Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13201 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13201 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nata a San Benedetto del Tronto il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 27/04/2023 della Corte di appello di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le richieste del difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del 18 febbraio 2021 del Tribunale di Ascoli Piceno che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di concorso in tentato furto aggravato di tre paia di scarpe all’interno di un supermercato e, applicate le circostanze attenuanti generiche, l’aveva condannata alla pena ritenuta di giustizia con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando un unico motivo con il quale lamenta congiuntamente la violazione dell’art. 110 cod. pen. e degli artt. 192, 530, comma 2, 533, comma 1, e 546 cod. proc. pen., nonché il travisamento dei «dati processuali» e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
In particolare, la ricorrente deduce di avere lamentato con l’atto di appello la mancanza di prova del suo contributo materiale o morale alla commissione del reato e dell’effettiva sussistenza del dolo di concorso.
Evidenzia che la motivazione fornita sul punto dalla Corte di merito è tronca ed incompleta ed è comunque inidonea a far comprendere quale sia stato l’iter logico-giuridico che ha portato alla decisione.
La residua parte della motivazione non sarebbe sufficiente a giustificare la decisione di secondo grado, risultando pretermesse tutte le argomentazioni difensive contenute nell’atto di appello. In particolare, l’affermazione secondo la quale i testi avrebbero riferito che i due si muovevano insieme ed insieme erano stati ripresi dalle telecamere dell’impianto di videosorveglianza non consente di comprendere quale sia stato il contributo apportato dall’imputata alla commissione del reato.
Con l’atto di appello era stato segnalato che le immagini estratte dalle registrazioni effettuate dall’impianto di videosorveglianza del supermercato non solo non consentivano di ricostruire il contributo materiale o psichico della ricorrente, ma riportavano date diverse e si riferivano a giorni diversi da quello in cui era stato tentato il furto e la motivazione della sentenza qui impugnata non fornisce alcuna risposta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il testo della motivazione risulta monco e la parte residua non consente di comprendere l’iter logico giuridico che ha condotto alla conferma della decisione di primo grado o, comunque, appare meramente illogica ed in contrasto con l’art. 110 cod. pen..
L’odierna ricorrente già con la memoria depositata nel corso del giudizio di primo grado aveva dedotto che non vi era alcuna prova di un suo contributo materiale o morale alla commissione del delitto e che la deposizione di NOME COGNOME, la guardia giurata che aveva fermato la COGNOME ed il suo preteso complice, era inattendibile poiché lo stesso aveva asserito che i due avevano asportato le placche antitaccheggio con l’ausilio dei denti, mentre le foto
depositate in atti dimostravano che i sistemi antitaccheggio erano privi di forzature
Il Tribunale, nella motivazione della sentenza di primo grado, ha dato atto che il COGNOME ha affermato che la NOME ed il suo complice si erano resi responsabili di più episodi in giorni diversi e che egli li aveva colti sul fatt mentre rompevano i dispositivi antitaccheggio di alcuni prodotti e li aveva fermati dopo la barriera delle casse.
Il Tribunale, tuttavia, valorizzando la deposizione di NOME COGNOME, appartenente alla polizia giudiziaria intervenuta sul posto, che aveva affermato che il COGNOME, nell’immediatezza del fatto, non aveva saputo riferire se le tre paia di scarpe fossero dotate di placche antitaccheggio, ha escluso la contestata aggravante della violenza sulle cose; ha invece ritenuto sussistente la responsabilità di entrambi gli imputati, fermati dopo la barriera delle casse. Il Tribunale afferma che quanto i testi riferiscono di una condotta finalizzata alla rimozione delle placche antitaccheggio, essi si riferiscono ad episodi analoghi avvenuti nei giorni precedenti a quello del tentato furto ascritto all’imputata.
Quest’ultima, con l’atto di appello, ha sostenuto che non sarebbe provata la sua partecipazione al tentativo di furto e che le immagini estratte dall’impianto di videosorveglianza dalle quali emergeva un suo contributo sarebbero relative ad episodi diversi da quello a lei contestato.
La Corte di merito ha affermato che la imputata è stata sorpresa in compagnia del suo complice in prossimità della cassa con lo zaino ove erano occultate le tre paia di scarpe e che i testi ascoltati hanno riferito che i due imputati si movevano insieme e che entrambi vennero ripresi mentre erano intenti ad «agire» presso scaffali diversi di merce. Nella motivazione viene iniziata, ma non completata, una proposizione che riguarda la rimozione delle placche antitaccheggio.
Dalla motivazione della sentenza di secondo grado non è possibile comprendere quale sia stato il contributo della odierna ricorrente al tentato furto.
Non si chiarisce se la stessa indossasse lo zaino nel quale erano state riposte le scarpe e neppure si chiarisce con quale altra condotta avrebbe agevolato o istigato il suo complice.
Si dice solo che i due si muovevano insieme all’interno dell’esercizio commerciale ed «agivano» insieme, senza specificare quale sia stata la condotta dell’uno e quella dell’altra. Né su tale punto fornisce maggiori chiarimenti la sentenza di primo grado.
In tema di concorso di persone, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo,
inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale all’altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all’altro concorrente Io stimolo all’azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa (Sez. 5, n. 2805 del 22/03/2013, dep. 2014, Grosu, Rv. 258953).
In tema di concorso di persone nel reato, si può parlare di azione unica posta a carico di tutti i concorrenti solo se l’azione compiuta da ciascuno rientri anche in senso lato nell’attuazione dell’impresa concordata. Ne consegue che la sola presenza sul luogo del delitto può costituire concorso allorché l’agentecorreo abbia la coscienza e la volontà dell’evento cagionato da altro o altri coimputati ed abbia in qualche modo partecipato all’azione o comunque facilitato l’esecuzione della stessa (Sez. 1, n. 6229 del 05/05/1986, COGNOME, Rv. 173225).
La motivazione della sentenza impugnata, non chiarendo tali aspetti, non fornisce risposta al motivo di appello, cosicché la motivazione risulta meramente apparente.
Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia.
Così deciso il 01/02/2024.
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