Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12689 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12689 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME (CUI CODICE_FISCALE), nato in MAROCCO il 18/5/1995
avverso la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano del 12/6/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
In parziale riforma della sentenza del g.u.p. del Tribunale di Milano del 18.9.2023, la Corte d’Assise d’Appello di Milano con sentenza in data 12.6.2024 ha concesso a NOME la circostanza attenuante di cui all’art. 311 cod. pen. nonché le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva ex art. 99, comma secondo, cod. pen., e ha rideterminato la pena nei suoi confronti in dieci anni di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
1.1 In particolare, il g.u.p., all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato NOME alla pena di sedici anni e nove mesi di reclusione -escluse le circostanze aggravanti di cui all’art. 61, nn. 1) e 4), cod. pen. e riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva -per i reati, avvinti in continuazione, di sequestro di persona a scopo di estorsione di NOME COGNOME e per il reato di
lesioni personali in danno dello stesso COGNOME in concorso con NOME, COGNOME NOME e NOME.
La sentenza di secondo grado richiama dapprima la ricostruzione del fatto operata in primo grado e premette che il procedimento origina da una denuncia presentata il 10.8.2021 da NOME COGNOME il quale, presentatosi ai Carabinieri della Compagnia di Pioltello con ferite al volto e segni di legatura ai polsi, rappresentava di essersi poco prima liberato da un imprecisato luogo di prigionia.
Gli accertamenti svolti a seguito delle dichiarazioni di NOME consentivano agli investigatori di individuare il luogo dell’azione delittuosa in una cascina del comune di Pantigliate e di identificare tre dei sequestratori in COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME
In particolare, nella descrizione resa in denuncia era risultato che Kassid il sabato precedente, dopo aver trascorso la serata in un bar di in compagnia di NOME COGNOME, si era diretto a Pioltello insieme a quest’u ltimo con il pretesto di raggiungere un amico. Senonché, giunto in una cascina dove li aspettava Cirillo assieme ad un altro italiano, era stato colpito appena sceso dall’auto e accusato di essersi impossessato di 600 grammi di cocaina; quindi, era stato legato, condotto in un camion frigo da NOME armato di fucile, minacciato anche con una motosega e un machete e trattenuto dai sequestratori in attesa di rientrare in possesso dello stupefacente, fino a che nella notte tra il 9 e il 10 agosto era riuscito a liberarsi e a fuggire.
In denuncia, NOME aveva parlato anche di un quarto uomo, tale NOME (poi identificato in Dahir e dalla persona offesa già conosciuto), che era sopraggiunto nella notte con NOME per minacciarlo (sempre in relazione alla droga sottratta) e per girare un video da mandare ai familiari.
Alla individuazione di NOME, si perveniva sulla scorta delle successive indagini, consistite nell’iniziale assunzione di spontanee dichiarazioni di NOME, nell’acquisizione di documentazione press o il punto vendita RAGIONE_SOCIALE di Pantigliate, nell’assunzione di sommarie informazioni di due dipendenti del predetto esercizio commerciale nonchè della persona offesa (che lo riconosceva in foto) e del fratello, nell’interrogatorio di garanzia di COGNOME e COGNOME, nell’analisi del traffico telefonico delle utenze degli indagati nel periodo di interesse (comprovante numerosi contatti tra Cirillo e Dahir tra il 7 e l’8 agosto e tra Salim e Dahir in generale), nelle intercettazioni telefoniche delle utenze degli stessi indagati.
1.2 Ciò posto, la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha dato atto che il difensore di NOME aveva formulato tre motivi di appello.
Con il primo e il secondo motivo, aveva chiesto l’assoluzione dai reati di sequestro di persona e di lesioni personali, evidenziando che NOME era comparso, successivamente al sequestro, solo durante la notte e dunque non aveva preso parte all’organizzazione e alla prima fase di esecuzione del sequestro stesso, come
confermato anche dai tabulati e dalle dichiarazioni della persona offesa. Il suo ruolo marginale era confermato anche dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e dall’assenza di contatti telefonici con la persona offesa; peraltro, non v’era nemmeno prova del coinvolgimento di NOME nel tra ffico di sostanze stupefacenti alla base dell’azione delittuosa. Del pari, non v’era prova che l’imputato fosse stato coinvolto nell’aggressione fisica della persona offesa.
A questo proposito, la Corte d’Assise d’Appello, dopo aver precisato che l’inizio dell’azione delittuosa fosse da collocarsi nella notte tra il 7 e l’8 agosto 2021 anziché in quella tra l’8 e il 9 agosto come ritenuto dal G.u.p., ha valutato invece provato il coinvolgimento di COGNOME in entrambi i reati contestati sulla base degli atti di indagine: in particolare, sulla base delle conversazioni intercettate, nonché degli interrogatori di COGNOME e COGNOME e delle s.i.t. della convivente di COGNOME, da cui è emerso che NOME era l’unico dei tre marocchini da loro conosciuto e che dunque era il trait d’union tra tutti. Anche dall’analisi del traffico telefonico è emerso che NOME fosse stato l’unico ad avere avuto contatti con NOME nei giorni precedenti ed il giorno stesso del sequestro, a differenza di NOME che non ne aveva avuto alcuno. Dagli stessi tabulati, è risultata la presenza pressoché costante di COGNOME nella cascina per tutta la durata del sequestro, sin dalla sera del 7 agosto, ciò che consente di ritenere che egli si trovasse sul posto in attesa dell’arrivo di COGNOME. e di COGNOME: lo ha detto anche la persona offesa. Sotto questo profilo, è irrilevante che egli si sia mostrato solo nel corso della notte, come riferito da COGNOME che ha pure parlato, però, della sua condotta inequivocabilmente interessata ai motivi del sequestro. È dimostrato anche il ruolo di spacciatore di NOME dalle intercettazioni (n. 40, RIT 2159/21). Provato il suo concorso nel sequestro, è da ritenersi concorrente anche nelle lesioni, quantomeno a titolo di dolo eventuale perché la programmata azione violen ta comportava necessariamente l’aggressione fisica della vittima.
Il terzo motivo d’appello riguardava, invece, il trattamento sanzionatorio e la Corte d’Assise d’Appello ha, tra l’altro, riconosciuto la invocata attenuante di cui all’art. 311, comma secondo, cod. pen. (anche perché già riconosciuta ai coimputati), ma non l’ha applicata nella massima estensione per ‘la particolare ferocia e il trattamento disumano riservati alla persona offesa’, rinchiusa e legata a una sedia per 48 ore e fatta oggetto di violente percosse e di reiterate minacce: di conseguenza, la pena è stata ridotta a quattordici anni e dieci mesi di reclusione.
Avverso la predetta sentenza, ha proposto ricorso il difensore di NOMECOGNOME articolando tre motivi.
2.1 Con il primo mo tivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. violazione ed erronea applicazione degli artt. 125, 192, 530, comma 2, 533 cod. proc. pen. in relazione al reato di cui al capo a).
La Corte d’Assise d’Appello sostiene il ricorso -erra a ritenere, contrariamente alla sentenza di primo grado e all’imputazione per come formulata dal p.m., che il sequestro abbia avuto inizio nella notte tra il 7 e l’8 agosto 2021, benché sia pacifico che invece l’azione delittuosa abbia avuto inizio tra l’8 e il 9 agosto 2021.
Lo fa, in primo luogo, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che però è caduta in confusione in sede di denuncia, nella quale narra una concatenazione degli eventi verificatisi uno di seguito all’altro, d a cui si comprende che tutto sia accaduto nell’arco di non più di ventiquattro ore. In particolare, NOME dice di essere stato subito legato ai piedi con fascette di plastica e poi portato nel camion frigo dove è stato legato alla sedia con una corda. Giacché è pacifico che l’acquisto del materiale per legare sia avvenuto nel pomeriggio dell’8 agosto, ciò vuol dire che il sequestro della persona offesa è da collocare temporalmente in un momento successivo.
Lo fa, in secondo luogo, basandosi su un risultato di prova differente da quello reale, in quanto afferma che il telefono della persona offesa aggancia la cella del luogo del sequestro (Pantigliate) già la sera del 7 agosto e giustifica il fatto che agganci la cella del bar dove ha incontrato i sequestrat ori anche la sera dell’8 agosto con la spiegazione secondo cui il telefono in realtà gli era stato sottratto dagli stessi sequestratori. Invece, la sentenza non tiene conto degli accertamenti sulla localizzazione delle utenze, da cui emerge che l’utenza di Kassid ha agganciato la cella del bar sia la sera del 7 che la sera dell’8 agosto, così come la cella di Pantigliate, e che dalle ore 2.12 dell’8 agosto fino alla sera ha agganciato celle del comune in cui risiedeva. Dunque, l’affermazione secondo cui il telefono della persona offesa era nelle mani dei sequestratori è smentita dagli accertamenti, da cui risulta per esempio che l’8 agosto aggancia celle del suo comune di residenza, mentre i telefoni dei presunti sequestratori agganciano celle di altri comuni.
Se il fatto va spostato in avanti di un giorno, la Corte d’Assise d’Appello omette allora di valutare le risultanze probatorie complessive, da cui risulta la estraneità dell’imputato al fatto. La stessa persona offesa, infatti, riferisce che è stata por tata sul luogo del sequestro dal solo coimputato NOME e comunque non indica NOME come presente all’arrivo, né nel momento delle violenze e delle intimidazioni.
La Corte territoriale ha anche omesso di prendere in considerazione la conversazione progr. 14 del 14.8.2021, in cui risulta che NOME non abbia mai legato o picchiato la persona offesa.
La sentenza impugnata, inoltre, ha sostenuto in modo illogico che NOME fosse il trait d’union tra gli altri imputati e NOMECOGNOME nel senso che era la persona che frequentava la cascina di Cirillo e Ravera, ai quali vendeva cocaina, e che era l’unico in grado di individuare l’abitazione di Cirillo come luogo del sequestro e di
convincere i coimputati italiani, che solo lui conosceva personalmente. Ma in questo modo la sentenza trascura di considerare che, in realtà, la stessa persona offesa ha detto di essere stato già qualche volta in precedenza nella cascina e soprattutto omette di valutare che NOME nei giorni successivi al sequestro ha contattato più volte il fratello e la fidanzata di NOME, a differenza di NOME, il quale appunto non aveva evidentemente interesse al sequestro. Peraltro, anche la persona offesa nelle sue dichiarazioni fa riferimento al solo NOME e riferisce genericamente, quanto a Dahir, che era arrivato nella notte. Anche prima del sequestro non risultano conversazioni telefoniche tra Dahir e Kassid, circostanza che però la Corte d’Assise d’Appello illogicamente ritiene prova del fatto che egli si trovasse già nella cascina ad aspettarne l’arrivo .
Dunque, i giudici di secondo grado non hanno fatto buon uso dei principi dettati dalla Suprema Corte in tema di connivenza non punibile: l’imputato, venuto a conoscenza del sequestro già in atto, non ha posto in essere alcuna condotta di organizzazione o esecuzione ed è solo entrato nel camion frigo senza apportare alcun contributo causale.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. la violazione ed erronea applicazione degli artt. 125, 192, 530, comma 2, 533 cod. proc. pen. in relazione al reato di cui al capo b).
Il ricorso censura che l’affermazione di responsabilità anche per il reato di cui all’art. 582 cod. pen. non tiene conto che le lesioni furono cagionate alla persona offesa al momento dell’arrivo nella cascina, quando è cioè pacifico che NOME non fosse presente.
Né potrebbe risponderne il ricorrente a titolo di dolo eventuale, come ritenuto dalla sentenza impugnata, perché l’affermazione si fonda sulla presunzione secondo cui la programmazione del sequestro con azione violenta comporti necessariamente l’aggression e fisica della vittima, e ciò anche considerato che NOME è venuto a conoscenza del sequestro solo in un secondo momento.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. la violazione ed erronea applicazione degli artt. 125 cod. proc. pen. e 311 cod. pen.
La Corte d’Assise d’Appello, pur ritenendo sussistente la attenuante di cui all’art. 311 cod. pen., non l’ha riconosciuta nella massima estensione per ‘la particolare ferocia e il trattamento disumano riservati alla persona offesa’, così però fornendo una motivazione contradditoria, anche con riferimento alla diminuzione operata per gli altri coimputati giudicati separatamente, che l’hanno vista applicata quasi nella massima estensione, in considerazione del contesto in cui è maturato il sequestro, delle modalità esecutive (vittima privata della libertà con l’inganno anziché con la violenza), dell’esigua durata del sequestro e del fatto che la fuga del sequestrato fosse sintomatica del carattere non professionale e
rudimentale del fatto. Questi elementi, invece, non sono stati tenuti nel debito conto dalla sentenza di secondo grado nei confronti di NOMECOGNOME
Con requisitoria scritta trasmessa il 19.12.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Quanto al primo motivo, rileva che il percorso argomentativo della sentenza impugnata appare congruo e coerente con gli elementi evidenziati e privo di vizi di ordine logico-giuridico, avendo la Corte di secondo grado mostrato di confrontarsi con i profili posti a fondamento della diversa indicazione della data operata dal G.u.p. (in particolare con riferimento alla data di acquisto dei beni presso il negozio RAGIONE_SOCIALE e con i dati emergenti dal rilievo delle celle agganciate dai telefoni cellulari) e di averli superati alla luce degli ulteriori elementi emersi nel corso delle indagini (quali le dichiarazioni del coimputato in merito sia alla data di arrivo presso il casale, sia all’acquisto presso l’esercizio commerciale Leroy Merlin). Quanto al giudizio di responsabilità, la Corte di Ass ise d’Appello ha valorizzato, in particolare, oltre a quanto dichiarato dalla persona offesa, il contenuto delle conversazioni intercettate indicate in sentenza, le dichiarazioni rese agli investigatori in data 19.8.2021 da una persona informata sui fatti in ordine alla identificazione degli autori del sequestro nonché le dichiarazioni del coimputato proprietario della cascina e della sua compagna, in merito alla conoscenza personale del solo ricorrente. Le deduzioni difensive, invece, appaiono dirette a sollecitare un nuovo apprezzamento del materiale probatorio, suggerendo alternative ricostruzioni della vicenda, a fronte di un congruo e tutt’altro che illogico apparato argomentativo offerto dalla Corte di Assise di Appello.
Quanto al secondo motivo, la responsabilità concorsuale del ricorrente è stata riconosciuta dalla Corte di Assise d’Appello quanto meno per dolo eventuale, comportando la programmata azione violenta necessariamente l’aggressione fisica della vittima. In tema di concorso di persone, hanno rilievo non solo le condotte direttamente rilevanti per la tipicità del fatto di reato, ma anche i comportamenti meramente rafforzativi o agevolatori delle stesse, anche solo in ragione della fisica presenza a sostegno dell’azione violenta materialmente eseguita da altri concorrenti. Ciascun compartecipe è chiamato a rispondere sia degli atti compiuti personalmente, sia di quelli compiuti dai correi nei limiti della concordata attività criminosa, nella quale, come rilevato nella sentenza impugnata, rientrava necessariamente l’aggressione fisica della vittima.
Quanto al terzo motivo, la Corte di Assise di Appello ha adeguatamente motivato la modulazione della sanzione. Né appare decisiva la diversa determinazione della misura della riduzione di pena nei confronti degli altri concorrenti nel reato, potendo, peraltro, assumere rilievo la recidiva, congruamente motivata dalla Corte di Assise di Appello, che, comunque,
costituisce, nonostante il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, ulteriore elemento di qualificazione della gravità della condotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato per le ragioni di seguito esposte.
Il primo motivo di ricorso pone innanzitutto la questione relativa alla individuazione della data in cui ha avuto inizio il sequestro della persona offesa.
Va osservato, intanto, che i profili probatori sui quali si appuntano le censure difensore riguardano essenzialmente la ricostruzione del fatto.
Il ricorso, in sostanza, sollecita una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove ovvero evidenzia ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti circa lo spessore della valenza probatoria dei singoli elementi.
In questo modo, tuttavia, si chiede al giudice di legittimità un’attività che gli è preclusa, e cioè la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 -01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME Rv. 265482 -01).
Di contro, non si ravvisa sul punto segnalato dal ricorso una motivazione manifestamente illogica o contradditoria dei giudici di secondo grado, i quali espongono adeguatamente le ragioni che hanno determinato la diversa individuazione, rispetto alla sentenza di primo grado, della data di inizio del sequestro e adducono argomentazioni coerenti, per il tramite di congrui richiami a varie dichiarazioni testimoniali e alle risultanze dei tabulati telefonici.
In ogni caso, lo stesso ricorso non indica, in ultima analisi, quale sia il chiaro carattere di decisività che dovrebbe attribuirsi, in relazione all’affermazione della responsabilità di NOME, alla diversa ricostruzione della sequenza temporale degli eventi cui ha proceduto la sentenza di secondo grado.
La partecipazione del ricorrente al sequestro di COGNOME è stata affermata nelle due sentenze di merito sulla base di molteplici elementi probatori, il cui indubbio rilievo prescinde dalla individuazione del preciso momento iniziale della segregazione della persona offesa: le convergenti dichiarazioni di COGNOME, di COGNOME, di COGNOME e della COGNOME; le sue stesse ammissioni circa la propria partecipazione al fatto, captate nel corso delle intercettazioni telefoniche; la circostanza che il suo cellulare abbia agganciato le celle telefoniche della cascina di Pantigliate e del bar di Pioltello sia tra il 7 e l’8 agosto che tra l ‘ 8 e il 9 agosto (a dimostrazione della compatibilità di entrambe le date con il suo coinvolgimento
nel sequestro e, anzi, in qualche modo a conferma della ricostruzione della sentenza di appello); la prova che egli fosse uno dei due soggetti recatisi al Leroy Merlin per comprare fascette e corda.
Il ricorso, invece, non spiega in quali termini la retrodatazione del fatto avvenuta in appello sia suscettibile di influire in modo decisivo sulla responsabilità dell’odierno imputato.
L’unico cenno viene operato al fatto che, avendo proceduto Dahir all’acquisto delle fascette l’8 agosto, non è plausibile che il sequestro sia avvenuto nella notte precedente.
Ora, in disparte la considerazione che all’inizio del sequestro potrebbero essere state utilizzate altre e diverse fascette, la osservazione difensiva -ove anche fondata -non sarebbe affatto idonea a invalidare la affermazione di responsabilità del ricorrente; anzi, a collocare temporalmente il sequestro nella notte tra l’8 e il 9 agosto ( piuttosto che in quella precedente), varrebbe semmai a convalidarla.
Di conseguenza, le doglianze difensive contenute nella prima parte del motivo non riescono a superare la preclusione desumibile dal principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui anche l’eventuale emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, M. e altri, Rv. 271227 -01; Sez. 2, n. 9242 dell’8/2/2013, Reggio, Rv. 254988 01).
La restante parte del motivo, poi, si limita ancora ad attaccare la persuasività della motivazione sulla base di una interpretazione alternativa degli elementi di fatto e in tal modo domanda nuovamente un sindacato non consentito in sede di legittimità.
Rimane la censura, da prendersi in considerazione in quanto sostanzialmente riconducibile alla denuncia di erronea applicazione della legge penale, del cattivo uso, da parte della Corte d’Assise d’Appello, dei principi da applicarsi in tema di connivenza non punibile.
Il ricorso, cioè, evidenzia che, rimasto pacifico che NOME non avesse materialmente condotto nella cascina Kassid, non lo avesse legato e non gli avesse usato violenza, la sua successiva comparsa sulla scena del sequestro avrebbe dovuto essere ritenuta meramente passiva, in quanto consistita in una condotta inidonea ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato e come tale non integrante il delitto di cui all’art. 630 cod. pen.
Come è evidente, dunque, nemmeno il ricorso contesta le dichiarazioni della persona offesa, valorizzate dai giudici di merito, secondo cui NOME era sopraggiunto nel corso della notte immediatamente susseguente al suo trasporto nella cascina in condizioni di coercizione fisica e lo aveva minacciato di mantenerlo in stato di sequestro fino a che non avesse restituito la sostanza stupefacente asseritamente sottratta.
Ma se è così, non è revocabile in dubbio, allora, che NOME sia personalmente intervenuto nella serie degli atti che hanno dato vita all’elemento materiale del sequestro, peraltro reato di natura permanente, con una condotta inequivocabilmente attinente alla fase esecutiva e altrettanto palesemente sorretta dal dolo specifico del delitto di cui all’art. 630 cod. pen.
Di conseguenza, la sentenza ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di concorso di persone, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all’altro concorrente lo stimolo all’azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa (Sez. 5, n. 2805 del 22/3/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258953 – 01); Sez. 1, n. 15023 del 14/2/2006, COGNOME, Rv. 234128 – 01).
Il primo motivo di ricorso, dunque, non è fondato e deve essere disatteso.
Quanto al secondo motivo, il ricorso eccepisce che NOME sia stato riconosciuto colpevole del reato di lesioni, pur senza averle direttamente cagionate e pur senza essere stato presente nel momento i coimputati posero in essere condotte violente ai danni della persona offesa.
Ora, a stare alla prospettazione difensiva appena sintetizzata, è necessario stabilire se il ricorrente, in quanto concorrente che non ha realizzato il fatto conforme al tipo descritto dalla fattispecie di reato, abbia posto in essere atti atipici, come tali strumentali rispetto all’atto tipico finale, e se l’abbia fatto con la consapevole volontà dell’evento.
Sotto questo profilo, deve considerarsi che il sequestro di persona consiste nella privazione della libertà personale, ovvero in una compressione della libertà di circolazione e di movimento. Ove posta in essere -come nel caso di specie -nei confronti di soggetto giovane e in normali condizioni fisiche, quindi potenzialmente capace di sottrarsi alla costrizione ovvero a liberarsene una volta impostagli, la sua ideazione ed organizzazione prevedono necessariamente la eventualità di esercitare violenza idonea a cagionare lesioni almeno lievi alla
vittima, onde contenere il rischio che si svincoli dalla restrizione e fugga, e ciò a maggior ragione se la condotta è finalizzata ad imporre al soggetto un ulteriore comportamento attivo diretto al conseguimento di un ingiusto profitto per i sequestratori.
Per la responsabilità di cui all’art. 110 cod. pen. , è sufficiente -come bene evidenziato dalla sentenza impugnata -che l’evento sia voluto anche solo sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale (cfr., per esempio, Sez. 2, n. 48330 del 26/11/2015, Lia, Rv. 265479 -01; Sez. 1, n. 37940 del 24/10/2006, COGNOME, Rv. 235427 – 01).
E nel caso di specie è nient’affatto illogica l’affermazione secondo cui i l dolo del sequestro, come congegnato dagli imput ati con l’impiego di più persone che avrebbero dovuto costringere la vittima a restare segregata in un camion, coprisse anche l’uso di violenza a prescindere da chi la esercitasse materialmente -come mezzo impiegato per privare la vittima della libertà personale. L’accordo , cioè, includeva ragionevolmente la possibilità di tenere condotte suscettibili di sfociare in lesioni lievi, quale ordinario sviluppo ulteriore dell’azione tesa a privare la vittima della libertà personale con le modalità dell’estorsi one.
Peraltro, occorre aggiungere che la contestazione comprende anche le lesioni alle caviglie e ai polsi derivate a Kassid da legatura prolungata. Se, dunque, si considera che, per quanto è risultato provato, il ricorrente si recò personalmente ad acquistare le fascette e la corda da utilizzare per immobilizzare la persona offesa, rimane vieppiù indiscutibile che tanto la condotta materiale, quanto l’ atteggiamento psicologico di NOME hanno integrato il reato di lesioni volontarie.
Anche questo motivo, pertanto, deve essere disatteso.
Quanto al terzo motivo, infine, la Corte d’Assise d’Appello ha assolto all’ onere di motivazione circa le ragioni per le quali la diminuzione di pena prevista per la circostanza attenuante di cui all’art. 311 cod. pen., riconosciuta all’imputato, non sia stata applicata nella sua massima estensione.
Il riferimento alle prolungate modalità violente del sequestro è congruo, soprattutto ove si consideri che l’attenuante della lieve entità del fatto, prevista dall’art. 311 cod. pen., postula una valutazione del fatto nel suo complesso, nell’ambito della quale legittimamente possono essere richiamate, per giustificare una riduzione della pena non coincidente con il massimo possibile, le circostanze oggettive della condotta come elementi incidenti sul concreto trattamento sanzionatorio.
Sulla scorta di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso è da considerarsi complessivamente infondato e deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso l’8.1.2025