Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19712 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19712 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Torino in ordine all’assoluzione di COGNOME NOME, n. Carignano (To) il 04/10/1973
NOME NOME NOME, n. Sant’Onofrio (Vv) l’ 08/02/1961
COGNOME NOME, n. Carmagnola (To) il 31/05/1975
NOME NOME COGNOME n. Sant’Onofrio (Vv) il 25/03/1959
Buono NOME, n. Caltavuturo (Pa) il 21/03/1958
COGNOME NOME, n. Torino l’ 01/06/1973
NOME n. Tricarico (Mt) il 29/11/1967
COGNOME NOME, n. Torino il 13/09/1971
COGNOME Carlo, n. Matera il 05/11/1965
Defina NOME, n. Sant’Onofrio (Vv) il 27/04/1966
COGNOME NicolaCOGNOME n. Vibo Valentia il 30/09/1974
INDIRIZZO San Costantino Calabro (Vv) il 12/03/1954
COGNOME NOMECOGNOME n. Polistena (Rc) il 21/12/1978
NOME n. Wolfsburg (Germania) il 15/09/1970
COGNOME NOME, n. Casale Monferrato (Al) il 20/09/1960
COGNOME NOME, n. Vibo Valentia il 20/05/1978
avverso la sentenza n. 5026/23 della Corte di appello di Torino del 20/07/2022
letti gli atti, i ricorsi e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME
sentito il pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che, oltre a depositare conclusioni scritte, ha concluso per il rigetto del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino, per l’annullamento senza rinvio della sentenza nei confronti di COGNOME perché i reati estinti per morte dell’imputato e per la dichiarazione di inammissibilità di tutti gli altri ricorsi;
sentiti l’avv. NOME COGNOME per le parti civili Regione Piemonte, Comune di Carmagnola, RAGIONE_SOCIALE Nomi e RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Alessandro e l’avv. NOME COGNOME per l’Associazione RAGIONE_SOCIALE, i quali hanno chiesto di rigettare o dichiarare inammissibili i ricorsi proposti dai ricorrenti, con la condanna degli stessi all rifusione delle spese di difesa e rappresentanza sostenute nel presente giudizio come dalle rispettive notule depositate;
sentito per il resistente COGNOME l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME che hanno chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso del Procuratore Generale distrettuale sentiti per i ricorrenti:
l’avv. NOME COGNOME NOME
l’avv. NOME COGNOME per Arone NOME
l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME Salvatore
l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME per NOME
l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME
l’avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME
l’avv. NOME COGNOME NOME
l’avv. NOME COGNOME COGNOME NOME
l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME per NOME
l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME l’avv. NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME COGNOME NOME l’avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME
i quali hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi rispettivamente patrocinati
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado, emessa dal Tribunale di Asti in data 10/06/2022, di condanna di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME COGNOME e COGNOME NOME come appartenenti al locale di Carmagnola (To), emanazione piemontese della cosca COGNOME, originaria del paese di Sant’Onofrio (Vv) ed affiliata alla ‘ndrangheta calabrese (capo A dell’imputazione) e quindi in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod pen. La Corte territoriale ha, invece, confermato l’assoluzione pronunciata in primo grado di COGNOME NOME dall’accusa di partecipazione a tale sodalizio mafioso, mentre ha ribaltato la pronuncia assolutoria da tale addebito nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME Nicola.
Nei confronti dei residui imputati, attinti o meno dall’accusa di natura associativa sono, infine, intervenute pronunce tanto di conferma delle condanne emesse dal Tribunale (COGNOME, COGNOME e COGNOME per concorso esterno in associazione mafiosa; COGNOME, COGNOME e COGNOME per quello di scambio elettorale politico-mafioso) quanto di ribaltamento della pronuncia assolutoria del primo giudice (COGNOME Alessandro in ordine ai capi H, Ni; COGNOME NOME in ordine reati di incendio, minaccia e danneggiamento di cui ai capi El, F1, G1, H1, I1, Li, M1).
Avverso la sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione sia il Procuratore Generale distrettuale, limitatamente alla posizione dell’imputato COGNOME che gli altri imputati, deducendo i rispettivi motivi di censura, come riportati negli stretti limiti indicati dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. pen.
Ricorso del Procuratore Generale distrettuale
2.1. Carenza di motivazione in ordine alla riscontrata esistenza di consis prove (risultanze delle intercettazioni telefoniche, acclarate dazioni di de favore del capo cosca) atte a dimostrare come NOME COGNOME fosse il telefoni del capo cosca, NOME COGNOME e come tale incaricato di mantenere i contat con gli altri componenti del gruppo criminale.
2.2. La difesa del resistente COGNOME ha fatto pervenire memoria con evidenzia svariati profili in ordine ai quali invoca una dichiarazio inammissibilità dell’impugnazione della parte pubblica.
3. Ricorso di COGNOME NOME
3.1. Erronea applicazione degli artt. 195 e 210, comma 5, cod. proc. pen conseguente inutilizzabilità degli esami resi dagli imputati di reato con NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME le cui propalazioni sono stat poste a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato pe reato di cui al capo A e conseguente annullamento della sentenza impugnata.
3.2. Vizi congiunti di motivazione in ordine alla ravvisabilità del reato all’art. 416-bis cod. pen. contestato al capo A ed erronea applicaz dell’anzidetta disposizione incriminatrice nonché violazione degli artt. 187, 195 cod. proc. pen. con riferimento ai vari punti nodali dell’accusa (esis della cosca COGNOME; portata e rilevanza delle dichiarazioni dei collaborato giustizia; sussistenza dell’associazione di matrice ‘ndranghetistica nel terri Carmagnola e zone limitrofe; affermato coinvolgimento del ricorrente in attiv di recupero crediti, di intimidazione di soggetti privati, di infiltrazioni ne dell’edilizia, di appianamento di contrasti tra soggetti terzi, di inter consultazioni elettorali ed al traffico di sostanze stupefacenti).
3.3. Erronea applicazione dell’art. 416-bis, secondo comma, cod. pen. e v congiunti di motivazione in ordine all’individuazione del ricorrente quale sogg promotore e dirigente dell’associazione ‘ndranghetistica di cui al capo A.
3.4. Vizi congiunti di motivazione in ordine alla ravvisabilità delle circost aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto e quinto comma, cod. pen. e comunq erronea applicazione di dette previsioni di legge.
3.5. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 19 vizi congiunti di motivazione in ordine alla conferma della penale responsabil per il delitto in materia di traffico di sostanze stupefacenti contestato al c
3.6. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen e vizi congiu di motivazione in ordine alla conferma della penale responsabilità per il deli estorsione contestato al capo 01.
3.7. Erronea applicazione dell’art. 62-bis e dell’art. 133 cod. pen. e vizi
congiunti di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanz attenuanti generiche ed alla quantificazione della pena da irrogare.
4. Ricorso di COGNOME Raffaele
4.1. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 416-bis cod. pen. in o alla ribadita esistenza di una consorteria criminale.
4.2. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 416-bis cod. pen. in or alla condotta di partecipazione del ricorrente alla consorteria criminale congiunti di motivazione con riferimento alla qualificazione della condott ‘messa a disposizione’ in rapporto alle vicende prese in considerazione c sintomatiche della stessa (tentato acquisto di valuta venezuelana, appianamen di contrasti tra privati)
4.3. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 192 e 546 cod. pen ordine alla valutazione delle risultanze probatorie del giudizio.
4.4. La difesa del ricorrente ha depositato tempestivamente memoria in cui ribadiscono le censure alla motivazione della sentenza relative alla confe della responsabilità in ordine all’imputazione associativa.
5. Ricorso di COGNOME
5.1. Annullamento dell’ordinanza del Tribunale di Asti del 21 luglio 2020 c cui veniva respinta la questione di incompetenza territoriale proposta dalla d per violazione della legge processuale (art. 8 cod. proc. pen. in relazione a 416-bis cod. pen.) e conseguente nullità del decreto che dispone il giudiz relazione ai capi A e F dell’imputazione.
5.2. Erronea applicazione degli artt. 195 e 210, comma 5, cod. proc. pen conseguente inutilizzabilità degli esami resi dagli imputati di reato conne NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME le cui propalazioni sono state poste a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato pe reato di cui al capo A e conseguente annullamento della sentenza impugnata.
5.3. Vizi congiunti di motivazione in ordine alla ravvisabilità del reato all’art. 416-bis cod. pen. contestato al capo A ed erronea applicazione d anzidetta disposizione incriminatrice nonché violazione degli artt. 187, 192 e cod. proc. pen. con riferimento ai vari punti nodali dell’accusa (esistenza cosca COGNOME; portata e rilevanza delle dichiarazioni dei collaborator giustizia; sussistenza dell’associazione di matrice `ndranghetistica nel territ Carmagnola e zone limitrofe; affermato coinvolgimento del ricorrente in attivi di recupero crediti, di intimidazione di soggetti privati, di infiltrazioni ne dell’edilizia, di appianamento di contrasti tra soggetti terzi, di inter consultazioni elettorali ed al traffico di sostanze stupefacenti).
5.4. Erronea applicazione dell’art. 416-bis, secondo comma, cod. pen. e v congiunti di motivazione in ordine all’individuazione del ricorrente quale sogg promotore e dirigente dell’associazione ‘ndranghetistica di cui al capo A.
5.5. Vizi congiunti di motivazione in ordine alla ravvisabilità della circos aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto e quinto comma, cod. pen. e comunq erronea applicazione di dette previsioni di legge.
5.6. Vizi congiunti di motivazione in ordine alla ravvisabilità degli ele costitutivi del reato di cui all’art. 512-bis aggravato ai sensi dell’art. cod. pen. contestato al capo F dell’imputazione nonché in ordine alla riba sussistenza dell’elemento soggettivo necessario ad integrarlo al ricorrente ogni caso errata applicazione della ricordata previsione di legge.
5.7. Vizi congiunti di motivazione in ordine alla ravvisabilità degli ele costitutivi del reato di cui all’art. 512-bis aggravato ai sensi dell’art. cod. pen. contestato al capo H dell’imputazione nonché in ordine alla riba sussistenza dell’elemento soggettivo necessario ad integrarlo al ricorrente ogni caso errata applicazione della ricordata previsione di legge.
5.8. Erronea applicazione dell’art. 62-bis e dell’art. 133 cod. pen. congiunti di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostan attenuanti generiche ed alla quantificazione della pena da irrogare.
6. Ricorso di NOME
Il ricorrente affida l’impugnazione a due distinti atti redatti dai propri di Ricorso a firma dell’avv. S. Lo Greco
6.1. Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabil relazione all’art. 192 cod. proc. pen. ed illogicità derivata in e motivazione basata sul pregiudizio di colpevolezza dell’imputato dedotto da circostanze inveritiere e comunque non riscontrate con particolare riguardo fatti di cui alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME ed alla su di motivi di astio con le persone offese dei delitti di danneggiamento.
6.2. Manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di mer ha riformato la sentenza di primo grado in punto di responsabilità dell’imputa riguardo ai delitti di danneggiamento.
Ricorso a firma dell’avv. C. COGNOME
6.3. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenu partecipazione del ricorrente al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. associazione di natura ‘ndranghetistica operante in Carmagnola.
Erronea applicazione di legge penale processuale con riferimento all’art. cod. proc. pen. ed in relazione alla valutazione delle risultanze probator particolare alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, NOME COGNOME
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,
Erronea applicazione di legge penale processuale con riferimento all’art. 533 cod. proc. pen. anche con riferimento alla mancanza di riscontri a quelle dichiarazioni.
Violazione di legge ed erronea applicazione di legge penale processuale con riferimento all’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen.
Violazione di legge ed erronea applicazione di legge penale processuale con riferimento all’art. 238-bis cod. proc. pen.
6.4. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta matrice dolosa dei reati contestati ai capi E1 e G1.
Mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta responsabilità del ricorrente in ordine ai reati contestati ai capi El, Fl, G1, H1 Il, L1, M1 ed erronea applicazione di legge penale processuale con riferimento all’art. 533 cod. proc. pen.
6.5. Erronea applicazione di legge penale sostanziale con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e vizi congiunti di motivazione sul punto.
6.6. Erronea applicazione di legge penale con riferimento all’art. 62-bis cod. pen. e vizi congiunti di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
6.7. Con motivi nuovi, la difesa di tale ricorrente si sofferma nuovamente sul tema della motivazione rafforzata, asseritamente carente nella sentenza impugnata nonché in maniera specifica sui reati di danneggiamento e incendio ascrittigli.
7. Ricorso di COGNOME NOME
7.1. Nullità della sentenza impugnata per vizi di legge e di motivazione nonché travisamento delle prove con riferimento alla ribadita sussistenza del delitto associativo di cui al capo A dell’imputazione con specifico riferimento all’asserita adesione ad esso del ricorrente nella forma del concorso esterno come ipotizzato al capo Q1 della rubrica.
Manca del tutto nella sentenza impugnata ogni indicazione dello specific vantaggio derivante dal rapporto instaurato dall’imprenditore colluso con la co mafiosa, che deve consistere, secondo la univoca giurisprudenza di legittimi nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e per l’organizzazione, i nel suo complesso, nell’ottenere risorse, servizi o utilità, essendo suffici circostanza che la condotta dell’extraneus abbia contribuito a far conseguire risultati utili ad uno o più associati al sodalizio criminale.
Nei casi presi in esame, oltre tutto, la circostanza che le provvigioni siano state ripartite in parti uguali tra NOME COGNOME (intranei alla cosca) e
COGNOME (concorrente esterno) smentisce la tesi che nelle operazioni immobiliari in questione via sia stato un intervento del sodalizio criminale in quanto tale e d’altro canto nessuna risultanza processuale comprova che quelle provvigioni celassero una fonte di finanziamento occulto destinato alla realizzazione di un obiettivo comune e condiviso con i partecipi dell’asserita associazione.
7.2. Vizi congiunti di motivazione e mancata assunzione di una prova decisiva relativamente all’operazione di compravendita della villa del calciatore COGNOME in Moncalieri, consistente nella mancata indicazione del reale valore dell’immobile che si sarebbe potuto appurare soltanto mediante l’espletamento di una perizia a ciò dedicata; né sono stati acquisiti elementi di prova di una intervenuta intimidazione del venditore (COGNOME) o del suo procuratore speciale (COGNOME sia a procedere alla vendita che ad accettare il prezzo di cessione fissatosi alla fine della trattativa.
7.3. Vizi congiunti di motivazione, mancata assunzione di una prova decisiva e disapplicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. con riferimento alla compravendita degli altri immobili (appartamento e garage ubicati a Pragelato).
Oltre all’assenza anche in tale caso di una perizia estimativa del valore degli immobili, non sono state tenute in considerazione le dichiarazioni rese dal teste arch. COGNOME che aveva chiarito come le condizioni dell’appartamento fossero fatiscenti e che l’operazione fosse di scarsa convenienza per l’acquirente COGNOME
7.4. Vizi congiunti di motivazione e valutazione meramente esplorativa in merito alla presunta minaccia (ambasciata) nei confronti di NOME COGNOME
La sentenza dà spazio a illazioni, deduzioni e congetture volte a configurare l’esistenza di una cd. ambasciata intimidatoria nei confronti del coimputato COGNOME il quale non ha mai confermato di essere stato intimidito da COGNOME e COGNOME sebbene entrambi di origine calabrese.
7.5. Violazione di legge in relazione agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. sotto il profilo della mancanza di colpevolezza da parte del ricorrente di trattare con esponenti dell’associazione a delinquere e comunque di aver cagionato vantaggi atti a mantenere o a rafforzare il sodalizio criminoso, specie in rapporto a consorteria cd. delocalizzata rispetto alla casa madre operante nei territorio di storico insediamento ed operatività.
8. Ricorso di COGNOME NOME
8.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 141-bis e 190 cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta parziale utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla ricorrent in occasione dell’interrogatorio reso in stato di arresto in data 2 gennaio 2020 per mancata registrazione dello stesso.
8.2. Violazione dell’art. 416-ter cod. pen. e vizi congiunti di motivazione con
riferimento alla ritenuta superfluità dell’accertamento del metodo mafioso qu oggetto del ritenuto pactum sceleris.
8.3. Violazione degli art. 110, 416-ter cod. pen. e vizi congiunti di motivaz con riguardo alla statuizioni concernenti l’attribuzione alla ricorrent qualifica di concorrente morale nel reato e l’individuazione dell’apporto cau asseritamente dalla medesima prestato nella conclusione del presunto pat illecito.
8.4. Violazione degli artt. 56, terzo comma e 110 cod. pen. e vizi congiunt motivazione con riguardo alla statuizioni concernenti il mancato riconosciment della volontaria desistenza manifestata dalla ricorrente in relazione ai f addebito.
8.5. Violazione dell’art. 43 cod. pen. e vizi congiunti di motivazione riguardo alla ritenuta consapevolezza dei ruoli assunti dai procacciatori del elettorale Garcea e Viterbo.
8.6. Nei motivi nuovi formulati dalla difesa della ricorrente si pone l’ac sull’erronea applicazione dell’art. 416-ter cod. proc. pen. nonché sulla ma motivazione in ordine all’accertamento del ricorso al cd. metodo mafioso qua specifico oggetto della pattuizione di cui alla contestazione.
9. Ricorso di COGNOME NOME
9.1. Erronea applicazione degli artt. 110 e 416-bis, cod. pen. in relazion ritenuta partecipazione del ricorrente a titolo di concorso esterno a associazione a delinquere.
9.2. Mancanza di motivazione da travisamento delle prove in cui sono incorsi giudici di primo e secondo grado e inesistenza della motivazione.
9.3. Mancanza di motivazione da omessa considerazione dei motivi di appello aventi carattere di decisività.
10. Ricorso di COGNOME NOME
10.1. Violazione degli artt. 110 e 416-bis cod. pen. ed erronea ed illegi individuazione della condotta di concorso esterno in associazione mafiosa e v congiunti di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto conte
10.2. Con motivi nuovi ed in relazione al primo originario motivo di ricorso insiste ulteriormente sulla violazione degli artt. 110 e 416-bis cod. pen. n dell’art. 40 primo comma cod. pen. per avere la Corte di merito previa violazi di legge, vizio motivazionale e travisamento probatorio, ritenuto sussistent penale responsabilità dell’imputato ritenendo sussistenti gli elementi oggett soggettivi della ipotesi del c.d. concorso esterno in associazione di tipo mafi
10.3. Quanto alla violazione dell’art. 416-ter cod. pen. in relazione all’a
lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. per avere la Corte di merito con violaz legge, motivazione inesistente e/o apparente e travisamento probatorio, riten sussistente la penale responsabilità del ricorrente, omettendo prim individuare e poi di motivare sull’intervenuta indicazione, in sede di acc ritenuto illecito, dell’impiego del metodo mafioso da parte dei presunti s (Viterbo e Garcea) in quanto agenti come esponenti del sodalizio mafioso.
10.2. Violazione degli artt. 110 e 416-ter cod. proc. pen. ed errone illegittima affermazione della sussistenza della condotta di concorso in pat scambio elettorale politico mafioso e vizi congiunti di motivazione in ordine ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al ricorrente.
11. Ricorso di NOME.
Il ricorrente affida l’impugnazione a due distinti atti, rispettivamente a dei suoi difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME ma di contenuto identico
11.1. Annullamento della sentenza in relazione agli artt. 192 cod. proc. pe 416-bis cod. pen. ed illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordin ritenuta esistenza di una associazione di stampo ‘ndranghetistico sul territo Carmagnola, alla partecipazione alla stessa del ricorrente ed alla val dell’apporto probatorio offerto dai collaboratori di giustizia su detti temi.
11.2. Erronea applicazione dell’art. 416-bis cod. pen. in relazione al req della stabile e costante messa a disposizione del sodalizio da parte del rico e vizi congiunti di motivazione e travisamento della prova sul punto.
11.3. Erronea applicazione dell’art. 416-bis cod. pen. in relazione al man utilizzo, da parte del ricorrente, di metodo mafioso nell’acquisizione del can torinese delle INDIRIZZO e vizi congiunti di motivazione e travisamento prova sul punto.
11.4. Erronea applicazione dell’art. 416-bis cod. pen. quanto alla dimensi territoriale della sfera di influenza della consorteria di Carmagnola contributo che ad essa avrebbe apportato il ricorrente e vizi congiunt motivazione e travisamento della prova sul punto, derivante anche da un valutazione non specifica degli indicatori di intraneità (vicenda de Transilvania, vicenda relativa all’ex cartiera di Coazze, assistenza alla latitanza di NOME COGNOME, figlio di NOME, rapporti del ricorrente con gl imputati del delitto associativo, valutazione delle dichiarazioni rese da COGNOME e dall’imputato di reato connesso COGNOME rapporti con NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME).
11.5. Violazione dell’art. 416-bis, quarto e quinto comma, cod. pen. e congiunti di motivazione con riferimento alla ribadita sussistenza delle aggrav del carattere armato della consorteria carmagnolese, al di là delle sugges
accusatorie riferite alla circostanza del rinvenimento di armi nella disponibi NOME COGNOME ed al contenuto delle conversazioni captate tra persone (NOME COGNOME, NOME COGNOME) con i quali il ricorrente non ha avuto alcu contatto.
11.6. Violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizi congiunti di motivazione riguardo alla ribadita esclusione del riconoscimento delle circostanze attenu generiche.
11.7. Con motivi nuovi, i difensori del ricorrente, in riferimento alla con per il reato ascrittogli al capo A, deducono ulteriormente violazione di penale, in relazione all’art. 416-bis cod. pen., violazione dell’art. 192 co pen., contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine alla r esistenza della consorteria criminale descritta al capo A dell’imputazion locale di Carmagnola), nonché dell’inserimento in essa del ricorrente.
12. Ricorso di COGNOME Nicola
12.1. Vizi congiunti della motivazione in relazione al canone probatorio ragionevole dubbio, nel caso di pronunce di primo e secondo grado difformi.
La Corte di appello, pur essendosi apparentemente attenuta ai canoni del motivazione rafforzata, ha tratto elementi in aperto contrasto con alcuni pass della sentenza assolutoria oltre a disattendere qualsiasi effettivo confron le emergenze a discarico valorizzate dal primo giudice, quali ad esempio mancata menzione del ricorrente tra gli appartenenti al sodalizio criminal parte dei collaboratori di giustizia, alcuni dei quali dichiaratisi intranei all
Né è stata evidenziata l’irrazionalità della motivazione della sentenz Tribunale in relazione ai vari aspetti presi in considerazione e valorizzati i accusatorio dai giudici di appello, quali la durata dei rapporti lavorati NOME, il preteso ricorso al canone di ‘ndrangheta proprio della ambasciata, la natura dei rapporti con altri coimputati come COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME o soggetti esterni come COGNOME NOME.
12.2. Violazione di legge in relazione all’art. 416-bis, primo comma, cod. in relazione alla indimostrata prestazione da parte del ricorrente di un contr causale minimo, ancorché non insignificante alla vita della struttura associat
12.3. Violazione di legge in relazione all’art. 416-bis, quarto comma, cod. in relazione alla configurabilità oggettiva e soggettiva dell’aggravant carattere armato dell’associazione.
Con memoria del 14/11/2024 i difensori del ricorrente hanno formulato nuovi motivi rispetto agli originari.
12.4. Viene denunciato un nuovo profilo di illogicità della decisione impugna là dove pretermette del tutto qualsiasi valutazione in ordine al diniego opp
dal ricorrente di ricoprire – anche solo formalmente, essendo necessario per l’apertura – il ruolo di responsabile tecnico della Albea Cars, ritenuta nell medesima sentenza come attività di interesse di coloro che si assumono essere i capi promotori ed organizzatori del sodalizio di ‘ndrangheta.
Inoltre, assunta la condivisa estraneità del coimputato COGNOME sia in primo che in secondo grado, all’associazione ipotizzata, il COGNOME apertamente esclude di avere “impegni” elettorali con alcuno, dichiarandosi disponibile a votare la coalizione avversaria a quella sponsorizzata dagli Arone (progr. 4602 del 04/06/2016 Rit 84/16, pag. 1781, vol. 3 Ros-GICO Torino).
La difesa sottolinea come in entrambi i casi si tratti di dati probatori la c effettiva portata dimostrativa non è stata minimamente presa in considerazione dal Giudice d’appello, nonostante il percorso motivazionale seguito dal Tribunale ne avesse evidenziato l’estrema rilevanza in chiave assolutoria.
Emerge in maniera evidente, dunque, come la ricostruzione offerta nella motivazione della sentenza impugnata si risolva in una ‘critica orizzontale’ a quella di primo grado, offrendo una mera lettura alternativa del materiale probatorio – peraltro solo parzialmente considerato – che difetta di quel requisito di “esclusività” logica richiesto in caso di ribaltamento della pronuncia.
13. Ricorso di Fratea Nazzareno
13.1. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 581 comma 1-ter cod. proc. pen. per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
13.2. Vizi congiunti di motivazione in ordine alla decisione della Corte di appello che non ha ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 585 cod. proc. pen. per disparità di trattamento tra i termini di deposi delle sentenza, di cui beneficia l’organo giudiziario e quelli afferenti al proposizione dei motivi di gravame di competenza della difesa
13.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ribadita affermazione di responsabilità per il delitto di natura associativa di cui al capo A dell’imputazione in assenza di sufficienti prove tali da consentire di concludere che la condanna sia stata pronunciata al di là di ogni ragionevole dubbio.
13.4. Violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine al ribadito riconoscimento dell’aggravante del carattere armato della associazione.
13.5. Violazione di legge e mancanza della motivazione in ordine alla ribadita affermazione di responsabilità per il delitto di estorsione di cui al capo 01 i danno di NOME COGNOME in relazione al mancato rilascio dell’immobile occupato senza titolo da NOME COGNOME che a tal fine si era rivolto al ricorrente nonché NOME COGNOME
14. Ricorso di COGNOME NOME
14.1. Nullità della pronuncia impugnata per violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. e del principio di correlazione tra contestazione e sentenza in relazione al delitto di estorsione contestato al capo N1.
Secondo l’imputazione originaria, la natura estorsiva del prestito ricevuto dalla persona offesa NOME COGNOME sarebbe dipesa dal fatto che la richiesta sarebbe pervenuta dal ricorrente in quanto appartenente all’associazione mafiosa di cui al capo A; stando, invece, alla sentenza impugnata la matrice estorsiva del delitto deve piuttosto rintracciarsi nella pretesa vicinanza dell’imputato a determinati soggetti affiliati al clan in particolare ad Arone Salvatore, assumendo, pertanto, decisivo rilievo il contesto in cui i fatti si sarebbero verificati, di per sé idone ingenerare nella persona offesa il timore alla base dell”evento costrittivo.
14.2. Violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen. e vizi congiunti di motivazione in relazione all’inosservanza dell’obbligo di motivazione rafforzata gravante sul giudice di appello in caso di ribaltamento della pronuncia assolutoria.
14.3. Vizi congiunti di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della aggravante del metodo mafioso contestato in relazione al delitto di estorsione.
14.4 Inosservanza di legge penale in ragione della ritenuta integrazione del delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. con particolare riferimento al dolo specific richiesto dalla norma in capo al ricorrente e vizi congiunti di motivazione sul punto.
La Corte di merito ha ritenuto di non riservare una autonoma motivazione in ordine alla posizione del ricorrente in relazione all’imputazione di cui al capo H (intestazione fittizia), rinviando a quella svolta nei confronti del coimputato NOME COGNOME stante la stretta correlazione esistente tra le due posizioni processuali.
14.5. Vizi congiunti di motivazione riguardo all’affermazione di responsabilità per i fatti di cui a capo H dell’imputazione in ordine alla ritenuta configurabili dell’elemento oggettivo del reato e all’assenza di una reale motivazione rafforzata.
14.6. Carenza e vizi di motivazione riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; erronea applicazione della legge penale ex art. 81 cpv. avuto riguardo all’aumento della pena pecuniaria per effetto della continuazione con il reato di cui al capo H della rubrica, essendosi applicato a titolo di continuazione un aumento con riferimento non solo alla pena detentiva ma anche a quella pecuniaria, laddove l’art. 512-bis cod. pen. è punito solo con la prima.
14.7. Violazione della legge penale in relazione all’applicazione della misur sicurezza della libertà vigilata per un anno e vizi congiunti di motivazione punto, in assenza di una reale motivazione circa la pericolosità del ricorrente.
15. Ricorso di COGNOME
15.1. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in relazione a ritenuta sussistenza di una condotta di partecipazione al sodalizio di cui al ca dell’imputazione derivante anche da una pretesa attitudine alla infiltrazione tessuto economico del settore edilizio ed alla composizione di controversie privati.
15.2. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione in relazione a ribadita sussistenza di responsabilità in relazione alla condotta di t estorsione aggravata in danno di COGNOME NOME di cui al capo U1 del imputazione.
15.3. Erronea applicazione di legge penale in relazione all’art. 416-bis.1 pen. e vizi congiunti di motivazione in ordine alla riaffermata ricorrenza d aggravante speciale riferita al delitto di cui al capo Ul.
15.4. Erronea applicazione di legge penale in relazione all’art. 69 cod. pe vizi congiunti di motivazione in ordine alla mancata applicazione delle p riconosciute circostanze attenuanti generiche in prevalenza rispetto a aggravante di cui all’art. 416, quinto comma, cod. pen.
16. Ricorso di NOME
16.1. Violazione dell’art. 416-ter cod. pen. e degli artt. 125, 192, 238-bis 546 cod. proc. pen. e vizi di motivazione e travisamento della prova in relazi alla ribadita affermazione della responsabilità dell’imputato, sull’assunt carattere non necessario della prova dell’esplicitazione, in sede di accordo, impiego del metodo mafioso, in quanto NOME COGNOME e NOME COGNOME avrebbero agito in nome e per conto dell’associazione ‘ndranghetista di c facevano parte.
La sentenza impugnata sostiene che non era necessario, nel caso di specie accertare se vi fosse stata o meno esplicitazione di metodi mafiosi in qua l’appartenenza alla ‘ndrangheta dei due procacciatori Viterbo e COGNOME è sta appurata con sentenza passata in giudicato; esisterebbe, inoltre, conversazione telefonica intercorsa tra Viterbo e la coimputata NOME COGNOMEanch’essa coinvolta nella stipula del patto elettorale) dimostrativa di co ricorrente fosse stato effettivamente informato delle modalità con cui i mafiosi intendevano reperire i consensi elettorali in suo favore.
Tuttavia la sentenza intervenuta a carico dei procacciatori non ha alcu
efficacia vincolante, assurgendo al rango di mero fatto che deve essere liberamente apprezzato in connessione con gli ulteriori elementi di prova; tra questi, la telefonata valorizzata, intervenuta a distanza di quasi un mese dall’originaria pattuizione, ebbe ad oggetto unicamente la rideterminazione del corrispettivo dovuto.
I procacciatori hanno del resto mostrato di agire sempre per finalità di lucro personale e nel corso della campagna elettorale dell’on. COGNOME l’associazione, né autonomamente né su istanza dei due, non si è mai mobilitata, del resto raccogliendo il ricorrente pochissime preferenze sul territorio di Carmagnola.
Inoltre, il denaro consegnato dal ricorrente ai due procacciatori di voti, rimase nella disponibilità di costoro senza essere distribuito in seno alla consorteria ‘ndranghetista.
La difesa del ricorrente ha, inoltre presentato una memoria in data 25 gennaio 2025 con cui, oltre a ribadire gli argomenti del ricorso principale, pone all’attenzione di questa Corte un profilo di applicazione intertemporale della legge con riferimento alle modalità di perfezionamento ed al momento consumativo del delitto di cui all’art. 416-ter cod. pen. in relazione all’ultim modifica intervenuta per effetto dell’ad 1 della legge n. 43 del 21 maggio 2019 entrato in vigore 1’11 giugno 2019.
16.2. Violazione dell’art. 416-ter cod. pen. e degli artt. 125, 192, 533, 546 cod. proc. pen. e vizi di motivazione e travisamento della prova in relazione alla ribadita affermazione della responsabilità dell’imputato, ritenendo sussistente l’elemento soggettivo del reato.
La sentenza non spiega in alcun modo come la prova del dolo, ancorché generico, del ricorrente possa essere stata desunta dalla mera esistenza di una pattuizione tra politico e mafioso e d’altra parte omette di indicare quali tra le argomentazioni in precedenza espressa avvalorerebbero la dimostrazione della componente soggettiva del reato.
17. Ricorso di COGNOME NOME
Il ricorrente affida l’impugnazione ad due distinti atti rispettivamente redatti dai suoi difensori.
Ricorso a firma dell’avv. COGNOME
17.1. Violazione di legge penale in relazione agli artt. 110, 640 cod. pen. e alla ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di truffa aggravata di cui al capo R dell’imputazione nonostante la persona offesa COGNOME NOME abbia dichiarato di non aver mai conosciuto il ricorrente
17.2. Violazione di legge penale in relazione all’art. 61, n. 7, cod. pen. ed alla ribadita sussistenza dell’aggravante del danno di rilevante gravità.
17.3. Violazione di legge penale in relazione all’art. 133 cod. pen. ed alla mancata riduzione al minimo edittale della pena da irrogare, comminata dal primo giudice nel massimo senza una motivazione adeguata ed avallata nella sua misura eccessiva dalla decisione impugnata.
17.4. Violazione di legge penale in relazione all’art. 62-bis cod. pen. ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche
Ricorso a firma dell’avv. COGNOME
17.5. Violazione di legge penale in relazione agli artt. 110,640 cod. pen. e processuale in relazione agli artt. 192, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e alla ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di truffa aggravata dovuta al travisamento delle varie risultanze probatorie esaminate (riconoscimento ad opera della persona offesa, disponibilità dell’utenza telefonica oggetto di intercettazioni, etc.).
17.6. Violazione di legge penale in relazione agli artt. 62-bis, 63 e 133 cod. pen. ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
17.7. Violazione di legge penale in relazione all’art. 163 cod. pen. con riferimento all’immotivato diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ricorso del Procuratore Generale distrettuale.
Il ricorso della parte pubblica deve essere dichiarato inammissibile, perché fondato su motivi non proponibili in sede di legittimità.
Esso risulta, invero, declinato esclusivamente in fatto, investendo direttamente il merito dell’accusa a suo tempo mossa dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Asti nei confronti di NOME COGNOME
E’ noto, infatti, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decis ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte d cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice d
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944).
A tale preliminare rilievo di carattere generale vale aggiungere le seguenti considerazioni.
Il resistente COGNOME è cugino di COGNOME NOME e titolare di un distributore di benzina presso il quale, secondo l’accusa, sarebbero avvenuti diversi incontri tra esponenti della cosca di Carmagnola.
La Corte di appello, con valutazione di merito insindacabile in questa sede, ha ritenuto di non attribuire rilevanza a tali eventi, sottolineando da un lato rapporto di parentela con l’Arone e dall’altro la circostanza che egli si era prestato a favorire incontri tra il congiunto e terze persone senza mai parteciparvi, senza conoscerne causa e contenuto e senza seguirne l’esito.
Quanto alle consegne di denaro da lui effettuate in favore dell’Arone, la Corte ne ha rilevato il modesto importo complessivo (1.700 euro) oltre al rinvenimento di un quaderno contenente l’annotazione dei debiti che il congiunto aveva maturato, a dimostrazione della natura di meri prestiti soggetti comunque a futura restituzione.
La Corte di merito ha, infine, rilevato l’assenza di elementi di valutazione significativi a carico di tale imputato da parte dei collaboratori di giustizia, u solo dei quali (NOME COGNOME ne aveva parlato in maniera ritenuta, tuttavia, imprecisa e come tale non decisiva.
Trattasi di valutazioni dettate da una riconoscibile logica assolutoria, ma che non per questo prestano il fianco a critiche di ordine logico-argomentativo e che per tali ragioni impongono la conferma del giudizio di inammissibilità della impugnazione della parte pubblica.
2. Ricorso di COGNOME NOME
L’impugnazione di tale imputato va rigettata perché basata su motivi infondati o in taluni casi non proponibili in sede di legittimità.
2.1. Il primo motivo di censura investe il tema della pretesa inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME COGNOME e COGNOME in veste di imputati di reato connesso.
La difesa dell’imputato aveva già posto tale questione con i motivi d’appello, ricevendone ampia risposta da parte della Corte di merito alle pag. 91-92 della sentenza impugnata.
In questa sede reitera le medesime argomentazioni come se quella risposta, congrua e diffusa, non fosse stata fornita, incorrendo, pertanto, la censura nel vizio di inammissibilità per aspecificità, come ripetutamente affermato dalla
giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Risulta, infatti, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (tra molte v. Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710).
2.2. I successivi motivi, dal secondo al sesto, investono tutti, sebbene con diversità di accenti e di prospettiva (talvolta con riferimento alla motivazione, talaltra alla dedotta violazione dei parametri normativi di riferimento), il tema della responsabilità dell’imputato in ordine ai reati ascrittigli, dalla s partecipazione, in veste di promotore e dirigente, all’associazione di ‘ndrangheta, emanazione dell’originaria ‘ndrina calabrese COGNOME, insediatasi nel Comune piemontese di Carmagnola (capo A), alla sussistenza delle aggravanti di cui al quarto e quinto comma dell’art. 416-bis cod. pen. per passare ai reati di traffico di stupefacenti (capo T) ed estorsione (capo 01).
Con riferimento a tali capi e punti della sentenza impugnata, le censure si svolgono, tuttavia, su un piano di mero fatto, investendo, come anticipato, la questione della responsabilità in ordine a detti reati, eventualmente aggravata.
Ma, come già rilevato a proposito del ricorso del Procuratore Generale, le valutazioni suscettibili di sfociare in un diverso apprezzamento di merito delle risultanze probatorie sono estranee al perimetro del sindacato di legittimità (Sez. U, n. 6402/1997, Dessimone cit.) e non possono trovare accoglienza nel giudizio di cassazione, dovendo essere obbligatoriamente dichiarate inammissibili.
S’impone, peraltro, nel caso in esame, una puntualizzazione con riguardo al delitto di estorsione ascritto al ricorrente al capo 01, in rapporto alla non perspicua risposta fornita dalla Corte territoriale con riferimento al tema della rilevanza della condotta materiale intimidatoria, fondante la responsabilità del ricorrente, a fronte della dedotta inefficacia da parte della difesa dell’imputato appellante, della procura speciale rilasciata dal titolare dell’immobile interessato al rilascio in favore di NOME, soggetto nei confronti del quale era stata concretamente esplicitata la minaccia.
A fronte della censura difensiva secondo cui l’esecuzione delle procedura di rilascio dell’immobile era stata sospesa non tanto per effetto dell’intervento intimidatorio del ricorrente quanto per un vizio di procedura attinente alla validità della procura conferita dal titolare del diritto (NOME COGNOME all persona offesa del reato (NOME COGNOME) (pag. 99 ricorso), la Corte di appello ha argomentato che la prova dell’efficacia dissuasiva di quell’intervento doveva essere desunta dal fatto che l’occupante abusivo dell’immobile (NOME COGNOME)
sollecitatore dell’intervento dell’imputato, aveva continuato a godere dello immobile per un periodo di tempo consistente, ancorché non quantificato, ma comunque successivo al fatto costituente reato.
In realtà, una risposta più adeguata avrebbe dovuto considerare la specifica irrilevanza del difetto di procura a fronte di una condotta materiale che, nel preciso momento in cui veniva esplicata, in un contesto socio-temporale connotato anche, se non soprattutto, dalla comune provenienza territoriale (calabrese) di tutti i soggetti coinvolti, aveva prodotto comunque i propri effetti dissuasivi, così da estrinsecarsi come manifestazione del potere di intimidazione del sodalizio criminoso, interessatosi alla vicenda in persona del suo rappresentante di vertice.
Si rinvia, inoltre, alle considerazioni svolte riguardo al ricorso di NOME COGNOME (v. infra) quanto alla ribadita sussistenza di consistenti elementi di prova dell’esistenza del locale di ‘ndrangheta di Carmagnola, della sua origine e del suo radicamento sul territorio comunale e zone limitrofe.
2.3. Va, infine, ritenuto infondato anche il composito motivo in tema di omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e quantificazione della pena riportata, in ordine ad entrambi i punti la sentenza impugnata presentando congrue, pertinenti e diffuse argomentazioni alle pag. 394-395, cui compiutamente deve rinviarsi.
3. Ricorso di COGNOME NOME
Il ricorso di tale imputato va dichiarato inammissibile.
In maniera più evidente che nei casi di altri ricorrenti, l’impugnazione, articolata su tre motivi di censura, ribaditi dalla memoria difensiva per tempo depositata, si rivela non solo concretamente ma anche programmaticamente (in particolare il terzo motivo) finalizzata a conseguire una nuova rivalutazione delle risultanze probatorie del giudizio, tanto sul tema della sussistenza di una consorteria criminale nota come locale di ‘ndrangheta di Carmagnola quanto su quello della sua partecipazione al sodalizio.
In ordine a detto ultimo aspetto in particolare, la Corte di merito non ha fatto, come lamenta la difesa dell’imputato, cattivo governo dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza sedimentatasi in materia (ad es. in tema di messa a disposizione del partecipe), ritenendo piuttosto di ravvisare la sussistenza degli estremi del reato e indicando in primo luogo nel supporto prestato all’attività svolta dallo zio NOME NOME (impegnato in contatti con esponenti di altre cosche, con persone coinvolte in attività di traffico di stupefacenti, in iniziati economiche di dubbia legittimità come l’acquisto di buoni del Tesoro italiano e bolivar venezuelani) il ruolo ricoperto dal ricorrente (v. pag. 193 sent.) e nell
spendita dell’autorevolezza del sodalizio criminale, con l’intervento in prima persona nella risoluzione di contrasti tra privati (v. pag. 19 4).
In tale prospettiva la Corte di appello ha ovviamente disatteso quanto era stato, pur legittimamente, prospettato dalla difesa del ricorrente, senza per questo potersi configurare un vizio del provvedimento; valgono, dunque, anche per tale ricorrente le considerazioni generali e di sistema di cui a Sez. U, n. 6402/1997, Dessimone cit.
4. Ricorso di COGNOME Salvatore
Il ricorso di tale imputato è fondato limitatamente ai reati di cui ai capi F e H1 entrambi per violazione dell’art. 512-bis cod. pen., in ordine ai quali la sentenza va annullata senza rinvio per le ragioni oltre indicate, mentre per il resto deve essere rigettato.
4.1. Prima, però, di affrontare le questioni riguardanti le singole fattispecie d reato, vanno dichiarate inammissibili le censure concernenti due profili procedurali, che la difesa del ricorrente aveva già posto all’attenzione della Corte di appello di Torino.
Con la prima di dette eccezioni veniva reiterata la questione dell’incompetenza territoriale che già il Tribunale di Asti in primo grado aveva disatteso mediante ordinanza del 21/07/2020 in relazione al luogo di manifestazione della associazione di stampo mafioso nota come locale di ‘ndrangheta di Carmagnola (capi A, F dell’imputazione).
Tribunale e Corte territoriale (v. pag. 89 sent. impugnata) hanno, infatti, conformemente escluso la violazione dell’art. 8 cod. proc. pen., affermando la competenza dell’autorità giudiziaria di Asti, facendo applicazione di noti principi giurisprudenziali elaborati sul tema delle cd. mafie delocalizzate (venendo in maniera pertinente citata Sez. 2, n. 45584 del 24/11/2022, Carzo, Rv. 283857), nozione in cui rientra a pieno titolo il cd. locale di Carmagnola (To), in quanto emanazione extraterritoriale della ‘ndrina COGNOME nata ed affermatasi nel Comune di Sant’Onofrio (Vv) a sua volta affiliata alla ‘ndrangheta calabrese.
E stata così correttamente disattesa la tesi difensiva di una competenza da radicare nelle zone di originaria manifestazione del fenomeno di ‘ndrangheta e cioè in Calabria, ragion per cui del tutto immotivatamente la questione è stata riproposta anche in sede di legittimità, dovendo essere dichiarata inammissibile per aspecificità (v. Sez. 2, n. 42046/2019, Boutartour cit.).
4.2. Analogamente è a dirsi con riguardo alla pretesa erronea applicazione degli artt. 195 e 210, comma 5, cod. proc. pen. asseritamente rifluente sulla inutilizzabilità degli esami resi dai collaboratori di giustizia COGNOME COGNOME e COGNOME imputati di reato connesso, punto sul quale la Corte territoriale ha reso adeguata
motivazione alle pag. 91-92 della decisione impugnata.
Anche in questo caso, è noto il principio da tempo affermato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità in ordine alla non applicabilità degli artt. 195 e 210 cod. proc. pen. alle dichiarazioni dibattimentali rese dai collaboratori di giustizia, sottostanti, invece, ai normali riscontri di cui all’art. cod. proc. pen., venendo correttamente richiamata dalla Corte di merito Sez. 2, n. 29923 del 04/07/2013, COGNOME, Rv. 256065 (cui vale aggiungere Sez. 1, n. 17647 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279185), ciò nondimeno la questione venendo riproposta in sede di legittimità e conseguentemente dichiarato inammissibile per aspecificità il relativo motivo di censura.
4.3. Infondati, invece, anche perché declinati prevalentemente in punto di fatto risultano i motivi (terzo e quarto) incentrati sull’esistenza del locale ‘ndrangheta di Carmagnola, sull’esistenza della originaria ‘ndrina COGNOME, sulla relativa derivazione e sulla partecipazione al (supposto) sodalizio criminale del ricorrente, fratello maggiore di NOME COGNOME, le cui argomentazioni ricalcano quelle presenti nel ricorso del congiunto, anche in relazione al ruolo di vertice svolto all’interno dell’associazione.
Vale, infatti, ribadire che con la consueta evocazione di vizi di legge e di motivazione, si tenta invariabilmente di sottoporre a nuovo scrutinio le argomentazioni, insuscettibili di censure di ordine logico, che la Corte di appello ha svolto su temi di stretto merito in rapporto ai termini dell’accusa e che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
In ogni caso i giudici di merito hanno rispettato le coordinate giuridicointerpretative sulla base delle quali è stato possibile per il Tribunale affermare e dalla Corte di merito ribadire il radicamento del gruppo di ‘ndrangheta Arone nel territorio del Comune di Carmagnola (pag. 76 e segg. sent. impugnata).
In estrema sintesi, una volta riconosciuta – secondo un accertamento di fatto insuscettibile di critica in sede di legittimità – la consorteria di Carmagnola quale articolazione di `ndrangheta cd. delocalizzata, derivata dal clan COGNOME egemone nel territorio del Comune di Sant’Onofrio (Vv) e zone limitrofe a partire quanto meno dal 1991, i giudici di merito hanno verificato la ricorrenza di quegli indici materiali e probatori suscettibili di confermare l’ipotesi accusatoria d violazione dell’art. 416-bis cod. pen., cui si è aggiunta in corso di giudizio pronunzia di questa Corte di cassazione che, in separato procedimento, a carico di NOME COGNOME ed altri ha, in data 10/05/2023, statuito la sussistenza del sodalizio di ‘ndrangheta di Carmagnola, evenienza rilevante ai sensi dell’art. 238bis cod. proc. pen.
Il compendio probatorio, composto in maniera significativa ma non esclusiva delle propalazioni rese da cinque collaboratori di giustizia – dei quali uno (NOME
COGNOME, già affiliato a Cosa Nostra, partecipe anche della consorteria di Carmagnola (pag. 62 e 106 sent. impugnata) – ha evidenziato il manifestarsi nel territorio comunale di fenomeni di sicuro rilievo penale ai fini della dimostrazione della sussistenza del reato associativo.
La sentenza ha diffusamente e talora ripetitivamente messo in risalto l’intromissione di componenti di vertice del sodalizio nella composizione di dispute private (pag. 82, 118, 120 sent. riguardo ad Arone Salvatore; pag. 112, 120, 144 ad Arone Francesco), talora in funzione di mero recupero crediti (pag. 109 sent. riguardo ad Arone Salvatore) talaltra con modalità intimidatorie (pag. 108-110 sent.), l’imposizione di tangenti di protezione a carico di operatori economici della zona (pag. 83 sent. riguardo ad Arone Salvatore, pag. 143 ad Arone Francesco), l’intervento diretto nel settore economico dei lavori edilizi (pag. 83, 119, 120 sent. riguardo ad Arone Salvatore; pag. 118, 119 ad Arone Francesco), il coinvolgimento di tali due imputati in vicende (ricerche di un autocarro oggetto di furto; benestare concesso all’occupazione di uno spazio per il commercio ambulante; richiesta di protezione contro un’azione incendiaria; intervento in una vertenza per l’affidamento di un appalto) implicanti il riconoscimento da parte di soggetti terzi di una capacità di controllo del territorio (pag. 114-115 sent.), evenienze tutte atte a dimostrare senza equivoci l’atteggiarsi del gruppo come concorrente e talora sostituto nell’esercizio di pubbliche funzioni da parte delle autorità amministrative, di polizia e giudiziarie nel territorio comunale e zone limitrofe nonché come attore in alcuni settori economici d’elezione, che notoriamente costituiscono gli elementi distintivi dell’egemonia che il sodalizio criminale di stampo mafioso è in grado di esercitare su un determinato territorio.
In tale prospettiva la Corte ha dato conto di come le risultanze processuali fossero idonee a dimostrare che nel territorio di riferimento il sodalizio, costituente struttura delocalizzata, correlata a mafia storica, fosse stato in grado di rendersi riconoscibile e di esprimere la propria fama criminale, non essendo peraltro necessario un impiego della capacità intimidatoria del vincolo associativo tale da assicurare addirittura una penetrazione capillare nel tessuto economico e sociale, ma potendosi affermare che quell’impiego fosse comunque concretamente idoneo all’attuazione programmatica di un progetto egemonico in un determinato ambito territoriale (a ben guardare, è stato delineato un quadro operativo ancor più significativo di quello in altre occasioni reputato bastevole: si rinvia a Sez. 2, n. 24851 del 04/04/2017, P.g. in proc. COGNOME e altri, Rv. 270442, in cui è stata esaminata la posizione di COGNOME, soggetto parzialmente coinvolto nelle vicende oggetto del giudizio).
In concreto, dunque, nel caso della cosca di Carmagnola, la sentenza
impugnata ha stabilito che la valenza dimostrativa delle risultanze processuali sopra ricordate ha soddisfatto largamente lo standard probatorio necessario ai fini della configurabilità di un sodalizio inquadrabile nel paradigma di cui all’art 416-bis cod. pen.
Resta in ogni caso il dato insuperabile della non consentita declinazione delle censure in termini prevalentemente di fatto e merito rispetto al tema dello accertamento giudiziale.
4.4. Lo stesso è a dirsi della doglianza riferita alla ribadita sussistenza della aggravante del carattere armato della circostanza aggravante di cui all’art. 416bis, quarto e quinto comma, cod. pen. riferita alla ravvisata associazione criminale.
La motivazione resa dalla Corte territoriale deve ritenersi complessivamente congrua (pag. 125 e segg. sentenza) in quanto fondata su elementi probatori incontestati (la disponibilità di armi da parte di soggetti contigui, COGNOME, al coimputato NOME COGNOME o al locale di Carmagnola) e sulla manifestata consapevolezza da parte di terzi (COGNOME NOME e figlio) di analoga disponibilità da parte dello stesso ricorrente in prima persona, il tutto coniugato con il noto orientamento interpretativo di legittimità che considera la disponibilità di armi elemento consustanziale alle cd. mafie storiche, novero cui la ‘ndrangheta e le sue articolazioni territoriale appartengono in maniera indiscussa, con la conseguente attenuazione dell’onere probatorio sul punto per la pubblica accusa (Sez. 2, n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284761 e per differenziazione Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285908).
4.5. Il ricorso è, invece, fondato con riferimento ai reati di cui ai capi F e dell’imputazione, entrambi secondo l’accusa commessi per violazione dell’art. 512-bis aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.
Il primo dei reati oggetto dei predetti capi (sub F) riguarda una condotta contestata al ricorrente in concorso con COGNOME COGNOME separatamente giudicato, mentre l’altro (sub H) ne concerne una analoga in concorso in questo caso con COGNOME COGNOME
Lo schema concettuale alla base delle formulazione di dette accuse è analogo, ancorché non del tutto sovrapponibile.
Nel primo caso (reato sub F) l’interposizione fittizia si sarebbe realizzata mediante l’esercizio da parte del Tamburro di attività economica a titolo individuale, di detta attività essendo socio occulto il ricorrente COGNOME Salvatore; nel secondo (reato sub H) il ricorrente sarebbe stato socio occulto, unitamente a COGNOME Alessandro, della RAGIONE_SOCIALE, con attribuzione paritaria delle quote di partecipazione ai prestanome NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In entrambi i casi il ricorso del ricorrente investe sia la configurabilità del rea a proprio carico sia la motivazione con cui la Corte di appello ne ha ribadito la responsabilità a titolo di concorso.
Con riferimento al primo degli addebiti, al fine di respingere il motivo di appello circa la non configurabilità del reato, la Corte di merito ha convenuto come la circostanza che il ricorrente avesse agito per qualche tempo da gestore della ditta individuale TV, in maniera non limitata ai cantieri di Vinovo e Trofarello dove la stessa operava, non fosse, tuttavia, sufficiente ad integrare la materialità del delitto (pag. 123 sent.).
L’elemento differenziale sarebbe, piuttosto, consistito nella circostanza di avere l’imputato disposto del complesso aziendale come cosa propria e perfino senza il concerto ovvero il coinvolgimento dell’intestatario formale “mero supino esecutore delle indicazioni e delle direttive dell’appellante”.
Secondo la Corte di merito, infatti, tale ricostruzione si collocherebbe “esattamente nel perimetro testuale della norma incriminatrice che, per l’appunto, individua in termini alternativi l’oggetto dell’attribuzione fitti ovvero la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità, espressamente evocandone in termini di rilevanza non solo l’intestazione (dato formale) ma anche la gestione (dato fattuale) quali modalità di consumazione della condotta materiale” (pag. 124 sent.).
Reputa, tuttavia, il Collegio che quella che viene definita una situazione pienamente sussumibile nel fuoco dell’art. 512-bis cod. pen., ad una più approfondita analisi non lo risulta affatto.
E’ vero, infatti, che tra le modalità di consumazione del delitto in esame è ricompreso l’aspetto dinamico della gestione di denaro, beni o altre utilità, ma proprio in tale prospettiva le risultanze dibattimentali avrebbero dovuto in alternativa evidenziare:
l’attribuzione fittizia al COGNOME di una carica o di un attributo formale relativi allo strumento giuridico attraverso il quale egli svolgeva attivi economica, cosa risultata impossibile essendo titolare di ditta individuale;
l’attribuzione al predetto COGNOME della gestione diretta di denaro, beni o altre utilità in realtà riferibili a NOME COGNOME circostanza non chiarita da affermazioni contenute in sentenza (v. supra), limitatasi a registrare come il primo fosse il mero esecutore delle direttive impartitegli dal ricorrente.
Nella fattispecie, del resto, non si verte in un caso di acquisizione della titolari di fatto di parte delle quote societarie di un terzo, che, pertanto, rimanendo titolare effettivo per una frazione della partecipazione, diventa soggetto interposto per altra frazione di essa, giusta la situazione considerata da Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281589-03.
Né è, inoltre, possibile richiamare a sostegno della tesi della penale rilevanza della condotta l’ampia prospettiva delineata da Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 259588 secondo cui “l’ambito di applicabilità non è limitato alle ipotesi riconducibili a precisi schemi civilistic comprende tutte quelle situazioni in cui il soggetto viene a trovarsi in un rapporto di signoria con il bene e inoltre (…) prescinde da un trasferimento in senso tecnico giuridico, rimandando non ai negozi giuridici tipicamente definiti ovvero a precise forme negoziali, ma piuttosto ad una indeterminata casistica individuabile soltanto attraverso la comune caratteristica del mantenimento dell’effettivo potere sul bene attribuito in capo al soggetto che effettua l’attribuzione, ovvero per conto e nell’interesse del quale l’attribuzione medesima viene compiuta”.
Dalla sentenza impugnata non è dato del resto rilevare il riferimento ad alcuna attribuzione di beni da Arone a Tamburro, su cui il ricorrente abbia continuato ad esercitare un effettivo potere, atteso che l’indicata ingerenza gestionale non comporta automaticamente che i beni gestiti fossero nella sua titolarità.
Sotto altro profilo deve, inoltre, rilevarsi che l’assetto patrimoniale ipotizzato comunque non dimostrato dalla sentenza, non avrebbe in ogni caso potuto impedire l’applicazione in capo all’imputato delle disposizioni di legge in materia di prevenzione, senza neppure scomodare le presunzioni di cui all’art. 26 del d. Igs. n. 159 del 2011.
L’intrinseca impossibilità di eludere, mediante la condotta considerata, quelle disposizioni, implicante il difetto del dolo specifico, comporta, infatti, la n riconducibilità della fattispecie al paradigma normativo di cui all’art. 512-bis cod. pen., con la conseguenza che l’imputato deve essere assolto dall’addebito per insussistenza del fatto, a meno che non si intenda semplicemente punirne il mero esercizio di un’attività imprenditoriale, per quanto in difetto di ogni divieto di carattere penale.
4.6. Discorso in parte diverso s’impone per la contestazione di cui al capo H. In questo caso il trasferimento fraudolento di valori si inserisce in una sorta di progressione criminosa che vede quale antecedente logico e temporale del reato l’altro ascritto al capo N1 al concorrente COGNOME COGNOME dal momento che, stando all’accusa, questi avrebbe conseguito forzosamente la somma di 100.000 euro dalla persona offesa di quel delitto, NOME COGNOME destinandola proprio alla RAGIONE_SOCIALE, come anzidetto partecipata al 50% da NOME COGNOME e per l’altro 50% da NOME COGNOME quando in realtà il vero titolare sarebbe stato NOME COGNOME
Rinviando alle più diffuse considerazioni svolte al successivo par. 13 (ricorso COGNOME), si può ora anticipare che, non essendo evidenziata in sentenza la
sussistenza di alcuna prova di un concreto apporto dell’imputato all’operazione patrimoniale descritta, se non l’apodittica affermazione che, essendo egli il dominus della Albea Cars, doveva necessariamente avere contributo alla relativa conclusione, lo stesso deve essere ritenuto estraneo da tale accusa e la sentenza annullata senza rinvio in relazione a tale delitto per non avere l’imputato commesso il fatto.
4.8. Va, infine, ritenuto infondato il motivo che investe i temi del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della quantificazione della pena, asseritamente illegittima, in ordine ai quali la sentenza impugnata presenta congrue e pertinenti considerazioni a pag. 394 della motivazione.
4.9. L’accoglimento parziale del ricorso impone l’eliminazione delle frazioni di pena riferite ai reati di cui ai predetti capi FeH e la rideterminazione di quell complessiva nella misura indicata in dispositivo.
5. Ricorso di NOME
Il ricorso di tale imputato è fondato limitatamente al delitto di natura associativa (art. 416-bis cod. pen.) ascrittogli al capo A e all’aggravante dello impiego del metodo mafioso contestatagli con riferimento ai reati satellite (capi El, Fl, G1, H1, I1, Li, M1), mentre va rigettato nel resto.
5.1 Imputazione di natura associativa ed aggravante qualificata, capo e punto costituenti oggetto dei motivi 5.3. e 5.6. del ricorso a firma dell’avv. COGNOME
Così come per i reati satellite, il ricorrente era stato assolto in primo grado anche dall’accusa associativa.
Con ampia e diffusa motivazione (pag. 268-293 sent.) la Corte di merito, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, ha invece ritenuto tale imputato appartenente, con funzioni apicali, “al sodalizio misto carmagnolese in posizione paritaria a quella di COGNOME NOME” (pag. 271 sent.).
Va subito premesso che l’annullamento della pronuncia su tale capo e punto non consegue ad un difetto di motivazione rafforzata, come la difesa protesta nei motivi aggiunti: risulterebbe, infatti, obiettivamente ingeneroso e in contrasto con la profusione di argomenti che la Corte territoriale ha impiegato per sovvertire la decisione assolutoria di primo grado, affermare che non si sia avuta una valutazione ben oltre che ponderata da parte dei giudici di secondo grado del materiale probatorio esaminato.
Dalla sentenza si ricava, dunque, che dell’appartenenza di NOME COGNOME, di origine siciliana, al locale di ‘ndrangheta calabrese di Carmagnola, avevano riferito due collaboratori di giustizia (NOME COGNOME e NOME COGNOME), di cui il secondo già intraneo proprio al sodalizio di Carmagnola e che lo aveva indicato come gestore delle macchinette da gioco di fatto, settore di fatto riconducibile
all’ambito degli interessi economici dell’associazione.
Tanto premesso, la Corte mette in connessione una serie di elementi di fatto che reputa atti a fungere da riscontro alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia e a dimostrare una stretta unità di intenti e d’azione tra il ricorrente e NOME COGNOME
In tale prospettiva si evidenzia in motivazione che il ricorrente era il soggetto incaricato alla manutenzione delle macchinette da gioco, tramite la società della moglie COGNOME RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) nel territorio comunale; era stata in un’occasione interpellato da tale NOME COGNOME per far cessare delle condotte estorsive di tre giovani ai propri danni quale gestore del bar Golden, anche se aveva a sua volta preferito richiedere l’intervento di NOME COGNOME; il titolare di un esercizio pubblico, tale COGNOME aveva subito un incendio doloso, a seguito del quale il titolare di un bar concorrente gli aveva consigliato di accettare l’installazione nel suo locale di macchinette da gioco così da poter sostenere le spese di gestione e di affitto; ancora, il ricorrente era stato coinvolto, in veste di intermediario, dalla titolare di un bar (tale COGNOME NOME) nelle trattative per la cessione dell’esercizio in favore di COGNOME NOME, persona di origine calabrese; aveva offerto sostegno ad una lista civica comunale capeggiata da tale NOME COGNOME che già di centro-destra, si era schierato con quello di centro-sinistra, allorquando gli esponenti della prima lista avevano annunciato misure restrittive orarie nell’uso delle macchinette da gioco nei locali pubblici.
Ciò premesso, il profilo critico che il Collegio reputa piuttosto di ravvisare nella statuizione in esame è il medesimo di quello che già avevano messo in risalto i giudici di primo grado, allorquando non trovando riscontri probatori del coinvolgimento dell’associazione di ‘ndrangheta nella gestione delle macchinette da gioco, aveva escluso l’esistenza di altri motivi per ritenere sussistente un rapporto di stabile e organica compenetrazione tra il ricorrente ed il sodalizio criminale in questione.
In effetti anche scorrendo la minuziosa ricostruzione operata dalla Corte di appello degli eventi sopra indicati, manca il riferimento ad un elemento di portata dirimente per concludere che la gestione delle macchinette da gioco rientrasse nell’ambito degli interessi dell’associazione di ‘ndrangheta, non essendo all’uopo sufficiente il ricordato intervento diretto di NOME COGNOME nella tentata estorsione ai danni del bar Golden per consentire tale conclusione, dal momento che l’interessamento di questi alla vicenda poteva essere ascritto alla nota tendenza di ogni sodalizio di stampo mafioso a sostituirsi alla legittima autorità dello Stato nel componimento delle controversie tra privati.
In definitiva deve concludersi che non risultano allo stato individuati, sulla scorta degli elementi di fatto esposti in motivazione, gli elementi di riscontro alle
dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e in particolare di NOME COGNOME o almeno non risultano compiutamente esplicitate le connessioni di natura logicointerpretativa che consentono di ravvisare oltre ogni ragionevole dubbio un rapporto di partecipazione dell’imputato all’associazione delineata al capo A della imputazione.
Né può dirsi dimostrata l’esistenza di una confederazione e/o alleanza tra Cosa Nostra asseritamente rappresentata da COGNOME e ‘ndrangheta operante a Carmagnola, atteso il numero veramente esiguo dei soggetti coinvolti, se non altro dal versante mafioso siciliano, onde autorizzare simile affermazione.
Quanto all’aggravante qualificata di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. riferita all’impiego del metodo mafioso nella commissione dei reati di cui ai capi E1, Fl, G1, H1, Ti, L1, Ml, essa deve ritenersi una immediata derivazione della affermata intraneità dell’imputato all’associazione di ‘ndrangheta di Carmagnola, la cui applicabilità dipende strettamente dalla diversa valutazione in tema di delitto associativo.
Alle lacune argomentative ora indicate dovrà sopperire altra sezione della Corte territoriale, cui gli atti vanno rinviati per ulteriore valutazione e giudizio s principale capo di imputazione.
5.2. Con riferimento, invece, ai sopra citati reati satellite, oggetto dei motivi d ricorso 5.1 e 5.2 dell’atto a firma dell’avv. COGNOME e 5.4. e 5.7. di quello a firma dell’avv. COGNOME reputa il Collegio di dover confermare la statuizione ad essi dedicata dalla Corte territoriale.
Va preliminarmente rilevato come le censure formulate nel primo di tali atti (avv. COGNOME risultino declinate essenzialmente in fatto, risultando come tali improponibili in sede di legittimità; anche quelle di cui al ricorso a firma del secondo difensore del ricorrente (avv. COGNOME condividono la medesima impostazione, ma nei motivi aggiunti viene formulata la doglianza dell’inidoneità della motivazione rafforzata, che deve, tuttavia, essere rigettata.
Con riferimento, dunque, ai delitti di danneggiamento mediante incendio di autovetture o spari in ora notturna (capi El, Fl, Gl, H1, Il, L1, M1 da cui il ricorrente era stato assolto in primo grado, oltre a due episodi – in danno di un ristoratore, tale COGNOME NOME e dei titolari di un negozio di ottica, frat COGNOME – che hanno costituito oggetto di verifica giudiziale, pur non essendo stati formalmente contestati), la Corte di merito ha in maniera certosina passato al vaglio gli elementi di prova giungendo a sovvertire la pronuncia del Tribunale, che faceva essenzialmente leva sulla circostanza che gli episodi di incendio di autovetture erano stati molto frequenti nel territorio comunale di Carmagnola e che il numero di quelli ascritti alla responsabilità dell’imputato erano in definitiva di numero ridotto.
I giudici di appello hanno, tuttavia, evidenziato che dalle annotazioni conservate nella locale Caserma di Carabinieri risultava che esse si erano manifestate con ben più bassa cadenza, in particolare in numero di circa otto all’anno nel periodo 2012-2014, non risultando così poco frequenti.
La Corte di appello ha anche posto in rilievo che tutte le persone offese avevano maturato ragioni di contrasto direttamente con lo stesso COGNOME (titolare dell’agenzia di viaggi Chiesa), con sua moglie (COGNOME NOME), con sua figlia (l’assessore al Comune di Carmagnola, NOME COGNOME e il dipendente comunale NOME COGNOME), con il suo amico ,NOME Alessandro (il direttore dell’Ufficio postale di Carmagnola, NOME COGNOME) e quando non v’erano state regioni immediate di rimostranza ne sussistevano altre di natura generale, come nel caso del vice sindaco di Carmagnola, NOME COGNOME che aveva annunciato una posizione politica favorevole ad una restrizione oraria all’uso delle macchinette da gioco nei locali pubblici, di cui Buono risultava incontestabilmente monopolista a Carmagnola.
La Corte di merito ha, inoltre, evidenziato, che per tre di detti episodi di sicura origine dolosa (persone offese COGNOME, COGNOME, COGNOME) vi era stata una stretta consequenzialità temporale tra insorgenza delle ragioni di dissidio e produzione del danneggiamento.
Va, infine, aggiunto che gran parte delle persone offese, sentite in appello nel corso della disposta rinnovazione istruttoria, avevano mostrato segni di reticenza per timore di subire rappresaglie da parte dell’imputato.
In conclusione, la Corte di appello ha ritenuto come la sentenza del Tribunale apparisse illogica e incompleta su tali capi per difetto di considerazione delle risultanze a carico dell’imputato “da cui emerge plasticamente il filo rosso dell’unitario movente e della matrice dolosa delle condotte in contestazione, insuscettibile di lettura alternativa, posto che tutte le persone offese hanno dichiarato di non avere ragioni di dissidio con persone diverse del Buono”.
Trattasi di valutazione ad avviso del Collegio insuscettibile di critica sul pieno logico-argomentativo.
Sebbene, dunque, nessun autore materiale delle condotte di danneggiamento sia stato mai colto sul fatto, avvenendo le stesse prevalentemente in orario notturno e con modalità elusive di possibili operazioni di contrasto da parte di privati e/o di forze di polizia, non v’è dubbio che la loro reiterazione in un ambito territoriale ristretto e la conseguenzialità logica e temporale rispetto alle ragion di contrasto che avevano opposto l’imputato direttamente o persone a lui legate da rapporti di parentela e/o amicizia alle vittime di quelle condotte, rende incensurabile la statuizione della Corte di merito che nessun altro se non lui era in possesso del movente all’origine di eventi, altrimenti per l’appunto inspiegabili
oltre ogni ragionevole dubbio.
5.3. Risulta, infine, assorbito il motivo (sub 5.6.) contenuto nel ricorso a firma dell’avv. COGNOME in tema di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, attesa la disposta rinnovazione della valutazione di una parte della accusa e della conseguente necessità di rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
6. Ricorso di COGNOME NOME
Con la formulazione dei distinti motivi del ricorso, sebbene articolati in relazione a specifici profili, la difesa del ricorrente contesta la ribadi affermazione di responsabilità in ordine al reato di concorso esterno nella associazione per delinquere detta locale di ‘ndrangheta di Carmagnola che, secondo la prospettazione accusatoria accolta dalle sentenze di merito, avrebbe trovato dimostrazione, a specificazione del generico e onnicomprensivo capo di imputazione (sub Q1), eminentemente dall’avere il ricorrente partecipato a due vicende di compravendita immobiliare vedenti a vario titolo coinvolti esponenti della consorteria criminale.
La principale tesi difensiva è, invece, che manca del tutto nella sentenza impugnata l’indicazione dello specifico vantaggio derivante dal rapporto instaurato dall’imprenditore colluso con la cosca mafiosa, che deve consistere, secondo la univoca giurisprudenza di legittimità, nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e per l’organizzazione, considerata nel suo complesso, nell’ottenere risorse, servizi o utilità, non essendo sufficiente la circostanza che la condotta dell’extraneus abbia contribuito a far conseguire risultati utili ad uno o più associati al sodalizio criminale.
Il ricorso è fondato.
Secondo la prospettazione accusatoria accolta dalla sentenza, il principale affare economico cui il ricorrente avrebbe partecipato, beneficiando del fattivo e decisivo supporto di esponenti della ‘ndrangheta di Carmagnola, è stato l’acquisto della villa, ubicata nel Comune di Moncalieri (To), INDIRIZZO già di proprietà dell’ex calciatore della Juventus FC, NOME COGNOME, inizialmente messa in vendita al prezzo di 550.000 euro ed alla fine acquistata da COGNOME per 325.000 euro, con annessa liquidazione di provvigioni in favore dei molti mediatori a vario titolo intervenuti (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME) tra i quali, non ultimi, anche NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La forte riduzione del prezzo inizialmente fissato, unitamente ai tempi ristretti di conclusione della trattativa, rappresentano secondo tale prospettiva la prova, insieme ovviamente al pagamento di rilevanti provvigioni nei confronti, fra gli altri, di alcuni esponenti dell’associazione, che senza l’intervento del sodalizio
mafioso l’affare non avrebbe potuto essere portato a conclusione a condizioni così vantaggiose.
Osserva, tuttavia, il Collegio che dalla motivazione della sentenza sul punto manca del tutto ogni riferimento ad interventi di sapore intimidatorio o quanto meno di ammorbidimento delle pretese nei confronti del venditore NOME COGNOME o del suo rappresentante, in persona del mediatore immobiliare NOME COGNOME quali evenienze suscettibili di dimostrare da un lato il decisivo sostegno del gruppo criminale all’imprenditore colluso (COGNOME) e dall’altro la volontà di quest’ultimo di contribuire, mediante la conclusione dei negozi giuridici, al rafforzamento della consorteria intesa nel suo complesso.
Che la figura del ricorrente COGNOME possa essere in astratto ricondotta alla ben nota categoria di creazione giurisprudenziale dell’imprenditore colluso deriva, infatti, dalla descrizione della natura degli affari e delle utilità da questi ricava
Ma proprio secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità sedimentatasi sul tema, in tema di concorso esterno in associazione mafiosa, deve intendersi ‘imprenditore colluso’ quello che è parte di un rapporto sinallagmatico con il sodalizio criminoso, produttivo di vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti, per l’uno, nell’imporsi nel territorio in posizio dominante, così rivolgendo, consapevolmente, a proprio profitto la relazione con la consorteria illecita e, per l’altra, nell’ottenere risorse, servizi o utilità (S n. 34126 del 05/06/2024, PG in proc. COGNOME, Rv. 286921).
E ancora, può definirsi ‘colluso’ quell’imprenditore che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale, instauri con questo un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti nell’imporsi sul territorio in posizion dominante e nel far ottenere all’organizzazione risorse, servizi o utilità, mentre si configura il reato di partecipazione all’associazione nel caso in cui l’imprenditore metta consapevolmente la propria impresa a disposizione del sodalizio, di cui condivide metodi e obiettivi, onde rafforzarne il potere economico sul territorio di riferimento. (Sez. 6, n. 32384 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 276474; conf. Sez. 5, n. 30133 del 05/06/2018, COGNOME, Rv. 273683; Sez. 6, n. 25261 del 19/04/2018, La, Rv. 273390 e diverse altre).
Nessuno di tali requisiti è dato, tuttavia, riscontrare nel caso dell’acquisto della villa di proprietà del calciatore COGNOME, emergendo anzi dalla stessa sentenza impugnata, al di là del sicuro e già ricordato coinvolgimento in esso di NOME COGNOME e NOME COGNOME la sostanziale occasionalità dell’affare, segnalato ai mediatori (NOME COGNOME e NOME COGNOME) da tale NOME COGNOME – collaboratore di NOME COGNOME divenuto poi procuratore speciale di COGNOME – il quale ne aveva a sua volta avuto notizia dal già citato NOME COGNOME autore di lavori di ristrutturazione interna all’immobile (v. pag. 316-317 e 320 sent.).
Discorso analogo vale per la compravendita degli altri immobili di Pragelato (abitazione acquistata per il prezzo effettivo di 26.000 euro, 35.000 in rogito e del garage acquisito per 15.000 euro) con la rispettiva liquidazione di provvigioni di 10.000 e 3.000 euro complessive in favore di NOME COGNOME (indicato dalla sentenza come altro concorrente esterno), COGNOME e COGNOME.
Stando alla sentenza si è trattato, in entrambi i casi, di acquisti a prezzi esigui rispetto alle stime ufficiali, rispettivamente indicate in 56.000 per l’appartamento d; COGNOME ed 675.000 euro per la villa di Moncalieri del calciatore COGNOME (pag. 335 sent.), anche se per gli acquisti di COGNOME la figura del venditore (tale NOME COGNOME) è rimasta evanescente, sempre sullo sfondo rispetto alle trattative, sulle cui modalità nulla è dato sapere dalla sentenza.
In definitiva la volontà dell’imprenditore colluso di acquisire utilità in maniera agevolata ed al contempo di favorire gli interessi di esponenti dell’associazione mafiosa è stata ritenuta consustanziale alle modalità peculiari con cui si sarebbero svolte le fasi dell’individuazione degli immobili, della fissazione del prezzo e della rapidità di conclusione degli affari, oltre alla ovvia cointeressenza dei citati COGNOME e COGNOME laddove, tuttavia, la peculiarità non emerge affatto dalla stessa minuziosa narrativa che dei negozi la pronuncia impugnata ha ritenuto di dover compiere.
Risulta, inoltre, dalla sentenza che poiché uno degli altri partecipi all’affare, NOME COGNOME aveva fatto rimostranze per il pagamento della sua quota di provvigione, inviando al ricorrente una richiesta formale sottoscritta da un legale, il ricorrente COGNOME non solo gli aveva fatto inoltrare una missiva scritta da un avvocato, ma si era rivolto anche a COGNOME e COGNOME affinché si recassero da lui di persona, secondo la sentenza per farlo desistere dalla pretesa o quanto meno per indurlo a ridurre le sue pretese, in ciò consistendo la cd. ambasciata con finalità intimidatorie dimostrativa del coinvolgimento a pieno titolo dei malavitosi calabresi.
Ancora dalla sentenza, tuttavia, emerge che COGNOME ha sempre smentito di essere stato o di essersi sentito intimidito dalla visita di COGNOME e COGNOME che, come lui, avevano preso parte all’affare della villa di Moncalieri.
Dalle predette vicende residua che al di là della sicura estensione della rete di rapporti di conoscenza personali tenuti e mantenuti da esponenti della compagine associativa di Carmagnola, come tali retribuiti ancorché con modalità occulte in ragione delle personalità dei percettori, nessun intervento decisivo, secondo le modalità tipiche dell’associazione di stampo mafioso, è intervenuto da parte del sodalizio per rendere possibile la conclusione dei negozi ed alcuna posizione dominante è stata, per effetto della relativa conclusione, acquisita dal ricorrente COGNOME
7. Ricorso di COGNOME NOME
Prima di affrontare l’esame dei motivi riguardanti l’imputazione di cui la ricorrente risponde (artt. 110, 416-ter cod. pen., capo R1), deve essere dichiarata inammissibile l’eccezione di inutilizzabilità (primo motivo di ricorso) per asserita violazione degli artt. 141-bis e 191 cod. proc. pen., di quella parte delle dichiarazioni che la stessa aveva reso in occasione dell’interrogatorio rilasciato in stato di arresto in data 2 gennaio 2020 per mancata registrazione dello stesso.
La medesima eccezione è stata già sollevata dinanzi alla Corte di merito, che l’ha confutata per le ragioni compiutamente spiegate a pag. 376 della sentenza impugnata (dichiarazione da parte del Tribunale di utilizzabilità della sola parte delle dichiarazioni coperta da registrazione ad eccezione di quella contenente la rilettura di quelle rilasciate in difetto di fonoregistrazione).
A prescindere, dunque, dalla circostanza che anche l’eventuale dichiarazione di integrale inutilizzabilità di quelle dichiarazioni non avrebbe alcun pratico effetto sulla decisione, fondata su elementi probatori ben più ampi delle ammissioni provenienti dall’imputata, resta che la mera riproposizione della questione, senza tener conto delle ragioni svolte dalla Corte territoriale al riguardo, condanna la doglianza alla sanzione dell’inammissibilità per aspecificità.
Ciò premesso, con i successivi motivi di doglianza, variamente calibrati su aspetti particolari della complessiva vicenda, sull’apporto causale fornito dalla ricorrente e sul dolo, si contesta in primo luogo la configurabilità stessa del delitto di cui all’art. 416-ter cod. pen. (secondo e sesto motivo) e a seguire la partecipazione della ricorrente allo scambio elettorale politico-mafioso (terzo motivo) nonché la sussistenza dell’elemento psicologico del reato (quarto e quinto motivo).
Il tema della configurabilità nella fattispecie del delitto di scambio politico mafioso risulta, tuttavia, comune all’imputato COGNOME che, nella prospettiva d’accusa, è stato il contraente politico del patto, mentre gli imputati COGNOME e COGNOME ne sono stati coinvolti in veste di mediatori, con diverso grado di efficienza causale, ragion per cui si rinvia alle più diffuse considerazioni svolte al successivo par. 15 per gli aspetti di carattere generale.
Per ora è sufficiente limitarsi alle seguenti considerazioni.
I La ricorrente è stata condannata per concorso morale e materiale nel patto politico-mafioso concluso dal citato NOME COGNOME già deputato al Parlamento nazionale, con gli esponenti mafiosi Viterbo e Garcea, venendovi in prima battuta coinvolta da NOME COGNOME ma poi impegnandosi ampiamente nelle trattative sviluppatesi tra le parti, non senza nutrire ripensamenti e dubbi a fronte della acclarata caratura criminale dei procacciatori mafiosi e della loro concreta
condotta, tanto da, per motivi legati al compenso, finire anche per subire l’irruzione a fini intimidatori nel proprio studio del Viterbo.
Fermo restando, perciò, il problema della concreta configurabilità del delitto nella fattispecie in esame, non possono, invece, formularsi serie critiche al fatto che la sentenza impugnata abbia dato ampia e circostanziata dimostrazione della effettiva e concreta partecipazione della ricorrente alla trattativa, considerato altresì che l’ultima tranche del compenso veniva consegnata alle controparti mafiose per mezzo di suo marito (pag. 380-386 sent.)
Per le stesse ragioni, a prescindere dalla subordinazione logica di tale aspetto rispetto a quello di ordine generale, non possono muoversi serie critiche alla sentenza che, al netto di una certa prolissità e ripetitività, ha in maniera decisa disatteso la tesi difensiva (quarto motivo di ricorso) della desistenza volontaria della ricorrente dalla trattativa, smentita oltre tutto anche dall’episodio dell ricordate modalità di pagamento dell’ultima parte del compenso; lo stesso è, infine, dirsi della pretesa assenza di consapevolezza da parte della ricorrente (quinto motivo) della caratura criminale dei suddetti procacciatori (v. in particolare pag. 385 sent.).
8. Ricorso di COGNOME NOME
Anche l’impugnazione di tale imputato, articolato su tre motivi di censura, contesta la ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di concorso esterno nell’associazione di ‘ndrangheta di Carmagnola (capo P1); ma anche nel suo caso, al pari di quello di Burlò (v. precedente par. 6), l’affermazione di sussistenza del concorso esterno riposa nel coinvolgimento del ricorrente nelle transazioni immobiliari riguardanti la villa di Moncalieri del calciatore COGNOME e gl immobili di Pragelato.
COGNOME, in particolare, titolare dell’agenzia immobiliare RAGIONE_SOCIALE, corrente in Torino, INDIRIZZO aveva ricevuto da NOME COGNOME, procuratore di Vidal, mandato di agenzia per la vendita dell’immobile, verosimilmente dopo essere stato notiziato dell’intenzione del proprietario di venderlo da parte di NOME COGNOME che di COGNOME fungeva da collaboratore.
Da quanto si ricava del ricorso, svolto in maniera precisa per quanto ovviamente orientata, il venditore cercò di alienare l’immobile ad un determinato prezzo iniziale (550.000 euro), ma non riuscendovi si rivolse ad uno dei cd. segnalatori (intermediari di fatto operanti in nero), in persona di NOME COGNOME che a sua volta interessò della vendita altri soggetti, tra cui NOME COGNOME.
COGNOME e COGNOME ritornarono da Corvino, comunicandogli di avere contattato tale NOME (NOME COGNOME il quale tramite una terza persona ancora (NOME COGNOME
Bellis) aveva individuato nell’imprenditore NOME COGNOME il possibile acquirente.
A dispetto della valutazione operata in sentenza, secondo cui l’affare venne concluso in tempi ristretti, le trattative durarono, invece, piuttosto a lungo vedendo il coinvolgimento dei soggetti ora menzionati oltre che di ulteriori collaboratori degli intermediari, per finire con una proposta al ribasso di COGNOME per 325.000 euro, accompagnata alla consegna di 35.000 a NOME COGNOMEil già ricordato esecutore dei lavori di ristrutturazione interni che aveva segnalato che la villa era in vendita) più una provvigione del 4,5%, di cui una parte (1’1,5%) in favore della Logo Immobiliare di NOME COGNOME (procuratore del venditore NOME COGNOME) ed il 3% a Corvino; dei 35.000 euro andati a COGNOME, inoltre, questi tratteneva per sé e per COGNOME 2.500 euro, effettuando tre bonifici da 7.500 euro cadauno in favore di COGNOME, COGNOME e dello stesso COGNOME.
Per quanto analizzata da tale, come anticipato, orientata prospettiva, la ricostruzione delle cadenze della transazione, nelle linee essenziali sovrapponibili con quelle ricostruite in sentenza, concorda, tuttavia, sulla circostanza che l’intervento in essa degli esponenti della cosca di Carmagnola fu determinato dalla convinzione e dalla pretesa di avere maturato il diritto ad una quota della provvigione di mediazione e non per avere esplicitato il potere di intimidazione e costrizione del sodalizio o soltanto mediante spendita della fama criminale su uno dei contraenti e meno che mai per avere determinato in favore dell’acquirente Burlò una posizione di monopolio o anche solo dominante nel settore delle transazioni immobiliari e di Corvino nel settore di sua pertinenza della mediazione immobiliare.
Analogamente è a dirsi della transazione riguardante gli immobili ubicati nel Comune di Pragelato, in relazione ai quali furono ancora COGNOME e COGNOME a segnalarne la disponibilità alla vendita al Corvino, che questi propose poi all’imprenditore COGNOME anche in questo caso, dopo la conclusione dell’affare, i segnalatori ricevendo una quota della mediazione percepita dal ricorrente.
Tutto quanto sopra premesso, occorre chiedersi come tutto questo valga a dimostrare che l’imputato abbia tratto un vantaggio dai rapporti intrattenuti non già con i singoli NOME COGNOME e NOME COGNOME ma con l’intera compagine di ‘ndrangheta, dal momento che non è dato ricavarlo dalla sentenza, che si limita a porre in sequenza le fasi della trattativa nonché a rimarcare la consapevolezza che COGNOME aveva della caratura criminale di COGNOME e COGNOME.
Vale, infatti, conclusivamente ricordare che la configurabilità del delitto di cui agli artt. 110, 416-bis cod. pen. non può essere desunta dalla sola conclusione di uno o più affari negoziali con soggetti partecipi di una associazione di stampo mafioso, come nel caso di specie, occorrendo il coinvolgimento dell’imprenditore in transazioni condotte secondo le modalità già evidenziate di manifestazione del
potere di costrizione e intimidazione del sodalizio criminale in vista della acquisizione da parte dell’imprenditore stesso di una posizione quantomeno dominante nel settore economico di riferimento.
9. Ricorso di COGNOME NOME
Anche tale imputato, mediante la formulazione dei primi tre motivi del suo ricorso, censura la ribadita affermazione di responsabilità in ordine tanto al ritenuto concorso esterno nell’associazione di ‘ndrangheta di Carmagnola quanto al coinvolgimento nello scambio elettorale politico – mafioso riguardante anche i coimputati COGNOME e COGNOME.
Con riferimento al primo aspetto, la posizione del ricorrente nelle transazioni immobiliari aventi ad oggetto la villa del calciatore COGNOME di Moncalieri e gli immobili siti a Pragelato appare del tutto analoga, e sostanzialmente secondaria, rispetto a quella di NOME COGNOME, potendosi pertanto rinviare alle considerazioni espresse a proposito di tale ricorrente, integrate con quelle riferite all’acquirente NOME COGNOME
Ciò non contrasta con il fatto che dalla sentenza stessa emerge che il ricorrente era stato sicuramente contiguo ad ambienti malavitosi, avendo nel tempo gestito un supermercato in Venaria per conto della cosca di ‘ndrangheta Crea, entrando con l’occasione in contatto con l’imprenditore COGNOME e con esponenti della locale di Carmagnola (NOME COGNOME e NOME COGNOME), passando, infine, alle dipendenze di COGNOME NOME, imprenditrice che ha fatto da tramite all’accordo elettorale (al netto dei risvolti penali) tra il politico NOME COGNOMEdeputato di Alleanza Nazionale) ed i malavitosi NOME COGNOME e NOME COGNOME
Non per questo, infatti, diventa lecita una automatica trasposizione delle negative valutazioni delle sue frequentazioni sull’apprezzamento del ruolo dallo stesso volto nelle ricordate compravendite immobiliari, difettando, come già rimarcato, elementi essenziali per poter desumere dalla semplice partecipazione ai predetti negozi l’esistenza dei connotati tipici del concorso esterno nella associazione di stampo mafioso.
Con riferimento, infine, alla partecipazione allo scambio elettorale politico mafioso (quarto motivo di ricorso), valgono le considerazioni di ordine generale riferite al difetto di prova e di motivazione su uno degli elementi costitutivi de reato di cui all’art. 416-ter cod. pen. svolte a proposito dei ricorrenti COGNOME (v supra) e COGNOME (v. infra), ferma restando, per contro, la sussistenza dello elemento psicologico a sostegno della condotta, essendo emerso pacificamente il coinvolgimento del ricorrente, in veste addirittura di ispiratore, nelle trattativ sfociate nell’accordo tra il politico NOMECOGNOME ed esponenti di contesti malavitosi di
stampo mafioso (Viterbo e Garcea).
10. Ricorso di NOME
Come anticipato, i motivi di censura formulati nei due atti sui cui si articola l’impugnazione sono praticamente sovrapponibili.
Con i motivi dal primo al quinto di ciascun atto di ricorso e mediante le argomentazioni svolte con la presentazione di motivi nuovi, la difesa tecnica del ricorrente contesta la ribadita affermazione di esistenza della consorteria criminale descritta al capo A dell’imputazione (locale di Carmagnola) nonché l’inserimento in essa del ricorrente, con il corredo della contestata aggravante del carattere armato del sodalizio (motivi quarto e quinto dei ricorsi).
La complessiva impugnazione va, tuttavia, dichiarata inammissibile, essendo formulata in termini eminentemente di merito e fatto, notoriamente eccentrici rispetto al giudizio affidato alla Corte di cassazione.
Facendo grazia di un esteso richiamo, per quanto sempre utile, ai noti principi che delimitano il sindacato di legittimità, compiutamente esposti dalla già più volte citata, ma sempre valida, Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944, vale limitarsi alle seguenti considerazioni.
Il ricorrente è stato originariamente accusato di aver fatto del gruppo di vertice del locale di Carmagnola, ma è stato poi condannato in primo grado come mero partecipe.
Dalla sentenza impugnata si ricava che il collaboratore di giustizia NOME COGNOME ha dichiarato di avere appreso della sua partecipazione direttamente dall’imputato; che un secondo collaboratore (NOME COGNOME ha dichiarato che il suo soprannome era NOME COGNOME; che un terzo (NOME COGNOME) ha riferito della sua collocazione nel contesto criminale della famiglia COGNOME per averlo appreso in Calabria dai fratelli NOME e NOME COGNOME pur non tacendo dei contrasti insorti tra il medesimo con gli COGNOME e i COGNOME e pur facendo registrare delle discordanze sulla relativa causale.
Nel trattare la posizione di detto ricorrente, la Corte di appello ricorda che, nelle more del giudizio di secondo grado, in data 10/05/2023 è passata in giudicato la sentenza di condanna emessa nei confronti di tali COGNOME NOME e COGNOME NOME, imputati tra l’altro della partecipazione al sodalizio di ‘ndrangheta di Carmagnola, pronuncia che ha affermato espressamente l’esistenza del gruppo mafioso.
Argomentando a proposito della ribadita attendibilità del collaboratore NOME, la Corte territoriale ha, inoltre, ricordato che l’imputato gli aveva dato conferma della disponibilità di armi da parte del locale di Carmagnola, attribuendosi personalmente la detenzione (pag. 176 sent.) unitamente a tale
NOME COGNOME.
Sempre dalla decisione impugnata risulta che le dichiarazioni del collaboratore hanno trovato riscontro diretto nel sequestro di armi effettuato nel mese di giugno del 2011 a carico del COGNOME in un box ubicato nell’abitato di Carmagnola e indiretto nel contenuto delle conversazioni intercorse tra tali NOME COGNOME (affiliato al locale di Moncalieri) e NOME COGNOME (socio di NOME COGNOME nella RAGIONE_SOCIALE) definiti conoscitori di vicende di ‘ndrangheta in Piemonte, conversazioni in cui si dava conto della disponibilità di armi del COGNOME stesso per conto di terzi (pag. 181 sent.).
La Corte di appello non ha, peraltro, omesso di ricordare che a suo discarico milita la circostanza che l’imputato in procedimento connesso COGNOME non lo aveva riconosciuto nelle fotografie esibitegli in dibattimento (pag. 181).
Per altro verso, tuttavia, a pag. 182 della sentenza si ricorda – a conferma della tesi del primo giudice della capacità di COGNOME di infiltrarsi nel settor dell’edilizia – come l’imputato ebbe ad assumere, mediante la società RAGIONE_SOCIALE, il subappalto dei lavori nel cantiere originariamente avviato dalla RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME nel 2013, proseguendo in seguito ad utilizzarne le attrezzature senza chiederne il permesso e senza corrispondere alcun corrispettivo, procedendo, altresì, a concedere ulteriore subappalto a NOME COGNOME
Viene, infine, evidenziato che tale COGNOME lavoratore cottimista, vantava un credito di 2.000 euro nei confronti del ricorrente ed al fine di conseguirne il pagamento si era rivolto a NOME COGNOME accettando senza riserve da questi la decurtazione all’importo di 1.500 euro (pag. 183).
Nella sintesi delle risultanze a suo carico, la Corte di appello argomenta in conclusione che il giudizio aveva evidenziato rapporti risalenti tra COGNOME e la famiglia COGNOME a partire dagli anni 1990 in Calabria, allorquando il ricorrente era rimasto vittima di un attentato insieme a NOME COGNOME attestando di una recuperata autonomia operativa in Piemonte agli inizi degli anni 2000 e di una ritrovata convergenza a partire dal 2007.
Tanto premesso, per quanto gli argomenti utilizzati sembrino fare riferimento più all’armamentario concettuale di prova riguardante le associazioni mafiose delle regioni geografiche di storico insediamento ed operatività che non quelle delle cd. mafie delocalizzate, essi non violano nessuno dei riferimenti normativi indicati in ricorso né si segnalano per avere contravvenuto ai canoni argomentativi di non contraddizione, logicità ed intima coerenza, risultando unicamente censurabili dal punto di vista della prospettazione difensiva che, però, notoriamente non rientra tra i parametri del giudizio di legittimità di cui all’art. 606 cod. proc. pen.
Il sesto motivo di ciascun atto d’impugnazione deve essere, invece, disatteso per manifesta infondatezza, avendo la Corte territoriale congruamente argomentato la ribadita esclusione del riconoscimento delle attenuanti generiche, mediante pertinente richiamo alla protrazione temporale della partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale nonché alle specifiche funzioni assolte nel reperire attività economiche d’interesse per la consorteria e nell’intrattenere rapporti con esponenti di altre articolazioni di ‘ndrangheta operanti in Piemonte (pag. 396 sent.).
11. Ricorso di COGNOME Nicola
Con il primo ed il secondo motivo del ricorso originario e con gli argomenti sviluppati nei motivi nuovi, la difesa del ricorrente pone all’attenzione del giudice di legittimità il tema dell’obbligo di motivazione rafforzata necessaria in caso di condanna in appello che, secondo la sua prospettiva, sarebbe stata in sostanza disattesa da parte della Corte di merito nel sovvertire la pronuncia assolutoria conseguita in primo grado; il residuo motivo riveste, invece, carattere secondario, investendo il profilo del carattere armato della associazione di ‘ndrangheta di Carmagnola, di cui il ricorrente deduce, peraltro, di non avere mai fatto parte.
Il ricorso è fondato.
Stando alla sintesi delle ragioni che hanno indotto la Corte di appello a ribaltare la pronuncia assolutoria di primo grado, è risultato comprovato come l’imputato “abbia mantenuto stabili collegamenti soggettivi con esponenti del clan Bona vota di Sant’Onofrio e sia risultato in concreta ed effettiva condivisione di attività con i sodali della collegata e derivata consorteria degli Arone d Carmagnola (oltre che con persone contigue alla ‘ndrina come COGNOME NOME); in tale contesto abbia ricevuto in specie dal COGNOMENOME) la rassicurazione circa lo svolgimento di una continua attività lavorativa per un arco temporale protratto per anni e per converso abbia a sua volta assicurato al detto COGNOME e ad altri componenti del sodalizio (COGNOME NOME e COGNOME NOME) un’incondizionata e sistematica disponibilità, tradottasi in concreto nella assunzione del ruolo indispensabile e rilevante di mediatore nelle attività illecite di narcotraffico gestite con COGNOME NOME e nella protezione di COGNOME NOME (oltre che dello stesso COGNOME) rispetto alle pretese del creditore COGNOME NOME, protezione offerta rendendosi latore della “ambasciata” del COGNOME e al contempo scudando il debitore dietro la menzogna della impossibilità di contattarlo” (pag. 210 sent.).
Risalta, dunque, l’apprezzamento, di segno opposto a quello propugnato dalla difesa del ricorrente, di elementi di giudizio quali la durata dei rapporti di lavoro
intrattenuti dal ricorrente con NOME COGNOME il ricorso al canone di ‘ndrangheta proprio della cd. ambasciata, la natura dei rapporti intercorsi con altri coimputati o con soggetti esterni ma contigui al sodalizio (COGNOME) e in definitiva l’avvenuta prestazione – indimostrata secondo la difesa – da parte del ricorrente di un contributo causale all’attività dell’associazione, mentre non trovano spazio in detta ricapitolazione altre risultanze processuali, che invece la difesa ricorda come temi enfatizzati dal Tribunale a sostegno della pronuncia assolutoria (diniego di ricoprire il ruolo di responsabile tecnico della RAGIONE_SOCIALE, società ritenuta riferibile direttamente ad Arone Salvatore; sostegno a coalizione politica avversa a quella sponsorizzata dagli Arone nell’ambito della competizione elettorale comunale del Comune di Carmagnola).
A fronte di un quadro probatorio in tali termini ricostruito ed apprezzato dalla Corte territoriale in senso accusatorio, deve, tuttavia, il Collegio rilevare come risulti non poco stridente la circostanza che nessuno dei cinque collaboratori di giustizia (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME) – di cui due (COGNOME e COGNOME) espressamente dichiaratisi affiliati al locale di Carmagnola – abbia parlato del ricorrente come soggetto ‘a disposizione’ del sodalizio criminale, circostanza che integra una evidente e rilevante contraddizione rispetto al peso attributo a quelle dichiarazioni in altre parti della sentenza relative ad altri imputati.
Deve di conseguenza ritenersi fondata l’obiezione difensiva secondo cui la ricostruzione offerta nella motivazione della sentenza impugnata si risolve di fatto in una ‘critica orizzontale’ a quella di primo grado, offrendo una mera lettura alternativa del materiale probatorio, a prescindere dalla relativa completezza, difettando di quel requisito di ‘esclusività’ logica richiesto in caso di ribaltamento della pronuncia assolutoria.
Ai rilievi difensivi il Collegio ritiene di dovere, altresì, aggiungere che no sembra potersi definire rafforzata e più persuasiva della motivazione della sentenza di primo grado, quella a sua volta articolata dalla Corte di merito, connotata da continue e minuziose ripetizioni nonché da abbondanza e talora sovrabbondanza di dettagli, sostanzialmente riepilogativa degli elementi di prova diversamente valutati ma priva di valutazioni di insieme atte a convincere della erroneità delle determinazioni del primo giudice, allorquando, come nella fattispecie, il provvedimento assolutorio non abbia un contenuto motivazionale generico e meramente assertivo (v. a contrario Sez. 6, n. 11732 del 23/11/2022, dep. 2023, S., Rv. 284472).
Nel processo sempre in corso di messa a punto della nozione di motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha, poi, finito per
precisare che essa consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056).
Reputa conclusivamente il Collegio che, per le ragioni prima indicate, la sentenza impugnata difetti precisamente di tale maggiore forza persuasiva, ciò che impone una rinnovata valutazione da parte della Corte territoriale, previo annullamento della pronuncia impugnata sul punto.
12. Ricorso di Fratea Nazzareno
Nei confronti di tale imputato la sentenza deve essere annullata senza rinvio, con dichiarazione di estinzione dei reati ascrittigli, essendo lo stesso deceduto in data 12 dicembre 2024, come da certificazione acquisita (estratto per riassunto dell’atto di nascita rilasciato dal Comune di San Costantino Calabro in data 3 febbraio 2025).
13. Ricorso di COGNOME Alessandro
Il ricorso di tale imputato è fondato con riferimento ad entrambe le imputazioni mossegli ai capi Ni e H.
13.1. Va, tuttavia, preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccezione di nullità della pronuncia impugnata per asserita violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. e del principio di correlazione tra contestazione e sentenza in relazione al delitto di estorsione contestato al capo N1.
La discrasia deriverebbe dall’originario inquadramento (in contestazione) della figura dell’imputato all’interno stesso della compagine associativa di Carmagnola come vero e proprio partecipe e dallo sfumare di tale partecipazione in una mera contiguità a soggetti affiliati al gruppo ed in particolare a NOME COGNOME con il quale condivide l’accusa di intestazione fittizia di beni di cui al capo H.
L’eccezione è come anzidetto infondata, per le ragioni adeguatamente messe in rilievo dalla Corte di merito circa l’assenza di un concreto pregiudizio sofferto dall’imputato per effetto di tale discrasia, attesa la non menomata sua capacità di difendersi in maniera congrua sul punto (v. pag. 264), circostanza che funge da criterio sostanziale aggiuntivo ma determinante (giurisprudenza consolidata e costante sul punto) al fine di verificare l’effettiva violazione del principio correlazione tra accusa e sentenza codificato dall’art. 521 cod. proc. pen.
14.2. Venendo ora all’affermazione di responsabilità, sancita dalla Corte di
merito in riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, in ordine al delitto di cui all’art. 629 cod. pen. (capo Ni), il ricorrente la contesta sotto i pro dell’astratta configurabilità del reato e dell’inosservanza dell’onere di motivazione rafforzata gravante sul giudice di appello in caso di ribaltamento della pronuncia liberatoria.
Nel solco della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430 la successiva giurisprudenza di questa Corte di legittimità formatasi sul tema ha, come già ricordato, messo progressivamente a punto il concetto di motivazione rafforzata richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado (v. supra).
Tanto premesso il Collegio deve osservare che il percorso logico-argomentativo posto a sostegno dell’affermazione di responsabilità del ricorrente, pur connotato dalla lodevole rassegna e successiva analisi puntuale dei singoli passaggi della complessa vicenda sostanziale, si traduce in realtà in una diversa valutazione di un panorama probatorio rimasto sostanzialmente immutato rispetto a quello utilizzato in primo grado, nonostante l’intervenuta rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Se è pur vero, infatti, che la sentenza impugnata ha sottoposto a minuzioso esame i plurimi aspetti della vicenda (le condizioni soggettive della persona offesa NOME COGNOME; le dichiarazioni testimoniali rese da questi e dal suo commercialista; la pretesa natura simulata del contratto di mutuo; la ritenuta inesistenza di fatto della fideiussione a firma della ex moglie del ricorrente, NOME COGNOME; il ritrovamento del documento ad opera della compagna dell’imputato, COGNOME NOME; il contesto ambientale in cui si sarebbero sviluppati gli eventi; l’asserita contiguità del COGNOME a presunti appartenenti al sodalizio configurato al capo A dell’imputazione; le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME ciò nondimeno la motivazione articolata è pervenuta ad una diversa valutazione delle determinazioni del primo giudice essenzialmente in base ad una costante interpretazione orientata, in senso accusatorio, del complessivo quadro probatorio.
E’ precisamente questo il punto critico della decisione.
La motivazione articolata dalla Corte di merito risulta, infatti, molto dettagliat epperò spesso ripetitiva e connotata da una numerosissima serie di notazioni incidentali che finiscono in diversi passi per renderne disagevole la lettura.
Ma puntualità e diffusività delle argomentazioni non significano di necessità maggiore capacità di persuasione.
L’unico aspetto su cui la Corte evidenzia, invero, con certezza una mancata considerazione da parte del primo giudice è quello costituito dalla circostanza che
secondo il collaboratore di giustizia COGNOME l’ex calciatore NOME COGNOME avrebbe corrisposto alla consorteria criminale di Carmagnola una tangente di 1.000 euro al mese al fine di poter condurre indisturbato un’attività di ristorazione, avendo lui stesso ammesso che l’appartenenza degli Arone di Carmagnola alla ‘ndrangheta costituiva fatto notorio.
Tali elementi avrebbero, invero, costituito riscontro del fatto che la richiesta rivoltagli dal COGNOME del prestito di 100.000 euro aveva chiara natura estorsiva, atteso che non avrebbe potuto esimersi dall’erogarlo ad un soggetto, per l’appunto COGNOME, notoriamente vicino ad uno dei vertici della cosca in persona di NOME COGNOME.
Ma a prescindere da tale profilo, per quanto significativo, difetta nella ricostruzione accolta dalla Corte di merito ogni riferimento ad una delle condotte tipiche che connotano l’azione dell’agente nel delitto di estorsione e cioè la violenza o la minaccia esercitata all’indirizzo della persona offesa.
Con riferimento a quest’ultima, invero, nonostante l’ampia accezione da tempo accoltane dalla giurisprudenza di legittimità («Nel reato di estorsione la minaccia può essere diretta o indiretta, palese o larvata, reale, figurata, scritta determinata o indeterminata, purché comunque idonea a coartare la volontà del soggetto passivo»: Sez. 2, n. 2946 del 13/10/1980, dep. 1981, COGNOME, Rv. 148283), non è dato ravvisare nella condotta in addebito nemmeno un minimo accenno ad atteggiamenti di coartazione da parte del ricorrente, dal momento che la forza di coazione attribuita al suo agire derivava dalla partecipazione alla consorteria di ‘ndrangheta di Carmagnola, per contro esclusa (capo A) da entrambe le sentenze di merito.
Il tasso di plausibilità, dunque, di tale diversa ricostruzione, già non superiore rispetto a quella accolta dal Tribunale in primo grado e il suo fondamento su una mera congettura come quella che la mera caratura personale del COGNOME avesse evocato nella controparte il timore di dover necessariamente assecondarne la richiesta, impongono, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza su tale capo Ni, difettando, peraltro, come appena ricordato, ogni riferimento anche all’elemento oggettivo, oltre che a quello soggettivo, del delitto in questione.
14.3. Considerazioni altrettanto critiche devono svolgersi in ordine al delitto di intestazione fittizia contestata al capo H, ancorché riferite al profilo della astratt configurabilità del reato in capo al ricorrente.
In questo caso, come puntualmente osservato dalla difesa, la Corte di merito ha ritenuto di non riservare una autonoma motivazione in ordine al ruolo da lui svolto nella vicenda, rinviando alle considerazioni spese a proposito del coimputato NOME COGNOME stante la stretta correlazione esistente tra le due
posizioni processuali derivante dalla contestazione a entrambi del concorso nel delitto.
Stando all’accusa, il ricorrente avrebbe conseguito, secondo le modalità dianzi descritte, la somma di 100.000 euro dal COGNOME in prestito, al fine di destinarla alla RAGIONE_SOCIALE, partecipata al 50% da NOME COGNOME e per l’altro 50% da NOME COGNOME ma avente come effettivo titolare NOME COGNOME.
Sul punto, tuttavia, la difesa rileva puntualmente che secondo tale schema concettuale ed operativo, il soggetto apportatore dei denaro sarebbe divenuto socio occulto dell’impresa economica, temendo di dover sottostare a misure di prevenzione di natura ablatoria, mentre nel caso in esame COGNOME non poteva neanche astrattamente covare tale timore.
Con riferimento, invece, a NOME COGNOME la sentenza esclude che questi abbia investito nella società risorse proprie, pur potendo, invece, personalmente temere l’applicazione di misure ablatorie.
Nella fattispecie, dunque, la fittizia attribuzione di utilità (nella speci denaro) a terzi sarebbe da imputare ad un soggetto che non aveva nulla da temere sul piano delle misure di prevenzione patrimoniale ed in favore di terzi (Lumicisi e Terranova) che altrettanto non paventavano detto pericolo.
La Corte di appello ha superato tale obiezione sostenendo che è emersa una signoria di fatto sulla RAGIONE_SOCIALE da parte di COGNOME e NOME COGNOME ma è d’uopo replicare che non è questa la struttura della figura di reato di cui all’art 512-bis cod. pen. soprattutto con riferimento al dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, dolo che deve essere condiviso da tutti i concorrenti nel reato, per la cui prova in giudizio non è sufficiente dar conto (solo) della fittizia attribuzione della titolarità o disponib di denaro, beni o altre utilità.
In tema di trasferimento fraudolento di valori, l’intestatario fittizio del be non deve essere animato necessariamente dal dolo specifico, che caratterizza, invece, la condotta dell’interponente, unico soggetto direttamente interessato a eludere la possibile adozione di misure di prevenzione a suo carico, essendo sufficiente, invece, la consapevolezza del dolo specifico altrui (Sez. 2, n. 16997 del 28/03/2024, Severini, Rv. 286355; conf. Sez. 6, n. 19108 del 15/02/2024, PM in proc. COGNOME, Rv. 286662).
Ma nel caso del ricorrente si è in presenza, secondo la stessa impostazione d’accusa, di un soggetto che fungeva anch’egli da interponente, con la conseguenza che, in quanto incensurato e al momento del fatto non ancora coinvolto in alcun procedimento penale, non avrebbe in alcun modo potuto essere animato dall’intento di eludere l’adozione di possibili misure di prevenzione a proprio carico, le risultanze probatorie non fornendo sul punto
alcuna indicazione ad eccezione del riferimento alla sua contiguità (personale, di interessi, di affari) con NOME COGNOME soggetto, invece, certamente già condannato per art. 416-bis cod. pen.
L’impossibilità di configurare in capo al ricorrente il dolo del delitto in esame rende, pertanto, inevitabile l’annullamento senza rinvio della sentenza anche su tale capo H perché il fatto non costituisce reato, restando ovviamente assorbiti dalla natura della pronuncia gli altri motivi.
14. Ricorso di COGNOME NOME
Con i primi tre motivi di ricorso, tale imputato contesta, senza metterne in discussione l’esistenza, la ribadita sua partecipazione tanto al locale di ‘ndrangheta di Carmagnola quanto all’episodio estorsivo in danno di NOME COGNOME, contestatogli al capo U1, con l’aggravante dell’impiego del metodo mafioso (terzo motivo di censura).
Trattasi, tuttavia, di motivi declinati in merito ed in fatto, che non possono trovare accoglienza nel giudizio di legittimità.
Il ricorrente pone, infatti, l’accento sulla circostanza che la ritenuta su partecipazione al fenomeno criminale oggetto di verifica giudiziale sia stato, indebitamente secondo la sua prospettazione, desunto da una pretesa attitudine sia all’infiltrazione nel tessuto economico del settore edilizio sia alla composizione di controversie tra privati, sebbene il reato fine oggetto di contestazione attenga piuttosto alla manifestazione del potere di intimidazione ed egemonia esplicato sul territorio di riferimento dall’associazione.
Tanto premesso, sia il Tribunale in primo grado che la Corte territoriale in appello (pag. 234-242 sent.) hanno ampiamente posto in rilievo gli elementi di fatto (a mero scopo indicativo e non esaustivo: gli originali contatti con altre articolazione di ‘ndrangheta in Piemonte, i contatti diretti con NOME COGNOME gli affari avviati unitamente e disgiuntamente a quest’ultimo nel settore dell’edilizia, il coinvolgimento in incontri vedenti su attività di contrabbando l’intervento nella composizione di vertenze tra privati, etc.) sulla base dei quali ne è stata affermata e ribadita la responsabilità a titolo associativo e le rispettive valutazioni, solidamente ancorate e concrete risultanze probatorie, non possono seriamente essere messe in discussione dalla generica evocazione di vizi della motivazione, che come tali si traducono nella semplice richiesta di riesame nel merito delle stesse.
Inammissibile risulta, infine, anche il motivo formulato con riferimento al trattamento sanzionatorio, del quale non si evocano profili di illegittimità o illegalità, lamentando il ricorrente l’applicazione delle pur riconosciute circostanze attenuanti generiche solo in equivalenza rispetto all’aggravante del
carattere armato dell’associazione (art. 416-bis, quarto e quinto comma, cod. pen.) e non in prevalenza, ma la Corte territoriale ha fornito debita motivazione di tale scelta, congruamente ancorata alla disponibilità di armi emersa da alcune captazioni riguardanti i rapporti del ricorrente con il citato NOME COGNOME (pag. 401 sent.).
16. Ricorso di NOME
All’esito dei due gradi di merito del giudizio, l’imputato è stato condannato in ordine al delitto di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter cod. pen.) contestatogli al capo R1, per avere, in veste di candidato al Parlamento nazionale per il partito Alleanza Nazionale, stretto un accordo in tal senso con NOME (FrancoCOGNOME COGNOME e NOME COGNOME a loro volta condannati per tale fatto e detto titolo di reato nell’ambito di distinto giudizio, con il concorso mediatori NOME COGNOME e NOME COGNOME Bellis.
Ciò premesso, con il primo dei motivi di doglianza formulati, la difesa del ricorrente pone subito il tema cruciale della questione.
Dalla pronuncia impugnata si ricava che i due procacciatori di voti e controparti mafiose del patto, Viterbo e Garcea, avrebbero dovuto assicurare al ricorrente Rosso il procacciamento di voti nella cintura popolare di Torino e in particolare presso gli elettori di origine meridionale nonché nel paesino di San Gillio.
La vicenda è ricostruita in sentenza in maniera a dire poco dettagliata ed attraverso una analisi minuziosa dei relativi passaggi intermedi (pag. 346-375 per quanto riguarda la posizione processuale di Rosso), ragion per cui va sgomberato il campo di una possibile sussistenza di difetti espositivi o di natura logico-argomentativa.
Il problema attiene, invece e come già anticipato, alla configurabilità del reato in contestazione, almeno sulla base delle indicazioni desumibili dalla stessa pronuncia.
Dalla relativa lettura emerge, infatti, che a dispetto dell’accordo concluso con COGNOME, i procacciatori avrebbero appoggiato il quasi omonimo candidato COGNOME Domenico, pochi voti in concreto raccogliendo in favore del ricorrente, ciò che, tuttavia, costituisce pacificamente post factum irrilevante per il perfezionamento del reato, che avviene con la mera conclusione del patto elettorale (Sez. 6, n. 9442 del 20/02/2019, PM in proc. COGNOME, Rv. 275157; Sez. 1, n. 32820 del 02/03/2012, COGNOME, Rv. 253740).
Quel che, piuttosto, difetta nella ricostruzione dei termini dell’accordo è l’esplicitazione da parte dei due procacciatori – agenti singolarmente perché precedentemente contattati dagli intermediari COGNOME e COGNOME che li avevano successivamente indirizzati a COGNOME – della previsione dell’impiego del
metodo mafioso nella raccolta dei suffragi o delle promesse di voto.
La peculiarità della fattispecie, infatti, consiste nel suo manifestarsi ai margini della vicenda riguardante l’associazione di ‘ndrangheta di Carmagnola ed anzi in un ambito territoriale diverso da detto Comune, atteso che, a parte il ricordato Viterbo, non emerge da alcun passaggio della pronuncia il coinvolgimento di ulteriori esponenti della predetta associazione, appartenendo Garcea ad una articolazione ligure, per quanto riconducibile alla medesima cosca COGNOME del paese calabrese di Sant’Onofrio (Vv) e reduce da recente lunga carcerazione per fatti di ‘ndrangheta.
E’ in particolare a pag. 373 della sentenza che la Corte di merito, al termine di una lunga e certosina esposizione di aspetti di dettaglio relativi alla conclusione del patto, tira le file delle sue considerazioni con l’affermare che:
“Risulta (…) ampiamente provata anche la mafiosità dell’accordo elettorale, già ritenuta dal primo giudice, accertata con efficacia di cosa giudicata nel processo a carico dei due procacciatoti e non inficiata validamente dai motivi di gravame. In buona sostanza, Garcea e Viterbo, sono intervenuti nella vicenda con l’evocazione della rispettiva caratura ed appartenenza alla consorteria di ‘ndrangheta donde la superfluità della prova del ricorso al metodo mafioso, di cui ad ogni buon conto proprio il detto epilogo nella interlocuzione tra COGNOME e Viterbo si appalesa dimostrativo”; identica la statuizione a pag. 380 nell’esame della posizione della ricorrente COGNOME: “(…) la conoscenza del politico circa la appartenenza alla ‘ndrangheta dei due procacciatori e la determinazione, nondimeno, a portare avanti il rapporto con loro (…) è bastevole a configurare la mafiosità del patto, come ritenuto per il medesimo caso dalla Suprema Corte in relazione alla posizione degli imputati COGNOME e Viterbo, atteso che lo snodo della vicenda accentra in sé la evocazione da parte di questi ultimi, della consorteria mafiosa di riferimento (…)”.
In sintesi, la Corte territoriale ha ritenuto che la prova del ricorso al metodo mafioso non fosse necessaria, attesa la sicura appartenenza alla ‘ndrangheta dei procacciatori e la relativa fama criminale.
In ogni caso, si aggiunge, la prova dell’impiego del metodo risiederebbe nel contenuto di uno specifico colloquio telefonico intercorso tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME oggetto di captazione, valorizzato nell’ambito del distinto giudizio a carico dei procacciatori mafiosi.
A tal proposito, tuttavia, la difesa dell’imputato ne ha riportato il contenuto i nota alle pag. 14 e 15 del ricorso (RIT 28/19 progr. n. 9267 del 13.6.19) ma il suo esame non avvalora affatto il riferimento all’impiego del metodo mafioso, avendo piuttosto riguardo alla comune valutazione negativa che i colloquianti fanno del comportamento tenuto da una terza persona, verosimilmente da
individuarsi proprio nel ricorrente NOME COGNOME.
Va, infatti, rimarcato che l’intera trattativa si è svolta, come da contestazione, nel mese di maggio del 2019 (capo R1), allorquando l’art. 416-ter cod. pen. all’epoca vigente (come introdotto dal decreto – legge 8 giugno 1992, n. 306 conv. nella legge 7 agosto 1992, n. 356 e sostituito dall’art. 1 della legge 17 aprile 2014, n. 62) recitava: “Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o altra utilità, è punito …”.
Con legge 21 maggio 2019, n. 43 (art. 1), entrata in vigore in data 11 giugno 2019, il comma 1 dell’art. 416-ter cod. pen. è stato, infatti, modificato come segue: : “Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’art 416-bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa, è punito …”.
La modifica è, infatti, intervenuta essenzialmente al fine di porre rimedio alle difficoltà di accertamento del perfezionamento del delitto, tradottesi anche in difformi orientamenti interpretativi nell’ambito della giurisprudenza di questa stessa Corte di cassazione, una volta verificato che tra i contraenti del patto vi siano soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Le risultanze probatorie hanno, tuttavia, evidenziato che i due procacciatori, resisi responsabili di una condotta non scevra, ferma l’illiceità della causa negoziale, da aspetti di fraudolenza nei confronti della controparte, hanno agito non in quanto emissari o rappresentanti delle cosche di riferimento, ma quali soggetti attestati in tali ambienti e perciò accompagnati da fama criminale, come la stessa concorrente nel reato COGNOME ha dovuto constatare nel corso delle fasi della trattativa e del pagamento del prezzo da parte del ricorrente COGNOME
Né risulta possibile, a parere del Collegio, prescindere dal fatto e dalla prova che il procacciamento dei voti avvenga con metodo mafioso nel caso in cui gli agenti operino, come nella fattispecie, uti singuli, persistendo, invero, sul punto un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di questa stessa Corte di cassazione (nel senso della necessità Sez. 6, n. 15425 del 12/12/2022, dep. 2023, PM in proc. COGNOME, Rv. 284583; in senso contrario Sez. 6, n. 43186 del 11/09/2024, COGNOME, Rv. 287271) e dovendosi, pertanto, in senso dirimente attribuire una qualche rilevanza alla modifica normativa, non per ultimo motivo dal momento che l’accordo prevedeva, come anticipato, il procacciamento di voti in un ambito territoriale diverso da quello di operatività delle rispettive cosche di
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riferimento dei procacciatori Viterbo e Garcea.
Ne consegue, dunque, che nella fattispecie in esame quella prova avrebbe dovuto essere individuata e debitamente argomentata alla luce del parametro normativo all’epoca vigente, più restrittivo in termini di punibilità delle condot penalmente rilevanti già al momento della stipula del patto politico-mafioso, costituente la modalità tipica di perfezionamento del delitto.
Il reato di scambio elettorale politico-mafioso si perfeziona, infatti, già momento delle reciproche promesse, indipendentemente dalla materiale erogazione del denaro, essendo rilevante – per quanto attiene alla condotta dell’uomo politico – la sua disponibilità a venire a patti con la consorteri mafiosa, in vista del futuro e concreto adempimento dell’impegno assunto in cambio dell’appoggio elettorale (Sez. 1, n. 32820 del 02/03/2012, Battaglia, Rv. 253740; Sez. 5, n. 4293 del 13/11/2002, dep. 2003, Gorgone, Rv. 224274).
La circostanza che il pagamento effettivo sopravvenga alla stipula comporta una progressione criminosa ma non può valere a sovvertire la centrale rilevanza del contenuto del patto, nel quale si annida l’offensività della condotta e che deve essere ab origine assistito dal coefficiente psicologico.
Nondimeno il Tribunale in primo grado e la Corte territoriale in appello hanno ritenuto di fare a meno di quella prova, attribuendo rilevanza centrale ed esclusiva alla caratura criminale ed alla appartenenza dei procacciatori di voti a consorterie di ‘ndrangheta, peraltro innegabilmente messe in risalto e riscontrate dallo sviluppo della vicenda, come nel caso dell’irruzione con fare intimidatorio di NOME COGNOME nello studio dell’intermediaria COGNOME al fine di reclamare il pagamento del prezzo pattuito, a dispetto degli scarsi risultati assicurati al contraente politico NOME COGNOME.
In simile prospettiva risulta corretto il rilievo difensivo secondo cui la sentenza irrevocabile intervenuta a carico dei procacciatori in distinto giudizio non ha efficacia vincolante, assurgendo al rango di mero fatto da apprezzare ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen. in connessione con gli ulteriori elementi di prova emersi nell’ambito del presente processo.
Persuasiva risulta, invece, la decisione sul tema della consapevolezza da parte del ricorrente della appartenenza dei procacciatori a contesti criminali, oggetto del secondo motivo di ricorso.
Sul punto la sentenza appare altrettanto circostanziata, ricordando che COGNOME aveva fatto parte di una commissione del consiglio comunale di Torino dedicata allo studio delle infiltrazioni mafiose in Piemonte e come deputato aveva addirittura svolto una interrogazione parlamentare sul fenomeno in Liguria che coinvolgeva anche la persona di NOME COGNOME era, quindi, perfettamente consapevole delle persone con cui era stato messo in contatto dai mediatori.
Aveva, infine, assunto come segretaria una persona che aveva svolto lo stesso incarico per conto di un affine di NOME COGNOME, sindaco di Chieri arrestato per collusioni con la ‘ndrangheta al tempo dell’operazione COGNOME.
Ma vale ripetere che non è la descrizione della caratura criminale dei procacciatori di voti a costituire il punto critico della pronuncia, essendo la stessa ampiamente argomentata mediante puntuale richiamo a plurimi e concreti indici probatori, quali già sopra ricordati.
16. Ricorso di COGNOME NOME
Il ricorso articolato da tale ricorrente su due distinti atti deve essere dichiarat inammissibile.
Ricorso a firma dell’avv. COGNOME
16.1. Il primo motivo di doglianza evocante la violazione dei parametri di riferimento normativi (artt. 110, 640 cod. pen.) della ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di truffa aggravata di cui al capo R dell imputazione è palesemente infondato, oltre che declinato in fatto e generico poiché del tutto incurante dell’ampia motivazione con cui la Corte di appello, a pag. 216 della sentenza, ha dato conto in maniera congrua della sua partecipazione alla truffa in danno di NOME COGNOME a questi presentatosi come NOME COGNOME e dalla parte offesa ricontattato su utenza telefonica allo stesso ricorrente intestata.
16.2. Risulta, invece, improponibile e intempestiva la censura riguardante la pretesa violazione dell’art. 61, n. 7, cod. pen. dell’aggravante del danno di rilevante gravità, in quanto non previamente dedotto in appello in violazione dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (v. pag. 215 sent.).
16.3. Non proponibile in sede di legittimità è anche il terzo motivo del ricorso, evocante una pretesa violazione di legge penale in relazione all’art. 133 cod. pen. in ragione della mancata riduzione al minimo edittale della pena, per contro comminata nel massimo dal primo giudice.
Il ricorrente si duole in tal modo del carattere eccessivo della pena senza, tuttavia, evidenziarne profili di arbitrarietà ovvero illegalità, negli stretti definiti da Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886, i quali abilitano in via esclusiva a censurare in sede di legittimità l’esercizi discrezionale del potere di determinare il trattamento sanzionatorio, notoriamente rimesso alla esclusiva competenza dei giudici di merito.
16.4. Del pari manifestamente infondata è la doglianza in tema di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sul quale la Corte di merito ha svolto ampia e incensurabile motivazione (v. pag. 400 sent.).
Ricorso a firma dell’avv. COGNOME
16.5. Il primo motivo di censura articolato da detto difensore ripercorre le cadenze di quello di cui al precedente par. 16.1. alle cui sintetiche considerazioni si rinvia integralmente.
16.6. Altrettanto è a dirsi della doglianza riferita alla pretesa violazione degl artt. 62-bis, 63 e 133 cod. pen., per cui si rinvia al par. 16.4.
16.7. Manifestamente infondato, infine, è il motivo di censura riguardante il diniego opposto dalla Corte di merito alla richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, in realtà adeguatamente motivato con riferimento ad un precedente penale ostativo dovuto a pregressa condanna per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990).
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME, perché i reati sono estinti per morte dell’imputato.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME in relazione al reato di cui al capo F perché il fatto non sussiste e in relazione al capo H, per non aver commesso il fatto. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME Salvatore, rideterminando la pena per il residuo reato di cui al capo A in sedici anni di reclusione.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Alessandro in relazione al reato di cui al capo H, perché il fatto non costituisce reato e i relazione al reato di cui al capo N1, perché il fatto non sussiste.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME in elazione al reato di cui al capo Q1 perché il fatto non sussiste. Revoca la confisca degli immobili siti in Moncalieri, INDIRIZZO69-71 e in Pragelato di cui al decreto di convalida di sequestro preventivo del G.i.p. del Tribunale di Torino del 30/12/2109 e ne ordina la restituzione all’avete diritto COGNOME NOME.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME in relazione al reato di cui al capo P1 perché il fatto non sussiste.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME in relazione al reato di cui al capo Si perché il fatto non sussiste.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME in relazione al reato di cui al capo A e in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod pen. contestata ai capi E1, F1, Gl, H1, Il, Li, M1; nei confronti di COGNOME Nicola
in relazione al reato di cui al capo A; nei confronti di COGNOME NOME, di COGNOME
NOME e di NOME in relazione al reato di cui al capo R1, e rinvi nuovo giudizio su tutti i predetti capi ad altra sezione della Corte di app
Torino. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso del P.G. nei confronti di COGNOME NOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME Raffaele, di COGNOME NOME, di Petu
NOME e di COGNOME NOME e condanna i predetti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de
ammende.
Revoca le statuizioni civili nei confronti di COGNOME, di COGNOME NOME e
COGNOME Ivan.
Condanna COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME, in solido tra loro, a rifondere le spese di rappresenta
difesa sostenute nel presente grado da Regione Piemonte, da Comune di
Carmagnola e da RAGIONE_SOCIALE, che liquida rispettivamente in euro 5.000,00 oltre accessori di legge quant Regione Piemonte nonché in euro 8.109,20 ciascuna, oltre accessori di legge, quanto a Comune di Carmagnola e RAGIONE_SOCIALE.
Condanna COGNOME NOME a rifondere le spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado da COGNOME NOME, che liquida in euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Dichiara cessata l’efficacia della misura cautelare in corso di esecuzione confronti di Corvino Ivan.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso, 3 febbraio 2025
Il consiglie GLYPH nsore GLYPH
Il Prestylente