Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20917 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20917 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 27/04/1977
avverso la sentenza del 12/02/2024 della Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di al capo 2), sub 35), perché assorbito in quello di cui al capo 2), sub 21), e all’aumento per la continuazione per il reato di cui al capo 2), sub 4), da rideterminare in mesi tre di reclusione ed euro novecento di multa e non in anni uno di reclusione ed euro tremila di multa, con rideterminazione della pena finale complessiva in anni tredici, mesi otto di reclusione ed euro quarantunomila di multa, il rigetto del ricorso nel resto;
udito il difensore, avv. NOME COGNOME del foro di Palermo, che insiste per l’accoglimento dei ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Palermo ha confermato decisione emessa dal G.u.p. del Tribunale di Palermo all’esito del giudizio abbreviato e impugnata dall’imputato, la quale, esclusa la recidiva reiterata e ritenuta la recidiva specifica infraquinquennale, unificati i reati sotto il vinco della continuazione anche con riferimento a quelli giudicati con sentenza irrevocabile del G.i.p. del Tribunale di Palermo in data 17 giugno 2020, ha condannato NOME COGNOME alla pena complessiva di quattordici anni e otto mesi di reclusione e 52.600 euro di multa.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, che, con un unico complesso motivo, deduca la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990, contestati al capo 2) sub 3) e 4), 19), 20), 21), 22), 35), 38) e 42).
Rappresenta il difensore che la Corte di appello, relativamente ai capi in esame, si è limitata ad operare un richiamo acritico alla sentenza di primo grado, senza nulla aggiungere in merito alle questioni sollevate dalla difesa; in particolare, la Corte di merito non ha motivato in ordine all’identità del fatto sub) 8) con quello sub 6), posto che, contrariamente da quanto ritenuto dal Tribunale, sulla base delle intercettazioni può argomentarsi che COGNOME e COGNOME stavano accordandosi per il pagamento di un precedente credito. Allo stesso modo, quanto ai fatti sub 19), 20) e 21) nessuna risposta è stata data alla richiesta concernente il mancato riconoscimento dell’unicità delle condotte. Analoghi rilievi valgono in relazione al fatto sub 35), anche in tal caso da imputarsi a un pregresso debito di 2.950 euro, come si evince dalle registrazioni ambientali del 12 dicembre 2019, sicché tale fatto deve ritenersi assorbito nella condotta contestata sub 19) e 20). Espone, ancora il difensore che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, l’episodio di cui al capo della sentenza n. 520/20220 riguarda una parte dell’acquisto di cui al capo 2) sub 38), essendo evidente che i 45,441 gr. di cocaina, sequestrata il 17 dicembre 2019, erano una parte di quella acquistata il giorno prima da Duecento, pari a 150 gr. di cocaina. Aggiunge il difensore che vi sarebbe coincidenza tra il capo 2 sub 42) con il capo 1) della sentenza n. 520 del 2020, non essendovi dubbio che la sostanza è la medesima ceduta dal COGNOME e dal COGNOME mezz’ora prima dell’arresto del Randazzo.
La Corte di appello, infine, è incorsa in violazione di legge in merito alla determinazione della pena, in quanto ha confermato la pena base per il reato di
più grave di cui al capo 2) sub 38), pari a otto anni e quindi superiore al minimo edittale, senza fornire un’adeguata motivazione. La Corte di merito, inoltre, non ha considerato quando dedotto con l’appello in ordine all’errore in cui è incorso il Tribunale in relazione all’aumento di un anno per le condotte avente ad oggetto la cocaina (sub 4, 9, 15, 34 e 38), mentre, con riguarda al capo 4), la stessa Corte di appello ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova che si trattasse di cocaina, riqualificando il fatto ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in relazione alla determinazione del trattamento punitivo, nei termini e per i motivi dì seguito indicati.
Le censure con cui si invoca l’unicità delle condotte con riferimento ai fatti contestati ai capo 2) sub 3), 4), 19), 20), 21), 22), 35), 38) e 42), implicando valutazioni di fatto, sono inammissibili, essendo preclusa a questa Corte di legittimità la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Per impostare la questione va richiamato l’orientamento assunto da questa Corte di legittimità secondo cui le diverse condotte previste dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, perdono la loro individualità, con conseguente esclusione del concorso formale per effetto dell’assorbimento, solo se costituiscono manifestazione di disposizione della medesima sostanza e risultano poste in essere contestualmente o, comunque, senza apprezzabile soluzione di continuità, in funzione della realizzazione di un unico fine (da ultimo, Sez. 3, n. 23759 del 10/02/2023 El COGNOME Rv. 284666: fattispecie relativa alla detenzione e alla successiva cessione della medesima sostanza stupefacente, in cui, pur nell’identità dell’oggetto materiale di condotte strutturalmente eterogenee, è stato escluso i! concorso apparente sul rilievo della non contiguità temporale dell’iniziale condotta di detenzione e delle successive cessioni; in senso analogo, Sez. 3, n. 7404 del 15/01/2015, COGNOME, Rv. 262421 – 01, che ha escluso l’assorbimento di piurimi episodi di cessione di droga in una
precedente condotta di detenzione commessa dalle stesse persone ed oggetto di separato giudizio, in ragione della diversità del dato quantitativo e del differente contesto temporale).
Ciò significa che il concorso formale tra i reati di illecita detenzione e cessione di sostanza stupefacente è escluso nel caso in cui le condotte abbiano come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente, siano contestuali e poste in essere dal medesimo soggetto poiché, in tal caso, la condotta illecita minore perde la propria individualità per essere assorbita in quella più grave (Sez. 3, n. 8163 del 26/11/2009, dep. 2010, Merano e altro, Rv. 246211).
Di conseguenza, l’assenza di contiguità temporale tra le condotte di detenzione e cessione di sostanza stupefacente impedisce l’assorbimento dell’una condotta nell’altra, con la conseguenza che le due condotte danno luogo a più violazioni della stessa disposizione di legge e quindi a distinti reati eventualmente legati dal vincolo della continuazione criminosa, ed ambedue previsti dalla norma a più fattispecie tra loro alternative di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990 (Sez. 4, n. 22588 del 07/04/2005, COGNOME, Rv. 232094).
Alla luce delle considerazioni che precedono, perciò manifestamente infondata la prospettiva dei ricorrente, laddove, per ritenere l’unicità del fatto pare sostenere che sia sufficiente la medesimezza della sostanza stupefacente oggetto delle diverse condotte.
4.1 Quanto al Capo 2), sub 3), 4), 24) e 37), rammentato che il vizio di motivazione di cui all’art. 606, comma primo lett. e), cod. proc. pen. – che si verifica nel caso in cui sia del tutto inesistente la motivazione del provvedimento gravato oppure sia meramente apparente quella risultante dal testo dello stesso – non si concretizza allorquando il giudice, pur facendo proprie le considerazioni svolte da quello di prime cure, abbia compiutamente esaminato le censure rivolte dall’appellante alla sentenza di primo grado, in quanto le due sentenze di merito possono avere i medesimi contenuti di giudizio e l’obbligo motivazionale imposto al giudice risulta soddisfatto con il completo esame delle argomentazioni proposte dall’appellante (Sez. 5, n. 28100 del 03/05/2024, Mestrinaro, non massimata; Sez. 1, n. 707 del 13/11/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209442; Sez. 4, n. 6499 del 21/04/1994, COGNOME, Rv. 198050), si osserva i motivi di ricorso, che censurano il mero richiamo per relationem al contenuto dell’atto di appello, sono inammissibili, perché non soddisfano il requisito di specificità, consistente nella precisa indicazione dei punti censurati e delle questioni di fatto e di diritto da sottoporre al giudice del gravame tranne che nel caso in cui, per motivi formali ritenuti assorbenti o per l’apoditticità della decisione del G.I.P, si mancata qualsiasi valutazione della richiesta medesima (Sez. 6, n. 32355 del
08/07/2024, COGNOME, Rv, 286857; Sez. 6, 29/10/2015 n. 45948, COGNOME, Rv. 265276; Sez. 6, 01/10/2013 n. 47546, COGNOME, Rv. 258664), situazione, quest’ultima, certamente non ravvisabile nel caso in esame.
4.2. Con riguardo al Capo 2), sub 6) e 8), si osserva che la Corte territoriale ha logicamente riconosciuto la diversità dell’episodio criminoso dell’8 novembre 2019 di consegna di stupefacente al Porcelli rispetto a quello precedente del 6 novembre 2019, evidenziando il riferimento nel colloquio intercettato del 9 novembre alla migliore qualità dello stupefacente in tale occasione e al “coso” consegnato la sera precedente nella seconda circostanza (pag. 46 e ss. della sentenza impugnata).
4.3. Con riferimento al Capo 2), sub 19), 20) e 21), dallo sviluppo cronologico delle vicende criminose, descritto in dettaglio nella sentenza impugnata (p. 72 e ss.), si evince chiaramente che il pagamento della somma di euro milleduecento di cui al sub 19) si riferiva ad una fornitura pregressa, mentre la vicenda di cui ai sub 20) e 21) riguardava i panetti di droga la cui consegna era ripresa dalle videocamere.
4.4. Con riferimento al Capo 2), sub 35), l’episodio concerne una pregressa fornitura, ma, sebbene dal contenuto del colloquio non si comprenda la data dell’esecuzione della consegna, in applicazione dei principi dinanzi indicati, non emergono elementi – né il ricorrente li ha puntualmente indicati – per poter affermare che si tratti di condotte che abbiano come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente, dovendosi invece ritenere, come affermato dalla Corte di merito, che si tratti di forniture differenti, che avevano generato, carico del Randazzo, un debito complessivo pari a 8.400 euro (cfr. p. 126 della sentenza impugnata).
4.5. In relazione, infine, al Capo 2, sub 38) e 42), la Corte distrettuale ha fornito una spiegazione lineare e coerente sulle ragioni della diversità di tali episodi rispetto a quello oggetto della diversa sentenza passata in giudicato, che, peraltro, nemmeno è stata allegata, sicché, sul punto, il ricorso non è autosufficiente (cfr. Sez. 3, n. 32093 del 04/04/2023, COGNOME, Rv. 284901).
È fondata la censura relativa all’aumento della continuazione per il capo 4).
Invero, come risulta dalla sentenza impugnata (p. 133), la Corte di merito ha ritenuto non provata la circostanza che la sostanza stupefacente oggetto di transazione fosse del tipo cocaina, sicché la condotta è stata qualificata ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990.
Rammentato che la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all’esito di valutazioni
discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già
accertati o sulla base delle st3tuizioni adottate dai giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep.
2018, COGNOME, Rv. 271831-01), in relazione al capo 4) la pena, inflitta a titolo di continuazione, va perciò rideterminata in tre mesi di reclusione ed euro 900 euro
di multa, ossia nella medesima misura impiegata dalla Corte di merito per sanzionare i fatti aventi ad oggetto droghe leggere (cfr. p. 177), pena che deve
essere ridotta di un terzo per !a scelta del rito.
6. Per tali motivi, la sentenza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio relativo al delitto di cui al capo
sub
2)
4), ritenuto il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, e, quantificata, in ordine a tale reato e con la diminuente del rito, la pena di mesi
due di reclusione e 600 euro di multa, si ridetermina la pena finale in anni quattordici, mesi due di reclusione ed euro 43.600 di multa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio relativo al delitto di cui al capo 2) sub 4), ritenuto il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.RR. n. 309 del 1990, e, quantificata, in ordine a tale reato e con la diminuente del rito, la pena di mesi due di reclusione e 600 euro di multa, ridetermina la pena finale in anni quattordici, mesi due di reclusione ed euro 43.600 di multa. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso il 17/04/2025