Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9484 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9484 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di Bologna NOME nato a Palermo il 23/01/1980, contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo del 28/05/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento della sentenza limitatamente al capo 3), con rinvio alla Corte d’appello per la rideterminazione della pena.
Con sentenza del 03/03/2022 il Tribunale di Palermo aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei delitti a lui ascritti, ovvero della tentata rapina pluriaggravata di cui al capo 1), della rapina pluriaggravata di cui al capo 2) e della falsa denuncia aggravata di cui al capo 3) della rubrica per cui, ritenute le attenuanti generiche stimate equivalenti alle aggravanti ed alla pure contestata recidiva e la continuazione tra le diverse violazioni di legge, l’aveva condannato alla pena complessiva di anni 4 di reclusione ed euro 1.100 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, applicando la pena accessoria conseguente l’entità di quella principale;
la Corte d’appello di Palermo, giudicando sull’impugnazione del Bologna, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, confermata per il resto, escludendo la contestata recidiva e rideterminando perciò la pena in anni 4 di reclusione ed euro 900 di multa;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
3.1 violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’art. 110 cod. pen.: rileva che la responsabilità del ricorrente è stata fondata, nei due gradi di merito, sul contenuto di conversazioni intercettate dagli investigatori, dal cui tenore si è ritenuto di poter desumere che egli avesse messo a disposizione dei rapinatori la propria autovettura di cui, successivamente, avrebbe falsamente denunciato il furto; segnala che la ricostruzione dei giudici di merito contrasta con il dato di comune esperienza secondo cui giammai il ricorrente, qualora fosse stato consapevole del suo utilizzo, avrebbe permesso l’utilizzo della propria vettura consentendo, così, agli investigatori di risalire immediatamente alla sua persona; ribadisce quindi il difetto assoluto di prova del dolo, anche in forma indiretta, che avrebbe animato la condotta del Bologna;
3.2 manifesta illogicità della motivazione con riguardo ai capi 1) e 2): osserva che la sentenza impugnata non ha risposto al quesito formulato dalla difesa sulla prova dell’elemento soggettivo, che i giudici di merito hanno desunto dalla complessiva considerazione della condotta dell’imputato avendo tuttavia omesso di tener conto di quanto accaduto il giorno 22 luglio 2016 quando i rapinatori si risolsero a rapinare il Discount ARD di INDIRIZZO dopo essere stati costretti a rinunciare alla progettata rapina dell’ufficio postale di INDIRIZZO; sottolinea che l’eventuale messa a disposizione della vettura da parte del Bologna non poteva comunque contemplare la rappresentazione, da parte sua, dell’evoluzione della vicenda sfociata nella rapina al discount, esito non previsto e non prevedibile del fallimento della rapina all’ufficio postale inizialmente progettata;
3.3 violazione di legge con riguardo all’art. 129 cod. proc. pen.: segnala l’errore in cui sono incorsi i giudici di merito nel non dichiarare l’avvenuta estinzione, per prescrizione, del delitto di cui al capo 3), pacificamente di natura istantanea e commesso in data 25/07/2016, sicché il termine massimo, desumibile dal combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. pen., era ampiamente decorso al momento della deliberazione della sentenza di secondo grado;
il PG ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente al delitto di cui al capo 3) perché estinto per prescrizione; per l’inammissibilità del ricorso, nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio, e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito, all’esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di tentata rapina pluriaggravata in concorso e di rapina pluriaggravata in concorso: in particolare, la condotta ascritta all’odierno ricorrente sarebbe consistita nel mettere “… a disposizione al fine di commettere iI fatto l’autovettura SMART … che consegnava ai complici dopo le 13,30 del 22.7.2016, ben sapendo che si apprestavano a commettere una rapina … e, altresì, rendendosi disponibile a custodire l’arma impiegata, effettivamente rinvenuta nella sua disponibilità il 18.11.2016 …”; il Bologna è stato riconosciuto responsabile, inoltre, del delitto di cui al capo 3), per aver falsamente denunciato il furto della vettura sopra indicata che i correi avevano utilizzato per tentare di rapinare l’ufficio postale di INDIRIZZO in Monreale e, poi, per commettere la rapina in danno del supermercato ADR di INDIRIZZO NOME
1 Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e, invero, formulato proponendo questioni estranee al perimetro delineato dall’art. 606 cod. proc. pen..
La difesa, infatti, ha finito per reiterare la medesima questione già agitata con il primo motivo d’appello, insistendo anche in questa sede sulla mancanza di prova della consapevolezza, in capo al ricorrente, delle intenzioni di coloro cui aveva messo a disposizione la propria autovettura, cosa che avrebbe evitato di fare laddove avesse saputo che sarebbe stata utilizzata per commettere una rapina.
La censura, invero, finisce con il sollecitare valutazioni estranee al sindacato di legittimità, dove è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure, in ipotesi, anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (cfr., tra le tante, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, 3akani, Rv. 216260; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).
La Corte d’appello, infatti, ha reso, sul punto, una motivazione assolutamente congrua ed esaustiva, avendo insistito (cfr., in particolare, pag. 3 della sentenza in verifica) sulla natura indiscutibile del concorso materiale del Bologna, concretizzatosi con la messa a disposizione della propria autovettura per l’esecuzione delle rapine; ha spiegato come il tenore delle conversazioni intercettate avesse dato conto della consapevolezza, in capo al ricorrente, delle intenzioni dei complici.
Le conversazioni, infatti, di cui il ricorso si disinteressa, avevano avuto ad oggetto le frequenti interlocuzioni tra il Bologna e gli autori materiali della rapina (come tali noti sin nell’immediatezza dei fatti) contattati direttamente o per interposta persona a sua volta a conoscenza dei programmi delittuosi; i giudici di merito hanno valorizzato il tenore dei colloqui da cui era emerso in termini inequivoci che il Bologna aveva pattuito un compenso di 4.000 euro per la messa a disposizione della vettura, oltre agli eventuali danni.
La Corte d’appello ha in particolare richiamato (cfr., ivi, ancora, pag. 3) la conversazione relativa ai danni patiti dalla Smart in occasione della rapina e da cui il Bologna, interloquendo con NOME COGNOME (anche per il tramite di NOME COGNOME) aveva chiesto di essere indennizzato con la somma di euro 350 necessaria per far fronte alle necessarie riparazioni.
Oltre alle ulteriori conversazioni pure puntualmente richiamate nelle due sentenze di merito, i giudici di secondo grado hanno congruamente valorizzato le divergenti versioni fornite dal Bologna in merito al luogo di custodia delle chiavi della vettura nonché la conversazione intercorsa tra NOME COGNOME il padre
NOME e la zia NOME COGNOME (cfr., ivi, pag. 4) confortata, peraltro, dall’esito della perquisizione eseguita presso l’abitazione del Bologna.
Il motivo di ricorso, pertanto, oltre a sollecitare una non consentita rilettura delle emergenze istruttorie, finisce con l’essere generico per aspecificità, omettendo ogni reale confronto critico con le puntuali argomentazioni spese dai giudici di secondo grado.
Il secondo motivo è precluso poiché la questione ivi prospettata non aveva formato oggetto di censura in appello dove il primo motivo era stato dedicato a contestare i presupposti della responsabilità concorsuale dell’imputato che aveva sostenuto di non sapere che la sua autovettura era stata utilizzata per una rapina, tanto da averne denunciato il furto e, dunque, l’insussistenza di un coefficiente soggettivo idoneo ad integrare il concorso nei due episodi che non erano stati in alcun modo differenziati.
La questione qui proposta, invece, si fonda proprio sulla distinzione tra i due episodi sostenendo che, seppure il Bologna fosse stato consapevole dell’intenzione dei complici di porre in atto una rapina in danno dell’ufficio postale, certamente non avrebbe potuto essere giudicato responsabile per la rapina al supermercato, frutto di una decisione estemporanea assunta all’esito del fallimento di quella alle Poste.
In ogni caso va richiamato l’orientamento – condiviso dal collegio – secondo il quale rientra nella disciplina del concorso di persone nel reato ex art. 110 cod. pen. anche il caso in cui vengano commessi reati ulteriori rispetto a quello programmato ma allo stesso collegati, a meno che l’evento diverso non sia voluto, neppure sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale, e che l’evento più grave, concretamente realizzato, non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base (cfr., Sez. 4, ti. 49897 del 18/10/2018, S. Rv. 273998; Sez. 1, n. 44579 del 11/09/2018, B. Rv. 273977; Sez. 6, n. 25446 del 02/05/2013, COGNOME, Rv. 255474).
3. Il terzo motivo è a sua volta manifestamente infondato.
L’esame degli atti, consentito ed anzi imposto alla Corte alla luce della natura processuale del motivo (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, Rv. 273525 – 01; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304 – 01; conf., già, Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01) ha permesso di rilevare che, durante il giudizio di primo grado, il corso della prescrizione è stato sospeso in una prima occasione, per la durata di 90 giorni quando, all’udienza del 21/11/2018, la difesa aveva dichiarato di aderire
alla iniziativa di astensione proclamata dall’organismo di categoria ed il processo era stato differito all’udienza del 20/02/201; ed è appena il caso di ribadire che il limite di sessanta giorni previsto dall’art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., non si applica nel caso in cui il differimento dell’udienza sia determinato dalla scelta del difensore di aderire alla manifestazione di protesta indetta dalle Camere penali, con la conseguenza che, in tal caso, il corso della prescrizione può essere sospeso per il tempo, anche maggiore di sessanta giorni, ritenuto adeguato in relazione alle esigenze organizzative dell’Ufficio procedente. (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 8171 del 07/02/2023, COGNOME, Rv. 284154 01; Sez. 3, n. 11671 del 24/02/2015, COGNOME, Rv. 263052 01; Sez. 4, n. 10621 del 29/01/2013, M., Rv. 256067 – 01).
Una seconda sospensione del corso della prescrizione, per la durata di 64 giorni, era conseguita al provvedimento di rinvio adottato in data 01/04/2020 dal Presidente del Tribunale (cfr., fg. 44 dell’incarto processuale del giudizio di primo grado) a séguito delle disposizioni dettate per il contenimento dell’emergenza pandemica (cfr., in proposito, Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Rv. 280432 – 02, in cui era stato precisato che la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall’art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata – come nel caso di specie – nel periodo compreso dal 9 marzo all’il. maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale; cfr., anche, Corte Cost. n. 140 del 2021).
Ebbene, considerata, allora, la sospensione del corso della prescrizione per complessivi 154 giorni, il termine massimo di prescrizione del delitto di falsa denuncia – desumibile dal combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. pen. calcolato a partire dalla data della falsa denuncia (25/07/2016) non era ancora decorso al momento della sentenza d’appello; a sua volta, l’inammissibilità del ricorso per cassazione non ha consentito il formarsi di un valido rapporto di impugnazione precludendo, pertanto, la possibilità di rilevare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (cfr., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266 – 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, in difetto di condizioni per l’esonero.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21/01/2025
Il Consigliere esen ore la Presidente