Concorso di Persone nel Reato: Quando la Presenza Diventa Partecipazione Attiva
Nel diritto penale, la linea di demarcazione tra essere un semplice spettatore di un illecito e diventarne complice è sottile ma cruciale. La recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi chiara su questo punto, distinguendo la ‘connivenza non punibile’ dal concorso di persone nel reato. Questo concetto è fondamentale per capire quando la condotta di un individuo, anche se non è l’autore materiale del crimine, assume rilevanza penale. La sentenza in esame riguarda un caso di detenzione di sostanze stupefacenti e chiarisce quali elementi trasformano una presenza passiva in una cooperazione punibile.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Rimini e confermata dalla Corte d’Appello di Bologna. Un soggetto veniva giudicato colpevole, insieme a un complice, per la detenzione a fini di spaccio di un considerevole quantitativo di sostanze stupefacenti, tra cui cocaina, marijuana e hashish. La droga era stata rinvenuta in parte all’interno dell’autovettura su cui viaggiavano i due e in parte in un garage nella disponibilità dell’imputato.
L’interessato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di essere stato estraneo ai fatti. La sua difesa si basava sull’idea che la sua condotta fosse, al massimo, riconducibile a una ‘connivenza non punibile’. In altre parole, pur essendo forse a conoscenza della presenza della droga, non avrebbe fornito alcun contributo attivo alla sua detenzione e al progetto di spaccio, che sarebbe stato interamente gestito dal complice.
La Decisione della Corte e il Concorso di Persone nel Reato
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno ribadito un principio cardine del sistema processuale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul fatto, ma un giudice di legittimità. Il suo compito non è rivalutare le prove, ma verificare che i giudici di merito abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il ricorso fosse una semplice riproposizione di argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, con una motivazione solida e coerente, aveva dimostrato che l’imputato non era stato un mero spettatore, ma un partecipe attivo nell’attività illecita, integrando così gli estremi del concorso di persone nel reato.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su una serie di elementi fattuali che, nel loro insieme, delineano un quadro di piena compartecipazione. I giudici hanno evidenziato che:
1. Consapevolezza e azione diretta: L’imputato non solo era consapevole della presenza della droga sull’auto, ma ne conosceva anche l’esatto nascondiglio. Durante il controllo delle forze dell’ordine, aveva tentato attivamente di disfarsene.
2. Tentativo di ostacolare il controllo: Insieme al complice, aveva cercato di allontanare gli agenti dall’autovettura, chiedendo con insistenza di poter andare via. Questo comportamento è stato interpretato come un chiaro tentativo di proteggere l’attività illecita.
3. Contraddizioni nelle dichiarazioni: Le versioni fornite dai due imputati presentavano significative discrepanze su diversi punti, come i loro spostamenti e le loro sistemazioni abitative. Queste contraddizioni hanno indebolito la loro credibilità e rafforzato l’ipotesi di un accordo criminoso.
4. Disponibilità del garage: Parte dello stupefacente, insieme a materiale per il confezionamento (termosaldatrice, cellophane, buste) e una somma di denaro non giustificata, era stata trovata in un garage di cui l’imputato aveva la disponibilità, prima ancora che il complice. Ciò indicava un suo ruolo diretto nella custodia del materiale illecito.
La Corte territoriale, sulla base di questi elementi, ha concluso che esisteva un quadro univoco della compartecipazione dell’imputato alla detenzione dello stupefacente. Non si trattava di semplice connivenza, ma di un contributo causale e consapevole alla realizzazione del reato.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di concorso di persone nel reato: per essere considerati concorrenti non è necessario compiere l’azione tipica del reato (in questo caso, lo spaccio), ma è sufficiente fornire un contributo apprezzabile alla sua realizzazione. Azioni come nascondere la sostanza, ostacolare i controlli di polizia o mettere a disposizione luoghi per la custodia integrano pienamente la fattispecie del concorso. La ‘connivenza non punibile’ rimane confinata a una sfera di mera conoscenza passiva, senza alcun apporto, neppure minimo, all’attività criminale altrui. La decisione sottolinea come la valutazione del contributo di ciascun concorrente debba basarsi su un’analisi logica e complessiva di tutti gli elementi emersi nel processo.
Qual è la differenza tra connivenza non punibile e concorso di persone nel reato?
La connivenza è una condizione di mera conoscenza passiva di un reato commesso da altri, senza fornire alcun contributo. Il concorso di persone nel reato, invece, richiede una partecipazione attiva, ovvero un contributo materiale o morale che agevoli o renda possibile la commissione del reato, ed è quindi punibile.
La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione svolge un giudizio di legittimità. Non può riesaminare nel merito i fatti o le prove, ma solo verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano fornito una motivazione logica e non contraddittoria alla loro decisione.
Quali azioni specifiche hanno portato la Corte a condannare l’imputato per concorso nel reato?
Le azioni decisive sono state: la conoscenza del nascondiglio della droga sull’auto, il tentativo di disfarsene durante il controllo di polizia, il tentativo di allontanare gli agenti dall’auto, la disponibilità del garage dove era custodita altra droga e le dichiarazioni palesemente contraddittorie rispetto a quelle del complice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23020 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23020 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 22/04/1994
avverso la sentenza del 21/10/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Rimini con la quale NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui all’art. 73 co.1 e 4, d.P.R. 309/1990 per avere detenuto, in concorso con NOME COGNOME grammi 57 di cocaina, grammi 67 di marijuana e grammi 100,02 di hashish, ritenuta destinata alla spaccio. In Misano Adriatico fino al 30 gennaio 2024.
Avverso la sentenza è stato proposto ricorso affidato a un unico motivo con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. cit. Deduce la difesa che la condotta dell’appellante era al più riconducibile ad una connivenza non punibile e non sussistevano i presupposti per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110 cod. pen.
3. Il ricorso è inammissibile. Va rammentato che è preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
Il ricorso è, inoltre, riproduttivo delle censure già vagliate e disattese con un percorso motivazionale logico giuridico che non merita le censure mosse in quanto la sentenza è sorretta da non illogica e non contraddittoria motivazione, congrua rispetto alle emergenze acquisite e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
Le censure concernenti le carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale e dell’attribuzione dello stesso anche all’imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logiche e coerenti argomentazioni, estese agli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti a sollecitarne la rilettura.
La Corte ha respinto la tesi difensiva secondo cui la droga sarebbe stata nell’esclusiva disponibilità del COGNOME e non anche del’COGNOME che al più sarebbe stato connivente, evidenziando che durante il controllo era proprio COGNOME, il quale non era solo consapevole della presenza della droga sull’auto ma ne conosceva anche il nascondiglio, in occasione del controllo a cercare di disfarsene e poi, insieme a COGNOME a cercare di non fare avvicinare gli operanti all’autovettura chiedendo con insistenza di andare via. E’ stato poi posto l’accento sulla circostanza che era stato COGNOME a riferire di essere stato accompagnato dal COGNOME nello stesso pomeriggio al Serd poi a
casa sua dove presso il garage veniva rinvenuto altro stupefacente, una macchina termosaldatrice, pellicola di cellophane, coltello da cucina intriso di sostanza stupefacente oltre che buste in plastica per il sottovuoto, nonché sul rinvenimento di 750 euro in contanti “dei quali non era fornita adeguata giustificazione”. Non ha mancato la Corte, al netto degli argomenti spesi in merito al fatto che NOME, cugino del ricorrente, si sarebbe attribuito l’esclusiva detenzione della droga, di evidenziare le contraddizioni nella versione offerta dai due concorrenti: così COGNOME ha riferito che NOME aveva pernottato con lui presso il residence mentre NOME nulla riferiva sul punto e lasciava intendere che il cugino vi abitasse con la compagna; COGNOME aveva riferito che NOME prima lo avrebbe accompagnato al Serd e poi a a casa mentre NOME non riferiva nulla circa il passaggio al Serd anzi, sosteneva che all’atto del controllo si stava recando a casa del cugino; che NOME si sarebbe attribuito la paternità di tutto quanto era stato rinvenuto e sequestrato mentre COGNOME assumeva che parte del denaro fosse suo. Da tutto quanto sopra detto, la Corte territoriale, con motivazione affatto illogica, ha ritenuto un quadro univoco della compartecipazione dell’COGNOME alla detenzione dello stupefacente di diversa natura e quantità, detenuto parte al seguito e rinvenuto in occasione del controllo e parte presso il garage nella disponibilità dell’COGNOME, prima ancora che del cugino COGNOME il quale avrebbe disposto delle chiavi. La motivazione posta dalla Corte territoriale è effettiva, non è illogica perché sorretta da argomenti non viziati o da errori evidenti nell’applicazione delle regole; non è contraddittoria né logicamente incoerente con gli atti del processo.
Essendo il ricorso inammissibile, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Deciso in data 10 giugno 2025
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