Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28638 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28638 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CUSTONACI il 13/08/1966 avverso l’ordinanza del 01/04/2025 del Tribunale di Palermo Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso riportandosi alla requisitoria già in atti; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso, come ulteriormente illustrati ed integrati con le note in atti, ed h insistito per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
1.E’ impugnata, con ricorso per cassazione, l’ordinanza emessa dal Tribunale di Palermo, ex art. 310 c.p.p., con cui è stata rigettata la richiesta di sostituzion della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domicillari, fondata sull’affievolimento delle esigenze cautelari, avanzata nell’interesse di COGNOME Carlo all’esito della pronuncia dì condanna del predetto, in sede di giudizio abbreviato, alla pena di anni otto e mesi quattro di reclusione per il reato di cui agli artt. 110-416-bis c.p. (capo 1 in relazione all’associazione denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘ operante nel territorio di Custonaci, Valderice, Trapani e altri territor della provincia dì Trapani) e per il reato di cui all’art. 512-bis c.p. (esclu
l’aggravante originariamente contestata dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 416-bis.1 c.p., capo 16).
2.11 ricorso, proposto dal Guarano tramite il difensore di fiducia, è articolato in due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. at cod. proc. pen.
2.1.Col primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 274 del codice di rito. Il Tribunale, richiamando preliminarmente il giudicato cautelare, e, in particolare, quanto già sostenuto con la precedente ordinanza resa ex art. 310 c.p.p., ha confermato il giudizio di ineludibilità della misura della custodia cautelare in carcere adottata con l’ordinanza genetica, sostenendo che a fronte di tali pronunce del Tribunale, particolarmente specifico avrebbe dovuto essere l’onere di allegazione di fatti nuovi idonei a mutare il quadro cautelare. In buona sostanza, a parere dei giudici gli elementi di novità rassegnati dalla difesa erano già stati valutati dal Tribunale e comunque risultano inidonei ai fini di un affievolimento delle esigenze cautelari, posto che l’unico elemento di novità posto a base dell’istanza è costituito dall’ulteriore decorso del tempo e l’intervenuta sentenza di condanna, emessa all’esito del giudizio abbreviato.
Ebbene, il provvedimento gravato non ha risposto in modo esauriente e con motivazione logica ed immune da vizi a tutti gli elementi dedotti dalla difesa in base ai quali è possibile poter ritenere che le residue esigenze di cautela possono essere adeguatamente contemperate con la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari, anche con l’applicazione del dispositivo elettronico, in luogo assai diverso e lontano rispetto a quello in cui ebbero a consumarsi gli illeciti per cui è processo. Innanzitutto, l’art. 299, comma 1, c.p.p, impone di considerare l’istanza difensiva come una sollecitazione a rimeditare gli elementi legittimanti il provvedimento restrittivo sulla base delle osservazioni proposte dall’interessato, cioè una diversa considerazione dell’esigenza stessa di persistenza di tale misura. Di talché non può revocarsi in dubbio che non sussiste alcuna preclusione, rectius onere particolare in capo alla difesa, rispetto a quanto dedotto e deciso in precedenza anche perché, a ben vedere, il procedimento cautelare, per sua natura incidentale in seno al processo, è necessariamente un procedimento in fieri nell’ambito del quale ciascun elemento nel frattempo maturato (e quindi incide significativamente l’emissione della sentenza di primo grado) assume valenza pregnante ai fini della rivalutazione circa l’attuale sussistenza delle originarie esigenze cautelari. D’altra parte, è anche vero che se effettivamente l’istanza difensiva non fosse stata corroborata da elementi
ulteriori e diversi il G.u.p. avrebbe dovuto dichiararla inammissibile laddove ciò non è avvenuto. E ciò evidentemente perché la sentenza di primo grado costituisce un indubbio ed incisivo novum nella misura in cui è servito a depotenziare e ridimensionare la portata della prospettazione accusatoria; ed infatti, nonostante il G.i.p. nel corso dell’originario provvedimento genetico avesse riqualificato sub art. 110-416-bis c.p. il delitto di cui al capo 1, la Procur ha esercitato l’azione penale per il delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., sicc poiché l’odierno ricorrente ha riportato condanna per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, è chiaro che il dato assume una sua valenza decisiva ai fini del presente atto, anche perché la condotta delittuosa posta in essere si è interrotta non solo per effetto della pronuncia della sentenza (trattandosi di reato permanente), ma anche a seguito delle dichiarazioni rese nel corso del proprio esame dallo stesso COGNOME che si è di fatto dissociato rispetto a quel contesto politico-mafioso del quale avrebbe fatto parte in passato.
Per tali ragioni non può revocarsi in dubbio che ad oggi il COGNOME è oggettivamente impossibilitato a porre in essere condotte di analogo tenore a quelle per cui si procede, ed infatti lo stesso non ricopre alcun ruolo in seno all’amministrazione del Comune di Custonaci, il precedente contesto politico è totalmente mutato, prendendo altresì, come detto, le distanze da quel contesto in cui si sarebbero verificati i fatti oggetto di contestazione. Se a ciò si aggiung il lungo periodo di carcerazione preventiva sofferta e la circostanza che i fatti per cui è processo risalgono addirittura al 2021 appare evidente che l’esigenza di cautela paventata dai giudici risulta essere quantomeno fortemente scemata e meritevole di rivalutazione. Peraltro, non si comprende la logicità e la pertinenza del riferimento all’intercettazione riportata a pagina 7 del provvedimento gravato, la quale, al più, esprime un mero ed eventuale proposito manifestato dal ricorrente in un momento di rabbia, ma mai effettivamente portato a compimento.
In definitiva, contrariamente a quanto espresso dal Tribunale, si deve ritenere che il tempus commissi delicti e la permanenza dello status detenzione non possono costituire un tempo muto in quanto il passare del tempo incide significativamente in termini di attualità delle esigenze cautelali, imponendo un obbligo più stringente di motivazione e costituisce, per principio di diritto ormai consolidato, elemento utile ai fini della verifica del quadro di esigenze cautelari sul quale sì basa la misura in applicazione, specie se, come nel caso di specie, in presenza dì ulteriori allegazioni che non sono state tenute in debita considerazione. In particolare, si fa riferimento alla disponibilità dell’odiern
ricorrente di un immobile sito in provincia di Brescia, ove lo stesso potrebbe essere posto agli arresti domiciliari.
2.2.Col secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenutala sussistenza della presunzione di cui all’articolo 275 comma 3 c.p.p. Com’è noto la dissociazione non è in grado di superare la presunzione di cui all’articolo 275, comma 3, allorquando si tratti di semplice concorrente esterno dell’associazione mafiosa ovvero di soggetto che resta estraneo all’organismo, per cui in relazione a tale tipo di partecipe ex art. 110 c.p. diversi devono essere gli elementi idonei a superare la presunzione di pericolosità. In particolare, si tratterà di elementi diretti a sostene l’impossibilità o l’elevata improbabilità che il concorrente esterno possa ancora fornire un contributo alla cosca ovvero volti ad evidenziare il venir meno degli interessi comuni con l’associazione mafiosa o ancora la perdita di quegli strumenti che assicuravano di poter contribuire alla sopravvivenza del gruppo criminale. Il provvedimento impugnato, sulla scorta di tali principi, appare carente poiché non supportato da un esauriente e logica motivazione sul punto. In particolare, i giudici de libertate hanno ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione della condotta criminosa, così come originariamente contestata, non spiegando le ragioni poste a fondamento della decisione assunta, omettendo qualsivoglia tipo di valutazione in merito alla possibilità di porre il giudicabile a arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico, e tutte le cautele del caso in provincia di Brescia, presso l’abitazione del figlio. Non è stato, cioè, spiegato, sebbene sussista un obbligo in tal senso, perché tale regime detentivo auto custodiale non assicuri il pericolo che il ricorrente possa concretamente riallacciare i contatti con l’ambiente criminale in cui è maturato il delitto reiterare la condotta criminosa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. La difesa ha, poi, depositato, via p.e.c., due note difensive, con cui ha ulteriormente illustrato ed integrato i motivi di ricorso (allegando, tra l’altro, pronuncia della Prima Sezione di questa Corte, emessa il 12.10.2023, in tema di pericolosità ed adeguatezza della misura applicata), contro-deducendo ai rilievi esposti dal Procuratore Generale nella requisitoria svolta anche per iscritto. In particolare, ha ribadito che l’intervenuta condanna quale concorrente esterno, unitamente agli ulteriori elementi di novità addotti dalla difesa, costituis elemento idoneo a mutare il quadro cautelare, non fosse altro per il diverso regime dì presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui all’art. 275 c.p.p. Sul punto, ritiene emblematico l’annullamento dì legittimità che ha ribadito come per il titolo di reato di concorso esterno in associazione mafiosa
non operi la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, co. 3, c.p.p. riferita al delitto di associazione mafiosa, disponen così, che spetta al Tribunale della Libertà: “…procedere a rinnovato apprezzamento della sussistenza di attuali rapporti tra il ricorrente e componenti del gruppo criminale di riferimento al fine di scrutinare, a consistente distanza di tempo dalle condotte in addebito, l’eventuale sussistenza di un attuale pericolo di recidiva nei reati, che non potrà prescindere dalla verifica di indici di un concre apporto che dall’esterno l’indagato è ancora in grado di fornire al sodalizio criminale…” (Cass., Sez. VI, n. 31893 del 2020, Terranova, inedita),
4. Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni e dell’art. 127 c.p.p. – su richiesta, con l’intervento delle parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è, nel suo complesso, infondato. I due motivi articolati, che per essere, come prospetta lo stesso ricorso, strettamente collegati tra loro verranno trattati congiuntamente, sono entrambi infondati,
Con essi, in buona sostanza, il ricorrente, da un lato, assume che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto la ricorrenza del cd. giudicato cautelare e la mancata allegazione di elementi nuovi ai fini di una rivalutazione del quadro cautelare, da individuare, invece, quanto meno, nel tempo trascorso dal fatto, risalente al 2021 (in esso compreso il periodo in restrizione carceraria protrattosi dal 2023) e nella sentenza di condanna per il reato diversamente qualificato, rispetto all’imputazione elevata dal P.m. in termini dì partecipazione ad associazione mafiosa, in concorso esterno associativo; e, dall’altro, facendo leva sui principi che governano la presunzione dì cui all’art. 275, comma 3, c.p.p. in caso di soggetto concorrente esterno, assume che si sarebbero dovuti considerare gli elementi allegati dalla difesa, diretti a sostenere l’impossibilità o l’elevata improbabilità che il concorrente esterno potesse ancora fornire un contributo alla cosca (ovvero volti ad evidenziare il venir meno degli interessi comuni con l’associazione mafiosa o ancora la perdita di quegli strumenti che assicuravano di poter contribuire alla sopravvivenza del gruppo criminale). E adduce al riguardo, il ricorrente, la circostanza che il prevenuto non ricopre più
alcuna carica in seno all’amministrazione del Comune di Custonaci, ed il fatto che il precedente contesto politico è totalmente mutato, avendo, peraltro, lo stesso COGNOME preso le distanze da quel contesto in cui si sarebbero verificati i fatti oggetto di contestazione, concludendo, quindi, che le residue esigenze cautelari ben potrebbero, ora, essere adeguatamente soddisfatte con la misura degli arresti domiciliari in luogo distante da quello ove si collocano i fatti criminosi.
Ciò posto si impongono delle precisazioni riguardo ai temi che i motivi, attraverso le deduzioni svolte, hanno posto.
Si deve innanzitutto ribadire che in materia di misure cautelari non opera il limite del “ne bis in idem”, e il sindacato giurisdizionale su di esse non è idoneo alla formazione del giudicato, tant’è che le relative statuizioni sono ricorribili p cessazione, ai sensi dell’art. 111, comma settimo, Cost., non per la natura decisoria delle stesse ma perché si tratta di atti che incidono sulla libertà personale (cfr., in tema, la recentissima sentenza di questa Corte Sez. 1, n. 15747 del 22/04/2025, Rv. 287838 – 01. Conf, Sez. 1 civ., n. 24721 del 2021, Rv. 662478-01), e si deve, al più, parlare di efficacia preclusiva, “rebus sic stantibus” (cfr, per tutte, Sez. 5, n. 12745 del 06/12/2023, dep. 27/03/2024, Rv. 286199 – 01, che ha affermato che in tema di giudicato cautelare, la preclusione processuale conseguente alle pronunce emesse, all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte di cessazione o dal Tribunale in sede di riesame o di appello è di portata più ridotta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché limitata allo stato degli atti, sia perché non copre le questioni deducibili, ma solo le questioni dedotte e decise, ancorché implicitamente, nel procedimento di impugnazione avverso le ordinanze in materia di misure cautelari personali). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E nel caso di specie il Tribunale non si è affatto trincerato dietro il cd giudicato cautelare – tant’è che come osserva la stessa difesa il suo epilogo decisorio non è stato in termini di inammissibilità ma di rigetto – e, a differenza di quanto si assume in ricorso, ha adeguatamente valutato gli elementi indicati dalla difesa come nuovi, sebbene essi fossero stati in gran parte già oggetto di vaglio – negativo – nei precedenti provvedimenti emessi dal medesimo Tribunale in diversa composizione (sia in sede di riesame, che di appello avverso precedente istanza di tenore analogo a quella che ha dato origine al procedimento incidentale del presente giudizio cautelare).
Il Tribunale del riesame, dopo aver preso atto che il ricorrente è stato condannato, in sede di abbreviato, per il reato di concorso esterno all’associazione di stampo mafioso denominata ‘Cosa Nostra’, come già riqualificato in sede genetica cautelare rispetto all’originaria imputazione di
partecipazione associativa, oltre che per il reato di cui agli artt. 110-512-bis c.p. non aggravato dall’agevolazione mafiosa, ha, innanzitutto, rilevato che con la richiesta del 14 Febbraio 2025 la difesa aveva chiesto la sostituzione della misura di massimo rigore con quella degli arresti domiciliari deducendo l’affievolimento delle esigenze cautelari, avuto riguardo: alla definizione del giudizio di primo grado ed all’intervenuta condanna per le ridimensionate fattispecie criminose di concorso esterno in associazione mafiosa e di trasferimento fraudolento di valore con esclusione della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, alla natura relativa della presunzione operante in relazione alla fattispecie di cui agli articoli 110-416-bis, allo stato incensuratezza del COGNOME, al venir meno del pericolo di inquinamento probatorio, al tempo trascorso dai fatti, al corretto comportamento dell’imputato, alla disponibilità dell’abitazione del figlio, sita in Brescia, ove eseguire l’eventua misura degli arresti domiciliari; e che tale richiesta era stata rigettata dal G.u. per l’assenza di elementi sopravvenuti meritevoli di positiva valutazione (evidentemente non ritenuti identificabili in quelli indicati dalla difesa).
Il Tribunale, ritenuto di poter integrare il provvedimento del G.u.p., conformemente all’orientamento consolidato di questa Corte, che, applicando le regole generali delle impugnazioni di merito, attribuisce al Tribunale della cautela il potere di ovviare ad eventuali carenze di motivazione, ha proceduto all’esame degli elementi posti sul tappeto dalla difesa, non prima di porre, giustamente, in evidenza come, in realtà, non potesse ritenersi elemento nuovo positivo di valutazione la qualificazione, in sede di condanna, della condotta di cui al capo 1 ai sensi degli artt. 110-416-bis c.p. e l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p., trattandosi, a ben vedere, di aspetti già considerati ambito cautelare ed, in parte, nello stesso momento genetico della misura avendo il G.i.p. già all’atto dell’applicazione della custodia in carcere qualificato fatto della partecipazione come concorso esterno. E ha il Tribunale messo in rilievo come la pronuncia di condanna, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni 8 e mesi 4 di reclusione, più che risolversi in un elemento idoneo ad indurre una rivalutazione del quadro cautelare – già valutato nella stessa ordinanza genetica, come prospetta la medesima difesa, alla stregua della fattispecie del concorso esterno e non di quella della partecipazione associativa stesse piuttosto a dimostrare la consistenza del materiale probatorio che è stato raccolto nei confronti del Guarano.
Giustamente il novum è stato escluso perché la condotta ravvisata nella sentenza di condanna è perfettamente coincidente con quella già ritenuta nell’ordinanza genetica, ritenendo che il confronto ai fini della valutazione del
novum, a differenza di quanto prospettato dalla difesa, non andasse effettuato rispetto alla condotta replicata dal P.M. in termini di partecipazione associativa in sede di esercizio dell’azione penale (nonostante la già intervenuta riqualificazione da parte del giudice della cautela), ed è sulla base di tale diversa qualificazione che è stata, comunque, effettuata la valutazione del caso.
Il Tribunale non si è sottratto alle valutazioni del caso, pur doverosamente evidenziando che il precedente rigetto, confermato dal medesimo Tribunale, di analoga istanza di sostituzione della misura con gli arresti domiciliari al nord Italia, presentata nel 2024, aveva già posto in evidenza come tale misura domiciliare non potesse essere ritenuta sufficiente, considerate la spregiudicatezza del Guarano e la fitta rete di rapporti intessuta dallo stesso con diversi esponenti mafiosi anche di famiglie diverse da quella di Custonaci. E, sulla base di tale presupposto, il Tribunale ha osservato che, quindi, particolarmente specifico avrebbe dovuto essere l’onere di allegazione di fatti nuovi ovvero di elementi idonei a mutare il granitico quadro cautelare esistente.
E, quanto al decorso del tempo, pure addotto dalla difesa come novum, il Tribunale, dopo aver puntualizzato che, a rigore, l’obbligo di considerazione di tale elemento è collocato dall’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. nella fase di applicazione della misura, mentre analoga valutazione non è richiesta dall’art. 299 c.p.p. ai fini della revoca o sostituzione della misura, citato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in ogni caso, il tempo trascorso non sarebbe di per sé fattore idoneo ad attenuare o elidere le esigenze cautelari, ha concluso che, nel caso di specie, pur a voler tener conto del tempo trascorso, esso non depone comunque a favore di un’attenuazione delle esigenze cautelari, non potendosi, tra l’altro, ritenere il tempo trascorso in carcere senza violazione delle prescrizioni un fattore sufficiente ai fini della valutazione argomento.
Nel provvedimento impugnato vi è, tra l’altro, il riferimento all’intercettazione del 11 giugno 2023, dalla quale sono stati estrapolati aspetti allarmanti della personalità del ricorrente, che secondo i giudici della cautela danno piuttosto conto, in positivo, della concretezza ed attualità delle esigenze cautelari. Tali conversazioni – non oggetto di specifica contestazione da parte della difesa che si è limitata a sminuirne il pur eloquente significato ai fini cautelari – in particola secondo quanto si legge nell’ordinanza del Tribunale, darebbero atto dell’allarmante ritorsione programmata dal Guarano per la sua estromissione dell’amministrazione comunale anche in occasione delle più recenti elezioni dell’epoca, che non ebbero l’esito sperato dal Guarano, e del fatto che quest’ultimo non solo sarebbe stato ancora appoggiato da COGNOME NOME, ma
insieme a questi si sarebbe rivolto al reggente della famiglia mafiosa di Valderice, NOME FrancescoCOGNOME per ottenere il suo sostegno elettorale, come da informativa del 15 giugno 2023 (che colloca i fatti nella fase antecedente all’applicazione della misura cautelare in carcere, che secondo quanto riferisce la stessa difesa nelle note conclusive è intervenuta dopo soli quattro mesi da tali fatti).
Tale circostanza ha, in buona sostanza, indotto il Tribunale a concludere, conformemente a quanto già osservato dai precedenti giudici della cautela, che le relazioni intrattenute e mantenute, nel tempo, dal Guarano, con soggetti organici a ‘Cosa Nostra’, il contributo offerto in cambio dell’appoggio elettorale ai sodali mafiosi, manifestato fino a poco tempo prima dell’applicazione della misura custodiale, impongono – di là della intervenuta esclusione della sua intraneità alla cosca – di formulare una prognosi di estremo sfavore e a ritenere necessaria una restrizione assoluta della libertà di movimento e di relazione dell’imputato, garantita soltanto dall’applicazione della custodia cautelare in carcere, non emergendo, di contro, elementi specifici atti a far concludere per la possibilità di un soddisfacimento delle esigenze cautelari mediante il ricorso a misure diverse e meno afflittive, neppure a quella degli arresti domiciliari in luogo distante – e con presidio elettronico. Ciò, considerate, in altri termini, d un lato, la spregiudicatezza dimostrata dal COGNOME nel tempo e la fitta rete di rapporti intessuta dallo stesso con diversi esponenti mafiosi anche di famiglie diverse da quella di Custonaci, e, dall’altro, la mancata emersione di elementi effettivamente valutabili come positivi ai fini del superamento della presunzione relativa di adeguatezza della misura cautelare in carcere, che – è il caso di rammentare – comunque opera nel caso del concorrente esterno. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rimane solo da precisare che è, peraltro, pacifico che per ‘tempo silente’ secondo la giurisprudenza di questa Corte, conformemente al dettato di cui all’art. 292 cod. proc. pen., deve intendersi il tempo trascorso dal fatto al momento dell’applicazione della misura (cfr. tra tante, Sez. 6, Sentenza n. 2112 del 22/12/2023, dep. 17/01/2024, Rv. 285895 – 01). E non potrebbe essere altrimenti perché il ‘tempo silente’ rilevante non può che riferirsi all’ar temporale che intercorre tra i fatti contestati e l’applicazione della misura cautelare, dal momento che, perché esso rilevi, si deve trattare di un arco temporale – rilevante – privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, che in quanto tale non può che trovare la sua naturale collocazione nel periodo antecedente all’applicazione della misura, ossia nel periodo in cui l’imputato è libero e si trova quindi nella possibilità dì continuare
delinquere (e ciò nonostante non delinque ulteriormente, o almeno non sono rilevate ulteriori condotte illecite).
Tuttavia, nel caso di specie, non può dirsi rilevante il tempo trascorso tra le condotte ascritte al ricorrente, risalenti al 2021, e la data di applicazione dell misura, risalente al 2023, soprattutto se si considera che il periodo di poco antecedente all’applicazione della misura cautelare risulta connotato dalla vicenda del 2023, di cui si è fatto sopra cenno, che è stata giustamente ritenuta indicativa dei collegamenti mantenuti dal ricorrente nel tempo con i clan della zona, fino a pochi mesi prima dell’applicazione della misura in carcere. E tale valutazione, che fa leva proprio sulle cointeressenze mantenute dal ricorrente nel tempo coi clan, di là della copertura, in atto, di cariche all’inter dell’Amministrazione, da parte dello stesso, la difesa ha inteso superare adducendo, in maniera evidentemente, inconducente, la circostanza che il Guarano non ricopre più alcun ruolo nel Comune di Costunaci e che sarebbe mutato il contesto politico di riferimento.
La stessa difesa ha, invero, per altro verso, inteso dare rilievo soprattutto al tempus commissi delicti e al tempo trascorso in carcere, quale tempo ‘non muto’, ossia al complessivo arco temporale decorso dalle condotte ascritte al ricorrente, senza tuttavia indicare idonei elementi positivi di valutazione, che potessero, cioè, dare corpo a quell’ “eloquenza” del tempo trascorso, anche in carcere, che la medesima adduce a sostegno della sua impostazione, e consentire, quindi, di superare la presunzione relativa di adeguatezza della misura custodiale.
In altri termini, l’esito della valutazione del profilo cautelare non cambia anche ove lo si riguardi dal punto di vista del tempo complessivo decorso dal fatto. Se non sì può dubitare, infatti, che, da un lato, il tempo trascorso i carcere a seguito dell’applicazione della misura cautelare determini un allontanamento soprattutto fisico del soggetto dal contesto associativo, che nel caso di concorso esterno può assumere un rilievo diverso ai fini della valutazione delle esigenze cautelari, si deve, tuttavia, considerare, dall’altro, che il punto non è tanto il mero tempo trascorso in carcere ed il comportamento assunto dal soggetto in restrizione carceraria in adempimento delle prescrizioni impostegli dal regime carcerario, peraltro neppure specificamente addotto dal ricorrente, quanto piuttosto il segnale positivo che può essere dato anche durante la restrizione carceraria, non evidenziato, né in altro modo emerso, nel caso in esame, trattandosi di superare una presunzione di adeguatezza della misura cautelare in carcere attraverso una prognosi che proietti il comportamento della
persona al di fuori dal carcere, una volta che intervenga la revoca o sostituzione della misura.
Di contro, ai finì di una prognosi negativa, ben possono essere presi in considerazione, come fatto nella vicenda in scrutinio, anche elementi relativi al comportamento, nel suo complesso, allarmante, assunto dal soggetto prima di essere ristretto in carcere, che diventa, evidentemente, maggiormente indicativo ove sia ascrivibile – come nel caso di specie alla stregua della citata informativa del 11.6.2023 – al periodo di poco antecedente alla imposizione della misura e non siano sopravvenuti, rispetto ad esso, elementi di segno positivo, che vieppiù s’impongono quando si tratta di superare la presunzione relativa della necessità della custodia in carcere (elementi di segno positivo che nel caso di specie, si ribadisce, neppure la difesa ha saputo indicare).
Il ricorso, in definitiva, non ha rappresentato elementi idonei a dimostrare che, a fronte della condotta assunta anche nella fase di poco antecedente alla restrizione, il ricorrente abbia successivamente, durante la detenzione cautelare in carcere, assunto comportamenti significativi di segno contrario, che, pur non dovendo consistere, allorquando si versa nel caso del concorso esterno in associazione di stampo mafioso, in segnali di rescissione, ben possono, e devono, andare quanto meno oltre il mero rispetto delle prescrizioni carcerarie.
Non si può attribuire, come vorrebbe la difesa, alla detenzione carceraria protrattasi sinora per circa due anni rilievo ex se, dal momento che il mero decorso del tempo, per di più non particolarmente consistente, ha valore neutro ove non sia accompagnato da altre circostanze suscettibili di incidere sulla considerazione delle esigenze da salvaguardare, ove non emergano, cioè, altri elementi idonei a suffragare la tesi dell’affievolimento delle esigenze cautelari, e ciò a maggior ragione nell’ipotesi dell’operatività della presunzione relativa di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p.
Il tempo trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura cautelare, nel caso in cui operi la presunzione relativa dì cui all’art. 275 c.p.p., è, infat qualificabile come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelarí solo in presenza di ulteriori elementi dì valutazione, e ciò vieppiù nel caso in cui il lasso di tempo trascorso non sia, come nel caso di specie, particolarmente rilevante.
In definitiva, operando, nel caso in esame, la regola di giudizio che regge le cautele personali che fondano l’adeguatezza della misura della custodia in carcere sulla base di una presunzione relativa di sussistenza dell’esigenza cautelare, che trova applicazione sia nella fase applicativa della misura che in quella successiva, non occorre(va) alcun particolare rigore motivazionale al fine
di escludere la capacità dell’indagato di osservare disciplinatamente le prescrizioni in caso di misura auto-custodiale, dovendo la capacità di
autocontrollo risultare dagli atti o essere desunta, anche sulla base di allegazioni della parte, da elementi specifici che, in relazione al caso concreto, facciano
ritenere che le esigenze cautelari siano salvaguardabili con misure diverse dalla custodia cautelare in carcere (sicché si appalesa, per altro verso, inappropriato il
riferimento alla sentenza della Prima Sezione di questa Corte, allegata alla nota difensiva in atti, che, attenendo al diverso caso del reato di corruzione, ha dato
rilievo alla circostanza della sospensione della carica ed ha quindi annullato con rinvio l’ordinanza dinanzi ad essa impugnata).
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge,
ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese di procedimento.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1-ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si tro ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis del citato articolo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 13/6/2025.