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Concorso di reati: quando la droga è la stessa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20917/2025, affronta il tema del concorso di reati in materia di stupefacenti. Un imputato, condannato per molteplici episodi di spaccio, sosteneva l’unicità della condotta. La Corte ha respinto il ricorso su questo punto, chiarendo che diverse cessioni di droga, anche se ravvicinate, costituiscono reati separati se manca una contiguità temporale e un’unica azione. Ha tuttavia parzialmente annullato la sentenza per ricalcolare la pena relativa a un singolo episodio, la cui natura di sostanza stupefacente non era stata provata con certezza.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso di reati e droga: quando più cessioni sono un solo reato?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 20917 del 2025, offre un importante chiarimento sul concorso di reati in materia di stupefacenti. La Corte si è pronunciata sul caso di un individuo condannato per numerosi episodi di spaccio, il quale sosteneva che le varie condotte dovessero essere considerate come un unico reato continuato. La decisione delinea con precisione i confini tra un singolo illecito e una pluralità di reati, un tema cruciale per la determinazione della pena.

I fatti del caso: un ricorso contro una pesante condanna

Il ricorrente si era opposto a una sentenza della Corte di Appello che confermava una condanna a oltre quattordici anni di reclusione e una multa superiore a 50.000 euro per una serie di reati legati al traffico di sostanze stupefacenti. La difesa basava il proprio ricorso su una presunta violazione di legge, sostenendo che diversi episodi di cessione e detenzione, contestati separatamente, fossero in realtà manifestazioni di un’unica condotta criminosa e che, pertanto, alcuni capi d’imputazione avrebbero dovuto essere assorbiti in altri.

La questione del concorso di reati nello spaccio di stupefacenti

Il punto centrale della controversia legale era stabilire se le diverse condotte previste dall’art. 73 del D.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti), come la detenzione e la successiva cessione, potessero essere considerate un reato unico. Secondo la tesi difensiva, la detenzione di un quantitativo di droga destinato a plurime vendite rappresenterebbe un’unica azione, assorbendo le singole cessioni successive. La Procura Generale, pur concordando parzialmente su alcuni aspetti, aveva richiesto una rideterminazione della pena, ma non un accoglimento totale delle tesi difensive.

La decisione della Corte di Cassazione e il principio della contiguità temporale

La Suprema Corte ha rigettato la tesi dell’unicità del reato, ribadendo un principio consolidato nella sua giurisprudenza. Le diverse condotte di detenzione e cessione di stupefacenti perdono la loro individualità e vengono assorbite in un unico reato solo se sussistono due condizioni fondamentali:

1. Medesima sostanza: le azioni devono avere come oggetto materiale la stessa partita di droga.
2. Contiguità temporale: le condotte devono essere poste in essere contestualmente o, comunque, senza un’apprezzabile interruzione temporale.

In assenza di questa contiguità, anche se l’oggetto è la stessa sostanza, la detenzione e le successive cessioni configurano distinti reati, eventualmente legati dal vincolo della continuazione, ma non assorbiti l’uno nell’altro. Ogni cessione diventa quindi una violazione autonoma della legge.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione spiegando che considerare ogni cessione non contestuale come un reato autonomo risponde alla necessità di punire ogni singola violazione della norma. L’assenza di una soluzione di continuità tra le azioni è il discrimine fondamentale. Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che gli episodi contestati fossero temporalmente e logisticamente distinti. Ad esempio, pagamenti riferiti a forniture pregresse e consegne di nuovi quantitativi di droga non potevano essere ricondotti a un’unica azione. La Corte ha sottolineato che le argomentazioni del ricorrente implicavano una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Il ricorso, sul punto, è stato dichiarato inammissibile perché le censure erano generiche e non individuavano con precisione i vizi logici della sentenza d’appello.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza ha un impatto significativo, riaffermando che nel traffico di stupefacenti, la pluralità di azioni distinte nel tempo configura un concorso di reati e non un reato unico. Tuttavia, la Corte ha accolto parzialmente il ricorso su un altro punto, procedendo all’annullamento senza rinvio della sentenza limitatamente al calcolo della pena per uno specifico capo d’imputazione. In questo singolo episodio, la Corte d’Appello aveva riqualificato il fatto come reato di minore gravità (comma 4 dell’art. 73) poiché non era stata raggiunta la prova che la sostanza fosse cocaina. La Cassazione, prendendo atto di ciò, ha ricalcolato la pena per quel singolo reato e, di conseguenza, ha rideterminato la pena finale complessiva, riducendola a quattordici anni e due mesi di reclusione e 43.600 euro di multa. La decisione finale dimostra il rigore della Corte nel distinguere le questioni di fatto da quelle di diritto, intervenendo solo dove emerge un chiaro errore nell’applicazione della legge.

Più cessioni della stessa droga costituiscono sempre reati separati?
No, non sempre. Secondo la Corte, più condotte (es. detenzione e cessione) possono essere assorbite in un unico reato solo se riguardano la medesima sostanza e sono realizzate contestualmente o senza un’apprezzabile interruzione temporale. Se manca la contiguità temporale, si configura un concorso di reati.

Perché la Corte di Cassazione non ha riesaminato i fatti relativi alle singole cessioni?
La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non può rivalutare le prove o ricostruire i fatti come farebbe un tribunale di primo o secondo grado. Le richieste del ricorrente in tal senso sono state quindi ritenute inammissibili.

Perché la pena finale è stata comunque ridotta?
La pena è stata ridotta non perché sia stata accolta la tesi del reato unico, ma a causa di un errore nel calcolo della sanzione per un singolo capo d’imputazione. La Corte d’Appello aveva declassato un episodio a reato di minore gravità senza però adeguare correttamente l’aumento di pena corrispondente. La Cassazione ha corretto questo errore specifico, rideterminando la pena finale senza bisogno di un nuovo processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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