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Concorso esterno e custodia: quando è necessaria?

La Corte di Cassazione conferma la custodia in carcere per un professionista accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza chiarisce che la chiusura dello studio professionale e la sospensione dall’albo non sono sufficienti a eliminare il pericolo di reiterazione del reato, poiché la sua ‘dote professionale’ e la sua rete di contatti restano a disposizione del sodalizio criminale, rendendo inadeguata ogni misura meno afflittiva.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso Esterno e Misure Cautelari: La ‘Dote Professionale’ Giustifica il Carcere

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, affronta un tema cruciale nel diritto penale: la gestione delle misure cautelari per chi è accusato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Il caso riguarda un commercialista il cui contributo professionale era ritenuto fondamentale per le attività illecite di un clan. La Suprema Corte ha stabilito che, anche in presenza di circostanze apparentemente attenuanti come la chiusura dello studio e la sospensione dall’albo, la custodia in carcere rimane la misura adeguata se persiste la pericolosità sociale derivante dalle competenze dell’individuo.

I Fatti del Caso: Il Professionista al Servizio del Clan

Un commercialista veniva accusato di aver messo a disposizione di un sodalizio criminale di stampo ‘ndranghetista il proprio studio e la propria professionalità. Il suo ruolo consisteva nel consigliare i vertici dell’organizzazione, in particolare su come compiere operazioni di intestazione fittizia di società, riciclaggio di denaro e truffe commerciali. Inizialmente, il Tribunale ordinario aveva sostituito la custodia in carcere con gli arresti domiciliari, ritenendo che la cessazione dell’attività professionale e la detenzione di uno dei capi del clan avessero ridotto il pericolo di reiterazione del reato. Il Pubblico Ministero, tuttavia, impugnava tale decisione e il Tribunale del Riesame ripristinava la misura più grave, la custodia in carcere. Contro questa decisione, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione.

Il Concorso Esterno e la Prova della Pericolosità Sociale

La difesa dell’imputato sosteneva che il Tribunale del Riesame avesse applicato in modo automatico la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, senza considerare la specificità della figura del concorso esterno. Secondo i difensori, elementi come la chiusura dello studio, la sospensione dall’ordine professionale e il decorso del tempo avrebbero dovuto portare a una valutazione diversa, considerando sufficienti gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Si contestava l’idea che l’imputato potesse continuare a operare tramite strumenti informatici o altri soggetti, definendola una mera congettura.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo la decisione del Tribunale del Riesame logica e ben motivata. I giudici hanno chiarito che non vi è stata un’applicazione automatica della presunzione, ma un’attenta valutazione dei fatti. Il punto centrale della motivazione risiede nel concetto di ‘dote professionale’ dell’imputato. La Corte ha stabilito che la pericolosità del professionista non derivava tanto dall’esistenza di uno studio fisico, quanto dalla sua capacità di ideare e suggerire schemi giuridici ed economici per riciclare denaro e commettere altri reati. Questa ‘dote’ non viene meno con la chiusura dell’ufficio e può essere esercitata anche tramite semplici contatti telefonici o l’ausilio di terzi. La sospensione dall’ordine professionale è stata giudicata irrilevante perché temporanea e legata a un altro procedimento. Allo stesso modo, la detenzione di uno dei capi del clan non escludeva i contatti con altri membri dell’associazione. La Corte ha concluso che solo la custodia in carcere è in grado di recidere efficacemente i legami con l’ambiente criminale e di impedire la reiterazione di un contributo professionale così qualificato.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: nella valutazione delle esigenze cautelari per il concorso esterno, non ci si può fermare a elementi formali come la cessazione di un’attività. È necessario un giudizio prognostico approfondito sulla concreta possibilità che l’indagato continui a fornire il suo contributo illecito. Quando questo contributo è di natura intellettuale e professionale, le misure meno restrittive come gli arresti domiciliari possono rivelarsi inadeguate, poiché non impediscono la comunicazione e la consulenza. La decisione sottolinea come la pericolosità sociale di un professionista colluso risieda nelle sue competenze, un ‘patrimonio’ che rimane a sua disposizione e che solo una misura come la custodia in carcere può neutralizzare efficacemente.

Per il ‘concorrente esterno’ in un’associazione mafiosa si applica automaticamente la custodia in carcere?
No. La presunzione di adeguatezza della custodia in carcere non è assoluta per il concorrente esterno. Come stabilito dalla Corte Costituzionale (sent. n. 48/2015), il giudice deve sempre valutare se specifici elementi dimostrino che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con misure meno afflittive.

La chiusura dello studio professionale è sufficiente a ridurre il pericolo di reiterazione del reato per un professionista?
No. Secondo la sentenza, questo elemento non è decisivo. La pericolosità sociale risiede nella ‘dote professionale’ dell’individuo, ovvero le sue competenze e conoscenze, che possono essere messe a disposizione del sodalizio criminale anche senza uno studio fisico, attraverso semplici consigli o contatti.

Perché gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico sono stati ritenuti inadeguati in questo caso?
Perché, data la personalità dell’imputato e la natura del suo contributo professionale al clan, si è ritenuto che solo la custodia in carcere potesse recidere i legami con l’organizzazione criminale e impedire in modo continuativo la libertà di movimento e di contatto, neutralizzando così il rischio che potesse fornire ulteriori contributi illeciti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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