Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24878 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24878 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CATANIA il 16/01/1989 COGNOME NOME nato a CATANIA il 05/12/1997 COGNOME NOME nato a GIARRE il 01/07/1999 COGNOME NOME nato a PATTI il 24/01/1996 COGNOME NOME COGNOME nato a CATANIA il 21/01/1975 avverso la sentenza del 13/01/2024 della Corte d’Appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo sentiti i difensori: L’avv. NOME NOME COGNOME conclude riportandosi ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento. L’avv. Tipo NOME Fabio Maria insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso ai quali si riporta.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 15 gennaio 2022 il Tribunale di Catania, in rito abbreviato, in riferimento alle posizioni degli attuali ricorrenti, ha così deciso sulle contestazioni loro mosse in sede di esercizio dell’azione penale:
COGNOME NOME colpevole del reato di cui all’art. 416 bis cod.pen. descritto al capo n.1 (partecipazione alla associazione mafiosa Santapaola-Ercolano) con condanna alla pena di anni otto di reclusione;
COGNOME NOME COGNOME Salvatore e COGNOME NOME colpevoli dei reati di cui ai capi n.2 (art. 74 dPR n.309 del 1990) e n.3 (cessione continuata di sostanze stupefacenti), con condanna di detti imputati alla pena di anni nove di reclusione ciascuno ;
COGNOME NOME colpevole del reato di cui al capo n.3 limitatamente agli episodi di spaccio del 25 agosto e 12 settembre 2017, nonchØ dei reati di cui ai capi 26, 27 e 28, con condanna alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione.
La Corte di Appello di Catania, con sentenza emessa in data 13 gennaio del 2024 ha così deciso, in parziale riforma della decisione di primo grado:
per COGNOME NOME conferma la prima decisione;
COGNOME NOME viene assolto dai residui reati contestati al capo 3 e da quelli contestati ai capi 27 e 28 della rubrica per non aver commesso il fatto (residua il solo capo 26 per fatto del 26 ottobre 2017) con rideterminazione della pena, concesse le circostanze attenuanti generiche, in anni due mesi otto di reclusione ed euro 12.000 di multa;
a Savoca NOME vengono concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante con rideterminazione della pena in anni otto di reclusione;
per COGNOME Salvatore e COGNOME NOME si ritiene accoglibile il concordato tra le parti con rideterminazione della pena in anni sette e mesi quattro di reclusione (COGNOME) e anni sette di reclusione(COGNOME) .
La ricostruzione dei fatti, in sede di merito, si Ł basata su numerose captazioni di conversazioni (nonchØ immagini videoregistrate) relative alla costante attività di cessione di sostanze stupefacenti, nonchØ sui contenuti narrativi provenienti da due collaboratori di giustizia (Porto Carmelo e COGNOME NOME NOME).
Avverso la sentenza di secondo grado sono stati proposti gli atti di ricorso che seguono.
3.1 COGNOME NOME introduce tre motivi di ricorso.
Al primo motivo si deduce vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità (capo 26) .
Si rappresenta che se Ł vero che allo COGNOME NOME COGNOME in sede di controllo avvenuto il
26 ottobre del 2017, furono sequestrati due involucri di sostanza stupefacente del tipo metamphetamina, Ł altrettanto vero che non venne eseguita alcuna verifica circa l’entità del principio attivo.
Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto.
Era stata chiesta con i motivi di appello la applicazione della disposizione di legge di cui all’art. 73 comma 5 del dPR n.309 del 1990. A ciò non osta, secondo quanto deciso dalle Sezioni Unite in data 14 dicembre del 2023, la diversa qualificazione (art. 73 comma 1) posta a carico dei coimputati. Secondo la difesa, ben potrebbe, nel caso del COGNOME, ritenersi l’ipotesi del comma 5 in ragione della estraneità del COGNOME al contesto associativo e della occasionalità della condotta.
Al terzo motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento al medesimo profilo indicato al secondo motivo. Si sostiene, essenzialmente, non valutato il motivo di appello.
3.2 COGNOME NOME COGNOME introduce tre motivi di ricorso.
Al primo motivo deduce erronea applicazione di legge e assenza di motivazione in riferimento alla affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo n.2.
Si ripropone, in sintesi, il tema – già coltivato in sede di merito – della ‘episodicità’ e della ‘ristrettezza temporale’ dell’apporto del Savoca al gruppo dedito alla attività di spaccio, il che avrebbe dovuto comportare la assenza di responsabilità per il reato di partecipazione alla associazione.
Al secondo motivo deduce erronea applicazione di legge e assenza di motivazione in riferimento alla omessa riqualificazione del fatto nella ipotesi di cui all’art. 74 comma 6 del dPR n.309/’90.
Si muove dall’arresto delle Sezioni Unite del 2023 sulla possibile autonomia del reato di cui all’art. 73 comma 5 dPR n.309/’90 anche in caso di concorso, per sostenere che le attività cui avrebbe contribuito il Savoca sono tutte di lieve entità e pertanto sussumibili nella particolare ipotesi di cui all’art. 74 comma 6 dPR n.309 del 1990.
Al terzo motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla medesima questione già indicata al motivo che precede.
3.3 NOME introduce un motivo di ricorso rubricato nel senso della erronea applicazione di legge e vizio di motivazione.
Non vi sarebbe specifica motivazione circa i passaggi determinativi della pena, pur se la stessa Ł stata concordata ai sensi dell’art. 599 bis cod.proc.pen. .
3.4 COGNOME NOME introduce un motivo di ricorso con cui ribadisce la richiesta di concordato sulla pena con rinunzia ai motivi di appello diversi da quelli inerenti al trattamento sanzionatorio, come se tale richiesta non fosse stata accolta.
3.5 COGNOME NOME introduce quattro motivi di ricorso.
Al primo motivo si deduce violazione dell’art. 36 cod.proc.pen. in riferimento alla condizione di un componente del Collegio giudicante di secondo grado.
In particolare viene evidenziato che la dichiarazione di astensione dalla trattazione del giudizio, operata dalla dott.ssa NOME COGNOME solo in riferimento ad alcune posizioni soggettive (imputati COGNOME Giuseppe, COGNOME ed altri) doveva essere estesa alla posizione di COGNOME NOME COGNOME. Ciò in ragione del fatto che la dott.ssa COGNOME aveva composto il Collegio che in sede di riesame del titolo cautelare aveva confermato la sussistenza della gravità indiziaria in riferimento al delitto di associazione mafiosa di cui all’art. 416 bis cod.pen.. Si ritiene che la mancata astensione abbia recato pregiudizio alla imparzialità del Collegio giudicante.
Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla intervenuta affermazione di responsabilità.
Secondo la difesa non vi Ł prova del contributo arrecato da COGNOME NOME NOME alla vita della associazione. Anche le captazioni di conversazioni, citate dai giudici di merito, non sarebbero idonee a raffigurare condotte realmente indicative di uno stabile inserimento del ricorrente nel tessuto associativo.
Di scarso rilievo dimostrativo sarebbero, inoltre, le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME.
Al terzo motivo si deduce vizio di motivazione circa la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis comma 4 cod.pen. .
Se da un lato la Corte di merito ha citato intercettazioni da cui si desume la disponibilità di armi in capo ad COGNOME NOME e NOME COGNOME, dall’altro non vi Ł alcun elemento posto a sostegno della riferibilità di tale possesso anche all’ attuale ricorrente COGNOME, nemmeno sotto il profilo della colposa ignoranza di tale aspetto fattuale.
Al quarto motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Secondo la difesa il mero riferimento alla gravità del reato Ł del tutto aspecifico e non può ritenersi idoneo a determinare, in assenza di precedenti penali e di carichi pendenti, il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da COGNOME NOME NOME Ł inammissibile, per le ragioni che seguono.
In riferimento al primo motivo, ne va dichiarata la inammissibilità, trattandosi di motivo non consentito.
Ed invero il ricorrente lamenta un ipotetico pregiudizio in punto di imparzialità del collegio
giudicante di secondo grado (derivante dalla condizione di uno dei membri, già componente del collegio del riesame in riferimento ad altri coimputati) ma non ha mai attivato lo strumento processuale tipico, rappresentato dalla procedura incidentale di ricusazione. Ciò rende non proponibile la doglianza sub specie nullità della decisione.
Questa Corte di legittimità, in casi del genere, ha piø volte affermato che la parte che intenda rappresentare – nel corso del giudizio di merito – profili di incompatibilità o comunque pregiudizi alla imparzialità del giudice Ł tenuta a promuovere la procedura incidentale di ricusazione ai sensi dell’art.37 co.1 lett. a) cod.proc.pen. . Ciò in ragione del fatto che, come autorevolmente precisato da Sez. U n. 23122 del 27.1.2011, ric. Tanzi, nel sistema del codice di procedura penale nØ le incompatibilità predefinite dal legislatore nell’art. 34 cod. proc. pen. nØ, tantomeno, i motivi di astensione che possono dar luogo a ricusazione e quelli ulteriormente previsti in via autonoma per la ricusazione, costituiscono mai, di per sØ, cause dirette di nullità della pronunzia del giudice che si trovi in una delle situazioni descritte, potendo le parti farle valere esclusivamente mediante la tempestiva instaurazione della procedura degli artt. 37 e seguenti del codice di rito .
3. In riferimento al secondo motivo ne va affermata la inammissibilità per manifesta infondatezza.
La Corte di secondo grado individua in modo congruo i caratteri concreti della partecipazione di COGNOME al sodalizio mafioso, con inquadramento giuridico immune da vizi.
In premessa va ricordato che l’art. 416-bis cod. pen., rubricato “associazione di tipo mafioso”, configura una peculiare fattispecie associativa che ricorre quando “tre o piø persone” fanno parte di un’associazione la quale sia avvalga “della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sØ o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sØ o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”. Mentre il primo comma dell’art. 416-bis cod. pen. fa riferimento alla condotta di chi partecipa all’associazione, il successivo comma secondo contempla, invece, la posizione di coloro i quali “promuovono, dirigono o organizzano l’associazione”
Secondo la consolidata opinione giurisprudenziale, i due commi configurano autonome fattispecie incriminatrici, alle quali corrispondono differenti regimi sanzionatori (ex plurimis, Sez. 2, n. 40254 del 12/06/2014, COGNOME, Rv. 260444-01, secondo cui la condotta del promotore o capo costituisce figura autonoma di reato e non circostanza aggravante della partecipazione all’associazione medesima).
Quanto alla condotta di partecipazione (“chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso”), secondo l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, anche a Sezioni unite, essa non può consistere in un mero status, nØ in una condivisione meramente psicologica del programma criminoso e delle relative metodiche, dovendo al contrario sostanziarsi in un agire concreto e causalmente efficace rispetto agli scopi dell’associazione, il quale può assumere forme e contenuti diversi e variabili, così da delineare una figura di reato “a forma libera”. In altri termini, l’azione del partecipe deve sempre consistere, in modo pregnante, “nella concreta assunzione di un ruolo materiale all’interno della struttura criminosa, manifestato da un impegno reciproco e costante, funzionalmente orientato alla struttura e all’attività dell’organizzazione criminosa”, quale espressione di un inserimento strutturale, a tutti gli effetti, in tale organizzazione, nella quale l’agente risulta stabilmente e organicamente incardinato; inserimento idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 28188901; in termini già Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670-01 e, nella giurisprudenza ad essa successiva, Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270468-01; Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, COGNOME, Rv. 269659-01; Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269207-01; Sez. 6, n. 12554 del 1/03/2016, COGNOME, Rv. 267418-01).
Quanto all’elemento soggettivo della condotta di partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, esso sussiste allorchØ ricorra la consapevole volontà di fare parte della compagine criminosa al fine di condividerne l’attività svolta e gli obiettivi criminali. Dunque, il partecipe Ł colui
che esercita la forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva, o che di essa si avvale, o che comunque agevola o collabora direttamente, attraverso un’attività strettamente correlata all’attività di intimidazione, con chi la esercita o se ne avvale, ovviamente agendo allo scopo di raggiungere i fini criminali del sodalizio, di cui sia consapevole di far parte.
Va, inoltre, precisato che, in materia di partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso, il thema probandum riguarda, precipuamente, la condotta di partecipazione al sodalizio criminale attuata con la stabile e volontaria compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del medesimo; di tal che le prove o gli indizi, costituite in genere dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dagli elementi di riscontro individualizzanti, devono riguardare la sua appartenenza al sodalizio, inquadrando il contributo causale offerto all’esistenza del medesimo (Sez. 2, n. 23687 del 3/5/2012, COGNOME, Rv. 253221-01; Sez. 5, n. 17081 del 26/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263699-01; Sez. 2, n. 24995 del 14/5/2015, COGNOME, Rv. 264380-01; Sez. 5, n. 32020 del 16/3/2018, COGNOME, Rv. 273572-01).
Per tale ragione, la conferma dell’attendibilità di un’accusa mossa da un collaboratore di giustizia può essere costituita dalla dichiarazione di un altro collaboratore avente ad oggetto un fatto diverso ma, comunque, indicativo della partecipazione all’associazione, ivi compreso il caso in cui detto accadimento sia collocabile in un diverso contesto temporale (Sez. 5, n. 21562 del 3/2/2015, 32 COGNOME, Rv. 263704-01). Infatti, nei reati associativi, la chiamata in correità investe il ruolo assegnato e il contributo offerto dall’indagato alla vita del sodalizio, piuttosto che singoli e individuabili comportamenti; e la sua specificità va valutata sotto tale profilo, non richiedendosi la stessa precisione di dettaglio necessaria nel caso di un delitto che implichi la realizzazione di un evento materiale (Sez. 1, n. 6239 del 11/12/1998, dep. 1999, Meddis, Rv. 212810-01). E del resto, nei reati associativi, il fulcro centrale della prova Ł costituito, nella prevalenza dei casi, dalla prova logica, dal momento che la dimostrazione dell’esistenza della volontà di assumere il vincolo associativo Ł desunta per lo piø dall’esame d’insieme di condotte frazionate, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, non necessariamente indicativa della partecipazione al sodalizio, e attraverso un ragionamento dal quale si possa dedurre che le singole intese, dirette alla conclusione dei vari reati, costituiscono l’espressione del programma delinquenziale oggetto dell’associazione stessa (Sez. 5, n. 1631 del 11/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 216263-01; Sez. 6, n. 35914 del 30/5/2001, COGNOME Rv. 221247-01).
Dunque va ribadito che anche dopo l’intervento regolativo RAGIONE_SOCIALE adottato dalle Sezioni Unite nel 2021, ad essere rilevante Ł, in chiave dimostrativa, la selezione di affidabili «indicatori» dell’avvenuto inserimento attivo del soggetto nel gruppo, il che tuttavia non comporta l’adozione piena del cd. modello causale.
Il cd. modello causale Ł ancorato alla dimensione del concorso esterno, che richiede la prova della condotta e di un percepibile evento di rafforzamento del gruppo in forza della medesima.
Di contro, la dimostrazione della condotta partecipativa richiede – senza dubbio – la ricostruzione fattuale dello stabile inserimento del soggetto nel gruppo ma, anche secondo l’arresto del 2021 COGNOME,resta valido l’inquadramento teorico risalente a Sez. Unite Mannino del 2005 per cui la prova dell’inserimento può avvenire ‘per indicatori logici’.
Già l’intervento regolativo del 2005, attuato con la sentenza COGNOME, scinde la questione processuale della verifica della condotta di partecipazione alla associazione mafiosa in due momenti di riconoscimento dei presupposti.
La tipicità da un lato (ossia la esatta interpretazione della locuzione normativa secondo il suo significato corrente e secondo categorie concettuali di stretta aderenza al testo), la prova dall’altro (posto che ogni condotta descritta in termini elastici, come Ł la partecipazione, ha bisogno di
parametri probatori rassicuranti e al tempo stesso esemplificativi, su cui il giudice possa esercitare il potere di fissazione del fatto).
Quanto al primo aspetto, le Sez. U COGNOME affermano con assoluta chiarezza che il ‘fare parte’ di una associazione mafiosa Ł espressione di sintesi che implica l’assunzione di un ruolo e lo svolgimento di compiti effettivi, sposando la visione «dinamica e funzionale» della condotta partecipativa, in aderenza al principio di materialità e offensività della condotta punibile.
Prendere parte al fenomeno associativo non Ł uno stato d’animo, nØ una generica condivisione, ma Ł lo svolgimento di compiti funzionali e tendenzialmente stabili, coessenziali al raggiungimento dei fini del gruppo.
A simile affermazione però non consegue una richiesta di necessaria percezione o ricostruzione ‘diretta’ di episodi storici integrativi del ruolo, ben potendo la ricostruzione essere indiziaria.
¨ il punto di maggior rilievo della decisione del 2005, nel cui ambito si afferma testualmente che: ‘sul piano della dimensione probatoria rilevano tutti gli indicatori fattuali, dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa e cioŁ la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio. Deve dunque trattarsi di indizi gravi e precisi (tra i quali le prassi giurisprudenziali hanno individuato, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di ‘osservazione e prova’, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di uomo d’onore, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici facta concludentia) dai quali sia lecito dedurre, senza alcun automatismo probatorio, la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, nonchØ della duratura e sempre utilizzabile messa a disposizione della persona per ogni attività del sodalizio, con puntuale riferimento allo specifico periodo temporale considerato nella imputazione’.
Ora, l’intervento regolativo del 2021 sorge su un tema specifico, rappresentato dalla rilevanza quale affidabile indicatore logico della partecipazione – della semplice cerimonia rituale di affiliazione.
Nella corposa motivazione della decisione, le Sezioni Unite COGNOME premettono, sulla scia della COGNOME, di aderire al filone interpretativo che riconosce nella previsione incriminatrice di cui all’art.416-bis cod. pen. un ‘reato a struttura mista’, data la necessaria proiezione esterna del potere di intimidazione del sodalizio.
La capacità di intimidazione deve essere effettiva e deve essere attributo del ‘sodalizio’ in quanto tale.
Ci si orienta, pertanto, verso una natura giuridica di reato di pericolo concreto, intendendo per tale il reato associativo di stampo mafioso e non già le singole condotte in cui si articola la fattispecie.
Quanto alla nozione di partecipazione vengono enucleate – nel post COGNOME – tre tendenze interpretative.
La prima, che facendo leva sulle esemplificazioni della stessa COGNOME (sul terreno della prova) identifica senz’altro l’affiliazione rituale come condotta in quanto tale punibile a titolo di partecipazione, sottolineandone la forza dimostrativa, in aderenza al cd. modello organizzatorio puro (l’adesione Ł vista come fenomeno di rafforzamento del gruppo, al di là del successivo svolgimento di compiti).
La seconda, che ritiene insufficiente l’indicatore della mera affiliazione, non seguito dal censimento di condotte ‘espressive del ruolo’, in ossequio al profilo funzionalistico valorizzato nella Mannino nella parte dedicata alla tipicità.
La terza, definita in termini di ‘modello misto’, nel cui ambito si richiede – in ogni caso – la
identificazione di un sia pur minimo apporto causale alla vita dell’associazione.
In simile contesto, le Sezioni Unite RAGIONE_SOCIALE propongono una soluzione interpretativa che viene manifestata come ulteriore e originale.
Si evidenzia, in premessa, che non può aderirsi al modello organizzatorio puro.
Sostenere, in particolare, che la prova del solo accordo di ingresso esaurisca il tema del giudizio significa non tener conto di possibili situazioni in cui il soggetto non realizzi alcuna concreta attività posteriore e ciò appare in contrasto con i principi di materialità e offensività.
Al tempo stesso, si afferma, non bisogna scivolare nella adozione del cd. modello causale in senso stretto, pena la vanificazione della differenziazione tra la condotta di partecipazione e quella di concorso esterno.
Si indica, pertanto, la necessità di individuare, sul terreno probatorio, un contributo – anche atipico – del partecipe, contributo che può essere tanto materiale che morale, ricostruibile anche in via indiziaria (tramite ricostruzione di condotte indicative) e che viene esemplificato in termini di messa a disposizione effettiva e consapevole.
Solo in tal caso può dirsi che il soggetto ‘prende parte’ alla associazione.
In simile quadro, si ritiene che la investitura ottenuta tramite il rito di ingresso sia elemento non autosufficiente ma certamente indiziario (della effettiva messa a disposizione), elemento che se debitamente rafforzato dalla ‘qualità’ dell’adesione e ‘serietà’ del contesto ambientale in cui la stessa Ł maturata (con rafforzamento degli obblighi argomentativi del giudice in rapporto al caso concreto) può determinare l’integrazione della fattispecie partecipativa.
Si richiede pertanto – per stare al tema del contrasto di giurisprudenza oggetto della decisione una sorta di ‘storicizzazione’ dell’evento di affiliazione, tramite l’analisi del contesto relazionale in cui la stessa Ł maturata.
Ciò che rileva, in definitiva, Ł che la ‘messa a disposizione’ abbia i caratteri della serietà e continuità, attraverso comportamenti (precedenti o successivi al rituale di affiliazione) capaci di dimostrare in concreto l’adesione libera e volontaria da parte del singolo e l’accettazione da parte del gruppo.
La messa a disposizione, in tale chiave, indicherebbe non già una astratta attitudine (come il significato letterale della espressione pure potrebbe far intendere) ma la sintesi di un concreto attivismo tale da rientrare nel ‘profilo dinamico’ della partecipazione (in aderenza alla Mannino).
In ciò può dirsi che le Sezioni Unite COGNOME abbiano richiamato l’attenzione del giudice di merito, sulla scia dell’insegnamento fornito dalla COGNOME, sulla effettiva valenza dimostrativa dei fatti storici selezionati come «indicatori logici» dell’effettivo inserimento del singolo nel gruppo, senza tuttavia aderire pienamente al cd. modello causale della partecipazione.
Si Ł infatti ribadito in motivazione che: «le stesse ricadute del principio di proporzionalità tra reato e sanzione, portando necessariamente a ritenere come doverosa la connotazione della condotta partecipativa in senso dinamico, impedisce decisamente scorciatoie interpretative correlate alla avvenuta dimostrazione del mero accordo di ingresso ovvero alla presenza di condizioni soggettive cui non si accompagni, in virtø della valenza dei dati di contesto quali interpretabili alla luce delle massime d’esperienza, un concreto connotato di effettiva agevolazione. Il comportamento – di volta in volta – elevato ad “indice rivelatore” del fatto punibile deve, pertanto, essere apprezzato nella sua oggettiva e concreta realtà e, in ogni caso, deve essere teso ad agevolare il perseguimento degli scopi associativi in modo riconoscibile e non puramente teorico, sì da potersi univocamente riconoscere ed interpretare come condotta indicativa dello stabile inserimento del soggetto nel gruppo ; ed ancora nel compiere questa indagine ricostruttiva finalizzata a superare il dato, potenzialmente equivoco, della semplice adesione statica collocata in un determinato momento temporale ed avulsa da ogni ulteriore elemento storico-fattuale che dimostri la concreta attivazione del singolo a favore del sodalizio, il giudice, prescindendo da un’acritica adesione formale ad un certo modello ricostruttivo astratto, dovrà avere riguardo alla realtà criminale (anche esterna rispetto allo specifico contesto di riferimento, se ciò si rende necessario al fine di un confronto) ed al materiale probatorio acquisito ed utilizzabile: in tal modo, conseguirà quegli elementi di prova comprovanti l’appartenenza sostanziale e la conseguente permanenza di condotta che il reato richiede per la sua configurabilità ».
Tutto ciò posto, la dimensione probatoria delineata dalle Sezioni Unite del 2021 resta ancorata
– in termini generali – alla ricostruzione processuale di fatti «indicativi» dell’avvenuto inserimento stabile del soggetto all’interno del sodalizio mafioso, aspetto che consente di affermare una ragionata linea di continuità con i contenuti di Sez. Unite Mannino.
Nel caso concreto la motivazione espressa in sede di merito risulta – come si Ł detto in premessa – del tutto congrua, in ragione del fatto che le tre conversazioni oggetto di commento alle pagine 30 e 31 della decisione impugnata appaiono logicamente interpretate come indicative dello stabile inserimento di COGNOME NOME NOME all’interno del sodalizio, in ragione del fatto che si discute di entrate finanziarie provenienti da attività estorsive e di tutela di esponenti del gruppo.
Si tratta di argomenti che, come si Ł ritenuto nella decisione impugnata, possono essere trattati solo da soggetti che tra di loro si riconoscano reciprocamente come intranei al sodalizio, secondo massime di esperienza di provata affidabilità.
Non sono sindacabili, pertanto, le valutazioni espresse in sede di merito, anche in ragione del fatto che le captazioni di conversazioni hanno trovato ulteriore riscontro nelle dichiarazioni rese dal collaborante NOME COGNOME, che risultano logicamente apprezzate.
Il terzo e quarto motivo sono inammissibili per manifesta infondatezza.
Quanto alla circostanza aggravante del comma 4, per essere l’associazione armata, va rilevato che trattasi di mafia ‘storica’ e ciò – al di là del concreto rinvenimento di armi nella disponibilità di taluni affiliati – concretizza la massima di esperienza per cui il soggetto affiliato a simile sodalizio conosce e fa propria la principale caratteristica del gruppo, rappresentata dall’elevato potere di intimidazione correlato alla disponibilità di armi.
Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche va rilevato che la motivazione appare del tutto congrua, trattandosi di condotta di partecipazione ad un sodalizio criminale di particolare pericolosità, cui non ha fatto seguito alcun concreto segnale di ravvedimento, nØ sono emersi altri elementi positivi cui ancorare – in tesi – un minor disvalore del fatto. Sul punto il ricorso appare, dunque, del tutto generico.
Anche i ricorsi proposti da COGNOME Salvatore e COGNOME NOME sono inammissibili.
Ed invero, costoro hanno proposto atti di ricorso per motivi non consentiti, in virtø della rinunzia ai motivi di appello diversi da quelli relativi alla determinazione della pena su cui Ł intervenuto un concordato.
Si tratta di ricorsi del tutto generici, che vanno pertanto dichiarati inammissibili.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi sinora oggetto di valutazione consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila ciascuno, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen. .
Il ricorso proposto da COGNOME NOME NOME Ł infondato.
Quanto al primo motivo va evidenziato che la motivazione espressa nella decisione impugnata resiste alle critiche difensive. Il motivo Ł infondato.
In particolare, anche a voler limitare l’apporto del Savoca ai soli periodi cui si riferiscono le captazioni di conversazioni e le riprese video che lo riguardano (periodo novembre 2017/ febbraio 2018), i contenuti rappresentativi – come puntualmente evidenziato in sede di merito – sono pienamente indicativi dell’ avvenuto inserimento nel gruppo dedito alla costante commercializzazione delle sostanze stupefacenti.
I compiti assegnati al Savoca sono altamente fiduciari (controllo della piazza di spaccio da eventuali intrusioni delle forze dell’ordine, verifica degli incassi, pianificazione degli acquisti), il che esclude che possa parlarsi di una mera attività occasionale, con assoluta congruità della motivazione contenuta nella decisione impugnata.
Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili, trattandosi di mera riproposizione di argomenti congruamente esaminati nella decisione impugnata. La tipologìa di attività, l’organizzazione secondo moduli consolidati, i costanti rifornimenti di stupefacente di varie tipologie e i quantitativi trattati sono stati ritenuti elementi sufficienti per escludere in radice, come si Ł affermato in sede di merito, la possibilità di applicare le previsioni di legge di cui all’art. 74 comma 6, e, quanto ai reati fine, all’art. 73, comma 5,l del dPR n.309 del 1990.
Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il ricorso proposto da COGNOME NOME Ł fondato, al secondo motivo.
7.1 Come si Ł detto in parte narrativa, la responsabilità del COGNOME Ł stata ritenuta sussistente in sede di merito – esclusivamente in riferimento al fatto di cui al capo n.26, rappresentato dal concorso nella detenzione e cessione di sostanza stupefacente a COGNOME NOME COGNOME (fatto del 26 ottobre 2017).
Ciò posto, il primo motivo di ricorso, in punto di responsabilità, Ł infondato.
La Corte di secondo grado ha escluso la sussistenza del concorso in tutti gli episodi in cui la condotta tenuta dal COGNOME non poteva dirsi univoca (v. pag. 41 della decisione impugnata), abitando il COGNOME in un luogo sito nei pressi della cd. piazza di spaccio.
Nel caso del giorno 26 ottobre 2017 Ł, invece, stato dimostrato un ruolo attivo, posto che l’acquirente parlò direttamente con il COGNOME.
Non può accedersi alla prospettazione difensiva, essendo sufficiente la verifica operata al momento del fatto circa il contenuto dei due involucri oggetto di cessione (e va peraltro evidenziato che detto profilo di critica non era stato introdotto in sede di appello).
7.2 E’ invece fondato il secondo motivo in punto di qualificazione giuridica del fatto.
La Corte di secondo grado, quanto alla richiesta di riqualificazione del fatto di reato nella piø
lieve ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 del dPR n.309 del ’90, rileva che la condotta « Ł stata commessa pur sempre nell’ambito della realtà associativa di cui al presente processo». Ciò sarebbe ostativo alla diversa qualificazione, considerando che la presenza del COGNOME nelle altre occasioni (per episodi da cui Ł stato assolto) lo poneva, in ogni caso, in condizioni tali da potersi avvedere dell’inserimento dell’episodio del 26 ottobre 2017 in un piø ampio contesto.
Detta motivazione contiene spunti di contraddittorietà e non appare in linea con il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte nella decisione n.27727 del 2024, COGNOME.
In detta decisione Ł stato affermato che, in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di un concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 1 ovvero comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R .
In motivazione Ł dato leggere che il medesimo fatto ascritto a diversi imputati può essere suscettibile di qualificazioni giuridiche diverse quando «all’esito di una valutazione complessiva emerga che le condotte di alcuni compartecipi esprimono un diverso grado di disvalore oggettivo e soggettivo», con sussistenza di indicatori fattuali rivelatori di un «piø tenue livello di offesa».
Ora, in simile analisi ciò che rileva sono le specifiche modalità e circostanze dell’azione (sempre secondo il percorso argomentativo delle citate Sezioni Unite), in rapporto alle condizioni soggettive di ciascun concorrente.
Nel caso del COGNOME il diniego di diversa qualificazione – a fronte di una condotta che sul piano oggettivo ben potrebbe presentare i caratteri di cui all’art. 73 comma 5 – si fonda su un dato soggettivo meramente presuntivo e contrastante, sul piano logico, con l’affermazione della assenza di univocità delle condotte antecedenti tenute dal COGNOME medesimo (che Ł stato assolto già in primo grado dalla contestazione di partecipazione alla associazione dedita allo smercio di stupefacenti).
La decisione, in tale punto, va annullata con rinvio per nuovo giudizio, come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catania.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME, COGNOME e COGNOME e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 11/03/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME