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Concorso di persone: patente nautica e falso in atto

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per falso in atto pubblico e concorso di persone nel reato a carico di un funzionario pubblico e di due privati (padre e figlia). Il caso riguardava il rilascio di una patente nautica speciale alla figlia, priva dei requisiti di età e senza aver svolto la prova pratica. La Corte ha stabilito che per il concorso di persone non è necessario un accordo preventivo, essendo sufficiente il contributo consapevole, anche unilaterale, alla condotta illecita altrui, rafforzandone il proposito criminoso.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso di persone nel reato: quando il beneficiario diventa complice

Il concorso di persone nel reato è un istituto giuridico fondamentale che si verifica quando più individui contribuiscono alla commissione di un illecito. Ma cosa accade quando il contributo non deriva da un piano prestabilito? Può il semplice beneficiario di un atto illegittimo essere considerato complice? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questi interrogativi, analizzando un caso di falso in atto pubblico per il rilascio di una patente nautica.

I fatti del caso

La vicenda riguarda tre persone: un funzionario dirigente della Motorizzazione Civile, una giovane aspirante al conseguimento di una speciale patente nautica (per “pilota motorista autorizzato”) e il padre di quest’ultima. Il funzionario, agendo in qualità di esaminatore, aveva attestato falsamente il superamento di tutte le prove da parte della candidata, consentendole di ottenere un’abilitazione che le avrebbe permesso di condurre taxi nautici.

Le irregolarità erano sostanziali:
1. Mancanza del requisito di età: La candidata non aveva ancora compiuto i 21 anni necessari per quella specifica qualifica, potendo aspirare solo a quella inferiore di “pilota motorista”.
2. Mancato svolgimento della prova pratica: L’iter concorsuale si era interrotto dopo la prova teorica, e la cruciale prova pratica di guida non era mai stata effettuata.

Nonostante ciò, il funzionario aveva formato un verbale d’esame falso, una certificazione non veritiera e apposto sulla patente nautica della ragazza la qualifica superiore, non spettantele.

Le difese e l’analisi del concorso di persone nel reato

I due privati, padre e figlia, si sono difesi sostenendo di non aver preso parte a un accordo preventivo con il pubblico ufficiale. A loro dire, la decisione di falsificare gli atti e saltare la prova pratica sarebbe stata una scelta unilaterale e autonoma del funzionario, della quale loro sarebbero stati meri beneficiari inconsapevoli.

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa linea difensiva, qualificando i ricorsi come inammissibili. I giudici hanno chiarito che per la configurazione del concorso di persone nel reato non è indispensabile un patto criminoso stretto in anticipo. È sufficiente che la condotta di un soggetto, anche se non concordata, fornisca un contributo causale apprezzabile alla realizzazione dell’illecito, con la consapevolezza di agevolare l’azione altrui.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sulla base di diversi elementi logici e fattuali. In primo luogo, ha evidenziato lo specifico interesse dei due privati a ottenere quella particolare qualifica, che offriva maggiori opportunità lavorative. Questo interesse ha rappresentato il movente che ha determinato la commissione del reato da parte di tutti e tre i concorrenti. La ragazza aveva presentato un’istanza finalizzata proprio a ottenere quel titolo, dimostrando una volontà precisa.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato come l’atteggiamento dei privati, dopo aver appreso che la prova pratica non si sarebbe svolta, non sia stato di sorpresa o dissenso, ma di tacita accettazione. La loro partecipazione a un pranzo per festeggiare il conseguimento del titolo, subito dopo l’esame irregolare, è stata interpretata come una manifestazione di adesione al proposito criminoso del pubblico ufficiale. Questa condotta, definita “adesiva”, ha rafforzato la volontà del funzionario e agevolato la commissione del falso.

I giudici hanno richiamato il principio consolidato secondo cui la volontà di concorrere può manifestarsi anche come semplice adesione all’opera di un altro, persino in corso d’opera, senza che sia necessaria una reciproca consapevolezza del concorso. È sufficiente la coscienza, anche unilaterale, del contributo fornito alla condotta illecita altrui.

Le conclusioni

La sentenza riafferma un principio cruciale in materia di concorso di persone nel reato: la responsabilità penale non si limita a chi pianifica ed esegue materialmente il reato, ma si estende a chi, con la propria condotta e consapevolezza, fornisce un contributo causalmente rilevante. Essere i beneficiari di un atto illecito e non opporsi a evidenti irregolarità, avendo un interesse diretto al risultato, integra una forma di partecipazione punibile. Questo caso serve da monito: non si può invocare la propria estraneità quando i fatti dimostrano un allineamento di interessi e una condotta che, pur non essendo esecutiva, si rivela essenziale per la riuscita del piano criminoso altrui.

È necessario un accordo preventivo per essere considerati complici in un reato?
No, secondo la Corte di Cassazione non è necessario un previo accordo. Per configurare il concorso di persone è sufficiente che la coscienza del contributo fornito alla condotta altrui esista anche unilateralmente, manifestandosi come semplice adesione all’opera di un altro, anche durante la fase esecutiva.

Il semplice beneficiario di un atto falso può essere ritenuto responsabile penalmente?
Sì, se fornisce un contributo causale alla commissione del reato. Nel caso di specie, i beneficiari (padre e figlia) avevano un interesse specifico, hanno avviato la procedura e non si sono opposti all’irregolarità (mancata prova pratica), dimostrando così una consapevole adesione alla condotta illecita del pubblico ufficiale, sufficiente a configurarne il concorso nel reato.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili?
La Corte ha ritenuto i ricorsi inammissibili perché erano generici, si limitavano a reiterare motivi già respinti in appello senza un confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, e tentavano di ottenere una nuova valutazione dei fatti, operazione preclusa nel giudizio di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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