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Concorso di reati associativi: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si pronuncia su un complesso caso di criminalità organizzata, affrontando la questione del concorso di reati associativi tra associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90). La sentenza impugnata viene parzialmente annullata con rinvio, poiché la Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione che giustificava la doppia condanna. Per la Cassazione, affinché i due reati possano concorrere, è necessario dimostrare l’esistenza di un assetto organizzativo autonomo e specificamente dedicato al narcotraffico, distinto da quello dell’associazione mafiosa principale, onere probatorio non soddisfatto nel caso di specie.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso di Reati Associativi: La Cassazione Chiarisce i Criteri di Distinzione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24901 del 2025, è intervenuta su un tema cruciale del diritto penale: il concorso di reati associativi, specificamente tra l’associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e quella finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90). La pronuncia offre importanti chiarimenti sui presupposti necessari per poter contestare e condannare un soggetto per entrambi i reati, senza violare il principio del ne bis in idem (divieto di essere processati due volte per lo stesso fatto). La decisione scaturisce da un complesso procedimento penale che vedeva imputati diversi soggetti per la loro affiliazione a una ‘locale’ di ‘ndrangheta radicata in Piemonte.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Torino, che aveva confermato e riformato diverse condanne emesse in primo grado. Gli imputati erano accusati di far parte di un’articolata organizzazione criminale, riconducibile alla ‘ndrangheta, attiva in svariati settori illeciti. Le imputazioni spaziavano dalla partecipazione all’associazione mafiosa, con ruoli di promotori e organizzatori, alla costituzione di un’autonoma associazione per il narcotraffico, oltre a reati specifici come detenzione di armi, ricettazione e accesso abusivo a sistemi informatici. I ricorsi per cassazione sollevavano numerose questioni, ma il punto giuridicamente più rilevante riguardava la legittimità della doppia condanna per i reati associativi.

La questione del concorso di reati associativi

Il fulcro della questione giuridica è se la partecipazione a un’associazione mafiosa che, tra le sue varie attività, si occupa anche di traffico di droga, possa automaticamente comportare anche una condanna per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La giurisprudenza consolidata ammette che i due reati possano concorrere, ma la sentenza in esame ne precisa rigorosamente i confini. Per evitare una duplicazione sanzionatoria ingiusta, non è sufficiente che il sodalizio mafioso si occupi di droga; è necessario che esista un qualcosa in più.

La Cassazione ha ribadito che, per configurare un concorso reale tra le due fattispecie, l’accusa deve dimostrare che la consorteria criminale abbia strutturato un “riconoscibile assetto organizzativo specificamente funzionale al narcotraffico”. Questo assetto deve essere autonomo e distinguibile, anche se non completamente separato, dalla struttura principale dell’associazione mafiosa. Deve rappresentare uno strumento operativo distinto, con un proprio programma e una propria operatività, finalizzato esclusivamente al commercio di stupefacenti.

Le Motivazioni

Nel caso specifico, la Suprema Corte ha accolto i ricorsi degli imputati su questo punto, annullando la sentenza d’appello con rinvio per un nuovo giudizio. I giudici di legittimità hanno riscontrato un vizio di manifesta illogicità nella motivazione della Corte territoriale. Quest’ultima, per giustificare la condanna per il reato di cui all’art. 74, si era limitata a elencare una serie di elementi probatori (condanne passate in giudicato di terzi per spaccio, l’esistenza di un magazzino per lo stoccaggio, il contenuto di alcune intercettazioni), senza però spiegare in che modo tali elementi dimostrassero l’esistenza di un progetto criminale autonomo e di una struttura organizzativa distinta. La motivazione è stata giudicata generica, poiché non è riuscita a tracciare una linea di demarcazione tra il programma generico di affermazione mafiosa del clan e un eventuale, specifico e ulteriore progetto criminale legato al narcotraffico. In sostanza, la Corte d’Appello non ha provato che il traffico di droga fosse il risultato di una struttura organizzativa diversa da quella che gestiva tutte le altre attività illecite del clan.

Le Conclusioni

Questa sentenza ha un’importante implicazione pratica: innalza l’onere probatorio per la pubblica accusa nei processi di criminalità organizzata. Non è più sufficiente provare che un’associazione mafiosa traffica droga per ottenere una condanna anche per l’art. 74. È necessario un accertamento più approfondito, che dimostri l’esistenza di una struttura dedicata, con una sua specifica funzionalità e autonomia. La pronuncia rafforza la tutela del principio del ne bis in idem, assicurando che il concorso di reati associativi sia configurato solo in presenza di progetti criminali effettivamente distinti, evitando così una mera duplicazione di accuse per la medesima condotta sostanziale. Il giudice del rinvio dovrà quindi rivalutare i fatti attenendosi a questo rigoroso principio, per stabilire se, al di là di ogni ragionevole dubbio, esistesse davvero una seconda associazione accanto a quella mafiosa.

È possibile essere condannati contemporaneamente per associazione di tipo mafioso (art. 416-bis) e per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74)?
Sì, è possibile, ma a condizione che l’accusa provi l’esistenza di un “riconoscibile assetto organizzativo specificamente funzionale al narcotraffico”. Tale struttura deve essere autonoma e distinta rispetto a quella dell’associazione mafiosa principale, rappresentando un progetto criminale diverso e ulteriore.

Cosa ha ritenuto insufficiente la Corte di Cassazione nella sentenza d’appello per giustificare il concorso di reati associativi?
La Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata si fosse limitata a elencare una serie di elementi legati al narcotraffico (come condanne di terzi o l’esistenza di un magazzino) senza spiegare come questi provassero l’esistenza di una struttura organizzativa autonoma, distinta da quella mafiosa. La motivazione è stata giudicata generica e non idonea a dimostrare l’alterità tra i due progetti associativi.

Qual è la conseguenza pratica di questa sentenza in tema di concorso di reati?
La conseguenza è che, per sostenere il concorso tra i due reati associativi, non basta dimostrare che l’associazione mafiosa si dedichi anche al traffico di droga. La pubblica accusa ha l’onere di provare in modo specifico l’esistenza di una struttura organizzativa separata e dedicata, con una propria operatività, al fine di evitare una duplicazione sanzionatoria in violazione del principio del ne bis in idem.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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