Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29968 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29968 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANZARO nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nata a CROTONE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROCCABERNARDA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di questi ultimi
NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA
inoltre:
COGNOME‘ NOME
NOME
NOME COGNOME
COGNOME NOME
avverso la sentenza del 03/10/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e jj, ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo:
l’annullamento con rinvio – in accoglimento del ricorso del PG presso la CA di
Catanzaro – riguardo la posizione di COGNOME NOME;
l’annullamento con rinvio per i ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME; l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
uditi i difensori:
AVV_NOTAIO in difesa delle parti civili COGNOME NOMENOME, NOME e COGNOME NOME insiste per il rigetto e/o l’inamissibilità dei ricorsi, riportandosi per le conclusioni alle note già depositate cancelleria
AVV_NOTAIO in difesa di NOME insiste per l’accoglimento del ricorso;
AVV_NOTAIO COGNOME in sostituzione del difensore di COGNOME NOME, chiede il rigetto del ricorso del P.G. presso la CA di Catanzaro;
lAVV_NOTAIO in difesa di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME insiste per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 3/10/2023 che, in parziale riforma della sentenza del Gup dello stesso tribunale, ha confermato l’affermazione di responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro ascritti, con le statuizion carattere civile e in materia di confisca ivi precisate.
Ricorre per cassazione anche il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro limitatamente al proscioglimento dell’imputato COGNOME NOME, assolto dal concorso nel delitto di cui al capo 13) della rubrica.
Il difensore delle parti civili costituite COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ha depositato memoria con cui ha chiesto rigettarsi o dichiararsi inammissibili i ricorsi degli imputati.
I motivi oggetto dei ricorsi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro. Con un unico motivo deduce la violazione e l’inosservanza dell’art. 110 cod. pen. e il vizio di motivazione in ordine all’assoluzione di NOME dal capo 13) per non aver commesso il fatto.
Il motivo, inerente alla vicenda dei falsi testamenti olografi nell’ambito della quale il COGNOME aveva svolto l’incarico di tecnico, si incentra sulla distinzione tr connivenza non punibile, conclusione alla quale era giunta la sentenza impugnata nell’assolvere l’imputato, e concorso di persone nel reato, ipotesi invece coltivata dal primo giudice che era pervenuto all’affermazione di responsabilità in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Si lamenta il mancato apprezzamento del concorso morale del COGNOME ricavabile dalle circostanze di avere fatto pubblicare i testamenti, avendo preventivamente partecipato, unitamente ai coniugi COGNOME, alle trattative relative alla vendita dei beni con gli effetti proprietari, curato personalmente la predisposizione delle scritture private e presenziato anche agli incontri dal AVV_NOTAIO al posto del capo cosca, ossia COGNOME NOME COGNOME, rivolgendosi successivamente al AVV_NOTAIO con la richiesta di pubblicare i testamenti “in cui paradossalmente venivano riportati i medesimi terreni indicati nelle scritture private”.
Il ricorso è fondato.
La Corte di appello ha assolto l’imputato COGNOME NOME sul rilievo che questi, a differenza dei coimputati e coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, non avrebbe avuto un interesse personale NOME vicenda in quanto non destinatario di alcuno degli acquisti in oggetto, a differenza dei già menzionati coimputati.
Si tratta, tuttavia, di una lettura parcellizzata ed anche contraddittoria rispetto alle premesse di fatto in cui – secondo la ricostruzione dei giudici di merito – vanno collocate le plurime condotte di falsità dei testamenti accertate.
Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta, infatti, che i falsi testament olografi attengono a terreni in realtà riconducibili a terze persone, di guisa che il testatore non avrebbe potuto disporne. Si legge, infatti, che i terreni erano stati acquisiti per mezzo di scritture private non autenticate oppure oggetto di indebita occupazione da parte del AVV_NOTAIO.
I testamenti, pertanto, non sono solo risultati falsi – anche a seguito degli accertamenti tecnici svolti dal consulente del pubblico ministero – ma hanno la comune finalità di dare una parvenza di liceità all’accaparramento dei medesimi terreni che venivano in tal modo schermati al fine di evitare l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali da parte del COGNOME NOME COGNOME, in ragione della sua già conclamata pericolosità sociale (al riguardo il primo giudice richiama l’essere stato il COGNOME sottoposto a sorveglianza speciale e gli elementi di cui alla condanna con doppia conforme riguardo alla contestazione associativa di stampo ‘ndranghetista). A fronte di scritture private redatte, ma non eseguite da regolari atti notarili, a cui si accompagnava anche in diversi casi il previo esercizio di pressioni ed intimidazioni per coartare la volontà degli effettivi proprietari, testamento (o la donazione) in favore dei coniugi COGNOME–COGNOME era lo strumento per formalizzarne l’intestazione (v. pag. 18 sentenza di primo grado).
È, dunque, in tale contesto di fatto – che accomuna entrambi i coniugi COGNOME per come ricavato dalla reciproca convergenza delle condotte concorsuali ai medesimi contestate in ragione degli elementi di diretto coinvolgimento a ciascuno riferibili – che va valutata la portata indiziante attribuita dai giudici di meri vantaggio conseguente alla falsificazione quale elemento logicamente dimostrativo del concorso nelle falsità dei testamenti olografi.
Su tale aspetto la sentenza impugnata non si pone in contraddizione col principio di diritto a cui fa riferimento la difesa, in quanto, lungi dall’ asseverato una responsabilità concorsuale di posizione che opererebbe “a ritroso” qualificando il contributo di tutti i concorrenti, il vantaggio del destinatario dell’ è stato correttamente legato al movente sotteso alle falsificazioni, comune ai coniugi COGNOME, che si nutre di altri elementi di tipo convergente ricavati dal fattivo coinvolgimento di tali coimputati in tutte le attività prodronniche dapprima
al possesso dei terreni, poi alla loro formale e legittima acquisizione per atto testamentario o donativo, fino allo svolgimento degli adempimenti di carattere notarile e fiscale volti ad asseverarne la regolarità.
Pertanto, se questo è il contesto in cui si inserisce la mano – rimasta ignota di colui che materialmente vergò le firme olografe degli atti, non ci si può limitare ad asseverare l’ipotesi concorsuale soltanto di coloro – i coniugi COGNOME – che secondo i giudici di merito ne hanno mosso le fila, dimenticandosi dei contributi, pur necessari, che al perseguimento di detta ed unitaria finalità anche i terzi – e in particolare l’imputato COGNOME -hanno prestato e/o assicurato in modo continente sia prima che dopo la realizzazione della condotta punibile.
E tanto alla luce non solo della tipizzazione unitaria del concorso di persone nel reato, la quale assegna rilievo, a pari titolo, a chi compie la condotta tipica rispetto a colui o a coloro che hanno apportato un contributo qualsiasi, purché dotato di rilevanza causale nell’ambito della realizzazione collettiva del fatto, ma soprattutto perché il falso testamento costituisce uno dei segmenti attraverso cui si realizza l’illecito disegno avuto di mira dal COGNOME NOME COGNOME che, come detto, si nutre tanto di atti antecedenti che successivi che vedono la stretta e sinergica cooperazione di tutti gli imputati (i coniugi COGNOME e del COGNOME NOME sin dalla redazione delle scritture con cui i coniugi COGNOME sono entrati per la gran parte inizialmente in possesso dei beni).
è,dunque,rispetto a tale ordito che il giudice del merito doveva valutare la convergenza finalistica dei molteplici contributi di tipo “accessorio” e “strumentale” apportati da ciascuno dei concorrenti e, dunque, dal COGNOME della cui assoluzione il pubblico ministero ricorrente decisamente si duole, valutando se l’aver partecipato previamente alle trattative relative alla vendita dei beni unitamente ai coniugi COGNOME, aver provveduto alla predisposizione delle scritture private, presenziato a incontri anche dal AVV_NOTAIO al posto del capo cosca, curando come delegato la pubblicazione dei testamenti, presentato le integrazioni testamentarie, effettuato le relative denunzie presso l’Agenzia delle entrate, siano indici rivelatori di quella previa intesa che legittimerebbe l’estensione della punibilità, soprattutto se l’indicazione del COGNOME quale soggetto a cui le stesse persone offese sono tenute a rivolgersi risulta provenire, sin dalla stipula delle scritture, dallo stesso COGNOME.
Nell’ambito di tale indagine dovrà anche aversi riguardo all’ulteriore elemento, non poco significativo, costituito ‘anche] dal fatto di essersi rivolto l’imputat successivamente al AVV_NOTAIO con la richiesta di pubblicare i testamenti “in cui paradossalmente venivano riportati i medesimi terreni indicati nelle scritture private”.
Va, infatti, ribadito che può ricadere nell’alvó del concorso di persone nel reato anche l’attività materiale post delictum (consistita NOME pubblicazione del
testamento), laddove costituisca un programmato contributo all’altrui condotta criminosa che ha consentito una più agevole commissione della falsità avuta di mira, soprattutto se si considera che è proprio con la pubblicazione che il testamento olografo acquista efficacia (art. 620, comma 1, cod. civ.).
La Corte di legittimità ha, al riguardo, precisato che può ricadere nell’ambito del concorso di persone nel reato:
il contributo agevolante o facilitante che risulti, con un giudizio “ex post”, tale da prestarsi in concreto ad essere valutato come una “condicio sine qua non” dell’evento (Sez. 4, n. 6664 del 28/01/1993, COGNOME, Rv. 195476 – 01);
l’attività materiale post delictum, laddove costituisca un programmato contributo all’altrui condotta criminosa che ha consentito una più agevole commissione del reato avuto di mira. In tema di concorso di persone, l’accordo preventivo alla commissione del delitto presupposto tra l’autore materiale e colui che promette assistenza ed aiuto “post delictum”, integra concorso morale qualora si manifesti con forme agevolatrici della condotta illecita , idonee a determinare, istigare o rafforzare il proposito criminoso altrui, con conseguente esclusione della configurabilità della responsabilità per ricettazione (Sez. 1, n. 17541 del 12/01/2021, Di Bari, Rv. 281219 – 01. Conf. n. 9612 del 1987, Rv. 179311; n. 2732 del 1984, Rv. 168440; n. 5310 del 1983, Rv. 159377).
La motivazione della sentenza impugnata, NOME parte in cui ha prosciolto il COGNOME, si presta anche a disattendere il principio di diritto affermato dalla Corte di legittimità a mente del quale, nel caso di ribaltamento in appello della sentenza assolutoria di primo grado sussiste un obbligo di motivazione rafforzata, risultando necessario che la sentenza che riforma la condanna si confronti in modo puntuale con quella che esprime la decisione assunta all’esito della prima fase processuale, confermando la risalente indicazione ermeneutica secondo cui la decisione del giudice di appello, che comporti totale riforma della sentenza di primo grado, impone la dimostrazione dell’incompletezza o della non correttezza ovvero dell’incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente dimostrazione che, sovrapponendosi “in toto” a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (ex multis, Sez. 2, n. 41784 del 18/07/2018, E., Rv. 275416 – 02, in motivazione a pagg. 4-5 sub 1.3.2).
In accoglimento del ricorso del pubblico ministero vdvannullata nei confronti di COGNOME NOME la sentenza impugnata, limitatamente al capo 13) dell’imputazione, con rinvio per nuovo giudizio a diversa sezione della Corte di appello di Catanzaro.
2. I ricorsi degli imputati:
COGNOME NOME
(Capo 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 416-bis.1, 629 cod. pen., nonché degli artt. 125, 192, 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
La censura attiene all’estorsione in danno di COGNOME NOME, che sarebbe stato costretto a vendere alcuni terreni ai coniugi COGNOME (la ricorrente è la moglie di COGNOME NOME, coimputato) ad un prezzo inferiore a quello reale.
Si lamenta:
l’assenza di violenza e minaccia NOME condotta tenuta dalla ricorrente, essendosi limitata, al pari dei coimputati prosciolti (il riferimento è a COGNOME NOME), ad invitare il COGNOME presso la propria abitazione, per come emergeva dalle dichiarazioni della p.o., il quale aveva riferito che i soggetti che lo avevano invitato (e non convocato) a recarsi a casa COGNOME (tra cui l’odierna ricorrente), non lo avevano mai minacciato;
difettava, poi, alcuna condotta indicativa di una consapevolezza/complicità dell’imputata che non poteva trarsi dal suo coinvolgimento NOME fase finale della vicenda, vale a dire dalla sua qualità di beneficiaria dei terreni, considerato che ella si era limitata a partecipare ad un regolare atto di acquisto e a versare il prezzo pattuito, condotta, quest’ultima, evidentemente distonica rispetto al consapevole concorso in un’ipotesi estorsiva;
nessun rilievo assumeva ad attestare il dolo degli acquisti dei terreni – e dunque il coinvolgimento quale complice del marito nell’ordito estorsivo – la questione del falso testamento di cui al capo 5) della rubrica, trattandosi di vicenda NOME quale la ricorrente non era stata affatto coinvolta;
si era ricavata l’aggravante speciale dal mero dato obiettivo costituito dalla gravità della minaccia e dalla sua provenienza, anche se la p.o. non aveva mai fatto riferimento alla caratura criminale del COGNOME o quantomeno all’evocazione del sodalizio mafioso da parte del predetto, valorizzandosi il dato territoriale in assenza di quel quid pluris che deve connotare l’utilizzo del metodo mafioso; si era ,quindi, operato un automatismo non consentito tra il dato oggettivo del territorio con presenze mafiose e la configurabilità dell’aggravante.
Il motivo è manifestamente infondato.
La circostanza che la ricorrente non abbia profferito alcuna minaccia ovvero commesso violenza ai danni della persona offesa non è sufficiente ad escluderne la responsabilità concorsuale, in quanto l’attività costitutiva del concorso di persone nel reato può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione,
organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso, talché assume carattere decisivo l’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato che s verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio d prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui (Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2013, Rv. 255260).
Le sentenze di merito hanno ben evidenziato – anche mediante una lettura unitaria delle vicende oggetto dei molteplici capi di imputazione – sia i contributi materiali resi dalla ricorrente al comune obiettivo illecito avuto di mira sostanziatisi non solo attraverso l’aver veicolato la richiesta volta alla cessione ai coniugi COGNOME dei terreni, poi esteriorizzatasi con violenza e minaccia ascrivibili al marito (v. pag. 20), ma l’aver assunto la veste di parte contrattuale necessaria affinché l’ordito illecito si traducesse in atto.
L’esistenza di un movente comune, per come ricostruito dai giudici di merito ed evidenziato a proposito del motivo di ricorso del Pubblico ministero, dà ragionevolmente conto del dolo: ai fini della sussistenza del concorso di persone nel reato ha rilevanza il comune movente, che pur essendo estraneo alla nozione di dolo, lo evidenzia, rivelando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti posti in essere dagli imputati e la su dimensione plurisoggettiva, intesa come volontà comune di concorrere nel reato (sul rilievo del movente comune ai fini del dolo di concorso, v. Sez. 5, n. 2675 del 18/10/2021, dep. 2022, V., Rv. 282772).
Quanto, poi, all’aggravante speciale, il giudice del merito, lungi dall’aver ricavato la circostanza dalla gravità del male minacciato o dalla qualità soggettiva del COGNOME NOME quale soggetto additato come capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, ha fatto riferimento alle particolari modalità con cui la minaccia è stata profferita, evidenziando elementi di disvalore connotati di quel necessario quid pluris che esclude la sovrapposizione censurata dalla difesa e in piena aderenza con quelli che sono gli obiettivi di maggior tutela (e retributivi) svolt dall’ulteriore previsione circostanziale. Al riguardo, infatti, si sono richiamate modalità di avvio delle trattative che hanno preceduto la minaccia, essendo la p.o. stata “convocata” al cospetto del potenziale acquirente; si tratta di un dato che non solo stride con la prassi vigente in materia che esclude sia il proprietario a recarsi a casa del potenziale acquirente per raccoglierne la proposta negoziale, in assenza di preventivi contatti diretti e personali e di qualsiasi manifestata volontà di alienazione, ma che è volta a corredare la richiesta estorsiva proprio di quel metus che accompagna l’estrinsecazione del potere mafioso che il ricorrente esercita sul territorio. A ciò si aggiunge anche un ulteriore elemento che connota
la minaccia, costituito dall’ineluttabile perdita dei beni nel caso di mancata adesione, quale elemento logicamente significativo della capacità di attivazione di poteri tipicamente dimostrativi di capacità delinquenziale derivante dal controllo del territorio.
Si è fatta, dunque, corretta applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di legittimità, secondo cui ricorre la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare NOME vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (Sez. 2, n. 39424 del 9/09/2019, Pagnotta, 277222 01; Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, Marcianò, Rv. 281027 – 01).
La circostanza, poi, che la vittima abbia espressamente riferito di avere ceduto i beni per tutelare la sua famiglia da ben più pesanti ritorsioni (v. pag. 25), dà ragionevolmente conto di come tale carica intimidatoria aggiuntiva sia stata anche percepita dalla p.o., stante la diffusa conoscenza sul territorio del rango criminale del COGNOME NOME COGNOME di cui entrambe le sentenze di merito danno contezza.
La piena consapevolezza della COGNOME COGNOME proposito criminoso realizzato dal marito e l’essersi direttamente prestata a fungere da trait union alla disposta convocazione dimostra anche la consapevolezza della circostanza, la quale, in virtù della natura oggettiva, si applica a tutti i concorrenti nel reato, ancorché le azion di intimidazione e minaccia siano state materialmente commesse solo da alcuni di essi (Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, Bisogni, Rv. 285018 – 01).
(Capo 13) Violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 482 e 491 in ordine agli artt. 476, 416-bis.1 cod. pen., nonché degli artt. 125, 192, 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Il motivo investe la vicenda relativa al testamento olografo di COGNOME NOME, padre della ricorrente (il testamento avrebbe rappresentato lo strumento per schermare l’effettiva cessione a titolo oneroso di alcuni terreni in modo da rendere inattaccabile il passaggio di proprietà dei beni).
Quanto al delitto di cui agli artt. 482-491 cod. pen., a fronte di una contestazione che addita tutti i concorrenti di avere formato l’atto falso, si era invece ricavata la responsabilità della ricorrente dall’esclusiva qualità di dirett beneficiaria dell’incremento patrimoniale (in termini Sez. 5, n. 29877 del 28 ottobre 2020), in assenza di prova che fosse in qualche modo autrice della falsità e che fosse alla medesima ascrivibile la successiva presentazione dell’atto falso.
Il motivo è manifestamente infondato.
Le censure svolte in ordine a tale capo di imputazione – comuni anche al coimputato COGNOME NOME – risultano riproduttive di profili di censura già
motivatamente scrutinati dai giudici di merito e, soprattutto, muovono da una lettura parcellizzata della vicenda, al fine di svilirne la pregnanza contenutistica.
Quanto alla COGNOME, la Corte di merito ha indicato, oltre all’elemento costituito dall’essere la formale beneficiaria dell’atto pubblico, anche l’ulterior dato costituito dal fatto che l’apparente dante causa era il suo genitore.
Ma a corredo dell’affermazione di responsabilità non possono non rilevare anche le ulteriori circostanze di fatto enunciate dal primo giudice a proposito del fattivo e diretto coinvolgimento della ricorrente riguardo alle altre ipotesi d concorso in contraffazione degli altri testamenti olografi che la designavano come erede nell’ambito delle vicende trattate ai capi 10) e 11) dell’imputazione (v. pagg. 54-58, dichiarate poi prescritte), le quali traggono origine, al pari di quella i esame, in disposizioni testamentarie o in atti donativi (si tratta di altre ipotesi d reato pure asseverate in fatto dalle sentenze di merito) rispettivamente provenienti dai nonni.
La circostanza, poi, che l’intento di accaparramento dei terreni ricondotto al AVV_NOTAIO fosse avvenuto anche mediante il ricorso all’opera della ricorrente, quale coniuge, la quale si era prestata dapprima a sottoscrivere le varie scritture private e poi a risultare falsamente designata come erede da chi di quei terreni non poteva disporne, dà ragionevolmente conto anche della sussistenza dell’intestazione fittizia pure contestata, in quanto ciò che mancava alla realizzazione del congegno criminale messo in piedi dal COGNOME (così si esprime il Gup a pag. 17) era un atto che appuntasse formalmente i beni in capo ad un terzo (la ricorrente) ab origine designata quale prestanome.
Né, sul punto, rileva la circostanza che la ricorrente fosse entrata in possesso dei terreni a seguito di atti di trasferimento inter vivos, in quanto l’effetto traslativo non si era materialmente realizzato in assenza dei relativi e necessari rogiti, tanto che i terreni all’atto del falso testamento risultavano NOME proprietà dei danti causa (v. sul punto anche le indicazioni contenute nel capo di imputazione). E il ricorso allo stratagemma di ricorrere all’atto testamentario per sottrarsi alle prevedibili misure di ablazione previste dalla normativa risulta del tutto idoneo, per la più difficoltosa aggredibilità di tale tipologia di acquisizione patrimoniale rispetto quella “ordinaria”, ma incompleta, di vendita immobiliare, che avrebbe consentito anche di disvelare, in alcuni casi, l’esistenza di atti intimidatori prodromici all’acquisizione del possesso dei terreni da parte di colui che da entrambe le sentenze di merito è indicato essere l’indiscusso capo della ‘ndrina territoriale di riferimento.
Con la conseguenza che non assume decisivo rilievo la circostanza – che la difesa pare avere allegato solo col presente ricorso in quanto non dedotta con i motivi di appello – che i coniugi sin dal 4 agosto 2012 fossero in regime di
separazione e che, dunque, rispetto a detti beni, la ricorrente non ne aveva soltanto la disponibilità. A prescindere dalla valenza di merito della questione, non scrutinabile in questa sede, si è già evidenziato come l’assenza dei rogiti avesse precluso l’effetto traslativo; inoltre, va ribadito che.,in tema di applicazione d misure di prevenzione patrimoniale, nessun valore dirimente può essere attribuito all’intervenuta separazione personale ed alla conseguente assegnazione al coniuge degli immobili di cui si sospetta la provenienza illecita: la “disponibilità” sul bene presupposto della confisca, non è infatti esclusa dalla circostanza che il medesimo sia stato fatto rientrare dall’interessato nell’ambito del regolamento dei rapporti patrimoniali fra coniugi, sicché indubitabilmente esso continua a far parte della sfera dei suoi interessi economici, in cui il concetto di disponibilità si sostanzia (Sez. 2, n, 12541 del 14/02/1997, Nobile, Rv. 207319 – 01; Sez. 6, n. 31330 del 15/04/2015, COGNOME, non mass.).
In conclusione, le sentenze di merito, lungi dall’aver ricavato il concorso della ricorrente e del COGNOME NOME COGNOME NOME contraffazione dal mero vantaggio conseguente alla falsificazione e, dunque, avere attribuito all’imputata una sorta di responsabilità di posizione in qualità di beneficiario, hanno, al contrario, evidenziato una serie di elementi, particolarmente significativi, dai quali risulta che la contraffazione non sia altro che l’epilogo di una vicenda illecita ben più ampia che trova i suoi logici antecedenti NOME commissione degli altri precedenti reati pure affermati dal giudice del merito.
L’atto falso – la mano di chi l’ha vergato è rimasta ignota non costituisce affatto, per come evidenziato a proposito del ricorso del pubblico ministero (vedi anche sub 1 del ricorso del P.G. presso la Corte di appello di Catanzaro), un isolato accadimento avulso dal contesto illecito, ma costituisce lo sviluppo di una condotta di programmazione ed esecuzione del reato che agli stessi imputati materialmente si deve sia prima che dopo la realizzazione della condotta punibile.
E tanto, per come osservato, alla luce della tipizzazione unitaria del concorso di persone nel reato, la quale assegna rilievo, a pari titolo, a chi compie la condotta tipica rispetto a colui o a coloro che hanno apportato un contributo qualsiasi, anche morale, purché dotato di rilevanza causale nell’ambito della realizzazione collettiva del fatto.
Per completezza, va comunque evidenziato che nessuna ricaduta in termini di trattamento sanzionatorio vi è stata per gli imputati con riguardo al delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. – pur espressamente contestato nel capo 13) della rubrica sia con riferimento all’indicazione della norma violata sia riguardo alla condotta. Seppur, infatti, il giudice di appello, integrando la motivazione del primo giudice, ne ha confermato la sussistenza (escludendone anche l’intervenuta prescrizione, da collocarsi al 3 ottobre 2015), è stato mantenuto fermo il trattamento
sanzionatorio stabilito dal Gup che, per il reato continuato sub cap 13) della rubrica, non contiene alcun aumento di pena per detta ipotesi di reato, risultando indicato per il “concorso NOME redazione di falsa disposizione testamentaria” ovvero “per il concorso nelle false disposizioni testamentarie”( v. pag. 79 e 80 in ordine alla determinazione della pena per COGNOME NOME e COGNOME NOME),
(Capo 19) Violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 629, 416-bis.1 cod. pen., nonché degli artt. 125, 192, 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Il motivo attiene alla vicenda dell’estorsione in danno degli eredi NOME, i quali sarebbero stati costretti a cedere all’imputata e al marito i loro terreni condizioni economichesvantaggiose (per come ricavato dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello offerto dall’allora conduttore dei terreni, costretto a recedere dalle trattative).
Il tema della censura investe l’esatta individuazione della condotta causalmente efficiente che l’imputata avrebbe realizzato: sfornita di rilievo ai fini concorsuali, lamenta la difesa, era l’aver preso parte al dialogo intercorso tra il coniuge e la p.o., essendosi ella limitata ad una mera presenza silente e passiva che mai avrebbe potuto rafforzare la pretesa minacciosa di chi è stato condannato in via definitiva per essere il boss di Roccabernarda.
E tanto a prescindere dall’assenza di riferimenti a minacce, intimidazioni o violenze ad opera dell’offeso, ovvero a dichiarati coinvolgimenti dell’imputata NOME vicenda estorsiva ad opera dei collaboratori (l’imputata è menzionata nelle trattative dalla sola p.o.).
Né valeva ad asseverarne il coinvolgimento NOME vicenda la successiva richiesta formulata alla p.o. di ottenere uno sconto (mille euro) sul prezzo di acquisto concordato di 40 mila euro, in assenza della consapevolezza che il terreno acquistato avesse un valore superiore.
Infine, con riguardo all’estorsione, si sottolinea l’assenza di qualsiasi condotta minacciosa che abbia in qualche modo determinato la lesione della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, a ciò non bastando la mera autosuggestione della presunta persona offesa.
Il motivo è manifestamente infondato.
Anzitutto, quanto all’estorsione, l’esistenza dell’intimidazione è stata anzitutto ricavata dalle repliche che il COGNOME NOME COGNOME ha espresso, in modo ultimativo, alle obiezioni del COGNOME sulla trattativa prioritaria in corso con altr soggetto (“il COGNOME mi diceva che la terra se la prendeva lui”), assicurando in modo lattante che non vi sarebbe stata concorrenza (“..ma lo stesso in risposta mi riferiva che con lo svizzero se la sarebbe vista lui..”; v. pagg. 30-31). Tali espressioni sono state correttamente lette dai giudici di merito nell’ambito del
contesto di riferimento in cui sono state pronunciate: per un verso lsi trattava di un’azione di vero e proprio accaparramento forzoso della terra e, per altro, proveniva da chi,nel territorio,aveva raggiunto, per fama criminale, una forza intimidatrice da rendere superfluo, oltre l’avvertimento, il ricorso a specifici episodi di violenza e minaccia.
Se a ciò si aggiunge anche che il venditore, contrariamente alla prassi, era stato convocato (dall’imputata) al cospetto del COGNOME NOME COGNOME, nessuna illogicità sconta la sentenza impugnata per avere ritenuto le affermazioni profferite in quel frangente dal coimputato come una richiesta alla vittima di agire in conformità, come poi era accaduto, sottolineando la sentenza impugnata che la parte offesa si era piegata al volere del COGNOME, contattando frettolosamente e con angoscia i fratelli comproprietari e recandosi, subito dopo, dal geom. COGNOME come gli era stato imposto.
Si è, dunque, dinanzi ad un’estorsione contrattuale, atteso che gli aventi diritto sono stati costretti a rinunziare alla possibilità di scegliersi liberamen l’acquirente, attraverso minacce indirette, tra le quali assume valenza di concausa pure la convocazione della p.o. al cospetto del capo cosca.
Correttamente è stata anche ricavata l’aggravante speciale, sulla scorta dell’orientamento di legittimità secondo cui ai fini della configurabilit dell’aggravante del “metodo mafioso”, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è sufficiente – in un territorio in cui è radicata un’organizzazione mafiosa storica che il soggetto agente faccia riferimento, in maniera anche contratta od implicita, al potere criminale dell’associazione, in quanto esso è di per sé noto alla collettività. (Nella fattispecie, relativa ad un’estorsione commessa nel territorio calabrese, la Corte ha ritenuto che i toni percepiti come “mafiosi” dalla P.O. destinataria della richiesta di uno dei due imputati, pregiudicato per reati gravi, di non eseguire lavori ottenuti in appalto, in modo da favorire l’altro imputato consentissero di ritenere integrato il “metodo mafioso” di cui alla predetta aggravante, essendo tali toni ben conosciuti dall’imprenditoria del luogo, ove la ‘ndrangheta agisce, NOME gestione delle attività economiche, in modo seriale, con modalità “tipiche” immediatamente distinguibili dalle vittime).(Sez. 2, n. 19245 del 30/03/2017, COGNOME, Rv. 269938 – 01; Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, COGNOME, Rv. 284950 – 01).
Nel caso in esame, i giudici di merito, oltre ad indicare chiari elementi dimostrativi della natura ambientale della richiesta estorsiva, hanno, al contempo, anche sottolineato come la percezione della stessa avesse determinato l’immediato agire delle persone offese in aderenza con quanto illecitamente preteso, financo che il piegarsi al volere del COGNOME (ed anche a quello della ricorrente per quanto attiene alla successiva richiesta di un’ulteriore diminuzione
del prezzo di vendita) era stato anche vissuto con angoscia. Nessuna autosuggestione, dunque, a base del facere delle persone offese, ma l’esistenza di un timore di concrete ritorsioni per come dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME paventato.
A corredo del coinvolgimento dell’imputata nell’estorsione commessa dal marito, i giudici di merito hanno indicato una pluralità di elementi quali l’aver convocato NOME (comproprietario del terreno oggetto della forzosa cessione) a casa sua, l’aver partecipato al dialogo nel quale il di lei marito si era imposto all’acquirente ed infine l’aver operato l’unilaterale sconto del prezzo. Si tratta di contributi non solo causalmente efficienti alla realizzazione del disegno estorsivo volto all’acquisizione dei terreni, ma logicamente dimostrativi di quella unitarietà di intenti tra la ricorrente e il COGNOME NOME COGNOME che ha pervaso le vicende di causa, per come più volte sottolineato dai giudici di merito. Del resto, anche i terreni de quo formeranno oggetto di successiva falsa donazione da parte della madre della ricorrente in suo favore (è il capo 17, ove l’insussistenza del fatto è stata dichiarata unicamente in diritto; v. pagg. 64 e ss. sentenza di primo grado).
A tale riguardo, poi, non affatto privo di rilievo è lo sconto praticato sul prezzo di vendita, in quanto espressivo del concorrente potere decisionale appartenente all’imputata, posto che la richiesta viene rivolta alla p.o. alla presenza del marito.
(Capo 21-bis) Violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 379 cod. pen., nonché degli artt. 125, 192, 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Il motivo attiene al favoreggiamento reale che la ricorrente avrebbe posto in essere in favore del marito al fine di consentirgli di ottenere il profit dell’estorsione di cui al capo 23), mediante la falsa attestazione al AVV_NOTAIO del possesso continuativo ultraventennale dei terreni da parte della RAGIONE_SOCIALE che li avrebbe poi donati alla figlia.
Si lamenta l’assenza di qualsiasi argomento volto a dimostrate la consapevolezza in capo alla ricorrente dell’illecita acquisizione del bene da parte del marito che lo aveva almeno in parte usurpato.
Il motivo è inammissibile poiché generico.
La sentenza impugnata, infatti, ha indicato una serie di elementi fattuali logicamente dimostrativi che l’imputata fosse a conoscenza dell’illecita provenienza dei terreni oggetto dell’estorsione di cui al capo 23) della rubrica, rappresentati dalla circostanza che il terreno mai fosse stato alienato al marito, che l’atto di liberalità (falso) provenisse (sistematicamente) dalla madre e che alla stessa imputata fosse noto che il marito avesse usurpato, seppur in parte, quel medesimo bene considerato che la mandria di animali della sua azienda – come da accertamenti di p.g. – era stata colà messa al pascolo pur senza alcun titolo. Il motivo di ricorso omette di confrontarsi col rilievo di dette plurime e convergenti circostanze.
Violazione degli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen. e vizio di motivazione.
Il diniego delle attenuanti generiche, fondato sul rilievo di essere al cospetto di “reiterate condotte nel tempo” era contraddetto dall’allocazione temporale delle due uniche ipotesi estorsive accertate in pochi mesi a cavallo tra il 2013 ed il 2014.
Si era pretermessa l’incensuratezza ed il ruolo secondario svolto dalla ricorrente, aspetti valorizzati a favore di altro coimputato (COGNOME NOME).
Il motivo è manifestamente infondato risultando corredata la motivazione della sentenza impugnata da congrua motivazione sia in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche che di determinazione del trattamento sanzionatorio.
La circostanza che le condotte estorsive sia allocate in un periodo di tempo contenuto non vale ad inficiare in punto di logicità il giudizio di disvalore espresso dai giudici di merito, il quale si nutre di ulteriori elementi costituiti non solo d plurime violazioni reiterate di altre disposizioni della legge penale (molte nelle e W.) 4 w^ -^) 1 “”) more dichiarate prescritte), ma soprattutto di un tiitptongegnato insieme al marito che affonda le sue radici in comportamenti reiterati nel tempo e a carattere diffuso.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 240-bis cod. pen., e vizio di motivazione.
La censura attiene alla disposta confisca dei beni, con riguardo al rispetto del principio di ragionevolezza temporale della misura di sicurezza e della sua perimetrazione, non essendovi alcuna correlazione tra la condotta contestata e gli incrementi patrimoniali del nucleo familiare risalenti a diversi anni prima ed in epoca successiva al periodo in contestazione.
Peraltro, si lamenta come ai fini della sproporzione l si fosse utilizzato il dato costituito dagli indici ISTAT non direttamente riconducibile al soggetto destinatario della confisca, così sfuggendo al principio di tassatività, attribuendosi rilevanza ad un dato numerico che non scaturisce dalla condotta del destinatario del precetto penale, bensì da un comportamento altrui (di tanti) 3 tradotto in una comparazione statistica. Inoltre, si trattava di riferimento improprio in quanto volto per su natura ad esaminare i comportamenti di spesa familiare, non a determinare con esattezza l’entità della spesa di ogni singolo soggetto. Esigenza di tassatività imponevano di fare riferimento – quale corretta metodologia di accertamento alle disposizioni dettate in materia di imposte sui redditi, di tipo orientato che prescindono dal rilievo delle spese medie ISTAT come indicatori NOME ricostruzione del reddito.
Si deduce, poi, l’esclusione della sproporzione, tenuto conto che la complessa attività di ricostruzione dei redditi – per come asseverata dalla c.t. di parte-aveva dato prova di una costante capacità reddituale di gran lunga superiore alle uscite
contabilizzate. Tali risultati erano stati disattesi dalla Corte di merito co motivazione apparente.
Quanto, infine, ai beni oggetto dell’appello del pubblico ministero, si erano violati i principi affermati dalla S.C. in materia, secondo cui 3 i termini di raffronto dello squilibrio l vanno fissati non al momento della misura, bensì dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti (a parte un trattore ed il c non erano state specificate le date di acquisizione degli altri beni, né il relativo valore di acquisto in ipotesi sproporzionato rispetto al reddito dichiarato).
In conclusione, si lamenta che, nel caso di specie, l’inizio dell’attività agricola fosse avvenuto prima della commissione dei delitti contestati e che la percezione dei finanziamenti confluiti sul c/c fosse strettamente connessa a detta attività e che non risulta specificata la data di acquisto degli ulteriori beni al fine di verifica il collegamento temporale con le ipotesi di reato.
Il motivo è inammissibile poiché in gran parte riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla sentenza impugnata (pagg. 36-41), nonché attinente a temi di merito interni alla valutazione della sproporzione, su cui la motivazione della Corte di secondo grado non può dirsi apparente, essendo state prese in considerazione le obiezioni difensive e i contenuti della consulenza di parte.
Inoltre, va qui ribadito che nel compiere tale operazione di comparazione, correttamente i giudici del merito hanno fatto riferimento alla incidenza dei costi di sostentamento del nucleo familiare desunti dalle analisi ISTAT, posto che il reddito rilevante al fine di ritenere esistente la capacità di acquisto va inteso NOME redditività netta. Il valore da porre in comparazione con le spese sostenute per gli acquisti è 9 infatti,rappresentato dalla ‘quota’ di risparmio, ossia da ciò che risulta disponibile l operato lo scorporo delle spese di sostentamento e mantenimento del tenore di vita. Ciò posto, l’applicazione concreta di detti criteri è compito del giudice di merito e non risulta sindacabile NOME presente sede di legittimità ove i criteri adoperati non risultino manifestamente illogici o incongrui.
Nel caso in esame 3 risultano applicati indicatori tratti dalle pubblicazioni statistiche dell’ISTAT, al fine di determinazione presuntiva delle spese di mantenimento NOME zona interessata, con procedura valutativa che non risulta, dunque, fondata su ipotesi arbitrarie ma su osservazioni affidabili dei comportamenti collettivi, tale essendo l’ordinario compito dell’Ente in questione (sulla legittimità del metodo, Sez. 2, n. 36833 del 28/09/2021, COGNOME, Rv. 282361 – 01; Sez. 1, n. 349 del 15/06/2017, dep. 2018, Bosco, Rv. 271996 – 01, in motivazione pagg. 13-14; Sez. 1, n. 52058 del 10/6/2014; Sez. 5, n. 20743 del 7/3/2014; Sez. 4, n. 4110 del 7/12/2012, Rv.255079).
È evidente che dette elaborazioni matematiche di osservazioni massive dei comportamenti forniscono un risultato di tipo essenzialmente indiziario circa l’effettiva spesa sostenuta dal nucleo familiare in esame, ma – ed è questo il punto – da un lato la norma azionata non è norma incriminatrice ma norma facoltizzante la confisca di prevenzione che, pertanto, tollera ampiamente l’utilizzo di criteri indiziari quanto alla determinazione delle entità da porre in comparazione (reddito/investimenti) e dall’altro i la parte interessata ha un preciso onere dimostrativo in punto di ricostruzione della capacità di investimento (la giustificazione della provenienza).
Dunque, il ricorso alle medie statistiche risulta – in tale ambito – del tutt legittimo, sempre che i contenuti economici non siano “smentiti” nel caso concreto e, sul tema, il ricorso pecca di genericità, anche con riguardo ai diversi effetti favorevoli per la ricorrente che deriverebbero, in ipotesi, dall’applicazione di un accertamento condotto alla stregua dei criteri dettati in materia tributaria (né soddisfa l’onere di specifica allegazione delle censure l’unita consulenza di parte al ricorso per cassazione, non competendo alla Corte di legittimità, in assenza di travisamenti di emergenze processuali, la rilettura delle fonti di prova).
Peraltro, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che vengono confiscati i soli beni realizzati con investimenti sproporzionati e acquisiti nel periodo di ricostruita pericolosità (limitato al 2013-2017, arco temporale in ordine al quale è intervenuta la condanna per le ipotesi estorsive che rilevano quali reati spia ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen.), anche con riguardo ai proventi che deriverebbero dall’attività agricola, tenuto conto che a pag. 41 risulta che l’impresa individuale agricola di COGNOME NOME è stata iscritta il 15 gennaio 2013. Parimenti è /a concludersi, riguardo il trattore con il relativo rimorchio, acquistato 1’11 giugno 2015 dalla COGNOME, al bestiame e alle somme di denaro confluite sul conto corrente acceso il 23 novembre 2015 a titolo di contributi RAGIONE_SOCIALE per l’azienda agricola poi sequestrata.
COGNOME NOME COGNOME
Violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 416-bis.1, 629, 633, 635 cod. pen., nonché degli artt. 125, 192, 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
1.1.(Capo 1). Il motivo attiene all’estorsione in danno di COGNOME NOME che sarebbe stato costretto dall’imputato a cedere i terreni di sua proprietà. Si lamenta l’apparenza della motivazione in ordine al vaglio di attendibilità delle fonti dichiarative a carico costituito dalla p.o. e dal collaboratore IN / quinta NOME.
Il motivo è inammissibile poiché generico, essendosi il ricorrente limitato a denunciare l’apparenza della motivazione senza confrontarsi con i passaggi argomentativi resi sul tema dalla sentenza impugnata alle pagine 22-25, che
affronta i diversi motivi di appello spiegati dalla difesa, per come anche richiamati in sentenza (v. pag. 17).
1.2.(Capo 3). Il motivo ha ad oggetto il tentativo di estorsione in danno di COGNOME NOME al fine di farlo desistere dall’intraprendere azioni giudiziarie a cagione dell’occupazione abusiva dei terreni di proprietà della p.o. da parte di quest’ultimo.
Si lamenta che l’affermazione di responsabilità sia stata fondata sul collegamento del tutto congetturale tra il danneggiamento del terreno della p.o. avvenuto nel giugno 2018 e la risalente occupazione dei terreni da parte dell’imputato, nonché la denuncia presentata a novembre 2017.
Inoltre, posto che il collaboratore COGNOME NOME riconduceva il taglio delle piante a due diverse causali – la pretesa dell’imputato sui terreni del COGNOME NOME e il rifiuto di quest’ultimo di pagare il pizzo al COGNOME per l’oleificio da lui gestito – l’atto intimidatorio non poteva essere reputato funzionale ad un’estorsione in danno dello COGNOME NOME funzionale ad ottenere un terreno di cui il COGNOME si era, in ipotesi, già appropriato.
Peraltro, e ciò rendeva illogica la motivazione, tutte le condotte di matrice estorsiva ascritte all’imputato sono assai successive alla data di pubblicazione del falso testamento di COGNOME NOME (capo 4) con il quale il ricorrente si sarebbe attribuito la proprietà del terreno di cui era già in possesso.
Il motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata lrisulta che il giudice del merito – in coerenza anche con l’editto accusatorio – ha ricondotto l’estorsione non al primario impossessamento del terreno da parte del ricorrente, già in essere al momento del fatto di cui al capo 3) della rubrica, ma alla pretesa neutralizzazione di ulteriori iniziative di resistenza della vittima, che pure aveva dato dimostrazione di scarsa remissività denunciando i fatti.
Nessuna frattura logica, pertanto, vi è tra la contestazione elevata al capo 3) con quella oggetto del capo 4) della rubrica. Quest’ultima attiene al falso testamento con cui il ricorrente apprendeva formalmente la titolarità dei terreni già illecitamente occupati, mentre le condotte di cui al capo 3) sono volte, anche mediante episodi di danneggiamento, a conservare il possesso del bene.
La circostanza, poi, che uno degli atti illeciti compiuti a fini intimidatori possa avere assunto anche un’ulteriore causale non priva la condotta dell’idoneità materiale e della vocazione finalistica al conseguimento dell’obiettivo di ingiusto profitto perseguito dall’imputato (e oggetto della contestazione estorsiva), in quanto la stessa si colloca, per come ricostruito dal giudice del merito, nell’ambito di una sequenza fattuale e temporale senza soluzione di continuità che ne rivela
logicamente la natura strumentale alla conservazione di quanto in precedenza acquisito.
1.3. (Capo 19). Il motivo riguarda l’estorsione in danno degli eredi NOME, i quali sarebbero stati costretti mediante minacce cedere i terreni di loro proprietà all’imputato e alla coimputata di lui coniuge, a condizioni economiche svantaggiose a fronte di un valore superiore dell’offerta proposta dal conduttore dei terreni COGNOME NOME, costretto a recedere dalle trattative.
Al riguardo, si evidenzia come la sentenza impugnata offra una ricostruzione parzialmente difforme rispetto a quella operata dal primo giudice, pur pervenendo a confermare le statuizione di condanna; non si era apprezzato doverosamente il contenuto delle diverse sommarie informazioni acquisite agli atti, tra le quali assumevano rilievo quelle di NOME COGNOME, la quale aveva precisato di aver sollecitato in prima persona l’incontro con l’imputato per tramite della moglie e a promettergli di vendergli i terreni alla morte del padre, sostenendo che la trattativa con l’allora conduttore era sfumata non soltanto perché non vi era accordo sulla dilazione del pagamento, ma,soprattutto, in ragione della contrarietà del padre della stessa . Era 5 quindi,smentita la ricostruzione operata in sentenza. In ogni caso, anche a voler dar credito alla versione offerta da NOME NOME 7 lo stesso aveva escluso di aver mai subito minacce, intimidazioni o violenze da parte sia del COGNOME NOME che della moglie, ma di essersi semplicemente sentito costretto a vendere. Si riproducono le censure già sviluppate con riguardo all’analogo motivo a favore di COGNOME NOME.
Il motivo è manifestamente infondato per quanto evidenziato a proposito della censura svolta da COGNOME NOME, quale concorrente nel reato, sub motivo 2.3.
Inoltre, va evidenziato che la Corte di merito perviene alla riconducibilità della vicenda al paradigma dell’estorsione contrattuale, consistita nell’imposizione della scelta del contraente (da individuarsi nel COGNOME anche quale possessore illegittimo del bene in virtù del falso contratto di fitto che lo stesso aveva opposto a NOME COGNOME), mediante un puntuale esame di tutti i contributi dichiarativi resi nel corso delle indagini, soprattutto quelli dei fratelli NOME, escludendo che le propalazioni da ciascuno rese svolgano alcuna decisiva interferenza con riguardo al dichiarato della fonte primaria (COGNOME NOME), la quale riferisce di avere acconsentito all’alienazione per timore del COGNOME, tanto da avere frettolosamente agito – secondo anche le indicazioni fornite dall’imputato (che gli imponeva anche di andare dal COGNOME il quale aveva attribuito al terreno un valore massimo di euro 40.000,00, poi ulteriormente ridotto ad euro 39.000,00 su richiesta della COGNOME, a fronte di un valore di mercato più alto) – nonostante non avesse ancora ottenuto il placet dei fratelli.
E tanto anche in ragione dei punti di contatto ricavabili tra le stesse affermazioni e dalla successione temporale della vicenda, essendosi dato conto di come i comportamenti tenuti in seguito dagli altri fratelli risultino del tutto coerent con la minaccia sublta dal germano (v. pag. 31).
Peraltro, a conferma della natura estorsiva della negoziazione rileva anche l’accertamento di p.g.,che ha dato conto di come fosse stata versata una somma di gran lunga inferiore (pari ad euro 5.500,00), rispetto a quella che la p.o. ha dichiarato di avere ricevuto.
1.4. (Capo 23). Il motivo attiene all’estorsione in danno degli eredi COGNOME, che avrebbero subìto atti intimidatori dall’imputato al fine di costringerli a cedere i terreni i loro proprietà sempre già occupati abusivamente dal ricorrente.
Si lamenta la genericità delle dichiarazioni del collaboratore COGNOME avendo queste esclusivamente riferito che i danneggiamenti erano stati commessi dall’imputato senza indicare in quale occasione ovvero se avesse conferito un incarico a qualcuno in tal senso. Quanto alle dichiarazioni delle persone offese si evidenzia come la riconducibilità dei danneggiamenti verificatesi nel loro terreno all’imputato non era conseguenza di precedenti minacce o richieste dirette dello stesso, ma una deduzione legata al fatto che i capi di bestiame di quest’ultimo in alcune occasioni avevano sconfinato.
Il motivo è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata risulta, infatti, avere indicato una convergenza di elementi, sia di tipo dichiarativo che logico-fattuale, che avvalorano il narrato del collaboratore COGNOME NOME, non affatto generico, ma foriero di circostanze specifiche direttamente apprese dall’imputato – in virtù del rapporto fiduciario tra essi esistente in virtù della appartenenza del dichiarante alla cosca COGNOME (v. pagg. 22 e ss. sentenza di primo grado) – o da altri soggetti direttamente coinvolti NOME vicenda estorsiva.
Il riferimento del collaboratore alle mire che aveva l’imputato sui terreni dei proprietari COGNOME si arricchisce, infatti, non solo delle convergenti dichiarazioni della persona offesa sulle pressanti ed esclusive richieste acquisitive dell’imputato, ma anche del compimento di una pluralità di atti a scopo intimidatorio ai danni della stessa p.o. (danneggiamenti di una porta, telefonate minatorie e collocazione di una bottiglia con liquido incendiario) affinché si piegasse alle determinazioni del COGNOME, la cui matrice estorsiva è coerente con l’evolversi della vicenda per come ricostruita dai giudici di merito (v. anche pagg. 41-46 sentenza di primo grado e 31-33 della sentenza impugnata) e del tutto aderente, in assenza di causali riconducibili ad una differente matrice, con il disegno perseguito dal ricorrente di acquisire mediante imposizioni a carattere minaccioso o occupazioni forzate l’intero compendio di terreni che i germani COGNOME avevano ereditato.
Peraltro, è lo stesso collaboratore che apprende direttamente da COGNOME NOME, indicato come un altro facente parte del gruppo dell’imputato, che questi stava per recarsi a dare fuoco alla porta di casa dello COGNOME e tale circostanza risulta del tutto sovrapponibile con uno degli atti intimidatori denunciati dalla persona offesa.
Del resto, la sentenza impugnata indica, a conferma delle mire del COGNOME (tradottesi sia nell’occupazione della parte dei terreni ereditati da COGNOME NOME NOME NOME, sia nel cedere alle condizioni unilateralmente stabilite dall’imputato altra parte del compendio ereditario spettante a COGNOME NOME), anche il dato, particolarmente significativo, costituito dal compimento di un atto di donazione, ad insaputa dei proprietari, avente ad oggetto quella parte di terreno che non aveva ancora occupato, in favore della moglie COGNOME NOME (da parte della di lei madre; si tratta del favoreggiamento reale di cui al capo 21-bis della rubrica), necessaria al fine di consentire all’imputato una via di accesso ai suoi terreni per il pascolo del suo bestiame (v. pag. 43 sentenza di primo grado).
La circostanza che la p.g. abbia accertato che la mandria della moglie dell’imputato pascolasse all’interno dei terreni degli COGNOME dà ragionevolmente conto del movente sotteso alla richiesta estorsiva e costituisce un ulteriore riscontro al narrato del collaboratore, il quale riferisce che il COGNOME, appreso dell’iniziativa dello COGNOME di pulire il fondo per destinarlo a colture (circostanz accertata in fatto), si era mostrato contrariato in quanto temeva che tanto potesse indicare una volontà di sottrazione della materiale disponibilità della terra al pascolo dei suoi animali.
In conclusione, la Corte di merito, lungi dal fondare l’editto estorsivo su generiche propalazioni del chiamante in reità, ne ha saggiato dapprima la credibilità soggettiva in termini di spontaneità e genuinità, alla luce anche del rilievo dei contributi resi nel corso del presente giudizio (e di altri che vedon imputato lo stesso COGNOME NOME) e ltenuto conto della confessione resa in ordine ad altri delitti pur in assenza di elementi di indagine di evidente C.2.44eb/.. 1 .· n · n · n responsabilità COGNOME havvalutato l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni unitariamente alla luce degli altri elementi di prova processualmente acquisiti.
Con riferimento alle imputazioni per le quali è stata ritenuta sussistente l’aggravante speciale sotto il profilo oggettivo, si lamenta come ; nelle sentenze di merito,, non sia stato individuato alcun indice sintomatico della necessaria esteriorizzazione del metodo mafioso.
Si riproducono pertanto, sul tema, le analoghe censure in punto di diritto già svolta a proposito della coimputata COGNOME alle cui argomentazioni può rinviarsi.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 482, 491 cod. pen., nonché degli artt. 125, 192, 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione (Capi 4), 5), 10), 11) e 13).
Il motivo attiene alla vicenda relativa ai testamenti o olografici che avrebbero rappresentato lo strumento per schermare l’effettiva cessione a titolo oneroso di alcuni terreni in modo da rendere inattaccabile il passaggio di proprietà dei beni in favore dell’imputato. In assenza di atti dimostrativi del concorso del ricorrente NOME formazione dell’atto falso se ne era asseverata la sua responsabilità in ragione dell’esclusivo interesse alla falsificazione. Si riproducono, pertanto, sul punto le censure già avanzate a proposito della computata COGNOME con particolare riguardo alla insufficienza della qualità di beneficiario del lascit testamentario falso ad integrare una responsabilità concorsuale nel delitto, nonché in ordine all’insussistenza del delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen.
Il motivo, genericamente riferito a tutte le ipotesi di reato che hanno di volta in volta interessato la vicenda dei testamenti falsi, è manifestamente infondato per quanto già evidenziato a proposito della coimputata COGNOME NOME NOME NOME COGNOME NOME NOME parte relativa all’accoglimento del ricorso del P.G. cio la Corte di appello di Catanzaro.
Violazione degli artt. 62-bis, 132, 133 cod. pen., nonché vizio di motivazione.
Si lamenta che la sentenza impugnata presenti palesi profili di illegittimità anche con riferimento alla dosimetria della pena.
Il motivo è inammissibile in quanto del tutto generico, omettendo il ricorrente di confrontarsi con gli argomenti spesi dai giudici di merito a corredo del trattamento sanzionatorio inflitto all’imputato.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 240-bis cod. pen., e vizio di motivazione.
La censura attiene alla disposta confisca dei beni, con riguardo al rispetto del principio di ragionevolezza temporale della confisca (e della sua perimetrazione), non essendovi alcuna correlazione tra la condotta contestata e gli incrementi patrimoniali del nucleo familiare risalenti a diversi anni prima ed in epoca successiva al periodo in contestazione.
Il motivo è manifestamente infondato per quanto già evidenziato a proposito della coimputata COGNOME NOME, trattandosi di censura sovrapponibile (vedi
NOME NOME
1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 56, 416-bis. 1, 629 cod. pen., nonché vizio di motivazione (Capo 3).
Il motivo attiene all’ipotizzato concorso nel tentativo di estorsione in danno di COGNOME NOME, il quale, dopo l’occupazione abusiva dei terreni da parte del padre del ricorrente COGNOME NOME, aveva sporto denuncia contro quest’ultimo il 20 novembre 2017 e, successivamente, aveva subito il taglio di 103 piante d’ulivo denunciato il 19 giugno 2018.
Si era ritenuto il concorso sulla scorta del pedinamento della presunta persona offesa compiuto dall’imputato in occasione della seconda denuncia che questa aveva presentato il 19 giugno 2018 contro il padre NOME NOME COGNOME.
Il concorso era stato ) , quindi tdesunto esclusivamente dalle dichiarazioni di COGNOME NOME. Si lamenta l’apparenza della motivazione in quanto si era ricavato da un’unica condotta riferibile al ricorrente, il presunto pedinamento, la finalizzazione all’accaparramento dei terreni operato dal genitore. E ciò soprattutto perché la stessa Corte aveva escluso la riconducibilità all’imputato delle ulteriori condotte di danneggiamento ed occupazione abusiva contestate al capo 3).
Difettava poi qualunque approfondimento del profilo legato alla sussistenza del dolo.
Quanto all’aggravante speciale si richiamano le censure già svolte a proposito del ricorso degli altri computati.
Il motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura delle sentenze di merito irisulta che il pedinamento della persona offesa ascritto all’imputato segue, infatti, alla seconda denuncia che questa aveva presentato per avere subito un taglio di un numero consistente di alberi su un terreno di sua proprietà. Il danneggiamento è stato attribuito al COGNOME NOME – sulla scorta delle dichiarazioni della p.o. e del collaboratore la/quinta NOME NOMENOME ne apprende la paternità direttamente dal capo cosca) – quale atto di ritorsione alla denunzia che la stessa persona offesa aveva presentato in precedenza contro COGNOME per avere abusivamente occupato i suoi terreni, anche recintandoli. Era, poi, emerso che i terreni risultavano financo “confluiti” NOME proprietà del COGNOME NOME in virtù dell’ennesimo falso testamento olografo – della cui pubblicazione si era occupato proprio COGNOME NOME redatto da un netturbino nulla-tenente che mai ne aveva avuto il possesso o la proprietà a seguito della stipulazione di un benché minimo atto negoziale col proprietario COGNOME NOME.
Se questo è, dunque, il contesto di fatto descritto dai giudici di merito, correttamente è stato attribuito carattere intimidatorio alla condotta del ricorrente in quanto dotata di efficacia causale rispetto all’obiettivo illecito avuto di mira da padre volto a far recedere la persona offesa dalla volontà di perseguirlo per la sottrazione del terreno che aveva subito e che il capo cosca si era attribuito sia in fatto che “in diritto”.
In tal caso, infatti, la minaccia tende a realizzare un vantaggio a contenuto patrimoniale o di utilità economica, al cui conseguimento – ed interesse – il ricorrente non può affatto dirsi estraneo proprio in ragione dell’attività i precedenza prestata in favore del padre anche su tale versante, essendosi occupato della pubblicazione del falso testamento attraverso cui il AVV_NOTAIO conseguiva anche il titolo formale per giustificare la presenza sui terreni del terzo proprietario ignaro.
L’adesione ad un fatto estorsivo iniziato ben prima della denuncia si nutre di una lettura unitaria delle vicende oggetto di contestazione ai capi 3) e 4) della rubrica, che dà conto del dolo di concorso, essendosi al cospetto della realizzazione di un medesimo disegno criminoso volto ad attuare – mediante violenza e minaccia – l’originario e condiviso proposito di occupazione dei terreni della persona offesa.
Del resto, per come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, Sormani, Rv. 218525 – 01).
Violazione e falsa applicazione dell’art. 240-bis cod. pen., e vizio di motivazione.
La censura attiene alla disposta confisca dei beni, con riguardo al rispetto del principio di ragionevolezza temporale della confisca (e della sua perimetrazione), non essendovi alcuna correlazione tra la condotta contestata e gli incrementi patrimoniali del nucleo familiare risalenti a diversi anni prima ed in epoca successiva al periodo in contestazione.
Il motivo è manifestamente infondato per quanto già evidenziato ,SC ./5 -21-61 a proposito della comune censura svolta dalla coimputata COGNOME NOME.
NOME NOME
1. Violazione dell’art. 81 cpv. cod. pen. e vizio di motivazione.
La censura attiene alla misura dell’aumento operato per la continuazione in ordine al delitto di estorsione di cui al capo 24), ritenuto eccessivo in quanto inflitt NOME stessa misura del primo giudice benché fossero venuti meno per prescrizione le ipotesi del furto e danneggiamento ivi contestate e altro delitto (capo 20) avvinti dal medesimo disegno criminoso, nonché si fosse al cospetto di plurimi indici positivi attinenti alla persona del colpevole, riconosciuti dallo stesso giudice del
merito (resipiscenza, rescissione dal passato criminale e dall’ambiente di provenienza).
Il motivo è manifestamente infondato.
Non sussiste, infatti, alcun obbligo di tipo conseguenziale a carico del giudice del merito di ridurre la pena apportata in continuazione allorché alcuni dei reati avvinti dal medesimo disegno criminoso – pur unitariamente contestati nel medesimo capo di imputazione – siano estinti per prescrizione, laddove si sia attenuto, dandone congrua motivazione, alla stessa misura specificamente stabilita per ciascuno di essi dal giudice di primo grado nel relativo calcolo della pena.
Nel caso in esame, infatti, la Corte territoriale, ferma restando la pena base stabilita dal Gup, in ragione della maggiore gravità, sulla estorsione pluriaggravata di cui al capo 8) della rubrica, ha provveduto ad eliminare gli autonomi aumenti in continuazione che lo stesso primo giudice aveva stabilito per i reati poi dichiarati estinti per prescrizione con la sentenza impugnata, ossia mesi 2 di reclusione ed euro 100 di multa per il reato di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen. e mesi 1 di reclusione per il reato di cui all’art. 635 cod. pen. (entrambi riportati al capo 24 della rubrica), mantenendo fermo, invece, l’aumento di mesi sei di reclusione ed euro 250 di multa per l’episodio estorsivo pure ivi contemplato nel capo 24). Peraltro, che non ci si trovi al cospetto di un’operazione meramente aritmetica, bensì di un giudizio valutativo attinente alla determinazione della pena, si ricava dall’espressa motivazione resa dalla Corte d’appello che, per un verso, richiama in condivisione le motivazioni del primo giudice sulle ragioni poste a base della valutazione di personalità dell’imputato (tanto che lo stesso giudice di primo grado erra NOME concreta applicazione dell’aggravante speciale che ha portato in bilanciamento con le altre aggravanti contestate quando invece avrebbe dovuto apportare una autonoma diminuzione alla pena base individuata) e, per altro, ribadisce – proprio a giustificazione del mantenimento dell’originaria misura dell’aumento stabilito per la continuazione sul reato estorsivo di cui al capo 24) che la pena del Gup risulta congrua “avuto riguardo alla personalità del giudicabile e alla gravità del fatto in contestazione”, così dando motivatamente conto di avere tenuto in considerazione gli indici positivi indicati dalla difesa, necessariamente valutati, in ossequio ai criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., anche con riferimen agli elementi di disvalore oggettivi del fatto. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Deve, invece, provvedersi alla rettifica della pena della multa inflitta dalla sentenza impugnata al ricorrente, in quanto non è stata interamente apportata la riduzione di un terzo stabilita in ragione del rito abbreviato prescelto dall’imputato. Invero, la Corte di merito, dopo avere stabilito in ordine ai reati non oggetto di proscioglimento la complessiva pena di anni tre imesi dieci di reclusione ed euro
950,00 di multa, nell’apportare la riduzione di un terzo per il rito abbreviato ha inflitto, quanto alla pena pecuniaria, la multa di euro 643,00, anziché euro 633,00.
3. In conclusione:
va annullata la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al reato di cui al capo n. 13) della rubrica, con rinvio per nuovo giudizio a diversa sezione della Corte di appello di Catanzaro;
va rettificata, ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., la pena pecuniaria inflitta a COGNOME NOME, indicandola in euro 633,00 di multa, dichiarandosi inammissibile nel resto il ricorso dell’imputato;
vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186);
nulla deve disporsi in ordine alle spese di giudizio in favore delle parti civili costituite, in difetto della relativa domanda. Le note di conclusione depositate dal patrono delle parti civili – alle quali lo stesso ha fatto riferimento all’esito de discussione -contengono, infatti, soltanto la richiesta di rigetto e/o inammissibilità dei ricorsi, ma sono prive della richiesta di condanna degli imputati alle spese di giudizio, petitum necessario affinché il giudice di legittimità possa provvedere, anche ex officio (laddove non sia allegata la nota spese), alla liquidazione.
In tema di spese processuali, la parte civile, in conformità al principio della domanda che regola l’azione civile, ha diritto ad ottenerne la liquidazione qualora abbia formulato richiesta di condanna della controparte alla rifusione non essendo, viceversa, necessario che abbia presentato apposita nota spese ai sensi dell’art. 153 disp. att. cod. proc. pen. (Fattispecie in tema di condanna per reati reciproci, in cui la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza che aveva disposto la compensazione delle spese tra le parti nonostante una di esse non avesse mai proposto domanda di condanna della controparte alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di appello in qualità di parte civile).(Sez. 4, n. 2311 del 05/12/2018, dep. 2019, Grasso, Rv. 274957 – 01; Sez. 6, n. 19271 del 05/04/2022, COGNOME, Rv. 283379 – 01).
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME in relazione al capo n. 13), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro; visto l’art. 619 cod. proc. pen. corregge la pena pecuniaria inflitta a COGNOME NOME indicandola in euro 633,00 di multa; dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME; dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende. Nulla sulle spese delle parti civili.
Così deciso, il 19 luglio 2024
Il Consigliere stensore
Il Presidente