Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27827 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27827 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 433/2025
– Relatore –
COGNOME NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sui ricorsi proposti da:
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
2.4. Con il quarto motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 603 e seguenti cod. proc. pen., quanto alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603, commi 1 e 3 cod. proc. pen. mediante produzione – ai sensi dell’art. 602, comma 3 cod. proc. pen. – del brogliaccio di ascolto n. 385 del 14/05/2017. Rappresenta la difesa che era stato prestato consenso alla produzione in dibattimento dei brogliacci di ascolto delle intercettazioni, redatti dagli organi inquirenti, così da evitare l’espletamento di una perizia volta alla trascrizione delle conversazioni stesse; la difesa aveva però domandato che l’elenco dei brogliacci fosse integrato con il progressivo n. 835, che però non figura nell’elenco e, quindi, non Ł entrato nel fascicolo dibattimentale.
2.5. Con il quinto motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., quanto alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603 comma 1 cod. proc. pen., ai fini dell’escussione del titolare della ditta incaricata dell’archiviazione delle cartelle cliniche, fonte di prova nuova.
Tale prova, secondo il ricorrente, Ł finalizzata ad accertare se davvero – secondo quanto ritenuto in sentenza – XXXXXXXXX fosse deceduto prima del suo arrivo in Ospedale; risulta indispensabile, allora, verificare se effettivamente sia stata, o meno, eseguita nei suoi confronti una consulenza anestesiologica.
2.6. Con il sesto motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen.: la Corte di assise di appello avrebbe dovuto assolvere il ricorrente ai sensi dell’art. 530, comma 1 cod. proc. pen., perchØ il fatto non costituisce reato, o perchØ il fatto non sussiste o non Ł stato commesso; in subordine, avrebbe dovuto assolverlo ai sensi
dell’art. 530, comma 2 cod. proc. pen.
2.7. Con il settimo motivo, si domanda – in via subordinata – il riconoscimento del tentativo o della desistenza.
2.8. Con l’ottavo motivo, si sostiene l’insussistenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 577 n. 3) cod. pen.
2.9. Con il nono motivo, viene censurata la scelta di non ritenere applicabile il concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., atteso che il titolo di reato Ł mutato improvvisamente, a causa di una scelta riconducibile ad uno soltanto dei correi.
2.10. Con il decimo motivo, si chiede l’applicazione delle attenuanti generiche di cui all’art. 62bis cod. pen., esperendo il giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen. in senso piø favorevole all’imputato.
Ricorre per cassazione XXXXXXXXXXXri, affidandosi a due distinti atti di impugnazione, rispettivamente a firma dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME. Il ricorso dell’avv. COGNOME consta di dieci motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 e 530, comma 2 cod. proc. pen., per motivazione illogica e contraddittoria e travisamento delle prove, oltre che per errata applicazione ed interpretazione della legge penale, censurandosi la mancata assoluzione dell’imputato, per non essersi raggiunta la prova certa della sua colpevolezza.
In un processo per omicidio, occorre che la causa della morte sia certa e inequivocabilmente dimostrata; la difesa ha sempre sostenuto che il decesso della vittima fosse ricollegabile alla somministrazione di farmaci, ad opera della moglie
XXXXXXXXXXXXXXX o, al limite, al soffocamento posto in essere da parte del soloXXXXXXXXXX; comunque, il certificato di morte reca la dicitura ‘arresto cardiaco’. La Corte territoriale, dunque, inserisce assiomaticamente tre distinte ipotesi, quali possibili cause del decesso della persona offesa, così finendo per fondare una condanna all’ergastolo su basi esclusivamente probabilistiche. Presso il Pronto Soccorso del nosocomio catanese, peraltro, sono stati somministrati farmaci quale l’adrenalina e si dato corso a una consulenza rianimatoria, cosa che consente di escludere che XXXXXXXXX fosse già morto, all’arrivo in Ospedale; la Corte, sul punto, sostiene che i medici abbiano
redatto un certificato ideologicamente falso, al fine di favorire i familiari.
Noto Ł poi che un soggetto deceduto per asfissia assuma un colorito cianotico della cute e delle mucose, con abbondanza di macchie ipostatiche e una alterata vischiosità del sangue, che si mostra scuro e abbondantemente raccolto; il soggetto morto per infarto, al contrario, non presenta alcuna caratteristica particolare. In realtà, come sostiene la difesa,
XXXXXXXXX Ł morto in conseguenza di un infarto o arresto cardiaco, provocato dalla eccessiva quantità di sonnifero – addirittura una confezione – somministratagli dalla
XXXXXXX (ciò che riporta il collaboratore di giustizia, circa il mancato appannamento degli occhiali, impropriamente ritenuto indizio di già avvenuto decesso, Ł il frutto di una constatazione effettuata da profani); la morte per soffocamento, inoltre, avrebbe dovuto provocare fuoriuscita di feci.
Quanto al veleno che sarebbe stato adoperato, di esso non vi Ł alcuna nozione e non Ł chiaro se il liquido sia stato iniettato solo in parte o per nulla, visto anche che la persona offesa si Ł svegliata e il liquido Ł schizzato in faccia a chi stava facendo l’iniezione. ¨ impensabile, inoltre, che in presenza di tracce evidenti di soffocamento – ossia, in presenza
di una morte sospetta – i medici abbiano omesso di avvisare l’A.G.
3.2. Con il secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in ragione della errata valutazione circa la attendibilità delle dichiarazioni rese dal coimputato XXXXXXXXX, nonchØ per la mancanza di riscontri esterni alle stesse, dolendosi della mancata assoluzione del ricorrente ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., per non essersi raggiunta la prova certa della colpevolezza.
3.3. Con il terzo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 110 e 575 cod. pen., per errata applicazione di legge e motivazione contraddittoria e illogica, nonchØ per travisamento della prova ed errata interpretazione dei fatti, in relazione alla ritenuta sussistenza della condotta concorsuale del ricorrente, nel reato di omicidio commesso ai danni di XXXXXXXXX.
XXXXXXXnon riesce a fare l’iniezione letale, tanto che il liquido gli schizza in faccia; l’accordo iniziale, al quale NOME era restato estraneo, muta dunque repentinamente, nel momento in cui XXXXXXXXX – munitosi di un’arma – intima a XXXXXXXXXX di soffocare la vittima. Non vi Ł prova certa del fatto che NOME abbia tenuto le gambe di NOME, mentre questi veniva soffocato da XXXXXXXXXX; sul punto, NOME non Ł preciso, mentre NOME e XXXXXXXXXX affermano come XXXXXXX si sia limitato a guardare. La NOME, nel corso del dibattimento, ha riferito di non aver mai somministrato sonnifero a XXXXXXXXX, contrariamente a quanto affermato da XXXXXXXXX, il quale ricorda la sedazione della vittima con una confezione intera di tale sostanza.
3.4. Con il quarto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per errata applicazione di legge e travisamento della prova, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della premeditazione nei confronti del ricorrente XXXXXXXXXXXXi, oltre che per motivazione illogica e contraddittoria.
3.5. Con il quinto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 116 cod. pen., per errata applicazione di legge e motivazione illogica e contraddittoria, con riferimento al mancato riconoscimento del concorso di lieve entità.
3.6. Con il sesto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 62bis cod. pen., per errata applicazione di legge e motivazione contraddittoria e illogica. Le circostanze attenuanti generiche svolgono anche la funzione di adeguamento della pena, rispetto alla effettiva gravità del fatto; negarle significa, in questo caso, punire l’imputato per il solo fatto di essersi difeso nel processo.
3.7. Con il settimo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) c) ed e) cod. proc. pen., per errata applicazione di legge e violazione del diritto di difesa, con riferimento al mancato accoglimento dell’impugnazione dell’ordinanza del 22/01/2021 della Corte di primo grado, che aveva rigettato la richiesta di rinvio per legittimo impedimento causa pandemia da Covid-19, avanzata dall’intero Collegio difensivo e conseguente richiesta di declaratoria di nullità di tutti gli atti e le udienze successive, nonchØ delle sentenze di primo e di secondo grado e, comunque, richiesta di inutilizzabilità delle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXXXXX, rese all’udienza del 22/01/2021, in quanto illegittimamente assunte e utilizzate in violazione del diritto di difesa degli imputati.
Il Tribunale di Catania aveva stipulato con il locale Consiglio dell’Ordine un protocollo, che prevedeva il rinvio dei processi penali, in assenza di ragioni di imminente prescrizione o concernenti la presenza di misure cautelari; l’aula di udienza, peraltro, era priva delle necessarie condizioni di igiene e sicurezza, tanto che pochi mesi addietro una avvocata era stata ferita da una lastra di marmo. La trattazione del processo, ad onta dell’esistenza del suddetto protocollo, ha compromesso il fondamentale esame del collaboratore di giustizia; trattasi, inoltre, di una nullità che Ł stata tempestivamente eccepita alla successiva udienza.
3.8. Con l’ottavo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., per errata ed illegittima applicazione di legge e motivazione insufficiente, con riferimento al mancato accoglimento della impugnazione e conseguente richiesta di dichiarazione di nullità dell’ordinanza del 21/01/2022, in ordine al rigetto dell’istanza di legittimo impedimento dell’imputato, per conclamato COGNOME e conseguente nullità della sentenza n. 06/2022, per lesione del diritto di difesa, con richiesta di regressione del procedimento al giudizio di primo grado.XXXXXXX aveva chiesto il rinvio della suddetta udienza, adducendo un legittimo impedimento a comparire e allegando un certificato medico del 20/01/2022, laddove era attestato come egli soffrisse dei postumi di una infezione da Covid-19.
3.9. Con il nono motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per errata applicazione di legge e motivazione illogica e contraddittoria, con riferimento al mancato accoglimento della impugnazione dell’ordinanza della Corte di assise del 22/01/2021, relativa alla nomina del difensore d’ufficio nella persona dell’avv. NOME COGNOME avvenuta all’udienza del 22/01/2021 e della ordinanza del 23/04/2021, per i due imputati XXXXXXXe NOME, con riferimento ad altro aspetto rilevante, ossia la incompatibilità del difensore di ufficio nominato per i due imputati, in quanto non avrebbe potuto e dovuto assisterli entrambi, trattandosi di posizioni tra loro incompatibili ai sensi dell’art. 106 comma 4bis cod. proc. pen., denunciandosi consequenzialmente la nullità assoluta della deposizione di NOME, degli atti e delle udienze successive e della sentenza n. 06/2022, nonchØ della sentenza di appello, ai sensi dell’art. 178 lett. c) e 179 comma 1 cod. proc. pen.
3.10. Con il decimo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., per errata ed illegittima applicazione di legge e motivazione contraddittoria, con riferimento al mancato accoglimento dell’impugnazione dell’ordinanza con la quale la Corte di assise ha ritenuto di utilizzare il verbale di interrogatorio del 31/05/2018, reso al Giudice dell’udienza preliminare e in fase di indagini da XXXXXXX, presente irritualmente all’interno del fascicolo dibattimentale, in violazione dell’art. 513 cod. proc. pen. e conseguente illegittimità della utilizzazione dello stesso ai fini della decisione.
In occasione della riformulazione della richiesta di giudizio abbreviato condizionato, all’udienza del 08/01/2019, la Corte di assise aveva acquisito i verbali dell’udienza preliminare del 31/05/2018, all’esito della quale il precedente collegio difensivo aveva formulato la richiesta di rito abbreviato, condizionandola all’espletamento di una perizia, oltre che all’esame del coimputato XXXXXXXXX e al confronto fra questi e l’odierno ricorrente. L’acquisizione dei precedenti verbali, dunque, aveva come fine unicamente quello di valutare l’assenza di mutamenti, nelle nuove istanze di giudizio abbreviato; all’esito di tale esame, però, la Corte ha omesso di estromettere i verbali di interrogatorio resi al Giudice dell’udienza preliminare da XXXXXXX e XXXXXXXXXX, con la conseguenza che i verbali resi al Pubblico ministero – sebbene i due imputati si siano poi sottoposti a esame
dibattimentale – sono stati utilizzati e valutati dalla Corte di assise. La difesa, comunque, non ha mai prestato consenso all’ingresso di tali verbali all’interno del fascicolo dibattimentale.
4. Il ricorso presentato dall’avv. COGNOME nell’interesse di XXXXXXXXXXXXX consta di sei motivi, che vengono di seguito enunciati, entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. (vizi tutti risultanti dal testo del provvedimento impugnato, nonchØ dalla sentenza di primo grado, dall’atto di appello, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXXXXX, rese in data 13/05/2024 e 22/01/2021, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXXX, rese in data19/10/2020, dalle dichiarazioni rese da RAGIONE_SOCIALE, in data 05/10/2017, 31/05/2018 e 05/07/2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX,in data06/12/2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXa, in data 04/04/2019, dalle dichiarazioni diXXXXXXXXXXXi, rese indata 30/04/2021 e dal memoriale di XXXXXXXXXXXXi in atti).
4.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., sotto il profilo dellamancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla valutazione dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXXXX, in merito al contributo di XXXXXXi nella causazione dell’evento,ex artt. 192, comma 2, 546, lett. e), 125, comma 3 e 533 cod. proc. pen.
La Corte territoriale si Ł limitata a indicare – senza valutarleadeguatamente – le doglianze della difesa, in merito a specifiche e concrete incongruenze emergenti dal narrato di XXXXXXXXX; sostiene la difesa che sarebbe stata necessaria una valutazione ben piø rigorosa, considerato il rapporto che esisteva fra XXXXXXXXX e XXXXXXXall’epoca dei fatti e tenendo presente che il primo era strutturalmente inserito all’interno di una compagine mafiosa, mentre l’altra era la compagna di colui che nel ricorso, Ł descritto come un usuraio, anch’egli da tempo vicino a contesti criminali di natura mafiosa. Identico discorso Ł a farsi con riferimento alla valutazione di XXXXXXXXXX e XXXXXXX, stante la carenza di qualsivoglia interesse alla partecipazione all’azione omicidiaria e vista la mancanza di esperienza criminale di XXXXXXX e, infine, la non indispensabilità della sua presenza.
Non emerge una piena conoscenza, da parte del ricorrente, del piano omicidiario ideato e organizzato da XXXXXXXXX e XXXXXXX; non vi Ł prova del coinvolgimento di XXXXXXX nella fase esecutiva del gesto delittuoso, nØ sono noti i dati costituiti dalla tipologia di sostanza iniettata e dalla dose della stessa.
4.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art.606 comma 1 lett. b)e lett. e) cod. proc. pen., per inosservanza o erroneaapplicazione degli elementi costitutivi del reato di omicidio, ex artt. 40, 43 e 575 cod. pen., con riferimento all’accertamento della causa di morte e al nesso di causalità, nonchØ mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sia intrinseca alla sentenza, sia relativa a specifici atti processuali.
La sentenza di appello, come quella di primo grado, individua presuntivamente la causa della morte nell’azione congiunta di una iniezione venefica e del soffocamento; la Corte territoriale, però, trascura di chiarire l’efficacia eziologica della somministrazione di barbiturici e dell’iniezione di sostanza letale e, conseguentemente, il nesso con la condotta ascrivibile a
XXXXXXX. La Corte si limita a ritenere la somministrazione di barbiturici inidonea a cagionare il decesso della vittima, senza neanche considerare tale azione quale concausa dell’evento; ciò deriva dal fatto che la Corte non considera verosimile il dato quantitativo riferito, circa i sonniferi somministrati a XXXXXXXXX, ossia una confezione. Erroneo Ł, sul punto, valorizzare l’avvenuto risveglio di XXXXXXXXX, quale elemento confermativo dell’inidoneità della somministrazione di sonniferi a provocarne la morte; la mancata
indicazione del nome della sostanza somministrata, peraltro, non ha consentito ai Giudici di primo e di secondo grado di conoscere l’effettiva capacità letale della sostanza stessa e di verificare la dose minima occorrente, in vista della produzione di effetti mortali.
Agli atti, inoltre, manca la prova di un contributo causale volontario riconducibile a
XXXXXXX, nell’azione di soffocamento, carenza che si desume anche dalla manifesta illogicità della motivazione, in merito alla valutazione delle dichiarazioni di XXXXXXXXXe al confronto con quelle di XXXXXXX, XXXXXXXXXX e XXXXXXXsul punto.
4.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione degli elementi costitutivi del concorso di persone nel reato di omicidio, con riferimento alla sussistenza del contributo causale e volontario alla verificazione dell’evento e, comunque, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, sia intrinseca alla sentenza, sia relativa a specifici atti processuali.
4.4. Con il quarto motivo, viene denunciata violazione ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., sotto il profilo della inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 114 cod. pen. e, comunque, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla valutazione del contributo causale di XXXXXXX. L’apporto del ricorrente alla causazione del fatto Ł stato del tutto irrilevante; non solo egli non ha preso parte all’ideazione e organizzazione dell’omicidio, ma non vi Ł prova di quale sostanza abbia iniettato, nØ del fatto che ne abbia somministrato la dose minima letale e, infine, non si conosce l’efficacia della sostanza stessa.
4.5. Con il quinto motivo, viene denunciata violazione ex art, 606, comma 1, lett. B) ed e) cod. Proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione dell’aggravante della premeditazione di cui all’art. 577 n. 3 cod. proc. pen. e, comunque, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in merito al quantum di pena irrogata.
4.6. Con il sesto motivo, viene denunciata violazione ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., sotto il profilo della inosservanza ed erroneaapplicazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen. e, comunque, per mancanza, contraddittorietàe manifesta illogicità della motivazione, in merito al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, ex art. 62bis cod. pen.
L’avv. NOME COGNOME in difesa di XXXXXXXXXXXXX, ha presentato motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., a mezzo dei quali ha dedotto:
a) violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla valutazione dell’attendibilità intrinseca oggettiva ed estrinseca delle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXXXX, quanto alla inoculazione del veleno e in ordine alla sua efficacia letale, oltre che sull’inutilità dell’arma, sull’assenza di minacce e sul contributo di XXXXXXX nella causazione dell’evento ex artt. 192, comma 2, 546, lett. e), 125, comma 3 e 533 cod. proc. pen., deducendosi anche violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen.
La difesa denuncia inosservanza o erronea applicazione degli elementi costituivi del reato di omicidio, ex artt. 40, 43 e 575 cod. pen., con riferimento all’accertamento della causa mortis e al nesso di causalità; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sia intrinseca alla sentenza, sia relativa a specifici atti processuali. Trattasi di vizio emergente dal testo del provvedimento impugnato, nonchØ dalla sentenza di primo grado, dall’atto di appello, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXXXXX, rese in data
13/05/2024 e in data 19/10/2020, dalle dichiarazioni rese da RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente risalenti ai giorni 05/10/2017, 31/05/2018 e 5.05/07./2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX in data 06/12/2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX del 04./04/2019, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXX rese in data 30/04/2021 e dal memoriale di XXXXXXXXXXXXX in atti;
b) violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per inosservanza o erronea applicazione degli elementi costituivi del concorso di persone nel reato di omicidio, con riferimento alla sussistenza del contributo causale e volontario alla verificazione dell’evento e, comunque, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, sia intrinseca alla sentenza, sia relativa a specifici atti processuali, con riferimento alla valutazione del suo contributo causale nella inoculazione del veleno e durante l’azione di soffocamento. Tale vizio risulterebbe dal testo del provvedimento impugnato, oltre che dalla sentenza di primo grado, dall’atto di appello, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXXXXX, rese in data 13/05/2024 e 22/01/2021, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXXX, rese in data 19/10/2020, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXXXXo, in data 05/10/2017, 31/05/2018 e 05/07/2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX, in data 6.12.2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX, in data 04/04/2019, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXX rese, in data 30/04/2021, e dal memoriale di XXXXXXXXXXXXXin atti;
c) violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla valutazione del contributo causale di XXXXXXX. Trattasi di vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato, dalla sentenza di primo grado, dall’atto di appello, dalle dichiarazioni di inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 114 cod. pen. e, comunque, per mancanza, XXXXXXXXXXXXXXXXo, rese in data 13/05/2024 e 22/01/2021, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXXX, rese in data 09/10/2020, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXXXXX, in data 05/10/2017, 31/05/2018 e 05/07/2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX, in data 6.12.2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX, in data 04/04/2019, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXX rese, in
data 30/04/2021, e dal memoriale di XXXXXXXXXXXXXin atti;
d) violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione dell’aggravante della premeditazione di cui all’art. 577 n. 3 cod. pen. e, comunque, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’omessa valutazione dell’interruzione della condotta del ricorrente e della mancata sua partecipazione all’azione di soffocamento. Vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato, dall’atto di appello dalle dichiarazioni di
XXXXXXXXXXXXXXXXX, rese in data 13/05/2024 e 22/01/2021, dalle dichiarazioni di
XXXXXXXXXXXXXXX, rese in data 19/10/2020, dalle dichiarazioni rese da
XXXXXXXXXXXXXXXXXX, in data 05/10/2017, 31/05/2018 e 05/07/2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX, in data 06/12/2021, dalle dichiarazioni rese da
XXXXXXXXXXXXXXX, in data 04/04/2019, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXrese, in data 30/04/2021, e dal memoriale di XXXXXXXXXXXXX in atti;
e) violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen. e, comunque, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in merito al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, ex art. 62bis cod. pen., con riferimento alla valutazione della sua condotta e all’intensità del dolo. Vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato, dalla
sentenza di primo grado, dall’atto di appello, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXXXXX, rese in data 13/05/2024, 22/01/2021, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXXXX, rese in data 19/10/2020, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXX, in data 05/10/2017, 31/05/2018 e 05/07/2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX, in data 6.12.2021, dalle dichiarazioni rese da XXXXXXXXXXXXXXX, in data 04/04/2019, dalle dichiarazioni di XXXXXXXXXXXXX rese, in data 30/04/2021 e dal memoriale in atti.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi non meritano accoglimento.
2. Per quanto inerisce alla ricostruzione storica e oggettiva della vicenda, come ricavabile dalle sentenze di merito, può brevemente precisarsi quanto segue. NOME, soggetto dal passato mafioso poi divenuto collaboratore di giustizia nel febbraio del 2016, si Ł autoaccusato – una volta assunta tale veste dell’omicidio di NOME, fatto per il quale ora si procede; Ł utile sottolineare come si tratti di un dichiarante che si Ł addossato la responsabilità di una nutrita serie di omicidi (ben otto) tra cui appunto quello in danno di XXXXXXXXX, in relazione al quale Ł stato giudicato separatamente ed ha riportato condanna in via definitiva, ottenendo la specifica attenuante della collaborazione.
XXXXXXXXX ha dunque riferito che – nell’anno 2002 – intratteneva una relazione sentimentale extraconiugale con XXXXXXXXXXXXXX e che, unitamente a quest’ultima, assunse la decisione di sopprimerne il marito, il sopra citato XXXXXXXXXXXXXXX. La donna era, infatti, perfettamente consapevole dell’indole criminale dell’amante e della sua capacità di compiere gesti delittuosi di tal fatta; dolendosi ella dei maltrattamenti a lei asseritamente inflitti dal XXXXXXXXX, ne commissionò l’omicidio a XXXXXXXXX. Questi accettò l’incarico, anche perchØ allettato dalla promessa – quale ricompensa – di una autovettura di valore e di denaro e, quindi, pose in essere un primo tentativo, non andato a buon fine. Trascorso un certo lasso di tempo, XXXXXXXXX decise di passare piø risolutamente all’azione, concordando con l’amante di ammantare l’assassinio quale decesso per cause naturali naturale, anche al fine di non rischiare di provocare conflitti in ambito malavitoso. L’uomo si fece quindi consigliare dal dott. NOME (soggetto del tutto ignaro dell’uso al quale sarebbe stata poi destinata tale sostanza) un veleno (segnatamente, un diserbante o pesticida) non rintracciabile tramite autopsia e lo provò su un cane, verificandone l’efficacia letale. Trovandosi in una momentanea condizione di invalidità, essendo egli costretto a deambulare con l’aiuto delle stampelle a causa di un infortunio, si risolse poi a coinvolgere un suo cugino di nome XXXXXXXXXXXXX; quest’ultimo gli propose, a sua volta, di coinvolgere nella scellerata impresa anche
XXXXXXXXXXXXXXXXXX.
La sera del 10 dicembre 2002, i tre soggetti attesero il momento propizio sotto casa della vittima; così la XXXXXXX – la quale aveva già provveduto a somministrare del sonnifero a XXXXXXXXX – li fece entrare in casa, stendendosi anche accanto al marito dormiente, in modo da potergli far credere, in caso di suo risveglio, che si stesse realizzando una rapina. XXXXXXX, quindi, praticò l’iniezione fatale alla vittima – che veniva nel frattempo tenuta ferma da XXXXXXXXXX – servendosi di una grossa siringa (e lo fece anche maldestramente, in quanto parte del veleno gli schizzò in faccia). XXXXXXXXX allora si ridestò, per cui venne condotto in cucina dai correi; qui giunti, infine, XXXXXXX gli bloccò le gambe e NOME lo strangolò, servendosi di uno strofinaccio da cucina.
XXXXXXXXX quindi – intrapreso il percorso collaborativo con la giustizia – confessò
l’omicidio, accusando i sopra nominati complici. Quale riscontro delle propalazioni del collaboratore di giustizia, sono state valorizzate delle intercettazioni telefoniche e ambientali di univoca significazione: al fine di indurre gli allora indagati a discorrere di accadimenti tanto lontani nel tempo, infatti, la polizia giudiziaria pose sulle rispettive auto dei bigliettini contenenti riferimenti piuttosto espliciti all’omicidio, così da spingerli a scivolare sul discorso. Proprio in una di tali intercettazioni, conversando con tale XXXXXXXXX, XXXXXXXXXX si disse parecchio preoccupato e affermò chiaramente di aver commesso l’omicidio (il dialogo Ł riportato per esteso nella sentenza impugnata, a pag. 66).
La XXXXXXX Ł stata giudicata separatamente, secondo le forme del rito abbreviato ed ha reso dichiarazioni sostanzialmente collimanti con le accuse rivolte da XXXXXXXXX, pur tentando di accreditare un suo diverso ruolo, quanto all’iniziativa omicidiaria (le due versioni, confrontate in sentenza a pag. 75, divergono quanto all’individuazione del promotore, oltre che per ciò che riguarda la ricompensa ottenuta da XXXXXXXXX, il quale aveva fatto riferimento a una autovettura BMW; tali versioni, inoltre, presentanodifferenze anche per quanto attiene alle modalità esecutive: differenze razionalmente ritenute marginali dai giudici di merito).
Anche NOME, ascoltato nel corso dell’incidente probatorio, ha inizialmente reso una piena confessione, salvo in seguito ritrattare e fornire due diverse versioni successivamente ‘limate’, ossia progressivamente improntate ad accreditare tesi a propria discolpa (si veda quanto riportato in sentenza, a pag. 79). NOME, in dibattimento, ha depositato un ‘memoriale’ ed ha reso esame, negando il suo coinvolgimento.
I Giudici del merito – per concludere l’inquadramento del fatto – hanno ritenuto acclarato che la morte di XXXXXXXXX si fosse verificata già prima dell’arrivo dello stesso presso il Pronto Soccorso del nosocomio catanese.
Stante la particolare complessità della materia trattata, si rende anche necessario un breve inquadramento di carattere dogmatico e metodologico.
Quanto ai limiti del sindacato consentito in sede di legittimità, dunque, Ł opportuno premettere – tenuto conto che il difetto Ł comune a piø motivi di ricorso, che denunciano il vizio della motivazione – come il compito del giudice di legittimità non consista nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; tale compito si sostanzia invece esclusivamente nel fatto di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione degli stessi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745).
3.1. Dall’affermazione di questo principio, si traggono alcuni corollari.
In linea generale, esula dai poteri della Corte di cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacchØ tale attività Ł riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’ iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o non dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione.
Con riferimento al vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., se Ł vero che esso Ł ravvisabile non solo quando manca completamente la parte motiva della sentenza, ma anche qualora non sia stato considerato un argomento fondamentale per la
decisione espressamente sottoposto all’analisi del giudice, il concetto di mancanza di motivazione non può essere tanto esteso da includere ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori. Invero, un elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce, non posto a raffronto con il complesso dei dati dimostrativi raccolti, può acquisire un significato molto superiore a quello che gli Ł attribuibile in una valutazione completa del quadro delle prove acquisite. Ritenere il vizio di motivazione per l’omessa menzione di un tale elemento nella sentenza comporterebbe il rischio di annullamento di decisioni logiche, e ben correlate alla sostanza degli elementi istruttori disponibili.
Per ovviare ad un tale rischio, la Corte di legittimità dovrebbe farsi carico di una rivalutazione dell’elemento additato dalla difesa nel contesto probatorio acquisito, con una sovrapposizione argomentativa che sconfinerebbe nei compiti riservati al giudice di merito (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789).
3.2. Venendo al piø specifico tema del «vizio di manifesta illogicità» della motivazione, va osservato che il relativo controllo viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo; sicchØ nella verifica della fondatezza, o meno, del motivo di ricorso ex art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., il compito della Corte di cassazione non consiste nell’accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito: a) abbiano esaminato gli elementi a loro disposizione; b) abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti; c) nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
3.3. Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, Ł indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può essere ritenuto legittimo l’opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540).
3.4. Va poi osservato che, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ad opera della l. n. 46 del 2006, art. 8, mentre non Ł consentito dedurre il «travisamento del fatto» (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099), stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, Ł invece consentita la deduzione del vizio di «travisamento della prova», che ricorre nel caso in cui il giudice del provvedimento impugnato abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215). Sul tema va ancora precisato che la novella codicistica, introdotta con la legge 20 febbraio
2006, n. 46, nel riconoscere la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad «atti processuali», non ha comunque mutato la natura del giudizio di Cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchØ gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso (Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716).
Emergono da una linea critica di carattere unitario e, pertanto, possono essere trattati congiuntamente il primo e il secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXXXXX (motivi enumerati, in parte narrativa, sub 2.1. e 2.2.), nonchØ il settimo,
l’ottavo e il nono motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXX (motivi enumerati, in parte narrativa, sub 3.7., 3.8. e 3.9.), a mezzo dei quali si deduce la nullità della sentenza, a causa del rigetto dell’istanza di rinvio dell’udienza del 22/01/2021.
4.1. La doglianza, nei termini sopra riportati, Ł stata già ampiamente coltivata dalla difesa in sede di gravame, secondo modalità argomentative del tutto analoghe, rispetto a quelle che connotano le attuali censure. La Corte distrettuale, sul punto specifico, ha però adottato una motivazione del tutto congruente e priva di qualsivoglia profilo di illogicità, ritenendo corretta la decisione di rigetto.
La questione posta a fondamento della doglianza Ł rapidamente riassumibile come segue: uno dei difensori era affetto da Covid-19, ma era in codifesa con altro avvocato, presente all’udienza nel corso della quale venne formulata l’istanza di differimento; la discussione del difensore impedito, comunque, Ł stata rinviata ad altra data. Per quanto attiene al rappresentato impedimento dell’imputato XXXXXXX, la certificazione sulla quale si fondava la richiesta di differimento attestava esclusivamente la presenza di postumi da Covid-19 e non una patologia al momento ancora in atto, in una fase di virulenza (ciò che, a giudizio della Corte, non poteva concretizzare un impedimento avente carattere assoluto).
4.2. Tale apparato motivazionale Ł del tutto coerente con i principi di diritto ripetutamente fissati dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha da tempo chiarito come alcun provvedimento di sospensione o di rinvio del dibattimento debba essere adottato dal giudice, allorquando l’imputato risulti assistito da due difensori e uno soltanto di essi abbia addotto un impedimento legittimo alla comparizione all’udienza (fra tante, si veda Sez. 2, n. 10064 del 19/12/2012, dep. 2013, Berlich, Rv. 254875 – 01; Sez. 3, n. 37422 del 16/03/2017, COGNOME, Rv. 271239 – 01 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 420ter , comma 5, cod. proc. pen., con riferimento all’art. 24 Cost., nella parte in cui consente il diniego del rinvio richiesto per motivi di salute da uno dei codifensori dell’imputato, allorquando l’altro sia presente in udienza, dato che la predetta disposizione processuale rappresenta il punto di equilibrio fra il diritto di difesa dell’imputato, sancito dall’art. 24 della Costituzione e il principio, anch’esso di rango costituzionale, in quanto espresso dall’artt. 111 Cost., della ragionevole durata del processo; si vedano anche Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Torchio, Rv. 262912 – 01, Sez. 6, n. 20130 del 04/03/2015, COGNOME, Rv. 263395 – 01 e Sez. 3, n. 23764 del 22/11/2016, dep. 2017, M., Rv. 270330 – 01).
4.3. Secondo una relazione di stretta connessione e consequenzialità espositiva, in rapporto alla questione del rigetto dell’istanza di differimento per legittimo impedimento, la difesa ha coltivato il tema della inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia XXXXXXXXXXXXXXXXX, nel corso dell’udienza del 22 gennaio 2021,
regolarmente tenutasi grazie alla nomina di un difensore di ufficio.
Il tema dell’assenza di un conflitto di interessi, fra le posizioni dei coimputati, Ł stato ben delineato dalla Corte territoriale, la quale ha adottato – anche sotto tale profilo – una decisione che merita di restare immune da qualsivoglia stigma, in sede di legittimità. ¨ sufficiente, in ordine a tale tematica, operare un richiamo alle regole ermeneutiche da tempo enucleate da questa Corte, la quale ha ripetutamente spiegato come il mero dato oggettivo, costituito dall’assunzione – ad opera del medesimo difensore – della difesa di piø imputati che presentino una differente posizione giuridica, possa astrattamente integrare una causa di nullità, esclusivamente laddove emerga la sussistenza di un effettivo e concreto pregiudizio, per la difesa del singolo soggetto (fra tante, si vedano Sez. U, n. 21834 del 22/02/2007, Dike, Rv. 236373 – 01 e Sez. 1, n. 29479 del 23/10/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256448 – 01; nello stesso solco interpretativo si Ł poi posizionata Sez. 5, n. 39449 del 17/05/2018, COGNOME, Rv. 273766 – 01, secondo la quale: «L’incompatibilità che a norma dell’art. 106, comma 1, cod. proc. pen., vieta l’affidamento della difesa di piø imputati a un unico difensore, Ł causa di nullità della decisione soltanto se il contrasto di interessi tra coimputati Ł effettivo, concreto ed attuale, nel senso, cioŁ, che sussiste un conflitto che rende impossibile la proposizione di tesi difensive tra loro logicamente conciliabili, implica una posizione processuale che rende concretamente inefficiente e improduttiva la comune difesa ed Ł riscontrabile in relazione a specifici atti del procedimento»; Sez. 2, n. 10757 del 18/01/2017, H, Rv. 269310 – 01, infine, ha precisato come non basti – ad integrare l’incompatibilità del difensore – la semplice diversità di posizioni giuridiche, o anche di linee di difesa, tra piø imputati, essendo invece necessario che la versione difensiva di uno di essi si ponga in una situazione di stridente e insanabile conflitto, se raffrontata con le dichiarazioni fornite dagli altri assistiti, così venendosi a determinare un contrasto radicale e insuperabile, di tale rilievo da rendere impossibile, per il difensore, sostenere tesi logicamente incompatibili tra loro).
Nel caso di specie, invece, la difesa si Ł arrestata alla soglia della semplice contestazione circa la correttezza procedurale di quanto verificatosi, circoscrivendo la propria critica alla apodittica e reiterativa asserzione circa la inutilizzabilità delle propalazioni del suddetto dichiarante; ha però mancato, tale censura, di esplicitare adeguatamente in cosa – in maniera specifica e concreta – possa essere consistito l’asserito vulnus , per la posizione del singolo assistito e per la possibilità di approntare una efficace linea difensiva. In tal modo, la deduzione rivela una matrice meramente contestativa, sfornita di un apprezzabile substrato contenutistico e non in grado di disarticolare la saldezza della avversata decisione.
Il terzo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXXXXX pone parimenti una questione in rito, concernendo il diniego di ammissione dell’imputato al giudizio abbreviato condizionato e, consequenzialmente, la mancata riduzione della pena (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 2.3.).
5.1. Secondo la prospettazione difensiva, dunque, la Corte di assise – anche alla luce dell’attività istruttoria espletata – avrebbe dovuto ammettere il rito alternativo richiesto, che prevedeva la condizione dell’esperimento di una perizia medico-legale sulla vittima ed il confronto fra imputato e collaborante; tale richiesta – secondo la difesa, era stata riproposta negli esatti termini in cui era stata già prospettata, dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare. La pena inflitta a XXXXXXXXXX con la sentenza impugnata, quindi, presenterebbe un marcato profilo di illegalità, atteso che l’imputato – a causa del diniego di accesso al suddetto rito alternativo – non avrebbe conseguito il relativo sconto di pena. A
corredo della censura, quindi, la difesa domanda la restituzione degli atti al Giudice di primo o di secondo grado, ovvero l’applicazione dello sconto di pena previsto dalla legge.
5.2. Per completezza di esposizione e di analisi, deve precisarsi come la difesa abbia formulato dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare – nel corso di due udienze distinte – due richieste di abbreviato condizionato .
Ebbene, le richieste di accesso al rito abbreviato condizionato, formulate nel corso di due distinte udienze preliminari, prospettavano – quali attività condizionanti – due diverse integrazioni probatorie (venivano infatti domandati, rispettivamente, l’esame di XXXXXXXXX e l’esperimento di una perizia, pur in assenza della riesumazione del cadavere della vittima). Una volta pervenuto il processo al dibattimento, la difesa ha riproposto la richiesta di accesso al rito abbreviato condizionato; questa volta, però, ha subordinato la domanda – in maniera complessiva – a entrambe le condizioni, nel senso che ha cumulato tra loro gli adempimenti che, precedentemente, avevano formato oggetto di distinte domande di rito abbreviato condizionato. Tale istanza Ł stata qualificata alla stregua di una domanda ‘nuova’, per cui Ł stata giudicata inammissibile, non trattandosi propriamente della ‘riproposizione’ – negli esatti termini – di una precedente istanza.
5.3. Non vi Ł chi non rilevi come il concetto stesso di ‘riproposizione’ – nella sua portata semantica e letterale, comunemente accettata – postuli l’identità assoluta delle distinte domande, dovendosi inevitabilmente riconoscere alla seconda, in caso contrario, il carattere della novità rispetto alla precedente. La giurisprudenza, su tale aspetto, si presenta del tutto pacifica, nel ritenere che – nel caso di rigetto della richiesta di ammissione al rito abbreviato, condizionato al compimento di una integrazione probatoria – affinchØ il giudice di primo grado, nonchØ, eventualmente quello dell’impugnazione, possano essere in grado di esperire un effettivo sindacare di merito, rispetto a detta decisione, Ł indispensabile che venga riproposta al giudice di primo grado, entro lo sbarramento segnato dalla dichiarazione di apertura del dibattimento, la stessa richiesta, negli esatti termini, già oggetto del provvedimento di rigetto (fra tante, si veda Sez. 3, n. 1851 del 02/12/2010, dep. 2011, C. Rv. 249054 – 01, a mente della quale: ‹«La facoltà di riproporre, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, la richiesta di ammissione al rito abbreviato condizionato, già rigettata presuppone necessariamente che essa non sia mutata nel contenuto, restando conseguentemente preclusa la possibilità di trasformare, per tale via, la richiesta da condizionata ad incondizionata»; così anche Sez. 1, n. 21219 del 27/04/2011, Carlino Rv. 250232 – 01 e Sez. 1, n. 20758 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 273126 – 01).
Deriva dall’applicazione di tale regola ermeneutica – espressa dalla giurisprudenza di legittimità in assenza di voci dissonanti – la correttezza del rigetto di accesso al rito abbreviato, in presenza di richieste condizionanti di diverso tenore, non in grado di integrare il concetto stesso di riproposizione.
6. Con il quarto motivo di ricorso, l’avv. COGNOME nell’interesse di XXXXXXXXXX, lamenta il fatto che – una volta che la difesa aveva prestato consenso alla produzione in
dibattimento dei brogliacci delle intercettazioni – non sia stato unito al fascicolo del dibattimento il progressivo n. 835, pure oggetto di acquisizione concordata (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 2.4.).
Giova rappresentare, però, come la Corte territoriale si sia specificamente confrontata con l’analoga richiesta, proveniente da altra difesa, affermando la presenza – all’interno del fascicolo dibattimentale – del succitato progressivo. Un progressivo che, secondo la Corte, ha inciso anche sull’assunzione della decisione finale, così risultando definitivamente depotenziata la doglianza difensiva; l’attuale censura, pertanto, non può che essere ritenuta inammissibile per aspecificità e carenza di interesse, in ragione della mancata instaurazione di un diretto confronto con il contenuto della decisione aggredita.
7. Il quinto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXXXXX (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 2.5.) inerisce alla mancata rinnovazione dell’istruttoria, che la difesa intendeva fosse attuata mediante l’escussione del titolare della ditta che ha in gestione l’archivio dell’Ospedale XXXXXXXXX (soggetto mai identificato); l’attività domandata era finalizzata a chiarire se fosse stata, o meno, mai eseguita una consulenza anestesiologica sulla vittima.
7.1. Va osservato, allora, che la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione ora avversata, contraria alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Occorre rilevare, infatti, che – nel giudizio di appello – quest’ultima rappresenta un istituto di carattere eccezionale, fondato sulla presunzione di completezza dell’indagine istruttoria, corroborata dalle acquisizioni operate nel corso del dibattimento di primo grado. Il potere del giudice di secondo grado, di disporre la rinnovazione, Ł quindi subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga – contro la predetta presunzione – di non essere in grado di decidere in base agli elementi di valutazione e conoscenza già presenti nell’incarto processuale (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, COGNOME, Rv. 203974 – 01). L’esercizio di tale potere, inoltre, Ł affidato al prudente apprezzamento del giudice di appello, restando incensurabile in sede di legittimità, laddove congruamente motivato (Sez. 3, n. 7908 del 29/07/1993, Giuffida, Rv. 194487 – 01; si veda anche Sez. 1, n. 40705 del 10/01/2018 Capitanio, Rv. 274337 – 01, che ha così statuito: «La mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello può costituire violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado»; negli stessi termini si sono espresse Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008, COGNOME, Rv. 240995 e, infine, Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, COGNOME, Rv. 273577 – 01, che ha chiarito come possa essere censurata dinanzi alla Corte di cassazione la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale, solo qualora emerga l’esistenza, nella struttura motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, che siano desumibili dal testo del medesimo provvedimento e che attengano a profili di rilievo dirimente, essendo peraltro necessaria la dimostrazione che tali forme di incoerenza argomentativa sarebbero state verosimilmente scongiurate, laddove si fosse provveduto all’assunzione, ovvero alla riassunzione, delle prove invocate).
Costituisce consolidato principio di questa Corte, insomma, ritenere che la omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – nel corso del giudizio di secondo grado – possa integrare violazione dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., esclusivamente in presenza di prove sopravvenute, o scoperte in epoca successiva, rispetto alla sentenza di primo grado, a norma dell’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., mentre l’ error in procedendo Ł configurabile, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., soltanto nel caso in cui
la prova richiesta e non ammessa, posta a confronto con l’apparato motivazionale addotto a sostegno della sentenza impugnata, risulti di valenza decisiva, ossia tale che – se fosse stata esperita – avrebbe potuto disarticolare la struttura stessa della decisione e, così, condurre a difformi lumi in fase decisoria.
7.2. La Corte distrettuale ha specificamente affrontato la problematica, riportandosi all’ordinanza resa nel corso dell’udienza tenutasi in data 08 marzo 2023 (può leggersi il contenuto del provvedimento a pag. 29 della sentenza impugnata). In breve, la Corte distrettuale ha ritenuto che l’auspicata escussione del soggetto, restato sconosciuto al processo, titolare della ditta incaricata della gestione dell’archivio, presentasse un profondo tratto di genericità, tenuto conto che della consulenza non risulta essere stata trovata traccia documentale, talchØ non si intende quale apporto potrebbe dare appunto chi ha la semplice cura della gestione dell’archivio che si alimenta dei soli documenti e non di altre prove dell’esecuzione dell’incombente; la difesa, a mezzo del presente ricorso, si Ł limitata, dunque, a riproporre l’istanza, semplicemente contestando la decisione sussunta nella decisione di secondo grado.
Non viene efficacemente aggradita la motivazione che sorregge la decisione, che si presente logica e puntuale e nella quale sono assenti profili di contraddittorietà o incoerenze logiche.
Presentano una evidente matrice comune e, quindi, possono essere affrontati in maniera unitaria, il sesto e il settimo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXXXXX (motivi enumerati, in parte narrativa, sub 2.6. e 2.7.), oltre che il primo, il secondo e il terzo motivo dell’impugnazione dell’avv. COGNOME nell’interesse di XXXXXXX (motivi enumerati, in parte narrativa, sub 3.1., 3.2. e 3.3.) e, infine, il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXX (motivi enumerati, in parte narrativa, sub 4.1., 4.2., 4.3. e 4.4.).
8.1. Va preliminarmente evidenziato come tali censure si sviluppino prevalentemente sul piano del fatto e siano tese a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, piø che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. Tale operazione, con tutta evidenza, fuoriesce dal perimetro del sindacato demandato al giudice di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili, o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
8.2. Il sesto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME si articola in plurime doglianze, che coinvolgono i differenti profili che – a seguire – vengono partitamente esaminati (trattasi del motivo, di tenore ampio e cumulativo, sopra indicato come 2.6.):
A) si revoca in dubbio, anzitutto, la credibilità del collaborante XXXXXXXXX.
La difesa assume di aver depositato – già nel corso del giudizio di primo grado – una sentenza atta a chiarire la assoluta inattendibilità del propalante, il quale avrebbe anzitutto mutato piø volte versione, nel corso dei diversi passaggi processuali; la genesi del progetto omicidiario riferita da XXXXXXXXX, che questi riconduce a una iniziativa della XXXXXXX,
stanca dei continui maltrattamenti subiti da XXXXXXXXX, non coinciderebbe con quanto da quest’ultima narrato,riportando ella l’iniziativa proprio al dichiarante. XXXXXXXXX riferirebbe in maniera inesatta il tempus commissi delicti , fissandolo a settembre o ottobre del 2002, mentre il fatto risale al 10/12/2002. Il collaboratore di giustizia, inoltre, riporterebbe in maniera divergente – in plurime occasioni – l’entità della ricompensa conferitagli ad opera della XXXXXXX, per il compimento dell’omicidio; sarebbero riscontrabili, infine, incertezze e incongruenze, circa la conoscenza preventiva del progetto omicidiario.
La censura Ł in parte sovrapponibile al secondo motivo dell’avv. COGNOME per XXXXXXX (motivo sopra indicato sub 3.2.), che evidenzia come XXXXXXXXX non sia mai stato preciso e coerente nelle sue dichiarazioni, oggetto anzi di plurime modifiche. Sussisterebbero delle incertezze, infatti, in primo luogo quanto all’entità della ricompensa offerta per l’uccisione di XXXXXXXXX; sarebbero riscontrabili discrasie, poi, in ordine alle dichiarazioni del collaborante, rispetto ai suoi rapporti con XXXXXXXXXX. Vi sarebbero dubbi, infine, quanto alla conoscenza preventiva del progetto omicidiario e in merito all’auto utilizzata dai correi, la sera dell’omicidio, permanendo incertezze in ordine alla ricostruzione del compimento materiale dell’iniezione, nonchØ quanto alla fase immediatamente successiva.
Oltre a non rilevare le numerose e palesi incongruenze, la Corte territoriale avrebbe sorvolato – prosegue la difesa di NOME – sui motivi di astio e sul desiderio di vendetta, che NOME nutriva nei confronti del ricorrente; ciò sarebbe dimostrato dal contenuto di alcune intercettazioni e, in particolare, del progressivo n. 569 del 15/06/2017 (intercettazione ambientale all’interno dell’autovettura di NOME, nel corso della quale la moglie di questi, NOME, afferma che la moglie di NOME gli era infedele e lo aveva tradito con il cugino NOME, conversazione nel corso della quale anche NOME descrive la donna alla medesima maniera). Da ciò, dunque, troverebbe origine l’astio di NOME verso NOME e, correlativamente, la volontà del primo di demolire la figura del secondo.
La doglianza viene coltivata anche nell’impugnazione dell’avv. COGNOME nell’interesse di XXXXXXX (motivo sopra indicato sub 4.1.).
In diritto, giova allora ricordare che – a fronte di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia – occorre saggiarne e attestarne sia la credibilità soggettiva, sia l’attendibilità oggettiva dei narrati da essi provenienti e, infine, verificarne la vicendevole capacità di riscontrarsi a livello individualizzante. Quest’ultima postula la convergenza delle chiamate, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum , nonchØ la loro autonomia genetica (vale a dire, la derivazione da fonti di informazione diverse) e, infine, la loro indipendenza, nel senso che non appaiano frutto di intese fraudolente (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255143-01; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134). ¨ necessario, in sostanza, non arrestarsi ad un mero vaglio inerente alla constatazione dell’avvenuta collaborazione con la giustizia in altri processi, bensì incentrare la complessiva analisi del narrato muovendo dalla personalità dei dichiaranti, dalla genesi della loro collaborazione con la giustizia e – in special modo – dai rapporti intessuti con gli accusati, circostanza fortemente evocativa di una diretta e immediata percezione dei fatti per i quali si procede, oltre che delle dinamiche interpersonali poste a monte degli stessi.
Attraverso la evidenziazione delle specificità – anche, ma non solo di tipo cronologico connotanti le singole narrazioni, vanno poi esclusi sospetti di reciproco inquinamento, ovvero di possibile astio nei collaboranti. L’analisi implica poi il raccordo – di tenore logico e intratestuale – fra le dichiarazioni dei vari collaboranti e, successivamente, con gli elementi
oggettivi raccolti nel corso delle indagini, in funzione di riscontro. In riferimento a tale ultima tematica, Ł bene rammentare che – attenendosi ai principi dogmatici elaborati in questa materia dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. la succitata Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145) – il giudice Ł chiamato a verificare la sussistenza di tre requisiti, rappresentati:
dalla credibilità soggettiva del dichiarante, valutata alla stregua di elementi personali quali le sue condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i rapporti con l’accusato, la genesi e le ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all’accusa dei coautori e complici;
dall’attendibilità intrinseca del contenuto dichiarativo, desunta da dati quali la spontaneità, la verosimiglianza, la precisione, la completezza della narrazione dei fatti, la concordanza tra le dichiarazioni rese in tempi diversi;
dalla riscontrabilità oggettiva del dichiarante, attraverso elementi di prova o indiziari estrinseci, i quali devono essere esterni alla chiamata onde evitare il fenomeno della c.d. “circolarità” probatoria e che possono consistere in elementi probatori o indiziari di qualsiasi tipo e natura, ivi compresa un’altra chiamata in correità (Sez. 1, n. 16792 del 9/4/2010, Rv. 246948; Sez. 2, n. 16183 del 1/2/2017, Rv. 269987); a condizione, in quest’ultimo caso, che le convergenti dichiarazioni accusatorie, ritenute intrinsecamente attendibili, siano realmente autonome e che la loro coincidenza non sia fittizia, come nel caso in cui una chiamata abbia condizionato l’altra (cfr. ancora Sez. U., n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255143).
Peraltro, in piena coerenza con quest’ultima decisione delle Sezioni Unite, anche la successiva giurisprudenza di legittimità ha precisato che – nella valutazione della chiamata in correità o in reità – il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in proposito, alcuna specifica tassativa sequenza logicotemporale (Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Khess, Rv. 276676 – 01).
Nella concreta fattispecie, la Corte territoriale ha adeguatamente vagliato la attendibilità del propalante, sia sotto il profilo soggettivo, sia con riferimento all’aspetto oggettivo. Si Ł dato conto, infatti, delle precedenti condanne riportate da XXXXXXXXX, che hanno visto quale scaturigine proprio le sue dichiarazioni confessorie, passandosi poi a valutarne la affidabilità con riferimento agli specifici accadimenti fenomenici oggetto del presente processo. Si Ł compiutamente scandagliata – per escluderla recisamente – la prospettata eventualità della presenza di ragioni di rancore, da parte del collaboratore, a carico di XXXXXXX. Quanto alla narrazione inerente al fatto omicidiario de quo , l’analisi contenuta nella sentenza impugnata Ł ampia e priva del pur minimo spunto di incoerenza logica.
La Corte di assise di appello si Ł specificamente confrontata, inoltre, con le asserite aporie esaltate dalla difesa, ritenendole non in grado di minare la complessiva saldezza del ricordo (il riferimento Ł qui alle lievi distonie esistenti, nei vari racconti, circa la collocazione temporale del fatto, giustamente reputata spiegabile in ragione del lungo arco temporale trascorso). Provato per tabulas , inoltre, Ł il fatto che XXXXXXXXX abbia ricevuto dalla
XXXXXXX quantomeno una autovettura. Le doglianze difensive, sul punto, si rivelano dunque generiche e prive della capacità di demolire l’impianto accusatorio; la Corte di assise di appello, comunque, ha specificamente dialogato con tutte le censure proposte in sede di
gravame, superandole con argomentazioni del tutto prive di contraddizioni.
B) Viene poi aggredita la ritenuta attendibilità della coimputata XXXXXXX, evidenziandosi la inesistenza di riscontri esterni, rispetto alle dichiarazioni dalla stessa rese. I dubbi inerenti alla posizione di quest’ultima atterrebbero – in ipotesi difensiva – sia al ruolo rivestito dalla donna, nell’ambito del progetto omicidiario, sia al dato della preliminare somministrazione alla vittima, da parte sua, di una intera confezione di sonnifero; non vengono tralasciate dalla difesa, poi, le modalità di effettuazione dell’iniezione e la presenza dell’arma all’interno dell’abitazione. Quanto alla descrizione dell’azione di soffocamento, la ricostruzione della XXXXXXX non coinciderebbe con quella di XXXXXXXXXX e, comunque, risulterebbero del tutto carenti i riscontri esterni.
La doglianza presenta, in primo luogo, un forte contenuto di genericità, in quanto si taccia di non credibilità le dichiarazioni (confessorie ed eteroaccusatorie) rese dalla XXXXXXX, senza però riuscire a isolare un aspetto specifico, veramente atto a integrare uno dei vizi di legittimità rientranti nella rosa di quelli tipizzati dall’art. 606 cod. proc. pen. La contestazione, inoltre, auspica niente altro, se non il compimento di una operazione di rivalutazione fattuale, ossia la realizzazione, come detto, di una attività interpretativa avulsa dal giudizio di legittimità.
Le due Corti di merito – ad onta dei rilievi mossi dalla difesa – hanno infatti adeguatamente saggiato la credibilità della XXXXXXX (condannata per questo fatto, con sentenza ormai passata in giudicato); le dichiarazioni dell’imputata, quindi, sono state reputate anzitutto collimanti con il narrato del XXXXXXXXX, quantomeno con riferimento al nucleo essenziale delle vicende oggetto del processo (trattasi di dichiarazioni, dunque, in grado di costituire un formidabile riscontro esterno, rispetto alla ricostruzione proveniente dal collaboratore). Non minano la attendibilità della dichiarante – secondo la sentenza impugnata – alcune discrasie, riscontrabili rispetto alla narrazione operata da XXXXXXXXX (vengono in rilievo, infatti, esclusivamente divergenze inerenti al proprio ruolo nella vicenda omicidiaria).
La Corte di assise di appello, peraltro, si Ł anche fatta carico di enucleare i punti del narrato della XXXXXXX qualificabili come frutto di reticenza o di una volontà autodifensiva, volta a sminuire l’importanza del proprio contributo causale; e così, isolando tali segmenti della narrazione, la Corte ha valutato come complessivamente credibile la ricostruzione resa dalla XXXXXXX stessa, facendo ricorso al criterio di giudizio della cd. valutazione frazionata (in ordine alla piena ammissibilità di tale approccio interpretativo, Ł sufficiente richiamare, fra tante, Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103 – 01, a mente della quale: «¨ legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni confessorie, accusatorie da chiamate in correità e testimoniali quando le parti del narrato ritenute veritiere reggano alla verifica giudiziale del riscontro, ove necessario e non sussista interferenza fattuale e logica – ossia un rapporto di causalità necessaria o di imprescindibile antecedenza logica – con quelle giudicate inattendibili, tale da minare la credibilità complessiva e la plausibilità dell’intero racconto»).
C) Ulteriore censura difensiva, pure contenuta nel medesimo motivo, Ł quella incentrata sulla valenza da riconnettere alla ritrattazione di XXXXXXXXXX. Precisa la difesa, sul punto, come si tratti di fatti risalenti a oltre venti anni addietro e, inevitabilmente, il relativo ricordo non possa che essere divenuto evanescente, nella mente di coloro che li riportano. Il racconto piø veritiero reso da XXXXXXXXXX, quindi, Ł secondo la difesa certamente l’ultimo, ossia quello confermato da XXXXXXX e da XXXXXXXXX.
Nella giurisprudenza di questa Corte, però, Ł ripetuta e non contrastata l’affermazione
per cui le dichiarazioni confessorie – successivamente ritrattate -possono essere poste a base del giudizio di colpevolezza dell’imputato, nelle ipotesi in cui il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l’attendibilità, fornendo ragione dei motivi in base ai quali debba respingersi ogni sospetto di intendimento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione sul soggetto. Allorquando tale indagine – ovviamente estesa alla valutazione dell’intero patrimonio conoscitivo processuale – non conduca, ad onta della avvenuta ritrattazione, alla smentita delle originarie ammissioni di colpevolezza, non potrà allora che riconnettersi alla confessione la valenza probatoria idonea alla formazione del convincimento della responsabilità dell’imputato (cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 34356 del 20/06/2024, T., Rv. 286996 – 01; Sez. 1, n. 43681 del 13/05/2015, Tornicchio, Rv. 26474601; Sez. 1, n. 14623 del 04/03/2008, Abbrescia, Rv. 240114-01).
Facendo buon governo di tali principi di diritto, la Corte territoriale ha preso in considerazione l’interno percorso dichiarativo di XXXXXXXXXX, partito con una piena confessione degli addebiti e poi dipanatosi sul crinale della progressiva ritrattazione, in un insistito tentativo di edulcorare la propria posizione. La originaria dichiarazione autoaccusatoria resa in sede di incidente probatorio, però, Ł stata valutata come lineare e completa, oltre che combaciante con le versioni rese da XXXXXXXXX e XXXXXXX.
Il giudizio di credibilità della prima confessione, quindi, Ł il frutto di una valutazione globale del compendio probatorio disponibile, completato non solo dalle suddette fonti dichiarative, ma anche dagli esiti delle intercettazioni, che la Corte territoriale – senza venire in ciò smentita dalla difesa – ha valutato alla stregua di elementi di basilare rilievo. La doglianza difensiva, in definitiva, Ł meramente avversativa e solo volta a invocare, ancora una volta, una diversa rilettura degli atti e la formulazione di un nuovo giudizio di merito.
D) Viene riproposta, all’interno dello stesso motivo, la già dedotta questione attinente all’autoria mediata per stato di necessità e il tema del costringimento psichico ex art. 54 terzo comma cod. pen., nonchØ la possibilità di ritenere sussistente la connivenza punibile. Al momento del risveglio di NOME, sottolinea la difesa, NOME impugnava una pistola, che avrebbe adoperato per costringere XXXXXXX e XXXXXXXXXX a completare l’opera omicida.
Ma anche sul punto, la Corte distrettuale ha ben spiegato come vi fosse piena condivisione del progetto omicidiario, da parte di tutti i correi ed ha precisato come – al venefico della capiente siringa; allorquando uno schizzo di sostanza gli aveva inavvertitamenteattinto il viso, egli si era recato in bagno per lavarsi e, nel contempo, la risveglio di XXXXXXXXX – il XXXXXXX avesse già quasi interamente iniettato il contenuto XXXXXXX aveva recuperato una vecchia pistola appartenente al compagno, consegnandola poi a XXXXXXXXX.
I Giudici di appello precisano come non vi sia traccia di minacce o coartazioni, tali da consentire di ipotizzare che alcuno si sia reso autore mediato del fatto, ovvero abbia agito perchØ a ciò costretto da uno stato di necessità. Oltre alle fonti dichiarative, che sul punto sono di univoca significazione, Ł rimasto del resto intonso l’ulteriore argomento logico adoperato dalla Corte territoriale: laddove XXXXXXXXX avesse ravvisato la necessità di mantenere una piena e incontrastata signoria sulla situazione e, dunque, di imporre mediante l’utilizzo di un’arma – in quanto temporaneamente invalido e costretto all’utilizzo delle stampelle – la propria volontà ai sodali (che la difesa pretende esser restati ignari della sua intenzione assassina) non avrebbe avuto la pur minima difficoltà a reperire autonomamente una pistola e, quindi, condurla con sØ sul luogo del crimine, senza alcuna necessità di attendere il repentino e inatteso ausilio fornito dalla XXXXXXX.
Un argomento che, all’esito delle deduzioni difensive (tutte confutative e fattuali) Ł restato insuperato nella sua granitica validità concettuale e che, saldandosi con il materiale dichiarativo disponibile, elide alla radice la proponibilità della tesi alternativa sopra riassunta. E) La difesa torna, poi, sulla fase dell’accesso presso il reparto di Pronto Soccorso dell’Ospedale e sul tema concernente la causa della morte della persona offesa. Non vi sarebbe certezza – attenendosi alla tesi prospettata nell’impugnazione – circa il fatto che XXXXXXXXX sia morto a causa del soffocamento. La doglianza Ł reiterata – in termini del
tutto analoghi – nel primo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXX e nel secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME sempre proposto nell’interesse di XXXXXXX, oltre che in sede di motivi nuovi, redatti dall’avv. COGNOME ancora per XXXXXXX .
La critica difensiva scaturisce dal fatto che le sentenze di merito si esprimono – in ordine al nesso causale, fra le varie tipologie di azione eterolesiva poste in essere dai correi e il decesso della vittima – in termini latamente probabilistici. Sarebbe a dire che vengono posti alcuni ancoraggi sicuri, che inequivocabilmente riconducono l’omicidio agli imputati, quali la (incontestata) presenza degli stessi presso l’abitazione di XXXXXXXXX, la notte del fatto, nonchØ l’utilizzazione di una siringa e, infine, il soffocamento. Sulla posizione di XXXXXXX e XXXXXXXXXX, inoltre, grava – e viene coerentemente bene evidenziata dalle Corti territoriali – la regola logica secondo la quale sarebbe stato del tutto incongruo, da parte di XXXXXXXXX (soggetto ben avvezzo al crimine), recarsi nottetempo a commettere un omicidio, in casa della vittima, accompagnandosi a due soggetti ignari, così ovviamente esponendosi agli enormi rischi che questa soluzione avrebbe comportato. Quanto a XXXXXXXXXX, di fondamentale rilievo viene ritenuta, infine, la conversazione intercettata in data 21 maggio 2017.
Ferma la straordinaria attitudine evocativa di tali elementi, i Giudici di merito concludono nel senso che la morte di NOME possa esser ricondotta all’avvelenamento mediante inoculazione del veleno indicato dal dottore amico di NOME, ovvero alla successiva azione di strangolamento, o infine alla sinergia tra i due fattori. Secondo la Corte di assise di appello, la scelta fra le tre possibilità (che vengono tra loro poste, si ribadisce, secondo una relazione tanto di alternatività, quanto di convergente efficienza) risulta sostanzialmente irrilevante, in quanto tutte le cause suddette sarebbero parimenti riconducibili all’azione degli imputati; in assenza di qualsivoglia fattore esterno sopravvenuto o preesistente, di derivazione organica o eterodiretta, il meccanismo causale sarebbe comunque da ricondurre, dunque, alla determinazione e alla attuazione da parte degli imputati.
Tale impostazione, oltre ad essere espressiva di un completo e puntuale confronto con gli elementi di valutazione e conoscenza uniti all’incarto processuale, Ł anche del tutto combaciante con le regole ermeneutiche fissate dalla giurisprudenza di legittimità. E infatti, nei reati di danno a forma libera, allorquando siano prospettabili plurime ipotesi tra loro alternative – in punto di ricostruzione del nesso causale, tra la condotta e l’evento – non merita alcuna censura la decisione mediante la quale si affermi la sussistenza del nesso causale, tra determinate condotte e l’evento, senza precisare quale tra esse abbia assunto una efficacia preponderante, nel caso in cui identiche siano le conseguenze giuridiche dall’una o dall’altra derivanti. Nell’analizzare la problematica della causalità, infatti, la riconducibilità di un evento ad una data condotta deve essere reputata sussistente, anche nel caso in cui le prove emerse non consentano di chiarire minuziosamente ogni frammento della concatenazione causale, così da autorizzare la possibilità di configurare sequenze
alternative di produzione dell’evento; ciò a patto, naturalmente, che ognuna di tali filiere causali appartenga a un meccanismo comunque ricollegabile al soggetto attivo e sia possibile escludere recisamente l’incidenza di sequenze eziologiche indipendenti (fra tante, si vedano Sez. 1, n. 5306 del 12/09/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272606 – 01; Sez. 4, n. 22147 del 11/02/2016, COGNOME, Rv. 266858 – 01; Sez. 1, n. 25917 del 12/02/2004, COGNOME, Rv. 228239 – 01 Sez. 4, n. 2650 del 31/01/1995, COGNOME, Rv. 201422 – 01; si veda anche Sez. 1, n. 16318 del 13/03/2024, P., Rv. 286353 – 01, a mente della quale: «In tema di omicidio, ove la morte della vittima derivi da un concorso di cause originato da un atto intenzionale dell’agente, l’imputazione del fatto a titolo di dolo presuppone l’accertamento della persistenza della volontà omicidiaria per tutto l’iter della condotta, fino all’ultimo atto causalmente collegato al decesso della vittima»).
F) Si sostiene, infine, l’esclusione del concorso materiale e morale a carico di XXXXXXXXXX, il quale avrebbe addirittura tentato di scappare. Trattasi di una critica fattuale e reiterativa, che si arresta alla soglia del mero auspicio di una rivalutazione dei fatti, invocando nuovamente un diretto confronto di questa Corte con gli atti; resta assente, dunque, un concreto dialogo con il complessivo contenuto argomentativo della decisione impugnata.
8.3. Il settimo motivo proposto dall’avv. COGNOME auspica il riconoscimento, a carico di XXXXXXXXXX, dell’ipotesi del tentativo, ovvero della desistenza (motivo sopra indicato sub 2.7). La doglianza – proposta negli esatti termini in sede di gravame – Ł stata colà giustamente reputata priva di un reale contenuto sostanziale, stante la condotta serbata dall’imputato, dalla quale i Giudici di merito hanno desunto la sussistenza di un suo pieno concorso morale e materiale nel fatto omicidiario; trattasi, in definitiva, di un soggetto che si Ł inserito a pieno titolo nel meccanismo deterministico dell’evento mortale, offrendo secondo quanto adeguatamente sottolineato dalla Corte territoriale – un efficiente contributo causale.
8.4. Il terzo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME il terzo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME entrambi nell’interesse di XXXXXXX, oltre che il secondo, il terzo e il quarto dei motivi nuovi redatti dall’avv. COGNOME ancora per XXXXXXX, deducono non esser stato chiarito il dato della rilevanza causale dell’apporto di quest’ultimo e non esser stato precisato se – eliminandone la condotta – l’evento si sarebbe o meno realizzato ugualmente .
In ipotesi difensiva, dunque, non vi sarebbe prova circa la efficacia letale della sostanza iniettata a XXXXXXXXX, così come alcuna nozione si sarebbe acquisita, in ordine alla dose minima necessaria per la produzione di tale effetto. Tale dato sarebbe stato da accertare, prosegue la difesa, in considerazione del fatto che – secondo quanto riferisce la XXXXXXX la vittima si risvegliò appena inserito l’ago; secondo XXXXXXXXX, peraltro, arrivarono delle gocce in viso a XXXXXXX, cosa che Ł possibile solo laddove non si riesca a iniettare il liquido in modo corretto. A ciò si dovrebbe aggiungere, secondo il ricorrente, il fatto che XXXXXXX non prese parte alle fasi ideativa e organizzativa dell’omicidio, al quale non fornì
alcun ausilio; egli, inoltre, appena effettuata l’iniezione, scappò svegliando XXXXXXXXX. La morte da soffocamento – conclude la difesa – non può escludersi sia stata agevolata dalla somministrazione di barbiturici, fatto avvenuto all’insaputa di XXXXXXX.
Nel rispondere alle doglianze di analoga natura, formulate in sede di gravame, la Corte territoriale ha ricordato, in primo luogo, trattarsi di reato commesso da piø soggetti in concorso tra loro, figura dogmatica la cui configurabilità postula solo che – in forza del dettato dell’art. 110 cod. pen. e in virtø della funzione estensiva cui tale norma adempie – si
possa attribuire tipicità a comportamenti che abbiano, in qualsiasi modo, contribuito alla realizzazione collettiva del fatto.Lo stesso codice, del resto, con la previsione dell’attenuante della minima partecipazione al fatto, ammette la possibilità di condotte non condizionali, non potendosi certo considerare quale condizione indispensabile per la realizzazione del reato una attività di minima importanza. In tale prospettiva, ai fini della sussistenza del concorso, deve ritenersi sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriormente percepibile, che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti. Per configurare il concorso di persone nel reato, dunque, non essendo necessario il previo accordo, assume carattere decisivo l’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato. Tale circostanza deve ritenersi sussistente ogni volta che le condotte dei concorrenti risultino – secondo un giudizio improntato al criterio della prognosi postuma integrate in un unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati.
Tanto giustamente chiarito, la Corte territoriale si Ł attentamente confrontata con le deduzioni difensive, precisando che:
-il progetto omicidiario prevedeva la somministrazione del pesticida o diserbante (come già detto, comunque, di un materiale non rilevabile all’esito di una eventuale autopsia), secondo il suggerimento proveniente dal dott. COGNOME
come riferito da XXXXXXXXX, COGNOME e XXXXXXX, fu proprio COGNOME, ben conscio dell’intenzione omicida, a praticare l’iniezione, mentre COGNOME teneva fermi i piedi della vittima;
successivamente, fu XXXXXXX a occuparsi di tenere fermo XXXXXXXXX, mentre questi veniva soffocato con uno straccio da cucina.
Tale ricostruzione storica e oggettiva, argomentata in maniera logica e puntuale dai Giudici di merito, peraltro con doppia conforme decisione, non viene minimamente scalfita dalle argomentazioni spese dalla difesa, che si limitano ad auspicare una pura e semplice rivisitazione del materiale probatorio disponibile.
8.5. Con il quarto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXX ci si sofferma sul tema del mancato riconoscimento, a tale imputato, della circostanza attenuante ex art. 114 cod. pen. (motivo sopra indicato sub 4.4.)
8.5.1. In punto di diritto, pare allora utile ricordare come la giurisprudenza di questa Corte sia del tutto consolidata, nel ritenere applicabile l’art. 114 cod. pen., laddove l’apporto del correo risulti concretamente tanto lieve da apparire – nell’ambito della peculiare relazione eziologica instauratasi – quasi trascurabile e del tutto marginale (Sez. 2, n. 46588 del 29/11/2011, NOME COGNOME, RV. 251223). In tema di concorso di persone nel reato, infatti, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., non Ł sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo, rispetto a quella realizzata dagli altri; Ł essenziale, invece, che il contributo rivesta una valenza causale così lieve, rispetto all’evento, da risultare del tutto trascurabile, nell’economia generale dell’ iter criminis (Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037;Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi, Rv. 254051; Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266461), ovvero di carattere accessorio, nel generale quadro realizzativo del reato (Sez. 6, n. 24571 del 24/11/2011, dep. 2012, Piccolo, Rv. 253091).
8.5.2. Tale essendo la cornice teorica di riferimento, può precisarsi come nel caso di specie il giudice di appello – esponendo un ordito motivazionale adeguato e coerente, oltre che condividendo quanto già indicato nella sentenza di primo grado – abbia evidenziato le
ragioni specifiche, in forza delle quali il ruolo di XXXXXXX non possa essere ritenuto marginale; la Corte ha precisato, altresì, le ragioni in base alle quali la richiesta difensiva, finalizzata all’applicazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen., debba essere disattesa.
La Corte distrettuale, infatti, ha chiarito come il complesso degli elementi probatori disponibili, versati nell’incarto processuale, conduca alla univoca conclusione della piena e paritaria efficienza causale dell’apporto di ciascun correo, rispetto alla produzione dell’evento, non essendo emersi elementi atti a colorare di marginalità o scarsa rilevanza il contributo di alcuno. Il tutto evidenzia l’esistenza di un contributo concreto e significativo anzi, fondamentale – nel dipanarsi delle fasi ideativa e organizzativa del gesto delittuoso, che la Corte territoriale ha giustamente ritenuto nØ accessorio, nØ marginale, rispetto alla realizzazione dell’evento.
Il nono motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXXXXX (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 2.9) e il quinto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per COGNOME (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 3.5.) sono tra loro sovrapponibili, atteso che si dolgono del mancato riconoscimento del concorso anomalo ex art. 116 cod. pen.
9.1. La difesa di XXXXXXX, in particolare, evidenzia come questi si sia diretto verso l’abitazione della XXXXXXX, con il solo intento di incutere timore in XXXXXXXXX, ma certamente non con il proposito di commettere un assassinio; in ipotesi difensiva, infatti,
XXXXXXXXX aveva rivelato al ricorrente esclusivamente tale intenzione, o al massimo quella di porre in essere una rapina.
Il titolo di reato – una volta all’interno dell’abitazione – sarebbe mutato radicalmente, a causa dell’azione autonoma posta in essere ad opera di uno dei concorrenti e, così, sarebbe trasmodato in omicidio all’insaputa del XXXXXXX. Segnatamente, la difesa ricollega tale preteso stravolgimento del programma originario alla improvvisa comparsa, sulla scena del delitto, di una pistola, della quale XXXXXXX nulla avrebbe mai potuto sapere. Trattasi dunque, secondo il ricorrente, di un elemento sintomatico del fatto che l’esito diverso rispetto all’azione originariamente ideata – non fosse in alcun modo prevedibile, da parte di chi aveva condiviso esclusivamente la prospettiva della realizzazione del reato meno grave.
9.2. La doglianza difensiva, in realtà, rampolla dal fatto che XXXXXXXXXX ha, in un primo momento, reso una piena confessione in sede di incidente probatorio, rilasciando dichiarazioni che – almeno nelle linee essenziali – combaciavano con quelle promananti dal collaboratore di giustizia XXXXXXXXX e della XXXXXXX e divergendo da queste, invece, soltanto per due particolari, ossia:
l’essere inavvertitamente finito del veleno sul viso di XXXXXXX;
l’essersi dato alla fuga, una volta praticata l’iniezione.
Attenendosi a tale prima versione confessoria, XXXXXXXXXX era perfettamente a conoscenza del progetto omicidiario ideato e organizzato, in primis , dai due amanti
XXXXXXX e XXXXXXXXX, progetto al quale avevano tutti prestato adesione; la XXXXXXX, in esecuzione del piano, avrebbe dunque favorito l’ingresso nell’abitazione del gruppo di correi; XXXXXXX avrebbe proceduto a iniettare il veleno e, infine, XXXXXXXXXX avrebbe completato l’opera, strozzando XXXXXXXXX. In seguito, XXXXXXXXXX ha mutato la rotta delle proprie dichiarazioni, offrendo altre due versioni dell’accaduto – in sede di udienza preliminare e, infine, nel corso del dibattimento – e, quindi, progressivamente addolcendo la propria posizione.
9.3. ¨ utile ricordare, anzitutto, come – ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione – la struttura giustificativa della sentenza di appello si vada a saldare con quella
di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando – come nel caso in esame – i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Ciò doverosamente ricordato, va detto subito che la sentenza impugnata – in uno con quella del Tribunale con la quale costituisce una “doppia conforme” – risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. La Corte di assise di appello, infatti, affronta specificamente la dedotta questione, con motivazione congruente e lineare, perfettamente adesiva alla struttura argomentativa della decisione di primo grado.
Inoltre, tale struttura motivazionale non Ł certo apparente, nØ “manifestamente” illogica e tantomeno contraddittoria. Per contro deve osservarsi che il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. Tale modo di procedere trasformerebbe, però, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, Ł – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; sono inammissibili, pertanto, tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
9.4. Essendovi una doppia conforme affermazione di responsabilità, inoltre, la difesa avrebbe dovuto confrontarsi specificamente anche con la motivazione della sentenza di primo grado, che invece non Ł stata efficacemente attaccata dai motivi di gravame. A ciò si aggiunga che la ricostruzione degli avvenimenti fenomenici in ordine ai quali si procede, che consente di escludere l’istituto del concorso anomalo e di ritenere credibile la iniziale confessione di XXXXXXXXXX e le ricostruzioni di XXXXXXX e XXXXXXXXX, Ł sorretta da una complessiva motivazione puntuale e priva del pur minimo spunto di illogicità.
Quanto alla valenza dimostrativa della confessione e della ritrattazione, Ł utile il richiamo al principio di diritto fissato da Sez. 1, n. 34356 del 20/06/2024, T., Rv. 286996 01, a mente della quale: «In tema di valutazione della prova, la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza dell’imputato anche in caso di ritrattazione, laddove il giudice, apprezzandone favorevolmente la veridicità, la genuinità e l’attendibilità, fornisca ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di intendimento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione sul soggetto, e debba ritenersi inverosimile la successiva ritrattazione» (sulla medesima direttrice interpretativa si era posta Sez. 1, n. 14623 del 04/03/2008, COGNOME, Rv. 240114 – 01).
Il motivo, in conclusione, Ł da disattendere.
10. Il decimo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXXXXX (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 2.10), il sesto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXX
(motivo enumerato, in parte narrativa, sub 3.6), il sesto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXX (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 4.6) e, infine, la quinta censura prospettata in sede di motivi aggiunti dall’avv. COGNOME in difesa di XXXXXXX attengono tutti al tema delle circostanze attenuanti generiche; trattasi di doglianze che si snodano secondo una linea unitaria e che, dunque, possono essere affrontate congiuntamente.
10.1. La difesa di XXXXXXX ha fondato la richiesta sul presupposto che il ricorrente non abbia partecipato all’azione di soffocamento della vittima e, successivamente, abbia domandato perdono ai familiari della stessa; tale condotta collimerebbe – stando all’impugnazione – con il fatto che XXXXXXX, durante l’azione omicida, si sia dato alla fuga. In definitiva, le generiche sarebbero state da concedere – in ipotesi difensiva – in considerazione della reale incidenza della condotta del ricorrente sul fatto reato commesso, nonchØ in ragione delle modalità del suo agire.
La difesa di XXXXXXXXXX sottolinea, invece, trattarsi di una persona che non ha commesso ulteriori reati, che ha sempre osservato una corretta condotta di vita e che ha lavorato onestamente, mostrando un reale ravvedimento all’indomani dei fatti e, quindi, reinserendosi fattivamente nella società.
10.2.Si Ł in presenza di censure dal marcato tenore aspecifico e reiterativo, in quanto il giudice di merito non ha affatto omesso di motivare sul punto, avendo valorizzato – anche ai fini indicati dall’art. 133 cod. pen. – le caratteristiche del fatto e la personalità dei soggetti. Dal complesso della motivazione, in ogni caso, emergono tutti gli elementi forza dei quali la Corte distrettuale ha esercitato i propri poteri, in sede di quantificazione della pena.
Va sottolineato, quanto alle circostanze attenuanti generiche, come il ricorso non riesca a indicare alcun elemento positivo asseritamente trascurato, nella motivazione della pronuncia impugnata. L’attenuazione della pena scaturente da tale riconoscimento, però, deve essere ancorata a precisi profili ambientali e comportamentali della vicenda, considerata nel suo complesso ed incastonata in un peculiare ambito cronologico, spaziale e storico, o anche ad aspetti della personalità del reo, che lo rendano concretamente meritevole di attenuazione del rigore sanzionatorio; lungi dal divenire mera applicazione consuetudinaria, tale riconoscimento deve ricevere adeguato sostegno, attraverso aspetti concreti emergenti dagli avvenimenti, che militino in senso favorevole al reo. La concessione delle circostanze attenuanti generiche, inoltre, non dovrà mai divenire una pura e semplice concessione di stile , quasi che essa si atteggiasse alla stregua di un diritto, invece inesistente, in capo al colpevole.
Noto Ł, allora, come le circostanze attenuanti generiche non debbano tradursi nell’inesistenza di elementi negativi, bensì compendiarsi nella esistenza di motivi positivi, atti a giustificare la decurtazione sanzionatoria. La richiesta di generiche, quindi, deve connotarsi per l’indicazione di elementi di carattere specifico, con i quali Ł poi doveroso instaurare un confronto e fornire risposta esaustiva (tale regola ermeneutica, unanimemente affermata dalla giurisprudenza di legittimità, si trova, fra tante, in Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590 – 01, che ha così statuito: ‹‹L’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse››; nello stesso senso, si veda Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, COGNOME, Rv. 195339 – 01).
11. L’ottavo motivo dell’impugnazione dell’avv. COGNOME nell’interesse di XXXXXXXXXX, il quarto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXX e il quinto motivo del ricorso
dell’avv. COGNOME parimenti per XXXXXXX, aggrediscono la ritenuta sussistenza della premeditazione (motivi enumerati, in parte narrativa, sub 2.8., 3.4. e 4.5.).
In ottica difensiva, raccordando tra loro le versioni rese dagli altri coimputati – al contrario di quanto affermato da XXXXXXXXX – dovrebbe evincersi come XXXXXXX non fosse consapevole del progetto omicidiario, per essersi egli limitato a fungere da messaggero nei confronti di XXXXXXXXXX, senza sapere quali progetti questi avesse poi in animo di condividere con XXXXXXXXX. Erroneamente, allora, sarebbero stati ritenuti sussistenti i due requisiti necessari per la contestazione dell’aggravante, ossia quello ideologico e quello cronologico; non vi sarebbe prova, infatti, del fatto che XXXXXXX fosse a conoscenza del piano già diversi giorni prima dell’omicidio e – con riferimento all’elemento ideologico – il ricorrente non sarebbe stato a conoscenza della volontà omicida che animava
XXXXXXXXX, nØ della preventive somministrazione di barbiturici alla vittima e nemmeno, infine, della presenza di un’arma, comparsa improvvisamente sulla scena del crimine.
Sottolinea la difesa, infine, come NOME abbia revocato il proprio consenso alla commissione del fatto, dandosi alla fuga immediatamente dopo il risveglio di XXXXXXXXX e non prendendo parte, dunque, alla successiva azione di soffocamento. NOME, inoltre, non nega di esser stato presente sulla scena del crimine, ma afferma di non esser stato a conoscenza di quanto gli altri avessero preventivato di compiere; l’unico che afferma l’esistenza di un progetto condiviso da tutti, secondo la difesa, sarebbe XXXXXXXXX.
11.1. Questa Corte di legittimità ha, per il vero, piø volte espresso principi in diritto tesi a creare una netta linea di demarcazione, tra la semplice preordinazione (di un reato doloso come l’omicidio volontario, consumato o tentato) e la circostanza aggravante della premeditazione. Tale linea interpretativa – cui il Collegio presta adesione – Ł stata espressa con particolare chiarezza da Sez. 1 n. 47250 del 09/11/2011, COGNOME, Rv. 251503 (tale decisione ha chiarito come – in tema di omicidio volontario – non rappresenti sicuro indice rivelatore della premeditazione, che si sostanzia in una deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata, il mero intervallo cronologico riscontrabile, tra la preparazione e l’esecuzione, sì come non possono trarsi elementi di certezza dalla predisposizione di un agguato, in quanto ciò attiene alla realizzazione del delitto e non Ł sufficiente a dimostrare l’esistenza di quel processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione, che connota la indicata circostanza aggravante), nonchØ da Sez. 1 n. 5147 del 14/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266205 (in questo caso, la Corte ha precisato come la mera preordinazione del delitto – intesa quale apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a questa ultima immediatamente precedente – non sia bastevole ad integrare l’aggravante della premeditazione, che postula invece il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive).
In effetti, come osservato, tra le altre, da Sez. 5, n. 26406 del 11/03/2014, COGNOME, Rv. 260219, spetta al giudice di merito cogliere ed apprezzare tutte le peculiarità della fattispecie concreta, posto che anche una sorta di ‘agguato’ può essere frutto di una iniziativa estemporanea accompagnata da dolo, ma non inquadrabile nei caratteri della circostanza aggravante.
11.2. La Corte di secondo grado, raccogliendo tali indicazioni dell’organo nomofilattico, ha realizzato una logica attribuzione di peso ai numerosi elementi di valutazione e conoscenza emersi. Con motivazione logica, dettagliata e puntuale, la Corte
ha desunto la sussistenza della premeditazione, da una variegata congerie di dati probatori, di eterogenea genesi, ma tra loro collimanti alla perfezione.
Si Ł così sottolineata la pianificazione con largo anticipo della condotta, da parte degli imputati, deducendo tale fatto dalla certosina predisposizione dei singoli dettagli del gesto e dalla accurata predisposizione dei ruoli. La Corte territoriale, sul punto, ha ricordato che:
secondo le collimanti ricostruzioni di XXXXXXXXX e di XXXXXXX (coincidenti con la prima versione resa da XXXXXXXXXX, tanto in interrogatorio di garanzia, quanto in sede di incidente probatorio), l’omicidio venne realizzato in esecuzione di un progetto lungamente coltivato, attraverso lo studio delle abitudini domestiche della vittima, la programmazione delle azioni e la ripartizione dei compiti attuativi a ciascuno attribuiti;
tale piano venne condiviso da tutti coloro che si sarebbero resi protagonisti, in seguito, della fase esecutiva (si ricorderà che XXXXXXX e XXXXXXXXXX vennero coinvolti nel gesto delittuoso, stante la temporanea inabilità alla deambulazione nella quale si trovava XXXXXXXXX; non sfuggirà, inoltre, come tale progetto rimontasse a circa un anno addietro, nonostante i successivi ‘aggiustamenti’ intervenuti nella fase meramente attuativa);
la modalità prescelta era consona alla natura ‘personale’ e non mafiosa del gesto omicidiario, tanto che si decise (su consiglio di un medico amico) di procedere alla somministrazione di un medicinale non rilevabile in sede autoptica, la cui efficacia letale venne anche provata su un cane (si intendeva, come già chiarito, ammantare l’assassinio quale morte per cause naturali, non conferendo allo stesso alcuna delle cara delle caratteristiche ‘dimostrative’ e plateali, che sono proprie degli omicidi posti in essere nell’ambito della criminalità organizzata).
La Corte distrettuale, inoltre, non ha trascurato di sottolineare come proprio XXXXXXX abbia praticato l’iniezione mortale, iniettando a XXXXXXXXX il veleno indicato dal medico. I Giudici di secondo grado, dunque, hanno chiarito la sussistenza tanto del requisito cronologico (segnato dalla ricorrenza di un apprezzabile lasso di tempo, fra la insorgenza del proposito assassino e la realizzazione dello stesso, arco temporale idoneo a consentire una ponderata riflessione circa il disvalore di quanto programmato e in ordine alla possibilità di recedere), quanto dell’elemento di natura ideologica connotante il proposito delittuoso (una risoluzione criminosa restata stabile, ferma nella mente dei soggetti agenti, tutti inequivocabilmente decisi a dare attuazione a un piano che li coinvolgeva tutti, con compiti già specificamente attribuiti e secondo fasi di intervento già minuziosamente scandite).
Ritiene questo Collegio, per concludere, che vi sia stata ampia e doviziosa risposta ad ogni censura formulata dalla difesa in sede di gravame e che la sussistenza dell’aggravante della premeditazione sia sorretta da una struttura motivazionale di sicura solidità.
Con il decimo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME per XXXXXXX (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 3.10) viene rappresentato come all’udienza del 08/01/2019 – una volta riformulata l’istanza di accesso al rito abbreviato – la Corte di assise abbia acquisito alcuni verbali dell’udienza preliminare, ma all’unico fine di vagliare l’ammissibilità del rito invocato; una volta disattesa l’istanza, tali atti non sarebbero stati estromessi dal fascicolo del dibattimento. In tal modo, stando alla prospettazione difensiva, tali atti sarebbero stati impropriamente adoperati a fini decisori atti.
La difesa segnala anche – nell’atto di impugnazione – di aver posto la medesima questione nel corso del giudizio di secondo grado; a tale punto del gravame, dunque, la Corte distrettuale avrebbe opposto la mancata utilizzazione, a fini di decisione, del verbale di interrogatorio reso da XXXXXXX dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare, in data 31/05/2018, ad onta della materiale presenza fisica dell’atto stesso, nell’incarto processuale.
A mezzo del presente ricorso, quindi, la difesa si limita ad affermare apoditticamente la necessità che il sopra detto verbale sia restato fisicamente presente dal fascicolo del dibattimento; non viene però chiarito in quali punti, specificamente, tale atto sia stato utilizzato a fini decisori. Tale doglianza Ł stata già oggetto del quinto motivo di appello, al quale la Corte distrettuale ha opposto proprio il pedissequo richiamo al relativo passaggio della motivazione della decisione della Corte di assise, che aveva espressamente escluso di poter utilizzare tale verbale (si veda quanto scritto – in maniera del tutto esplicita – a pag. 30 della sentenza di primo grado). Anzi, non vi Ł chi non rilevi come la Corte di assise di appello si sia fatta carico anche di escludere che – nella parte motiva della sentenza di primo grado vi fosse la minima traccia dell’utilizzo di tali dichiarazioni a fini decisori (si legga quanto scritto nella sentenza impugnata, a pag. 50).
Per maggior chiarezza, allora, si può precisare quanto segue.
La Corte di assise di appello ha fondato la propria risposta alla doglianza sussunta nel gravame, concordando con la difesa, circa il fatto che il verbale in questione fosse stato acquisito esclusivamente in vista del compimento delle opportune verifiche, in ordine all’ammissibilità del rito richiesto; la stessa Corte di secondo grado, poi, ha dato atto del mancato utilizzo dell’atto stesso, in vista della decisione. In sede di ricorso, allora, la difesa avrebbe dovuto specificamente aggredire proprio tale profilo, così da scardinare, eventualmente, uno dei pilastri della avversata sentenza. Sarebbe stato necessario, così, indicare l’aspetto specifico di tale verbale, asseritamente adoperato in vista della decisione.
Tale tipologia di critica risulta del tutto assente nel ricorso, cosa che rende la censura radicalmente distonica, rispetto al contenuto della decisione aggredita, dunque inammissibile per aspecificità. ¨ noto, infatti, che la mancanza di specificità del motivo dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, secondo il parametro della indeterminatezza, bensì anche per la mancanza di correlazione, tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591, comma 1 lett. c), all’inammissibilità (fra tante, si vedano Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710).
13. Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto dei ricorsi; segue ex lege la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Ricorrendone le condizioni, infine, deve essere disposta l’annotazione di cui all’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2003, n. 196, recante il ‘codice in materia di protezione dei dati personali’.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 13/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME