui all’art. 416bis cod. pen., mentre il capo di imputazione lo qualifica come un ‘concorrente esterno’, cioŁ un soggetto per il quale, in virtø della sentenza della Corte costituzionale n. 48/2015, la presunzione relativa di adeguatezza della misura della custodia in carcere opera purchØ non siano acquisiti elementi specifici da cui risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con misure attenuate.
L’ordinanza applica in modo automatico la presunzione, mentre avrebbe dovuto valutare la eventuale inadeguatezza degli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico e con l’imposizione dei divieti di comunicazione con persone diverse dai coabitanti, prescrizione che renderebbe il ricorrente incapace di prestare a chiunque contributi di natura professionale. Anche il decorso del tempo non Ł stato valutato adeguatamente, mentre esso Ł significativo nel caso di un concorrente esterno. L’affermazione della possibilità del ricorrente di operare mediante gli strumenti informatici non si confronta con le prove testimoniali, da cui Ł risultata la sua mancanza di dimestichezza con essi.
Anche il provvedimento di sospensione dall’attività emesso dall’ordine dei commercialisti di Paola Ł stato indebitamente svalutato, affermandone la temporaneità: peraltro, se il Tribunale avesse ritenuto un simile provvedimento idoneo per impedire la reiterazione delle condotte criminose, avrebbe potuto applicare la relativa misura interdittiva, senz’altro sufficiente per tale finalità. L’affermazione che il ricorrente potrebbe continuare ad agire mediante altri operatori, infatti, Ł una mera congettura, non essendo stati individuati elementi che facciano ipotizzare come ancora possibile il ricorso ad essi, ed anche l’affermazione della sua possibilità di entrare in contatto con
altri soggetti facenti parte del medesimo contesto criminale di origine Ł generica, e non indica a quali soggetti si faccia riferimento, dal momento che tutti coloro con cui egli risulta avere avuto contatti sono coinvolti in questo procedimento. Costituiscono congetture, ovvero elementi non provati, anche gli accenni alle attività criminose che egli avrebbe compiuto, o agli aiuti che avrebbe ricevuto per risolvere problematiche legate alla sua professione.
Il Procuratore generale, nella requisitoria orale, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha depositato una memoria, redatta dai predetti difensori, con cui ribadisce l’infondatezza delle affermazioni su cui l’ordinanza impugnata ha fondato la sua decisione, e lamenta che il Tribunale del riesame non ha tenuto conto del fatto che l’attenuazione della misura cautelare Ł stata disposta dal giudice procedente, che conosce lo sviluppo dibattimentale, in cui Ł stata completata l’assunzione delle prove richieste dalla pubblica accusa, ed ha quindi potuto valutare l’insussistenza della sua colpevolezza. Inoltre il Tribunale del riesame ha dato rilievo a situazioni non piø sussistenti, come il collegamento del ricorrente con NOME COGNOME, ormai da tempo sottoposto al regime di cui all’art. 41bis Ord.pen. e quindi non contattabile, il collegamento con i collaboratori dello studio, trasferitisi altrove dopo la sua chiusura, il collegamento con l’ambiente criminale di riferimento, che le prove hanno, invece, escluso. La memoria lamenta nuovamente anche l’avvenuta applicazione della presunzione di cui agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. senza tenere conto del fatto che il ricorrente Ł imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, ed evidenzia ulteriori errori, avendo il Tribunale del riesame dato per certi dei fatti che l’istruttoria dibattimentale ha smentito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato, e deve essere rigettato.
Il ricorrente sostiene che il Tribunale del riesame avrebbe applicato in modo automatico la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza della misura piø afflittiva, ma l’ordinanza impugnata, al contrario, Ł ampiamente motivata in merito alla sussistenza di elementi da cui dedurre sia la persistenza di tali esigenze, sia la necessità di continuare ad applicare la misura intramuraria, pur tenendo conto dell’essere il ricorrente imputato del reato di cui all’art. 416bis cod. pen. quale concorrente esterno, dal momento che, nella parte iniziale e in quella conclusiva, ribadisce che la condotta a lui ascritta consiste nell’avere «messo a disposizione in modo stabile e continuativo il suo studio e la sua professionalità» in favore del sodalizio criminoso diretto da NOME COGNOME e da NOME COGNOME.
La figura del ‘concorrente esterno’, come noto, Ł stata elaborata dalla giurisprudenza, che nella sentenza Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671 ha stabilito che «In tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di “concorrente esterno” il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell'”affectio societatis”, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come “RAGIONE_SOCIALE“, di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima». La Corte costituzionale, con la sentenza n. 48/2015 richiamata dal ricorrente, ha stabilito l’illegittimità di una
lettura dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. che non preveda, per il concorrente esterno, la possibilità di escludere l’applicazione della custodia cautelare in carcere non solo nel caso di insussistenza delle esigenze cautelari, ma altresì nel caso in cui siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che tali esigenze possono essere soddisfatte con altre misure. Questa Corte, alla luce di tale declaratoria di incostituzionalità, ha perciò affermato che «In tema di misure cautelari, ai fini della presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere, il reato di concorsoesterno non Ł assimilabile a quello di partecipazione alla associazione mafiosa e non si può considerare esistente alcuna presunzione assoluta in punto di adeguatezza della suddetta misura, in quanto l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 4, comma 1, legge 16 aprile 2015, n. 47, deve essere interpretato conformemente alla sentenza della Corte costituzionale n. 48 del 2015 che, nel vigore della previgente disciplina, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’equiparazione del concorsoesterno alla partecipazione al reato associativo» (Sez. 1, n. 10946 del 16/12/2020, dep. 2021, Rv.280757)
2.1. L’ordinanza impugnata si Ł conformata a tali principi in quanto, lungi dal ritenere applicabile la misura cautelare della custodia in carcere in virtø di una presunzione, peraltro esplicitamente indicata come solo relativa, ha attentamente valutato se, come ritenuto dal tribunale ordinario, sussistano elementi specifici da cui dedurre l’idoneità di misure meno afflittive a fronteggiare le esigenze cautelari, che sono state ritenute ancora sussistenti anche alla luce di alcune emergenze processuali segnalate dal ricorrente come a sØ favorevoli, in particolare le deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME ed ha motivatamente concluso in termini negativi.
La deduzione di una violazione di legge in relazione all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. Ł pertanto infondata, avendo il Tribunale del riesame assunto la propria decisione non sulla base di una presunzione, bensì a seguito di un’approfondita valutazione della inidoneità dei vari elementi, indicati dal tribunale ordinario e dallo stesso ricorrente, a dimostrare l’attenuazione delle esigenze cautelari o comunque la sufficienza, per fronteggiarle, di una misura meno afflittiva.
2.2. In primo luogo, il Tribunale del riesame ha ritenuto irrilevante la sopravvenuta chiusura dello studio professionale con cui il ricorrente operava, anche a mezzo di collaboratori, perchØ ciò che egli metteva a disposizione della consorteria criminale era la sua ‘dote professionale’, ovvero la capacità di individuare e suggerire percorsi e atti giuridici con cui penetrare nel tessuto economicoproduttivo romano costituendo società da affidare ad intestatari fittizi, ovvero con cui riciclare i proventi di attività criminose. La valutazione secondo cui tale dote Ł ancora sussistente, e potrebbe essere messa nuovamente a disposizione del sodalizio o di singoli suoi appartenenti anche mediante contatti telefonici, Ł logica e non risulta validamente smentita dal ricorrente, che si limita a sostenere una propria incapacità ad usare strumenti informatici, senza confrontarsi con la possibilità di reiterare la condotta di reato anche solo fornendo consigli. Anche la valutazione della irrilevanza della interdizione dall’esercizio della professione di commercialista disposta dal suo Ordine professionale, per la temporaneità e per l’estraneità al presente procedimento di tale provvedimento, Ł logica e non contraddittoria, non impedendo tale misura di operare come consigliere, o di servirsi di terze persone, reiterando una condotta tenuta dal ricorrente anche in passato: la deduzione della genericità di tale valutazione, perchØ non sono stati indicati i terzi di cui egli si potrebbe servire, Ł infondata e irrilevante, avendo il Tribunale formulato un giudizio prognostico circa la capacità di reiterazione del reato basata proprio sulla facilità con cui il ricorrente ha interposto altre persone, e che gli consentirebbe di individuare e reclutare nuovi collaboratori. E’ logica e non contraddittoria, infine, la motivazione della irrilevanza dell’avvenuta cessazione dell’attività delle molte società aperte dall’Alvaro e della carcerazione di quest’ultimo, sottoposto al regime di cui all’art. 41bis Ord. pen., risultando smentita solo in modo generico e non credibile l’affermazione del Tribunale del riesame secondo cui il ricorrente potrebbe ripristinare i contatti con altri appartenenti all’associazione, dal
momento che le tabelle riepilogative delle sue telefonate dimostrano che intratteneva rapporti con molti dei coimputati, ad oggi liberi, e con l’altro capo della cosca locale di ‘ndrangheta, NOME COGNOME
2.3. Il ricorso, infine, sostiene che il Tribunale del riesame avrebbe dovuto attribuire rilevanza al tempo trascorso dall’esecuzione della misura cautelare, ma non si confronta con l’ordinanza, che ha esplicitamente escluso tale rilevanza quando, come nel presente caso, non risultano sussistenti altri elementi sintomatici del venir meno del contesto in cui il ricorrente operava, non risultando che l’associazione criminale sia stata disgregata, che tutti i suoi membri siano stati resi non operativi, che lo stesso ricorrente si sia allontanato da tale contesto, rescindendo i legami con il mondo criminale. Tale motivazione Ł logica e conforme al principi dettati da questa Corte, secondo cui «In tema di misure cautelari personali, la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, valevole per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., trova applicazione anche ove sia richiesta la sostituzione della misura. (In motivazione, la Corte ha precisato che la clausola di esclusione prevista dall’art. 299, comma 2, cod. proc. pen. fa ritenere perduranti, per tali reati, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo, salvo prova contraria, non desumibile dal solo decorso del tempo» (Sez. 3, n. 46241 del 10/09/2022, Rv. 283835; Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Rv. 282766).
2.4. La conclusione secondo cui non sono emersi gli elementi specifici, richiesti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 48/2015, da cui dedurre che le esigenze cautelari si sono attenuante o, comunque, possono essere soddisfatte con misure meno afflittive rispetto alla custodia in carcere, Ł pertanto logica, non contraddittoria e fondata su un esame approfondito delle circostanze indicate dal tribunale ordinario e dallo stesso ricorrente come sufficienti per l’applicazione di una misura cautelare meno grave.
Il ricorso Ł infondato anche laddove deduce l’erroneità dell’ordinanza impugnata per avere il Tribunale del riesame omesso di motivare sulla ritenuta inadeguatezza degli arresti domiciliari, dal momento che l’applicazione del braccialetto elettronico e il divieto di comunicare con i terzi non conviventi escluderebbero ogni possibilità di entrare in contatto con persone estranee e di fornire contributi professionali.
L’ordinanza, infatti, ha evidenziato in primo luogo che le esigenze cautelari non sono affatto attenuante, alla luce delle emergenze processuali attualmente acquisite, e in secondo luogo che solo la custodia in carcere risulta idonea ad evitare la reiterazione del reato e a determinare la rescissione dei legami con il sodalizio criminoso, impedendo in modo continuativo la libertà di movimento e di contatto, mentre tali possibilità non sono impedite con altrettanta certezza dalla misura degli arresti domiciliari, in quanto, stanti le precedenti condotte e la personalità del ricorrente, «non può farsi ragionevolmente affidamento sulla capacità di autocustodia dell’imputato».
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
La presente decisione rende esecutiva la misura cautelare della custodia in carcere, disposta dal tribunale del riesame. Deve pertanto disporsi la trasmissione, a cura della cancelleria, dell’estratto del provvedimento al pubblico ministero competente, ai sensi dell’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 13/02/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME